Ortiche e tele di ragno

 

Parte III

 

Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

Cavalcarono velocemente verso palazzo Jarjayes. Oscar sentiva le guance pizzicare per freddo di marzo e in quell'aria vibrante a stento soffocava in sé un risolino. Si guardava attorno: ogni cosa sembrava rivelarsi nel suo aspetto più bello. A ben pensarci, avrebbe potuto ospitare nella sua anima la pienezza del creato, quel cielo infinito e quelle stelle chiare, gli alberi ancora spogli che parevano piegarsi al suo cammino, l'erba novella, la luna fredda e distante. Tutto le pareva meravigliosamente nuovo e lei si lasciava stupire da quella sensazione che non aveva mai provato. Neppure quando il Re di Francia in persona l'aveva convocata al suo cospetto per comunicarle la nomina a comandante delle Guardie Reali era stata così felice. Nemmeno quando tirava di scherma con tutta la foga e l'energia che aveva in corpo. O quando aveva vinto Girodel in duello. Forse, per la prima volta in vita sua, era felice e libera. Avrebbe potuto con quella forza ribellarsi a suo padre, a tutte le convenzioni di quel mondo che le stava così stretto. Chiuse gli occhi assaporando quel freddo benefico e sorrise sentendosi viva, vitale. André aveva capito fin troppo bene i suoi pensieri e temeva quello sconosciuto. Avvertiva come un'ombra nella sua vita. Per un attimo tremò poi quella sensazione scomparve.

Di tanto in tanto, Oscar guardava furtivamente il nuovo amico, si soffermava sperando di non essere vista in quegli occhi magnifici e sentiva il viso avvampare. Allora frustava il cavallo con più foga per superare André e Fersen, sperando che il suo amico di sempre non si accorgesse della tempesta che aveva dentro.

 

Il fuoco scoppiettava allegro nel camino e disegnava sul volto di Fersen arabeschi. Il conte sorseggiava liquore e raccontava i suoi viaggi per l'Europa, le sue avventure. Improvvisamente chiuse gli occhi e si zittì. Oscar pendeva dalle sue labbra come attratta da ogni sua parola, da ogni suo gesto. Fersen sorrise e cominciò a parlare della sua Svezia.

"La Svezia, è il posto più bello del mondo. L'aria ha odore di neve, il suo mare ruggisce impetuoso contro il vento come un drago possente. Le loro lotte durano da che è nato il mondo. Il suo cielo è di ghiaccio, morbido e freddo"

Oscar si perdeva nei racconti del giovane. Era affascinante vederlo raccontare della sua terra. I suoi gesti accompagnavano in modo amabile le sue parole. In nessun libro che aveva letto aveva trovato parole così belle per definire la Svezia dal cielo azzurro terso, puro come un cristallo. Pensò che certamente i suoi occhi ne avevano rubato un frammento.

Hans dal canto suo, disteso su quel divanetto, era lieto di poter condividere le sue avventure con qualcuno. Gli piaceva parlare di sé, la solitudine era durata così a lungo che desiderava più di ogni altra cosa aprirsi con qualcuno. Anche se gli era sembrato di notare negli occhi di André qualcosa di insolito. Come una sorta di rabbia nascosta, rivalità, forse gelosia. Ma per cosa? Evidentemente si stava sbagliando. Erano tre ragazzi con tutti i sogni, le attese che ogni ragazzo può avere. Oscar si era dedicato alla carriera militare seguendo le orme del padre. André era un attendente. E lui, beh, lui avrebbe presto finito il suo giro per l’Europa e avrebbe ricoperto il ruolo di suo padre. Tutto programmato. Eppure… avrebbe desiderato che qualcosa di nuovo, di improvviso e coinvolgente entrasse nella sua vita, inaspettato, sconvolgente. Voleva sentirsi vivo come si sentiva in quel momento in Francia, lontano da suo padre, dalle responsabilità del perfetto uomo di corte, dall'etichetta di palazzo con quei due ragazzi sconosciuti1.

