Davanti alla porta del destino
parte terza
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Mi alzo dal letto in cui giaccio rannicchiata da ore per raggiungere lo specchio che è nell’angolo accanto alla finestra. Mi accorgo che il sole innalza ormai nel cielo il suo anello di fuoco, circondato da una sottile foschia che ne smorza l’abbagliante riflesso.
Chi è la creatura che mi guarda, cinica , dall’ altra parte ?
Forse è un’immagine dimenticata di me stessa che riaffiora da una notte arrogante volta al trionfo della mia forza e trasformatasi nella beffarda sconfitta di me stessa.
Non so chi ero. La tua violenza non è servita a farmelo sapere.
Non so cosa sarò. Tu lo hai detto che non si sceglie cosa essere nella vita.
So soltanto che mi hai dilaniata anche se non erano queste le tue intenzioni.
So solo che adesso devo andare via, subito.
Mi hai stretto con mani roventi come tenaglie lasciandomi segni nel corpo e nell’anima che già stanno sbiadendo a contatto del giorno che sorge.
Stasera mi hai ghermito con dita rapaci e con labbra che divorano predaci corpo ed anima.
Sono cocenti le tue labbra.
Non era quella la bocca che tante volte mi ha consolato, scherzando per diluire una tristezza impercettibile agli altri.
Ma chi sei, André?
Ti ho ridotto alla stregua di un uomo.
Tu eri il mio amico André.
E ora mi guardi con gli occhi di uno sconosciuto.
Non lo so dove eri realmente quando mi hai gettato su questo letto. E chi eri.
Cosa ha acceso il tuo desiderio André? Vorrei saperlo.
Anzi non dirmelo. Non lo voglio sapere. Non voglio sentirmi colpevole. Ancora.
Guardami, sono una creatura ambigua.
Però dalle strisce di stoffa bianca intravedo il seno che hai esposto al tuo sguardo. E’ la vista del mio corpo che ha risvegliato i tuoi sensi?
Non credo, non so.
Sicuramente hai cinto curve più procaci, più sensuali delle mie .Le scollature degli abiti sono fatte apposta per ammorbidire la figura femminile.
Anche io in abito lungo ho fatto la mia figura.
Solo che il mio cavaliere non se ne è accorto perché sono altre le cose che ammira di me. Mi osserva quando mi batto con la spada per intuire il segreto dei miei fendenti; i miei assalti in duello attirano la sua attenzione più delle mie curve; è la mia lettura in latino a catturare il suo orecchio, non il tono timidamente carezzevole della mia voce. Occhi troppo indagatori per essere inclusi tra ricordi piacevoli.
Ho lasciato che un uomo mi accarezzasse per il tempo di un minuetto e volevo che mi guardasse come donna. Il mio scopo l’ho ottenuto, come sempre.
Ma questa volta c’era in serbo una sorpresa.
Ti ho catturato André. Non volevo, credimi, non ho fatto mai niente per piacerti come donna.
Almeno di ciò sono sicura.
Forse.
Forse da quella sera dannata in cui mi sono recata a corte per lui e sei restato a guardarmi alla base della scalinata, con una strana luce negli occhi.
Forse la nostra amicizia è terminata quella sera. Eri il mio amico.
Era sufficiente. Questo era il baricentro della mia esistenza fino a stasera, l’unico approdo per non dover ammettere di non sapere chi sono, di aver immolato me stessa a persone, cose, idee, perché me lo sono imposta.
Per sfuggire alla solitudine di chi vive in una gabbia dorata.
La solitudine mi ha sempre spaventato.
Soprattutto quella di chi vive esistenze troppo abbaglianti che accecano lo sguardo nell’anima.
Ma ogni volta le risate e le lotte, le sbronze e le lunghe serate a discorrere con un calice davanti al camino avevano l’arcano potere di schiarire i miei pensieri perché lo sapevo che mi volevi bene, ma non volevo saperlo che non era l’ affetto di un fratello.
I tuoi sguardi in presenza di Fersen non erano gli sguardi di un fratello, ma quelli di un uomo geloso. Ho circoscritto i tuoi sentimenti nelle mura della mia indifferenza per non rinfacciartela, l’assurdità di un servo che ama un’aristocratica.
Vorrei che mi avessi desiderato come un corpo da godere e non come una donna da amare, perché il tuo amore martoriato chiuso nella tua mano assieme alla stoffa strappata non posso proprio dimenticarlo.
