Foglie d'autunno

 

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Nota dell’autrice: Questa storia può sembrare (e magari lo è anche) molto banale, scontata e chi più ne ha più ne metta. Lo dico subito, chi volesse entrare in uno degli universi paralleli che ciascun autore crea, leggendo questo racconto rimarrà certamente deluso: esso, infatti, non aggiunge nulla alla storia originale, si tratta solo di elucubrazioni mie. Eppure questa storia mi è molto cara perché nasce dagli stati d'animo di un momento particolare della mia vita. Quindi, poiché è stata scritta più come uno sfogo, come un volersi ritrovare tra queste righe, non lapidatemi. E se non siete interessati, basta semplicemente non leggerla. Se, invece, avete deciso di seguire le linee complesse dei miei pensieri vi consiglio di leggere questa storia ascoltando la colonna sonora de "La leçon de piano".

Dedico questo racconto a Laura e a Daniela che mi sono sempre vicine e si preoccupano per me!

 

Autunno, dorato susseguirsi di giornate limpide, di foglie rosse, di stelle luminose, d'aria vitrea. Tra le stagioni dell'anno è quella che preferisco. Mi scalda il cuore vedere i suoi colori brillanti, mi piace correre sulla terra morbida, umida, profumata. Guardare gli alberi spogli mi mette un brivido nel cuore, lunghe mani scarne si elevano povere al cielo, trafitte dai raggi di un sole malato. Adoro stare nel tepore della casa, stendere la mano sul fuoco, chiudere gli occhi pensando al villano che probabilmente rincasa, circondato dall'allegria dei suoi bimbi, si toglie con un calcio la scarpa fangosa e li accarezza con le sue mani ruvide. Avverto il pizzicare del vento d'autunno sulle gote. La mia anima più intima si mescola nel mondo e io mi sento spalancare, invadere da pace, gioia e bellezza.

E in questo momento in cui tutto ha parvenze magiche, mi sei apparsa come una rivelazione improvvisa. Sono sempre stato al tuo fianco da anni eppure, sono riuscito a vederti solo ora con gli occhi del cuore. Ed eri diversa. Sono cresciuto con te, ho giocato con te, ho condiviso gioie e dolori, segreti e piccole complicità, ho passato la mia vita accanto a te e non ho mai rimpianto il giorno in cui la nonna mi portò in questo palazzo. E ora, guardandoti, mi chiedo da quando ti sei fatta così bella. La tua bellezza mi ha colpito come un fulmine, all'improvviso. Sono rimasto a osservarti a bocca aperta come uno sciocco e ho visto i tuoi capelli dorati come l'autunno, la tua espressione gioiosa e i tuoi occhi chiari. Allora ho capito che dovevo imprimere il tuo volto nella mia memoria, per rubare al tempo un frammento di te, per portarti nel mio cuore per sempre, così bella e così cara. Tutto qui. Ma da quando questi pensieri si sono fatti spazio nel mio cuore non c'è più pace per me, non c'è giorno che non mi soffermi a guardare il tuo volto o i tuoi capelli ribelli.

Forse hai intuito qualcosa perché ultimamente non mi chiedi altro. Vorresti sapere di me. Sono il tuo migliore amico e dovrei confidarti tutto, continui a ripetere saltellandomi intorno e prendendoti la testa fra le mani non capendoci nulla. Era il patto che ci siamo fatti da bambini alla grande quercia. Ricordo benissimo quel giuramento di un mattino d'estate tra i bisbigli delle fronde e quell'aria intrisa di solennità: "Io André Grandier prometto di proteggerti sempre, Oscar François de Jarjayes, di starti vicino e di non lasciarti mai. Prometto di non avere segreti con te. Mai."

Ma dovrei dirti anche questo? Che quando ti guardo mi sento morire? Che faccio di tutto per accontentare ogni tuo desiderio? Che per vederti sorridere mi invento cose impensabili? Credo di no, non capiresti, ne soffriresti troppo e io ne morirei.

Scrivo racconti, mi riverso per intero in un foglio bianco, liberamente. Mi ritrovo in mille linee che si confondono all'orizzonte di un pensiero ma dopo questo avvenimento così forte e prepotente, la mia anima si è sciolta dall'ultimo velo di letteratura che portava con sé. Penso per iscritto. Riporto pensieri che si rincorrono confusamente uno dietro l'altro. La mia vita è un'altalena fatta di batticuori, rossori e sensi di colpa. Moriresti se ti dicessi cosa sento per te. Cosa credo di sentire. E allora mi fingo attore, abile, istrionico quanto basta. Mi pervade la magia dell'autunno, il desiderio di scoprire il mondo e di scavalcare l'alba per te.

Per lunghi anni la ruota è stata immota e ora, cigolando, dapprima lentamente ha preso a percorrere il suo ciclo. Tempi nuovi ci aspettano, lo sento. Intanto, scopro energie di cui non mi credevo capace. Sono diverso da come ho sempre creduto di essere, creativo, libero e forte. Forte, sì. Di dire, come mi hai sempre insegnato tu, quello che penso, di non chiudermi in ostinati silenzi. Ma credi che potrei dirti anche questo? Potresti sopportarlo? Dovrei dirti che per la prima volta in vita mia mi sento libero, mi sento vivo, mi sento davvero un uomo?