“Sono qui in Francia di passaggio. Tra pochi giorni dovrò partire per la Germania per completare gli studi.” Esclamò soddisfatto il conte, con un gran sorriso. Quando ripensava alla sua bravata sentiva il cuore gonfiarsi d'orgoglio!

“Voi, piuttosto Oscar, siete davvero giovane per la carriera militare.”

“Mio padre mi ha educato alle armi sin dalla più tenera età.”

André li osservava sentendosi inutile.

“Vuoi vedere che quel damerino l’ha scambiata per un ragazzo?” Gli balenò in mente.

Infatti Fersen non le rivolgeva i convenevoli che di solito un gentiluomo dovrebbe fare quando si trova al cospetto di una ragazza di buona famiglia. Si sentì pervadere da un’ondata di tristezza e di rabbia. Non solo il Generale aveva preso sua figlia e l’aveva costretta a essere un uomo ma ora anche quel ragazzo non si accorgeva di lei. Come poteva non riconoscere quanto fosse bella, come i suoi capelli fossero morbidi al tatto, di quanto quegli occhi emanassero più luce del dovuto. Non vedeva quella pelle bianchissima e quelle labbra morbide che si schiudevano in un gesto involontario di vezzosità femminile? Non riusciva a intravedere la sua bellezza oltre il tessuto pesante dell'uniforme? André aveva ormai imparato a capire ogni suo pensiero senza che lei gli spiegasse nulla. Bastava guardarla negli occhi e vi si poteva leggere tutto il turbamento, la rabbia, l’angoscia che provava. Aveva maturato questa capacità stando accanto a lei. A volte si perdevano in lunghi discorsi senza che nessuno dei due parlasse, solamente guardandosi negli occhi. Poi lui riassestava il fuoco e le consigliava di andare a letto. Lei annuiva e spariva di sopra. André restava solo con i suoi pensieri ad aspettare che anche l’ultima fiammella morisse. Il tempo scorreva lento nel suo cuore scandendo con forza gli attimi di quel sentimento nato così, quasi per caso, senza un perché. Come il fiore nel campo senza che sia stato seminato. Non l'aveva deciso, era successo e basta ed una volta accortosene non gli restava che accusare il colpo.

"La realtà è un dato di fatto, c'è e basta tu devi solo riconoscerla." Sante parole quelle di sua nonna anche se ribadiva il concetto dandogli delle sonore mestolate in testa!

A notte inoltrata Fersen se ne andò, promettendo di scrivere a Oscar. Oscar si sentiva euforica come non lo era mai stata in vita sua.

“Oscar, calmati, se n’è andato.” Le raccomandò André con sguardo tagliente. Dispettoso come un bambino.

“Cosa vorresti dire?” lo guardò corrucciata.

“Che devi star calma. Non puoi andare in escandescenze solo perché un ragazzo ti ha rivolto la parola.” Incrociò le braccia al petto e la guardò con quello sguardo canzonatorio come era solito fare da ragazzino dopo che lei aveva commesso qualche guaio.

“Sei un idiota!” lo apostrofò duramente.

“Ti ho visto come lo guardavi! E se lo vuoi proprio sapere lui crede che tu sia un ragazzo.” Disse quest'ultima frase cingendosi i fianchi e mostrando una parte di sé che a lei era totalmente sconosciuta.

Oscar restò a fissarlo con gli occhi persi nel vuoto. Improvvisamente sentì la rabbia crescerle, poi la tristezza, infine la rassegnazione. Sarebbe stato sempre così, nessuno si sarebbe accorto che lei era una donna, stretta, imprigionata in un'uniforme militare come la musica in un pianoforte scordato. E come si permetteva André, il suo migliore amico, di rovinarle quell'attimo di gioia??!!

“Sei crudele! Non voglio vederti mai più!” Urlò e scappò via, trattenendo a forza le lacrime.