E’ un dolore troppo difficile da portare dentro.
Avresti dovuto prendermi con la forza per impedirmi di scorgere la tua solitudine, mi avresti fatto del male solo fisicamente e non mi sentirei torturata, adesso, dalla pena di aver scrutato nel tuo cuore.
Forse mi hai toccato il corpo per obbligarmi a toccare la tua anima.
Non dovevi dirmelo che mi amavi, dovevi possedermi su questo letto ed andartene senza versare lacrime che mi scottano. Non ho mai sopportato che un uomo piangesse, sai.
Lo avrei sopportato il tuo corpo nel mio.
Li ho sopportati gli sguardi amichevoli di un conte.
E dovevi saperlo che avrei reagito, che era impossibile André.
Eppure con l’impossibilità io ho dimestichezza perché io stessa ho sfidato ogni logica per essere accettata da mio padre e dal mondo.
Quel mondo che costringe l’uomo ad andare contro se stesso per essere qualcuno o qualcosa.
Ho contemplato miraggi di gloria, onore, felicità seppellendo troppo di me al punto di dimenticare che anche io ho un’anima, relegandola in nicchie della mia mente per non pormi interrogativi inquietanti, tali da scardinare la faticosa opera compiuta su di me e da me stessa.
Ecco, è giunta l’aurora, una tregua tra luce ed oscurità.
Tra poco tutto ritornerà come prima perché questa notte sta già assumendo la patina evanescente che appartiene ai ricordi.
***
Stamattina ti ho visto venire verso le scuderie per prendere César, dicendomi di voler cavalcare da sola. Te l’ho sellato.
Sembravi perfettamente distesa, ma perché persisti a non fissarmi negli occhi? Hai paura che i tuoi ti tradiscano? E quali pensieri dovrebbero tradire?
E’ buffo notare questo quando io stesso ti ho confessato di amarti guardando per terra, dandoti le spalle. E poi che effetto deve averti fatto sentire che era inevitabile che mi innamorassi di te dopo aver vissuto insieme per anni?
Crederai che ti amo perché ti sono vissuto accanto?
Non è questo Oscar.
Ti amo perché sei tu.
Perché tu sola potevi resistere ai richiami ammaliatori del potere.
Perché il giorno che ti invitai a frequentare il salotto privato della principessa Maria Antonietta minacciasti di picchiarmi, e lo avresti fatto.
Perché sei la bambina che la sera del mio arrivo qui a palazzo, quando scoppiò quella tempesta, accortasi della mia inquietudine, mi disse sottovoce “non aver paura, ci sono io qui con te“. La bambina che aveva paura ma mi dava coraggio e che cercava affetto dietro la sua adorabile impudenza di piccolo guerriero.
Ti amo perché sei sempre la stessa.
Ma non potrei parlarti comunque adesso, forse solo gesti d’amore potranno sanare la colpa di un atto che resta un gesto d’amore Oscar, anche se sotto le mentite spoglie del desiderio.
Lo volevo il tuo corpo, stanotte, lo volevo, e me lo sarei preso senza il tuo pianto .Ti ha protetto meglio di un’armatura, Oscar. Ho bisogno di pensarti, si fa largo una necessità assoluta di guardarti con occhi reali, non con gli occhi della mente.
Amore e dolore. Violenza e riscatto. Questo mi turbina nella mente e nel cuore.
Ti ho seguita a Versailles come al solito, accarezzando César come se ti elargissi quelle carezze che stanotte non sono riuscito a farti . Quando mi hai comunicato di partire per la Normandia sei salita a cavallo dicendomi di non avercela con me.
Parlandomi di spalle.
E’ così che finisce la nostra amicizia?
Allora non vivrò più Oscar, la mia vita è sospesa fino al tuo ritorno in attesa di riprendere il suo corso quando mi fisserai di nuovo negli occhi,perché possa stemperarvi le amare contrazioni del ricordo di stanotte.
*****
Sta calando la notte, silenziosamente, su Parigi, sui tetti, sui muri, sui cortili, sulla Senna che la sera è il rifugio di tanti, muto interlocutore a cui confidare le pene che il cuore cela in grovigli di nodi che è troppo doloroso districare, finendo col diventare sempre più fitti.