Ti ricordi quella sera che ci ha visto insieme, tornando da Versailles a cavallo?

Non riuscivo a parlare, non riuscivo a respirare. Eravamo lì, entrambi. Io e te. Vicini, eppure lontanissimi, divisi da un muro di silenzio, dal battito veloce del mio cuore, dalle mille parole che non ti ho detto. Tu raccontavi, eccitata, con gli occhi che ti brillavano e mi osservavi attendendo una risposta che non arrivava mai. Mi scrutavi perplessa chiedendoti se fosse tutto a posto. Avrei voluto rassicurarti ma ogni suono mi moriva in gola. Giocavo con le mie mani, le torcevo, le pizzicavo sempre pregando che nulla in me lasciasse trasparire un segno e intanto guardavo le stelle limpide e la scia luminosa, il ponte d'argento che non avevo mai visto così splendente. Sembrava impensabile che qualcosa di così bello rischiarasse in me quel buio che tale doveva restare. Ero felice di essere con te sotto quel cielo atono e freddo che avrei potuto abbracciare. Eppure ero disperato per quel lungo silenzio. Perché tutta la grandezza di quel cielo sarebbe morta in me, annichilita e distrutta.

Ieri ti ho rivisto, con i tuoi capelli così morbidi che mi piace tanto scompigliare. Ti sono corso incontro e ti ho abbracciata forte mentre affondavo il mio rossore nei tuoi capelli. Ti ho stretta a me come fa un bimbo quando vede qualcosa di bello, con tutto lo stupore, la meraviglia e col cuore che salta di gioia. Ho accarezzato il viso fresco e vellutato e ho letto la stanchezza nei tuoi occhi. Ho tirato la tua manica e ti ho avvicinata ancora al mio cuore in un nuovo moto d'affetto. Mi hai guardato sconcertata e hai mormorato il mio nome. Sono fuggito senza darti spiegazioni, ti avrei preso ancora tra le mie braccia e Dio solo sa cos'altro sarebbe potuto succedere.

Ricordo con infinita dolcezza quel bacio che mi hai leggermente posato sui capelli. Avevo colto la prima rosa bianca sbocciata in giardino. L'avevo colta pensando a te. Quando l'hai vista hai sgranato gli occhi e mi hai sfiorato i capelli con le labbra. Stordito da quell'assaggio di pelle e labbra, mi rimaneva la sete di chi troppo ha bevuto e ne vorrebbe ancora.

E il lungo tragitto che porta ad Arras che abbiamo percorso insieme domenica scorsa? Tu mi raccontavi di te ed io ascoltavo come assorto, perdendomi nei colori del tramonto e nell'ampiezza di quel cielo adagiato sui campi. Ascoltavo la tua voce e un tonfo sordo mi rimbombava nel cuore, un calore mi partiva da dentro impedendomi di sostenere il tuo sguardo. Intorno il mondo si stringeva e vibrava dei richiami autunnali.

A volte mi soffermo ad osservare i tratti del tuo volto. E mi perdo fantasticando sulla dolcezza di ogni linea. Dici che sono strano, che non mi riconosci più, che mi è successo qualcosa. Mi limito a rassicurarti quel tanto che basta e ad abbassare lo sguardo, serbando nel cuore il mio segreto. Non riesco a mentirti, a guardarti sfrontatamente negli occhi. Mi scaltrirò.

Ieri mi hai preso le mani, mi si è fermato il cuore. Mi hai chiesto chiarimenti. Mille pensieri senza senso mi si accumulavano alle soglie della mente per poi svanire all'improvviso. Mi guardavi fisso, negli occhi portavi grandi interrogativi destinati a rimanere senza risposta. Mi sono morso le labbra per non dire nulla. Ho forzato un sorriso e un fare scherzoso non mio. E dopo, solo dopo, ho pianto.

Ed ora rimango solo mentre tutto qui mi parla di te, di ciò che mi insegni ogni giorno, di ogni parola che dici, dei tuoi capelli ribelli, dei tuoi occhi, della tua flessuosità, del tuo modo tenero e commovente di volermi bene. Mi tornano in mente le sensazioni rubate agli attimi, furtive icone che ripeto con la mente, il modo rassicurante in cui mi sfiori il capo.

Quando ti allontani tutta la mia vita diventa un'attesa di te, del tuo dolce mistero e del mio divenir taciturno. Sono innamorato, tutto qui. Non te lo dirò, non farò nulla che possa rattristarti, che per te possa essere un impiccio, un ostacolo. Non ti turberò. Mi limiterò a starti vicino, ad essere il tuo migliore amico, colui al quale tutto confidi. Ma dentro di me conserverò, come in uno scrigno, gelosamente, tutti i momenti passati con te, tutte le emozioni che costantemente mi dai, le frasi che mi dici, i tuoi sorrisi, i tuoi abbracci e i tuoi gesti affettuosi. Nudo di te mi vivo, mi vesto di tele incompiute, immobile, in silenzio assaporo sensazioni, foglie d'autunno al soffio del vento che svaniscono lasciando solo il pianto.

 

 

Fine.

Mail to elisabetta.dragotto@comune.mantova.it

 

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