André sentì una stretta al cuore, non avrebbe voluto ferirla in quel modo ma aveva agito d'impulso. Non sopportava di vedere Oscar perdersi in sciocchezze sentimentali per uno sciocco damerino! Insomma, per qualsiasi altro ragazzo che non fosse lui. Si sentiva un infame, la sua voce stridula gli ritornava in mente:

"E sei vuoi proprio saperlo lui crede che tu sia un ragazzo"

Decise di chiarirsi le idee nel freddo della notte.

Le stelle erano chiare, la luna brillantissima e distante. Camminava per le vie di Parigi fendendo la notte mentre il freddo gli faceva male.

 

Sicognac era nel carrozzone di Isabelle che gli si donava arrendevole. Non era quello l'amore che aveva sperato. Lui non l’amava, la stava solo usando per lenire il suo orgoglio distrutto. Ma non aveva effetti positivi, si sentiva sempre più dilaniare dal tedio, da quel senso di grettezza e inutilità che lo avvolgeva sempre dopo una sua avventura. Isabelle si illudeva di possederlo donandosi a lui, lo stringeva forte da non respirare, gli faceva promettere giuramenti di amore eterno cui lui rispondeva meccanicamente e senza interesse. In fondo al cuore avvertiva la disperazione e la solitudine crescere. Sicognac provava una sensazione di oblio cui lei non poteva porre rimedio.

Monsieur Doumberle scuoteva il capo preoccupato, meditando a una nuova soluzione per rimpiazzare Delphine ma non veniva capo di nulla. La compagnia contava pochi attori e la prolungata assenza della loro prima attrice avrebbe pesato a tutti. Per fortuna Isabelle era disponibile ed era inevitabile che la scelta cadesse su di lei, ci sapeva fare ed era una donna bellissima. Sarebbe stata una Giulietta perfetta anche se Monsieur Doumberle provava quasi un senso di colpa pensando a Caterina, alla sua passione per il teatro perché quello che le ardeva nel cuore era fuoco vivo che si accendeva sul palcoscenico. Lei e Sicognac erano simili, lo sapeva, lui era certamente più disilluso e aveva qualche grillo per la testa ma sul palco si trasformava, glielo si leggeva negli occhi, nelle sue vene correva la passione, la forza e il carisma dell'istrione.

"Un giorno quei due faranno faville, evocheranno tutti gli spettri del Signor d'Inghilterra e li faranno rivivere. Ma ora è troppo presto."

 

Caterina vagava triste per la notizia. Neppure questa volta era stata presa in considerazione per il ruolo di Giulietta.

“Possibile che nessuno mi consideri una ragazza?” Infuriata, calciava violentemente i ciottoli che incontrava sul sentiero.

“Di' la verità Pietro, sembro un maschio?” chiese al gatto allargandosi la veste. Pietro miagolò e si strofinò sulle sue gambe arricciando la coda. Si chinò ad accarezzarlo con dolcezza.

“Lo so che mi vuoi bene. Per fortuna ci sei tu, sei l’unico che mi capisce!”

Caterina provava conforto perdendosi in quei serafici occhioni gialli. Tutti la trattavano come un ragazzo e il suo più grande amore non la considerava neppure come una donna. Era davvero troppo! Pianse in silenzio temendo che qualcuno potesse sentirla e preoccuparsi per lei. Calde lacrime le scorrevano sulle guance. Si sentiva sola come non mai. Sicognac le era sempre stato accanto, l'aveva aiutata dopo che era fuggita all'orfanotrofio ma ora, lei non capiva cosa gli stava succedendo, lo vedeva di sfuggita quelle poche volte che si presentava alle prove. Bighellonava sempre con lo sguardo spento, un po' alticcio. I vestiti sudici di alcool lo facevano puzzare come una botte vuota. E poi, a tarda notte, si rifugiava nel carrozzone di Isabelle. Non si era mai sentita tanto umiliata. In fondo Sicognac era sempre stato un po' come il suo fratello maggiore, stando con lui gli si era affezionata e quel legame si era fatto, giorno dopo giorno, sempre più forte. Le era entrato nel cuore piano piano. Ricordava benissimo come, prima di uno spettacolo stavano seduti ad osservare il tramonto. Lui le aveva fatto coraggio stringendola tra le braccia e le aveva parlato della commedia, di quello che per lui significava. Lei si era girata per un attimo, solo per guardarlo negli occhi, e, improvvisamente, si era chiesta se era sempre stato così bello.

