Donna

parte IV

 

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L'angoscia, sì,adesso sentiva solo l'angoscia che la prendeva sempre più spesso facendole provare una terribile sensazione di vuoto dentro.Aveva il buio dentro di sé e il vuoto. Il castello costruito da suo padre ora cominciava davvero a cedere. Le sue fondamenta ora si andavano sgretolando e Oscar si sentiva in cima a quella struttura che fino ad allora era sembrata così solida...

Era lassù, da sola, sentiva franare il pavimento sotto i suoi piedi e sotto quel pavimento sapeva che ad attenderla non c'era la roccia ma il vuoto più buio e freddo che mai.Quel castello era stato costruito sul vuoto e lei se ne stava accorgendo solo adesso; lei stessa aveva contribuito alla costruzione di quell'edificio, aveva aiutato suo padre a realizzare il suo sogno.

E ora? Nel profondo smarrimento che provava in certe notti se lo chiedeva: "E ora cosa dovrei fare?" Voleva di nuovo quei punti di riferimento che aveva sempre avuto, per quanto fittizi fossero stati le erano serviti: lei era cresciuta proprio grazie ad essi, anzi, era cresciuta con essi. Il mondo che le era stato familiare le veniva tolto improvvisamente, le veniva strappato con violenza... ma da chi? Chi era quell'essere mostruoso che le portava via tutte le certezze? Nessuno! In realtà non riusciva a vedere un nemico contro cui accanirsi,a cui dare la colpa di tutta la sofferenza che stava provando. A volte,quando cercava un colpevole, un capro espiatorio su cui scaricare la sua rabbia, quasi con un sospiro di sollievo pensava a Fersen. Era lui il colpevole, sì,non c'era alcun dubbio. Proprio lui, facendola sentire donna, aveva contribuito alla demolizione della struttura che l'aveva sostenuta fino ad allora, e rifiutandola, non riconoscendola come tale, l'aveva comunque allontanata dal mondo cui avrebbe dovuto appartenere secondo le leggi di natura.

Lei ora non era né uomo né donna.

Non era un uomo fisicamente, lo era solo per formazione.

Fisicamente era donna e anche la sua mente finalmente le diceva quanto lo fosse, ma di fatto le sembrava che ormai il tempo per scegliere fosse definitivamente passato. Si sentiva oppressa dal non poter esprimere la sua femminilità e allo stesso tempo avrebbe voluto che il suo mondo tornasse ad essere quello di un tempo, tuttavia sentiva che tutto questo era impossibile. Le pareva di impazzire, sentiva il suo cervello andare in fiamme e si ritrovava con la testa fra le mani a tormentarsi i capelli. Non era mai stata così nervosa, mai, e l' incapacità di gestire questo stato d'animo la spaventava più che l'angoscia stessa: se non sapeva dominarla era evidente che difficilmente se ne sarebbe liberata.

Passava le sue giornate a meditare su un futuro che sembrava sempre più incerto. Il futuro... non si era mai posta questo problema ed ora, invece, le sembrava che fosse la cosa più importante da fare cercare di stabilire cosa sarebbe stato di lei.Se prima aveva dato tutto per scontato adesso certo non lo era più...

Come affrontare la vita di tutti i giorni? Come fare ad allontanare quel senso di oppressione che temeva l'avrebbe accompagnata per tanto tempo? Come affrontare la gente? Come affrontare le persone che l'avevano sempre circondata? Pensava innanzi tutto alla sua famiglia, ma nascondere quel suo stato di sofferenza ai suoi genitori forse sarebbe stato facile dal momento che non li vedeva poi tanto spesso. L'atterriva invece l'idea di dover tornare al suo incarico. L'idea di tornare a corte, di rivedere i suoi soldati, di rivedere tutte le persone che da tanto tempo ormai vedeva quotidianamente, e di essere sottoposta ai loro sguardi indagatori le faceva desiderare di poter evitare questo supplizio. No, non voleva rientrare a Versailles. Non voleva vedere i corridoi che per anni aveva attraversato in uniforme e che quella sera l'avevano vista in un abito da donna... chissà se l'avevano riconosciuta...

Voleva restarsene a casa, da sola, a ritrovare se stessa. E così restò per qualche giorno nella più assoluta solitudine, aumentando il senso di vuoto che sentiva dentro di sé nell'assoluta incapacità di allontanarsene. A volte si sentiva una convalescente, girava per il giardino di casa sua a passi lenti, soffermandosi ogni tanto a guardarsi intorno, poi chiudeva gli occhi e rivolgeva il viso verso il sole per sentirne il calore. E rimaneva in piedi, col viso rivolto al cielo, quasi ad attenderne conforto e, soprattutto, risposte, quelle risposte che sapeva non le sarebbero mai arrivate se non da se stessa. Risposte che avrebbe voluto e al tempo stesso temeva di trovare. Senza più punti di riferimento sicuri... Fersen,accidenti a lui!... Il suo migliore amico!... Continuava a pensare a quelle parole e alla beffa crudele che  nascondevano neanche troppo bene.

