Notturno (senza lucciole)

 

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Era un tardo pomeriggio di fine maggio. Il sole si avviava al tramonto e in giro c'era quell'aria sorpresa di quando ancora non ci si è abituati all'allungarsi delle giornate. Il soldato André Grandier si avviava, stanco e svogliato alla fine del turno, verso le camerate. All'improvviso si sentì tirare per una manica e trascinare dietro l'angolo.

-Ma che... -

-Sch... zitto André! Senti, hai qualche impegno per questa sera?-

-Nessuno, a parte suggerire le carte ad Alain. -

Oscar -perché era lei- decise di non approfondire per il momento quel particolare e replicò:

-Beh, allora stasera separerò gli Inseparabili: sei precettato con me. -

-No, Oscar, ancora lavoro oltre al turno no! Per favore!-

-Ma quale lavoro, sfaticato! No, stasera mi piacerebbe passarla con te. -

Imbarazzo.

-A chiacchierare un po'. -

Palpabile imbarazzo.

-Cos'è, Oscar, un appuntamento galante? -

Diffuso rossore.

-Scemo. Semplicemente ho voglia di svagarmi un po'. Non ne posso più: c'è sempre qualche problema che pare solo io riesca a risolvere... e mi sono stufata. Voglio rilassarmi. Di’, ti va? -

-Mmm, va bene, ti farò questo favore... - Rispose sorridendole e guardandola con ostentata sufficienza.

Oscar mugugnò qualcosa; qualche insulto, suppose André, lo faceva spesso quando lui scherzava nel momento sbagliato. Le sorrise con tenerezza. Lei fece finta di nulla e si allontanò con la sua migliore aria marziale.

-A stasera, allora. -

 

 

André aveva perlustrato tutta la caserma per cercarla e stava già pensando ad un clamoroso due di picche quando intravide una sagoma seduta sulla passerella per i turni di guardia, con la schiena appoggiata ai vecchi merli del muro. Salì le scalette di legno e la raggiunse.

-Alla buon'ora, pigrone. -

-Hai poco da prendere in giro: io mi sarei nascosto di più. -

Sentì che borbottava qualcosa: doveva essere d'umore nero, si sarebbe preparato ad incassare.

-Avevo  portato del vino fresco, ma visto che sei arrivato in ritardo sarà diventato brodo. -

André non raccolse la provocazione: era evidente che Oscar era pronta a prendersela con lui per sfogare i suoi guai personali. Prese la bottiglia che lei gli porgeva, cercò il temperino e la stappò; si attaccò al collo della bottiglia senza prima offrirlo, giusto per esplicitare il concetto che era disposto ad ascoltare le sue lamentele, la sua rabbia e, se necessario, anche i suoi insulti ma non certo a passare da imbecille. Bevve due lunghe sorsate: il vino era bianco, fermo, dissetante e ancora fresco, a dispetto del ritardo. Apprezzò il gusto e le scelte di Oscar, come al solito.

-Vorrei berne anch'io, se non ti spiace. -

André le porse la bottiglia e si sedette, il più comodamente possibile, accanto a lei. Intanto Oscar bevve e poggiò il vino tra di loro.

Stettero a lungo in silenzio, immobili, ad ascoltare la sera; le urla e le risate dei soldati in riposo nelle camerate, i rumori dei cavalli nelle scuderie, i parigini, lontani, che si preparavano per la notte. Quando si udirono anche i grilli André disse:

-Ci mancano solo le lucciole. -

-In effetti in questa stagione se ne sono viste poche. -

Prosaica, pensò André, non era proprio una cosa del genere quella che aveva in mente ma si astenne da ogni commento: la sentiva sempre più rilassata e non voleva rovinare la serata che in fondo non si presentava molto male. Anche lui sentiva il bisogno di svagarsi un po', di stare solo con lei: c'era così poco tempo per parlare, per stare assieme, senza guai...

Stettero ancora un pezzo in silenzio, vicini, beandosi della presenza dell'altro, bevendo un sorso di tanto in tanto. Adesso, quando delle volte incrociavano per sbaglio gli sguardi, ridevano un po' e si sorridevano, complici; poi, imbarazzati, facevano finta di niente, timidi, guardavano altrove. Oscar aveva commentato una volta sottovoce:

-Che deficienti che siamo. - e poi aveva preso a ridere, sommessamente prima, poi forte, sempre più forte, fino a scrollarsi di dosso il peso della fatica e la polvere dello sfinimento. Quando finì sembrò che fosse uscita da un bagno, pulita, rilassata e presente. André la guardò sorridendo: adesso poteva rilassarsi del tutto anche lui. Incrociò le mani dietro alla nuca e si accomodò davvero, stendendo le gambe. Che stupenda serata! Poter godere della presenza di Oscar, così semplicemente vicina; da quanto gli mancava tutto ciò!