 

Sicognac era disperato, l’orgoglio a pezzi. Di tanto in tanto tirava pugni all’aria. Quando vedeva Caterina uscire dal carrozzone di Delphine fingeva di non accorgersi di lei, non sopportava il giudizio che leggeva negli occhi di quella ragazzina. Cosa ne sapeva di lui, della sua apatia, della sua noia e del suo cuore narcotizzato? Non aveva mai temuto nessuno ma gli occhi gonfi di Caterina, segno del suo pianto, gli torturavano l'anima. Preferiva non pensarci e approfittare del piacere fugace che gli dava Isabelle. Dal canto suo Isabelle ben conosceva la natura mutevole dell’uomo che amava e non voleva irritarlo. Cedeva a tutti i ricatti che lui silenziosamente le poneva. Non le aveva mai assicurato una storia duratura, non le aveva giurato amore eterno. Di notte si intrufolava nel suo letto e la possedeva rabbiosamente, stringendola, baciandola fino a farle male2. Il resto del suo tempo lo impiegava nelle taverne o a zonzo per Parigi.

Vagava solo tra i turbini di vento, pensieri di morte gli erano compagni in quella disperata ricerca di se stesso. Non voleva cedere a quella malinconia, vuoto spiazzato, sapeva di esistere solo tra le braccia di qualcuno… Respinse con un moto violento di rabbia tutti i pensieri.

Anche quella sera si stava recando alla taverna per ritrovare i suoi compagni, quelli come lui per i quali la vita è burla.

Entrò che era già alticcio. Barcollava.

La locandiera gli servì subito un boccale di vino.

“Signori, silenzio!” Richiamò tutti Calcabrina

“E’ arrivato Sicognac! Salute compare e onore a te!”

Sicognac prese un boccale di vino frizzante colmo fino all'orlo e si sedette a cavalcioni su una seggiola.

“Grazie Calcabrina, ma, ti prego, abbi solo cura del tuo grasso, della tua barba incolta, e di quella faccia da brigante che ti ritrovi” rispose con tono di sufficienza, abbozzando un sorrisino.

“Amici, amici. Benedette le donne e le loro grazie! Alla salute”

La taverna rispose con un coro. Sicognac si sentiva baldanzoso, incitato dalla folla. Bevve tanto. Il vino gli scendeva allegro e frizzante giù nella gola. Si stese in grembo a una delle ragazze che avevano il compito di intrattenere i clienti della locanda. Aveva chiuso gli occhi mentre lei gli stava accarezzando i capelli seguendo le linee morbide dei suoi ricci. Qualcosa in quel gesto gli rievocava la sua infanzia. Avrebbe voluto stare così per sempre, dimenticando se stesso e quella misera condizione che gli impediva di amare una donna per più di una notte. Il rifiuto di Delphine era stato decisivo, si era scoperto, aveva scoperto tutto se stesso ed ora non ci capiva nulla, come avvolto in un turbine di emozioni, in cui si sentiva morire. C'era in lui troppa irruenza, troppa rabbia, troppo amore morto, annegato nella noia che le avventure si trascinavano inevitabilmente dietro. Troppa paura di aprirsi e mostrare se stesso in tutta la sua interezza, purezza e bellezza. Troppi trascorsi da palcoscenico, fingendo di essere chi non era mai stato, indossando vite e sentimenti non propri per poi trovarsi la sera solo sul pagliericcio di un carro. Troppo il tempo trascorso senza un tetto sulla testa, con la certezza di essere il padrone del mondo e con la voglia di essere felice anche all'interno di un guscio di noce. Troppa la smania di afferrare la vita, di aver trovato la chiave per aprire tutte le porte e i cuori. Quella chiave che disserrava le anime chiudeva la sua con una doppia mandata. Ed ora si trovava tediato, annoiato in un ripetersi immutato e ciclico. Perso in questi pensieri assaporò il vino che gli scese nella gola spumeggiante. Il tutto sotto lo sguardo torvo di Calcabrina