Non torno a casa da ore , forse da giorni interi di pensieri fissi su di te.
Sei inesorabile come una dea crudele.
Non mi hai concesso tregua.
E non voglio stare da solo a casa tua.
Voglio odiarti, ma ogni volta che sentenzio questa decisione per un misterioso motivo sento di amarti disperatamente.
Sono uscito una sera dicendo che andavo a trovare alcuni amici e ho vagato per ore per Parigi alla ricerca di quelle stradine ,di quegli angoli che tante volte abbiamo percorso insieme ma che non ricordavo più perché ora sono tutte uguali, rue de la Paix, rue de Marseille… con muri lesionati e porte cigolanti, case dove vive la gente con dolori comuni.
Mentre camminavo per una stradina parallela a rue Saint Honoré, con i muri delle case tappezzate di ubriachi e gente d’ogni risma, si è avvicinata una donna, una dama a giudicare dai tratti e dagli abiti, per restituirmi un foglio caduto dalla tasca. Nel consegnarmelo mi ha sfiorato le dita guardandomi in un modo strano e dopo qualche istante eravamo appoggiati al muro di un vicolo buio. Le ho alzato con sgarbo la veste e l’ ho presa con rabbia, sebbene la cosa non le sia affatto dispiaciuta, a giudicare dai gemiti che hanno accompagnato il nostro amplesso.
E’ durato pochi minuti, poi la donna si è ricomposta alla meglio dicendomi che era stato un incontro piacevole e chiedendomi se mi sarebbe piaciuto rivederla.
Nonostante sia rimasto in silenzio, mi ha sussurrato l’ indirizzo di un palazzo signorile di una strada lì vicino facendosi promettere che l’avrei raggiunta l’indomani sera. Contrariamente alle mie intenzioni iniziali mi sono recato a casa sua, un palazzo nobiliare decaduto, e subito abbiamo fatto l’amore sul pavimento del suo salotto senza quasi parlarci, scambiandoci carezze filtrate da un dolore che mi chiude la gola. Dopo Marguerite, questo il suo nome, mi ha invitato a cena cogliendo l’occasione per raccontarmi della sua vita, del suo matrimonio fallito a causa del vizio del gioco di suo marito, ormai lontano da Parigi da tempo, che le ha lasciato un titolo nobiliare in mezzo ad una marea di cambiali. Appeso alla parete un ritratto della sua bambina stroncata dal vaiolo a tre anni.
Mi ha detto, un po’ imbarazzata, che la sua condotta a suo dire sfacciata nei miei confronti non è stata dettata solo dall’attrazione fisica provata verso di me, ma anche dalla curiosità di scoprire il motivo della mia malinconia, residuo della sbronza nella taverna di Armand in compagnia di un soldato della Guardia metropolitana, Alain, e dei suoi commilitoni a caccia di avventure e donne.
Abbiamo parlato tutta la notte ed alla fine sono restato a casa di lei perché era tardissimo, niente di meglio che addormentarsi al fianco di una sconosciuta per dimenticare una donna troppo dolorosamente conosciuta.
Non l’ho più vista.
E’ una brava ragazza.
Come lo erano le altre due donne che ho conosciuto, donne sole come me.
Non me li ricordo quei volti e quei corpi. La mia mente contemplava un altro viso, altero e dolcissimo, ed un altro corpo, sottile ed elegante, in quelle stanze sconosciute dove ho giaciuto accanto a delle estranee.
Grandina,enormi chicchi si schiantano scompostamente sui davanzali esterni della finestra della locanda. Li osservo sciogliersi in rigagnoli sottili mescolati alla terra caduta dai vasi delle piante ed abbattersi in strada lungo il muro, in scie fangose.
Il rumore copre le mie grida silenziose.
Oscar, la lontananza da te non è paragonabile a ciò che provavo negli incubi notturni in cui ho sognato di perderti. Soffrirò.
E’ questo il castigo giusto per averti quasi violentato quella notte.
Ma ho voglia di rivederti.
Cosa fai in una terra lontana? Non volevo che andassi via da me.Per me.
Torna, anche se ormai non siamo più niente.
Questa vita non vale. Io non lo so chi sono.
Non è giusto perderti per averti confessato di amarti.
***************
Si gela stamattina, il vento del nord attraversa la Manica posandosi su questa spiaggia di ciottoli dalle infinite varietà, per forme sempre diverse, per i loro colori a volte screziati, altre volte troppo accesi.