Oscar ruppe il silenzio, timidamente:

-Questa serata me ne ricorda un'altra. -

-Quale? - fece distrattamente lui.

-Quella sera che siamo venuti a Parigi a bere e che poi è finita in una rissa. Quella sera che tu mi hai riportato a braccia fino a casa. Anche se dubito che tu sia potuto riuscire a fare una cosa del genere: secondo me mi hai scaricata sulla prima carrozza incontrata e, prima di arrivare, sei sceso prendendomi in braccio, giusto in tempo per pavoneggiarti dell'impresa. -

André sorrise: se Oscar lo prendeva in giro in quel modo voleva dire che ormai era di buon umore. Ripensò a quella sera, alle stelle, alla notte, al contatto col suo corpo, al bacio che le aveva rubato. Ancora non era sicuro che lei se ne fosse accorta. Sorrise ancora di più al ricordo: le labbra schiuse di Oscar, il suo abbandono...

-Però ci sono anche tante cose diverse. -

-Ma certo. Io allora ero innamorata di Fersen. -

All'improvviso, nella bocca di André si formò un pugno di sabbia che lui fece molta fatica ad inghiottire. Bevve un lungo sorso di vino.

-Non dirmi che non te ne eri accorto. -

-Me ne ero accorto. -

-Ah, mi pareva... -

Ah, le pareva? André bevve ancora.

-Secondo te come ho fatto a innamorarmi di lui? -

A lui, lo chiedeva? Questa volta André non riusciva proprio a immaginare dove volesse andare a parare, e la cosa lo inquietava. Si irrigidì.

-Allora, André, ti ho fatto una domanda. - gli disse con una strana dolcezza.

Alla faccia della serata di svago...

-Non lo so. -

-Non ci credo. -

-E' un tuo problema. -

-Sei sulla difensiva, André? -

André tirò a sé le gambe e non rispose. Guardò Oscar di traverso, pareva serena: con i gomiti appoggiati sulle ginocchia piegate sorrideva al cielo. Si voltò e sorrise candidamente anche a lui, il quale si sentì a disagio e lievemente irritato di fronte a quella tranquillità su un tale argomento. Non gli piaceva, la piega che stava prendendo la serata, per nulla per nulla.

-E come mai, di grazia, una domanda del genere? -

-Pensavo... -

-Addirittura! -

Attese il ceffone. Non arrivò. Controllò il cielo ché magari non nevicasse. Oscar adesso lo stava guardando molto intensamente.

-Ti ho fatto una domanda seria, prima, non ho voglia di scherzare su queste cose. -

André deglutì.

-Non lo so, davvero, come hai fatto ad innamorarti di uno come lui. -

Oscar lo squadrò ironica: André palesemente geloso era uno ben strano spettacolo, che, già che c'era, voleva godersi tutto.

-Puoi anche evitare di fare quella faccia. Neanche io sto scherzando: non è mai stata un'idea su cui mi sia soffermato volentieri. -

-Capisco. -

-Ma anche io ti ho fatto una domanda seria, prima. -

Ci furono diversi istanti di silenzio. Oscar raccolse le idee: era tanto tempo che pensava, rimuginava, azzardava ipotesi che spesso rigettava, tentava spiegazioni che non la convincevano sempre, riprendeva tutto da capo, vagliava, esplorava. Un gran lavorio interno di cui era ormai tempo di tirare le fila; e ora, anche senza averlo cercato deliberatamente, aveva creato l'occasione per tirarlo fuori con qualcuno: André. André, il suo André, la sua coscienza; sorrise, a quest'ultimo pensiero che le si affacciava spesso alla mente da un po' di tempo, non lo sentiva molto giusto, per tutti e due e specialmente per lui, ma non riusciva ancora a scacciarlo. André...

-Sai, credo che fosse tutto... limitato. -

Addio serata rilassante. André sospirò e si concentrò per quello che di sicuro gli sarebbe toccato fare: lo zerbino.