Calcabrina lo guardava con astio, strappando lentamente i bocconi dallo spiedo. Non sopportava le battute di Sicognac, quel suo modo pungente di prenderlo in giro. Una sera aveva persino osato dargli del maiale, per via del suo peso e della sua pancia. Tutti avevano riso di lui e, da allora, quando metteva piede là dentro si scambiavano occhiate complici sussurrando malignità di ogni sorta. La sua pancia vacillava, molle come una cosa schifosa, orripilante. Era grasso, tronfio, con la  faccia sfigurata da una cicatrice che si era procurato in un combattimento. Nessuna donna l'aveva mai amato, e si era rassegnato a un destino di solitudine.

 

André si era perso per i vicoli di Parigi, sentiva una rabbia forte, improvvisa penetrarlo da parte a parte. Per tutta la sera Oscar non l’aveva considerato, si era accoccolata davanti al fuoco, persa nei racconti dello svedese. E quel damerino non si era neppure accorto che Oscar era una donna, una bellissima donna. Prese a correre più velocemente fendendo l'aria gelata. Le stelle erano chiare, in un cielo di cristallo, la luna brillava tonda e marmorea sull'intorno. Il viso di André si rigò di lacrime. Sentiva vagamente che qualcosa si era rotto anche se non sapeva dire bene cosa. Oscar si era allontanata da lui, era stata lei stessa a volerlo. Non sarebbe più stata la stessa cosa. Probabilmente non gli avrebbe più confidato i suoi turbamenti, le sue ansie e non avrebbero più conversato silenziosamente, guardandosi negli occhi. Qualcosa di lei stava per sfuggirgli, per diventare più enigmatico e avrebbe dovuto far ricorso a tutto il suo autocontrollo per non fuggire altrove.

Vagava senza una meta. Il freddo e il desiderio di stordirsi lo convinsero ad entrare nella taverna della Malnuit.

Con timore appoggiò la mano sulla porta.

“André sei ancora in tempo per andartene…” Gli intimò una vocina. Di carattere era sempre stato riflessivo e razionale per la sua giovane età. Ma quella sera voleva essere diverso, voleva far finta di essere un ragazzo come gli altri. E poi sperava che un boccale di vino avrebbe lenito il dolore e magari gli avrebbe fatto vedere i suoi guai da un'alta prospettiva.

Entrò timidamente e vide figure danzanti alla luce fioca delle torce. Donne dalle larghe sottane, vino a fiumi, ubriachi, risa sguaiate e applausi scroscianti. Ordinò un boccale di vino. Il sapore acido gli fece serrare le labbra con disgusto, non era abituato. Non poteva bere e restare insensibile. Presto tutto cominciò a girare intorno a lui. Sentiva caldo alla testa.

 

Sicognac aveva lasciato le grazie della bellissima donna che lo stava cullando. Era salito su un tavolo brandendo il calice e declamando poesie d'amore, si muoveva a scatti, con passo incerto dovuto all'alcol. Nel frattempo, mentre tutti gli occhi erano per l'istrione, Calcabrina afferrò saldamente per un polso la donna e la trasse a sé violentemente. Ella si divincolava, gli urlò qualche insulto, lo intimò di lasciarla andare, lui la strinse sempre più mentre i fumi dell'alcol che gli davano alla testa. Sicognac si girò di scatto, vide la scena e capì immediatamente l'accaduto. Con un balzo i fu sopra e prese a strattonarlo finché Calcabrina rivolse a lui le sue attenzioni lasciando andare la donna che si rifugiò piangendo al piano di sopra.