Ma spesso smorti.
Rifletto forse solo adesso per la prima volta sulla mia vita.
Voglio trovarne il senso, ammesso che esista.
Ho torturato me stessa costringendomi a credere che ciò che facevo equivalesse a ciò che desideravo.
Ma lucidi riflessi verdi penetrano nell’anima per ardere i falsi sogni.
E forse tu lo sapevi André che il mondo non è il cumulo di falsità che ho accolto per una vita in me, sfuggendo la limpidezza e l’acutezza del tuo sguardo.
Ti ho liquidato come un servo, per la prima volta nella mia vita, dopo che per anni io ho lottato perché fosse ovvio che tu condividessi la mia vita da nobile.
Perché sei come un fratello per me.
No.
Molto di più.
Siamo cresciuti insieme imparando insieme la vita, perché tu sei orfano ma hai avuto genitori affettuosi, per quanto ne so dai racconti di tua nonna, io li ho i genitori ma è come se non li avessi avuti.
La vita non ci è stata insegnata, da nessuno.
Mio padre ha ritenuto opportuno che crescessi come un maschio, ma sola. Però chi l’ha detto che i maschietti devono stare soli?
La nonna mi ha viziato con carezze fugaci per attenuare il dolore delle botte di mio padre e se non fosse per le amorevoli cure prodigatemi fin da neonata forse non sarei qui ora. Chi mi ha vegliato per nottate intere di febbri, di ferite?
Il giorno in cui saltai da cavallo per salvare Maria Antonietta caddi in un pesante torpore di morte, ma al risveglio trovai i tuoi occhi affettuosi che mi scrutavano preoccupati di scorgere tracce di dolore in me, invano, perché ero troppo felice di tornare alla vita, a te, nonostante avessi male ovunque.
Mia madre non c’ era.
Ho rischiato di morire e mia madre si stava prendendo cura della principessa.
Ho provato una strana sensazione di vuoto, subito accantonata dal mio senso del dovere.
Era ovvio che la dama di compagnia della principessa se ne prendesse cura.
Credi che i miei genitori mi amino André?
E proprio a te lo chiedo, a te che mi ami follemente, disperatamente, perdutamente, tanto da far impallidire gli altrui sentimenti, blande imitazioni di un amore vero come sei tu.
Per la prima volta posso permettermi il lusso di lasciare emergere pensieri sacrileghi, cattivi,sulla mia famiglia, su mia madre, mio padre.
Di te non so che pensare.
Eccolo il ritratto della mia famiglia appeso sul camino del salone.
E’ stato confinato qui, in Normandia, perché è vecchio, ed è brutto . Mio padre odia le cose vecchie e brutte.
La sontuosità della cornice barocca non riesce a distogliere lo sguardo dalla laccatura dorata che si sfalda. Avevo cinque anni e, nonostante ci fossero le mie sorelle in casa con me, ero sola perché le grandi erano reclutate dalla nonna e da mia madre nell’apprendimento dell’educazione confacente a giovani nobili, le piccole troppo prese dai giochi di bambine.
In casa io ero semplicemente Oscar, l’rede designato della famiglia Jarjayes.
La servitù mi scrutava in modo beffardo e quasi commiserevole. Per loro costituivo l’ennesimo capriccio di nobile, un fenomeno da baraccone. Perfino le frasi cortesi suonavano strane alle mie orecchie di bambina. Solo la mia governante mi ha voluto bene, la percepivo la sua adorazione.
Ma dopo una settimana sei arrivato a casa mia a causa della morte di tua madre, e la nonna ti comunicò che eri stato assunto come compagno di giochi della figlia del padrone.
Padrone.
Si imparano troppo presto certi vocaboli, ma nella nostra società mai troppo tardi.
Sei stato l’unico a mostrare di trattarmi come una persona e non un burattino. Ho preso coscienza della mia individualità accanto a te.
Ti ho sfidato immediatamente a duello nonostante le tue grida disperate, chissà cosa devi aver pensato di quella bambina che giocava con spade e pugnali.
Nel mio egoismo ho sempre pensato a me stessa ed alle mie inquietudini tanto da sapere poco di te, non lo so se hai degli amici che ti consolano nei momenti tristi che devi aver vissuto da quando siamo cresciuti, da quando la serenità dell’infanzia ha lasciato posto a dolori solitari schermati da false glorie.