"Cosa vuoi che me ne faccia della tua amicizia...." pensava Oscar.Come avrebbe potuto continuare ad essergli "amico" ora che lui conosceva i suoi sentimenti? Come avrebbe potuto guardarlo negli occhi senza arrossire di vergogna, proprio lei che aveva sempre esercitato il comando sugli uomini, che li aveva sempre considerati delle persone con cui confrontarsi per dimostrare la sua capacità? Per una volta avrebbe voluto solo perdersi nei suoi occhi e sentirlo elogiare non il suo coraggio o la sua bravura con la spada... "accidenti eri l'unico uomo che avrei voluto che mi..." baciasse... che mi facesse sentire desiderabile... che mi facesse sentire... donna? Non riusciva neanche a pronunciarle nella sua mente quelle parole! Si vergognava talmente tanto di quei pensieri che le sembravano addirittura troppo rumorosi per la sua mente, troppo rumorosi e scomodi per essere sia pure solo pensati!

"Perché è così difficile per me dire che sono una donna? Perché mi vergogno davanti a me stessa delle sensazioni che provo da donna?" era riuscita quasi a mormorare arrossendo violentemente. Il suo pensiero era poi tornato muto, muto anche dentro di lei, come un sottile filo di fumo che discretamente e senza far rumore portava in giro per la sua mente delle imbarazzanti riflessioni.

Sono una donna, c'è poco da fare, sono una donna... non avevo mai fatto veramente caso alla forma del mio corpo. Neanche davanti allo specchio mi ero mai vista donna... neanche stare accanto ad André mi aveva mai permesso prima d'ora di vedere quanto sono diversa da un uomo. Ma non è solo questo... non è solo la forma del mio corpo, no... Io ora mi sento donna dentro.

Questa riflessione la fece quasi rabbrividire. Sentirsi donna,cosa poteva voler dire questo per lei adesso? Non era solo un fatto legato al suo aspetto fisico, lei lo sapeva, ma era anche vero che anche la percezione che lei aveva del proprio corpo andava cambiando. Lei davvero prima d'allora non aveva mai guardato il suo corpo, forse proprio per paura di vederlo, quel corpo di donna, o forse perché si era convinta che non era poi tanto importante la sua forma. Una forma che era così poco importante da poter essere facilmente nascosta dagli abiti, dall'uniforme, ma che in fondo costituiva sempre una minaccia per lei e per suo padre. Quella forma a volte la ostacolava, come quegli appuntamenti mensili con cui era costretta a fare i conti e che a volte la facevano stare male.

Aveva sempre trascurato tutto questo, aveva sempre fatto di tutto per rimuoverlo.

Adesso, invece, vestita da uomo cominciava ad intravedere le proprie curve, quelle che per la prima volta aveva visto valorizzate dall'abito da sera e che le avevano anche fatto un po' paura tanto era stato strano vederle su di sé. Il mattino dopo il ballo si era tolta il vestito per tornare ai soliti abiti che avrebbero nuovamente nascosto il suo corpo, quasi lo avrebbero castigato per essersi concesso quel momento di femminea frivolezza; quegli abiti, invece, avrebbero fatto tornare diritte le sue curve. Ma ora non era più sufficiente. I fianchi, sinuosi, fasciati quasi dai calzoni che le si stringevano intorno alla vita.... il seno... riusciva addirittura a scorgerlo nonostante l'ampiezza della camicia facesse di tutto per nasconderlo.

Quel corpo di donna. Il suo "splendido corpo di donna", così lo aveva chiamato Fersen quella sera... forse l'unica concessione che aveva voluto fare alla sua femminilità, concessione basata tutta sull'evidenza del suo essere fisicamente donna.

"Ti sei accorto solo di questo?... Solo di ciò che é tanto evidente da non poter non essere notato?" si chiedeva. "Devo allora pensare che anche tu sia stato curioso di vederlo, il mio corpo? Anche tu come credo la maggior parte degli uomini con cui ho avuto a che fare durante la mia vita? Sei come gli altri, Fersen? Morbosamente e volgarmente curioso di vedere come sono fatta sotto la mia uniforme? Forse non è così... ma in ogni caso ora non ha più senso.Anche se ti fossi accorto solo di questo, comunque non è bastato, dato che, nonostante l'evidenza, io resto solo il tuo migliore amico!"

In certi momenti come avrebbe voluto essere diversa! Avrebbe voluto poter essere donna senza dovere vergognarsi di desiderare di esserlo!

Si sorprendeva ora, durante gli allenamenti con la spada a guardare il suo riflesso sulle vetrate delle finestre più basse del suo palazzo. L'eleganza che mostrava nei movimenti quando combatteva e che fino ad allora le era sembrata solo agilità, necessaria per prevalere sull'avversario, adesso le pareva una prova della sua femminilità da dover vivere come una colpa perché in quel suo muoversi così aggraziato c'era del compiacimento derivante dalla nuova consapevolezza di essere donna. Sentiva fiorire il proprio corpo, lo sentiva quasi esplodere e una parte di sé avrebbe voluto contenerlo.

 

 

Continua...

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