"Ti ucciderò Sicognac, sono stanco di vederti qui intorno ancora vivo." Aveva impugnato un coltello affilato e minacciava verso Sicognac che fece un balzo ma non poté evitare un colpo lungo il petto. Cadde a terra per il dolore con il sangue che scorreva a fiotti.

 

André vide improvvisamente la gente fermarsi come immobilizzata intorno al corpo di Sicognac che agonizzava miracolosamente vivo malgrado quel colpo inferto con forza. Il vino gli aveva fatto perdere buona parte della sua naturale riflessività. In casi come questo, solitamente, si intrometteva per fare da paciere, per portare la calma tra i due litiganti. Invece questa volta doveva aver bevuto decisamente troppo e si lanciò nella rissa. Con un calcio ben assestato riuscì ad atterrare Calcabrina che fu prontamente portato via dalle guardie entrate nella taverna. Sicognac giaceva ancora a terra senza che nessuno lo aiutasse. André capì che era un uomo solo. Il gruppo di donne e uomini che lo avevano lodato poco prima si dileguò d'un colpo. Lo guardò, era piuttosto malconcio con quell'occhio cerchiato di rosso e quella ferita al ventre.

Se lo prese in spalla e con passo d'acrobata3 si diresse a Palazzo Jarjayes.

"Coraggio amico, adesso ti carico sul cavallo. Ma quanto pesi?" Lo adagiò sul dorso del cavallo, e s'incamminò verso casa.

Lo sconosciuto gemeva di dolore.

"Coraggio, tra poco ci siamo." lo rassicurava anche se sapeva benissimo che lo straniero era svenuto.

Mentre camminava con quella presenza silenziosa guardava le stelle luminose a ripensava a Oscar, qualcosa avrebbe potuto portargliela via per sempre e lui avrebbe dovuto solamente stare a guardare impassibile, magari lei voleva pure la sua benedizione di amico prezioso. Il colmo! Sarebbe tutto finito. Si volse al suo inerme compagno di viaggio come per cercare conferma di quell'intrico di pensieri. Vide che stava perdendo troppo sangue. Si fermò e tamponò la ferita con un lembo strappato alla sua camicia.

Lo caricò sulle spalle e, una volta arrivato a casa, lo adagiò delicatamente nel suo letto. Lo cambiò e lo medicò come poté. Poi, decise di andare a coricarsi nella camera riservata agli ospiti.

 

Il mattino giunse troppo velocemente per André, dopo quella nottata tormentata aprì pesantemente gli occhi. Subito non capiva bene cosa ci facesse in quel letto lindo, tra le coperte morbide a differenza delle sue che erano ruvide. Gli balenò alla mente il ricordo del vino, della rissa nella taverna e soprattutto di quello stramaledettissimo conte! Aveva un gran cerchio alla testa, gli veniva da vomitare quando un pensiero si affacciò alla sua mente:

"Lo straniero! Se qualcuno lo trova sono nei guai!!"

 

Oscar si era svegliata dopo una notte popolata di strani sogni, non ne era sicura ma le era sembrato di scorgere i campi verdi e i cieli azzurri della Svezia. Aveva sognato quel posto come se fosse stato il più bello del mondo. Ma subito le venne in mente che Fersen non si era neppure accorto che lei era una donna e quello sarebbe forse stato il suo destino, essere sempre scambiata per un uomo e vivere in solitudine. Combattendo, galoppando, indossando l'uniforme ma da sola. La tristezza la prese e si aggrappò alle coperte per cacciare quei pensieri. André! Lui aveva sempre la parola giusta al momento giusto, forse le avrebbe detto qualcosa di confortante, le avrebbe fatto vedere il problema da un'altra angolatura. Anche se il giorno prima si era dimostrato davvero crudele. Aveva letto nei suoi occhi un sentimento nuovo, totalmente estraneo alla sua persona…

 

Sicognac si svegliò con un forte dolore al ventre. Istintivamente si toccò in corrispondenza del male, quando ritirò la mano la vide sporca di sangue. Si agitò molto e guardandosi intorno non vide un ambiente conosciuto, non c'era neppure Isabelle al suo fianco. Anche i vestiti che indossava non erano suoi. Non capiva nulla, sapeva solo che il ventre gli doleva e stava sanguinando. Sentì bussare quasi timidamente alla porta come se dall'altra parte qualcuno avesse timore di entrare. Non sapeva che fare, in una situazione normale avrebbe sguainato la spada ma ora niente corrispondeva alla normalità. Decise perciò di tirarsi le coperte fin sopra la testa per non farsi vedere e fingere di dormire mentre lo stomaco bruciava squarciato.