Non so cosa farai della tua vita.
E neppure io della mia.
*****
“Ti spiace se siedo accanto a te amico?”
“Venite pure avanti giovanotto“.
Ormai sono così ubriaco da non riuscire a guardare niente perché mi gira tutto intorno. Il suonatore di fisarmonica mi rivolge un sorriso, spalancando una cavità nera sulla pelle, e fissandomi con l’unico occhio accarezza la stampella appoggiata sul muretto che corre parallelo al lucido nastro d’acqua nera della Senna…
E’ mezzanotte e la città è spenta da un pezzo.
Ma la notte lascia emergere dai muri, dai ponti, dai vicoli un’umanità pulsante in cerca di una tregua ad esistenze solcate da peccati che possono purificarsi solo in peccati più grandi.
Io ho peccato per amore e posso annegare il mio peccato solo in un amore ancora più profondo.
E questo farò perché il vecchio sudicio mi ha detto che nel nostro cuore risiede una sorgente di speranza in cui dobbiamo credere. Sembra che questo vecchio, nel lerciume dei suoi abiti, incarni una saggezza antica, la sua presenza mi è di conforto, infondendo per la prima volta dopo giorni infernali la speranza che tornerai a guardarmi negli occhi.
In questo momento probabilmente starai galoppando furiosamente sulla spiaggia, sospesa tra acqua e sabbia, decidendo a quale mondo appartenere.
************
Sono tornata a casa mia. Non lo so neppure se mi è mancata la mia famiglia, la mia vita.
Una cosa è certa però: la lontananza non mi ha dato l’emozione che avrei voluto.
Non è bastato a ridarmi la carica il viaggio in Normandia, non ha sortito l’effetto che speravo la libertà agognata che ti ho sdegnosamente gettato in faccia quella sera.
Da quando sono via i giorni sono trascorsi lentamente lungo le spiagge in groppa a César, in un susseguirsi di ore scandite solo dalle impronte del mio cavallo sulla sabbia umida che degrada nelle acque del mare scomposte in tante gradazioni di blu.
Ho cercato nuovi sentieri da esplorare ma César ritornava sempre negli stessi posti, forse perché li ricordava meglio.
O forse ero io che cercavo i posti visitati con te.
Mia madre è stata contenta del mio ritorno.
Anche se non rammento che mia madre mi abbia mai dato un bacio, il suo sguardo affettuoso mi ha spesso circondato di un calore benefico. Gli sguardi di mio padre sono stati duri, talvolta fieri di me quando si illuminavano per un’impresa eroica: al ritorno da Saverne mi ha dato una pacca sulla spalla seguita da un breve “Bene ,Oscar ,avrai una promozione per questo” mentre la nonna e le cameriere sorridevano di commozione al pensiero di riavermi a casa sana e salva.
Non conta che André mi abbia salvata e che il merito della riuscita della spedizione sia ascrivibile al suo coraggio.
Non importa il merito reale nella vita, nel bel mondo contano coraggio apparente, forza apparente, lealtà apparente, come la regina stessa cinicamente afferma. La verità l’ha capita presto la mia regina.
Ti avevo comunicato di volere dimenticare quella notte di lacrime e tristezza, ma la mia forza di volontà è molto labile.
Altro che vacanza! Sono più stanca di prima.
Se continuo a dimagrire ancora la nonna mi farà una partaccia biblica, mi metterà all’ ingrasso . Figuriamoci ,un militare che pensa a queste cose! Sto impazzendo, la desolazione dei luoghi ha un effetto devastante su di me.Mi è mancata la confusione di Parigi.
Non riesco a decifrare altro.
Domani mi presenterò presso il comando dei soldati della Guardia francese che mi è stato affidato e che ho accettato nonostante la terribile reazione di mio padre, e non importa se non è il giorno prestabilito, sono ansiosa di presentarmi al mio plotone.
Così la scaccerò questa tristezza che mi arruffa i pensieri. Chi lo sa.
Mio padre ha gridato a perdifiato perché ha scoperto una copia della “Nouvelle Eloise”, libro della plebaglia per eccellenza perché neanche i libri sfuggono al dualismo nobile –plebeo. Ha sgombrato con un sola manata il mio scrittoio.