 

Oscar entrò nella stanza di André, piano, lo vide avvolto nelle coperte e non voleva svegliarlo di soprassalto. Fu invasa da un'ondata di tenerezza.

Gli si sedette accanto, delicatamente per non svegliarlo.

"André, sei sempre stato il mio migliore amico e non te l'ho mai detto. Solo adesso mi accorgo di quanto ti ho sempre trattato con sufficienza. Non ti ho mai detto neppure di quanto mi abbia fatto male la scelta di mio padre di educarmi come un uomo, so che mi ritroverò sola per il capriccio di mio padre. E ieri sera è stato chiarissimo. Sai André, non ho mai visto nessun ragazzo bello come Fersen. Quando parla si infiamma di un ardore sconosciuto. I suoi occhi sono belli come il cielo di Arras. Credo che tu avessi ragione ieri, non si è nemmeno accorto che sono una donna. E credo che nessuno se ne accorgerà mai. Tu solo mi sei sempre stato vicino, mi hai sempre voluto bene per quello che sono senza pretendere nulla in cambio! Mi ha ferito quello che mi hai detto ieri, quasi non ti riconoscevo più. Vorrei che fossimo amici per sempre, non sopporto di saperti così distante da me. Solo adesso mi accorgo di quanto mi manchi quando non ci sei, di come riesci a capirmi anche quando non ti parlo. Oh André, io…io credo…di avere bisogno di te, soprattutto in questo momento."

Dal letto venne un gemito.

"André?" Oscar preoccupata tolse le coperte e si trovò di fronte uno sconosciuto inzuppato di sangue.

"Andrééééé!" Urlò

In quel momento André arrivò precipitosamente nella stanza.

"Ecco, è proprio quello che cercavo di dirti! Non abbiamo tempo, vai a chiamare mia nonna io cercherò di togliere un po' di sangue." Oscar restava impalata a fissarlo con gli occhi sbarrati.

"Oscar, vai a chiamare mia nonna, dopo ti spiego! Prometto."

Oscar si alzò e si precipitò a chiamare la nonna che arrivò allarmata.

"Mio Dio, André! Ma dove l'hai trovato, è ridotto malissimo?"

La nonna si mise subito all'opera, ripulì il sangue e medicò le ferite stringendo le bende intorno al torace. Lo straniero si addormentò distrutto.

"Non potevo lasciarlo da solo in quelle condizioni" disse André guardando per terra e raccontò quanto era successo alla taverna tralasciando di dire che aveva fatto a pugni perché era mezzo ubriaco!

"Hai fatto bene, adesso lasciamolo riposare!" La nonna uscì con il catino dell'acqua.

 

Rimasti soli Oscar e André si guardarono negli occhi.

"Oscar che ci facevi qui?" chiese André fissandola.

"Io… venivo a vedere che fine avevi fatto, non dovevamo allenarci con la spada?!" rispose lei freddissima!

Si girarono imbarazzati verso lo sconosciuto!

"Eppure ha un volto familiare. Io l'ho già visto da qualche parte!" disse André per rompere il ghiaccio.

"E' l'attore della compagnia teatrale che sta in piazza a Parigi." Il silenzio stava pesando come un macigno.

"Vado a prepararmi e faresti bene a farlo anche tu. Tuo padre sarà furioso non vedendoti arrivare." André uscì velocemente.

 

Sicognac riaprì piano gli occhi, tutto il suo corpo doleva, doveva aver preso anche un pugno in faccia. Non ricordava nulla. Ah! Certo! La taverna, Calcabrina e tutto il resto! Lentamente tutti i ricordi stavano riemergendo dalla memoria e venivano a galla. Si ricordava di essere stato colpito da Calcabrina con un pugnale ma non di essere arrivato in quella casa.

"Ti sei svegliato! Come stai?" chiese Oscar che era stata ad osservarlo per tutto il tempo.

"Dove sono?" chiese Sicognac debolmente

"Sei a Palazzo Jarjayes. Il mio attendente André ti ha raccolto perché eri ferito. Io sono Oscar François de Jarjayes!"

"Io sono Sicognac e faccio parte di una compagnia di attori girovaghi!"

"Vi ho visto qualche giorno fa! Mi siete piaciuti molto, sono riuscita, chiudendo gli occhi ad immaginare la battaglia di Agincourt…"

Oscar si rese conto del volto pallido e sofferente del giovane e perciò decise di lasciarlo riposare in santa pace. Se ne andò salutandolo.

 

Sicognac si riprese, malgrado le ferite, nel giro di pochi giorni, era pur sempre un gran pezzo d'uomo!

La mattina gli piaceva osservare i suoi nuovi amici allenarsi con le spade. Trovava che Oscar fosse davvero agile, sembrava una gatta, aveva una grazia tutta particolare nell'inarcarsi e nel saltare quando si sentiva minacciata dall'avversario.

"Oscar sei davvero una bellissima donna anche con una spada in mano!" urlò mentre, accovacciato sull'erba addentava una mela.

André e Oscar si fermarono di colpo e si guardarono negli occhi. Era la prima volta che Oscar veniva riconosciuta da un uomo. Insomma, che un uomo si accorgeva di trovarsi di fronte a una donna. Sicognac capì benissimo a cosa stavano pensando e sorrise:

"Io riconosco subito le belle donne anche quando indossano uniformi e si comportano da soldato!"

Oscar arrossì fino alla radice dei capelli! E quel dolce pensiero la cullò per tutto il giorno. Era una donna, una bella donna, e chiunque se ne sarebbe accorto!

André già non poteva sopportare quel damerino. Non aveva una compagnia cui tornare? Perché doveva stare ancora lì con loro?

Sicognac si sentiva come rinato a nuova vita, certo, non c'erano dubbi, dopo la coltellata aveva avuto la folgorazione. Doveva trovare un nuovo scopo di vita e quella Oscar così enigmatica con quel fisico asciutto da sembrare un ragazzo poteva essere interessante. Possedeva tutte le caratteristiche per stuzzicare la sua attenzione e per salvarlo come uomo e come attore. L'aveva osservata bene in quei giorni. Un attore è abituato ad andare oltre l'apparenza delle cose, aveva intuito benissimo che sotto quella freddezza ostentata si celava un animo forte, rabbioso, tempestoso. Bisognava solo trovare il tasto giusto per farlo esplodere. Doveva proporle di essere la nuova Giulietta.

La incontrò nel corridoio. Le sorrise.

"Sai, avevo pensato, per sdebitarmi di tutte le tue cure, di farti un regalo."

Oscar spalancò gli occhi, le erano sempre piaciute le sorprese!

"Però vorrei donarti qualcosa di speciale, qualcosa che non si può comprare…Un frammento del mio mondo magico!"

Oscar non riusciva a parlare.

"Ho bisogno di una ragazza che interpreti la parte di Giulietta."

Oscar sentì il cuore fermarsi. Nessuno le aveva mai fatto una proposta del genere.

 

 

Continua...

Mail to elisabetta.dragotto@comune.mantova.it

 

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage

1 Ehm… Fersen non si è accorto che Oscar è una donna. E' per esigenze di storia!! ^___^

2 Bravo Sicognac! Complimenti davvero! E’ sempre una soddisfazione inventare personaggi così…

3 Ungaretti??!! Io non copio, cito!!