“Chi te li ha dati“?
Crede che io non sia in grado di procurarmi dei libri da sola.
Continua a strillare blaterando che la guardia reale era il posto per me a causa della mia condizione e altrove non sarò al sicuro, secondo lui.
Quale condizione? Sono malata forse?
Ribatto che non sono una bambola, ho diritto di scegliere come proseguire la mia carriera.
La tisana che la nonna mi ha preparato non mi abbandona al sonno, mentre mi rigiro nel letto e mi pare di sentire la tua voce che mi augura la buonanotte. Poco fa davanti al camino mi sono voltata per offrirti un secondo bicchiere. Unici interlocutori il fuoco e la poltrona vuota accanto alla mia.
Comincio a ridere, è divertente vederti ora che non ci sei. Quante volte c’eri e non ti ho visto?
Mi hai obbedito André.
Non sei mai stato particolarmente obbediente, ma intanto non sei qui.
Quando il camino ha bruciato la strana sensazione di averti accanto ho dovuto cercarti altrove.
Ricordo sere in cui il soggiorno si riempiva di voci,quando gli ospiti frequentavano la mia casa.
Forse non tutti gli ospiti ti sono stati graditi.
Il calore di certe serate invernali accanto al fuoco ha impregnato le pareti delle voci di quei ricordi… Fersen che ci narrava le sue avventure americane quando si trattenne a casa mia per riprendersi dai postumi della malattia contratta durante la Guerra d’ Indipendenza…
Lo ascoltavi André?
Quanto eri curioso di ascoltarlo?
E perché lo hai invitato a restare con noi?
Avresti accettato di vedermi tra le sue braccia?
Per amore avresti accettato il mio amore per un altro?
Quanto vale il tuo amore?
Da un po’ di tempo non faccio che rivolgere domande a me stessa.
Perché sento di farlo, dato che nella mia vita mi sono data spesso risposte senza formulare domande.
Tra noi è stato un oscillare di domande e risposte simile al pendolo.
Un rinvio dall’uno all’altra senza sosta, muto.
I passi sulla scalinata di marmo li ho trascinati lentamente quando nell’oscurità mi è parso di scorgere occhi fiammeggianti. (*1) I miei demoni sono qui, vivi più che mai, e non si celano più negli anfratti del palazzo: solo tu avevi il potere di debellarli.
Ho chiuso a chiave, ho paura di addormentarmi stasera. Eppure nemmeno quella notte che gettasti il tuo cuore ed il tuo corpo sul mio letto mi chiusi dentro, dopo che uscisti dalla stanza.
In Normandia mi sentivo protetta dalla lontananza, ho vissuto sospesa tra realtà passata e sogni futuri.
Adesso sono esposta allo scontro tra ciò che sarà domani e quei sogni sfocati che la luna proietta nei miei ricordi affacciandosi ai vetri, sogghignando come lo spicchio malefico delle favole illustrate che mi leggeva la nonna da bambina.
Che ci leggeva.
*****
Pensano che sia andata da loro un giorno prima per passatempo, per aristocratica arroganza, sbandierando una serie di titoli e gradi che hanno lasciato indifferenti i soldati del mio plotone. Ci sono abituati. Ho notato sbadigli e sguardi annoiati.
Hanno creduto che fossi un colonnello degradato a causa di qualche grave mancanza o a causa di qualche amicizia potente rotta che distrugge con sé tanti equilibri.
Lo hanno creduto tutti.
Ma uno no.
Perché solo uno mi conosce al punto da sapere i motivi del mio nuovo incarico, perché è parte egli stesso della mia vita vecchia ed anche della nuova, a quanto pare.
Rappresenti il tributo più pesante che ho pagato.
Ora sei tu che vuoi farmela pagare.
La divisa blu con i capelli corti che porti da due mesi ti confondeva tra gli altri, ma uno sguardo verde mi ha condotto da te, nonostante fossi in terza fila.
Non lo so se qualcuno li ha notati i nostri sguardi.
Ma a questo ci ho pensato dopo.
Sei uno sfrontato. Lo sapevo.
Sei disobbediente. E lo sapevo.
Sei innamorato. Pure questo sapevo.
Ma non lo sapevo che mi avresti sfidato, io che per anni ho sfidato te e la tua devozione per me, esasperandoti spesso con il mio malcelato sgarbo, con i miei silenzi cattivi contro la dolcezza delle tue parole.
Ti ho sconfitto alla spada con gioia maligna, ti ho dato calci e pugni godendo dei colpi inferti, e non lo sapevo che tu l’assecondavi la mia forza. Per farmi scacciare i pensieri tristi.
Tu mi hai sconfitto dieci giorni fa senza che avessi la forza di difendermi, perché schiacciata dal tuo corpo ero una donna, nonostante le tue lacrime e il tuo “ti amo“ abbiano poi procurato un alibi al tuo desiderio di uomo.
Credo sia valido come alibi.
Perché poi ti ho detto che non ero adirata con te.
La scusa per non dirti altro.
Per non guardarti negli occhi.
Quando dici a qualcuno che sei furiosa devi guardarlo negli occhi.
Nel mio ufficio hai risposto alle mie domande con pacatezza, come se già sapessi le risposte da darmi e le avessi imparate a memoria. Reciti , non parli.
Anche questa è una sfida, la peggiore. Cominci a saperne troppo di me.
Ora sono davvero furiosa.
Quando mi hai guardato negli occhi il cuore ha moltiplicato i battiti interpretando la tua calma come un affronto personale.
Ti sta bene la divisa blu.
E poi chi è questo amico, di cui mi hai parlato, che ti ha fatto arruolare?
Da quanto lo frequenti?
E’ un compagno di nottatacce di bisboccia? E’ un soldato anche lui?
Non voglio darti alcuna soddisfazione nel chiedertelo, non mi interessa.
La curiosità la lascio ai miei soldati, ce n’è anche troppa in caserma.
Non mi hai dato il tempo di risponderti dopo che mi hai illustrato i motivi del tuo arruolamento, anzi che non mi hai illustrato, mi saluti come un soldato e vai via.
“Fai come ti pare “ te l’ ho quasi gridato, quasi come se potessi sentirmi attraverso la sottile porta di legno marcito, come se le parole potessero trapassare le pareti perché tutti sappiano che non ho bisogno di nessuno.
******
Sei bella con la divisa blu. Fa concorrenza ai tuoi occhi.
Ce l’ho fatta a guardarti in viso oggi.
Anche tu ce l’hai fatta.
Mi è sembrato un sogno, il primo bel sogno dopo giorni di incubi dolenti che si rinnovano come piaghe dolorose al pensiero di te, di noi. Pensi che ti abbia sfidato e so che me la farai pagare questa ribellione, ma io voglio provocarli i tuoi demoni,Oscar.
Da adesso.
Quest’ufficio decadente ti conferisce austerità anziché togliertela.
*****
La giornata è stata pesante prima di fare ritorno a casa.
Dopo è diventata una barzelletta, una di quelle che i soldati si raccontano nelle taverne rigurgitanti di alcol e donne da marciapiede.
La nonna mi ha avvisato che un ospite mi attendeva: incuriosita mi dirigo incontro al malcapitato, ha tanto fegato che merita di essere ascoltato. (*2) Non me lo aspettavo Girodel come ospite.
Ha farfugliato parole oscure: “sorriso”, “ nostalgia”…
Eppure non ero ubriaca.
La nonna mi ha detto che ha chiesto la mia mano.
Sono venuta in camera mia, spogliandomi di corsa e gettando alla rinfusa sul pavimento la mia uniforme. E’ simpatica questa storia, mi affretto a svestirmi perché la giacca blu mi soffoca ed ho voglia di ridere.
Rido così forte,è bello ridere.
Sposarmi, io!
E con un uomo a cui ho dato degli ordini fino a poco fa!
Lascio che il riso mi scuota il cervello e mi invada. Non so chi sia quella donna che ride dal fondo dello specchio, è una sconosciuta dagli occhi vispi di una bambina che da qualche parte si riaffaccia davanti a questa lucente lastra.
Ridendo ancora mi accorgo che la mia uniforme si è afflosciata in terra come uno straccio informe e gli stivali bianchi assumono contorni spettrali, disegnati dalle candele.
La tentazione di spogliarmi è forte, volano via camicia e pantaloni.
E’ bella l’immagine che mi rimanda lo specchio. E’ viva.
Continua
mail to: modcarusio@libero.it
1- il riferimento è al romanzo Dracula di Bram Stoker.
2- Frase del manga.