-Tutto cosa? E limitato in che senso? -

Oscar tentò di formulare un discorso coerente: non era facile, anche se aveva provato più volte  a dare una risposta a quelle stesse domande.

-Non so se riuscirò a spiegare bene quello che intendo, ma, vedi, nobile lui, nobile io, ricco e colto lui, e pure io, entrambe le famiglie sarebbero state, probabilmente, onorate dell'unione. Mi avrebbe corteggiata con tante belle parole, un matrimonio fastoso, camere da letto separate, un po' di sesso ogni tanto, dei pupetti e via discorrendo. La storia è già trita e ritrita, come Cenerentola o la Principessa sul Pisello: la racchia a cui nessuno bada finisce per sposare il principe. Terribile! Io poi non ho né il piedino da fata né la pelle di porcellana: guarda che mani. -

André si era immerso in un silenzio meditabondo. Oscar gli diede una leggera gomitata e gli disse:

-Guarda che ho tentato di ironizzare. -

André si riscosse:

-E la regina? -

-L'avrei messa al riparo da chiacchiere per un po' e poi sarei vissuta cornuta e felice. E' andata bene come è andata. -

-Senza dubbio. -

André pronunciò queste parole con un tono sollevato che fece ridere di gusto Oscar. Lui accennò appena ad un sorriso, lei gli tirò piano una ciocca di capelli:

-Ehi, signor "Vivo Per Te", cos'è quella faccia da funerale? Dovresti esserne contento. -

André la guardò appena e si chiuse in un mutismo impenetrabile. Stavolta ho proprio esagerato con lo scherzo, pensò Oscar, e, senza trovare il coraggio di scusarsi, batté in ritirata aspettando che gli passasse. Questa volta il silenzio era davvero pesante. André bevve un sorso e poi disse:

-Mi pare di capire che è acqua passata. Tuttavia, se tu fossi ancora innamorata di lui, ti chiederei: tutto qui il limitato? Una famiglia di cinque persone con solo una paga da bracciante per mantenere tutti, quella è una situazione limitata. Ma quella che tu descrivi la definirei monotona, non limitata. Non mi hai detto tutto. -

Ormai i rumori umani della notte si erano smorzati, rimanevano solo i grilli di sottofondo. Oscar ripensò alle lucciole che avrebbe voluto André e constatò che se ci fossero state anche quelle la serata sarebbe proprio stata adatta all'incontro di due innamorati. Pensò a lei, André, soli, la notte, un prato, i grilli e le lucciole. Soffocò a stento una risata: assurdo!

La voce di André la riportò sulla via della serietà:

-Cos'era, quindi, ad essere limitato? -

Con un sospiro disse addio ai grilli e alle lucciole e ai prati in fiore e rispose, con una certa sicurezza:

-Beh, l'amore. -

André, raccolto, sembrò non esserne scosso. Oscar lo osservava cercando di capire cosa gli passasse per la mente.

-Cosa intendi dicendo che l'amore era limitato? -

Oscar si mise in guardia e spostò la seduta. Che diavolo di domande! Poi razionalizzò che aveva proprio bisogno di qualcuno che le ponesse domande scomode ed esigesse risposte precise. Ma questa era proprio difficile. Sospirò ancora più profondamente:

-Di una cosa sola sono sicura ora come lo ero allora: se vi foste trovati tu e Fersen sull'orlo di un precipizio col rischio di cadere io non avrei esitato a salvare te. -

André la fissò con occhi stralunati: anche questo gli toccava sentire. Lei fece finta di nulla e continuò:

-Come vedi, alla resa dei conti, anche il mio amore per lui era molto limitato: gli anteponevo l'amicizia. -

Adesso, Oscar lo guardò ma lui aveva ricominciato a fare la Sfinge.

-A che pensi? -

-Nulla di particolare: ti ascolto. -

Oscar rimase in silenzio senza sapere più che dire. Passò del tempo. Sembravano due statue sedute nella stessa posizione raccolta.

-Dell'amore di lui per te, poi, non ne parliamo, vero? -

Oscar si riscosse e lo guardò sorridendo:

-'Na tragedia. -

André sorrise involontariamente, lei se ne accorse e ne fu lieta perché le piaceva il suo sorriso.

Silenzio; immobili, sorridevano senza guardarsi.

 

 

Non c'era più molto nella bottiglia e loro due erano ancora lì a godersi la notte di quel maggio gentile e senza lucciole.

-Tu invece sei molto diverso da lui. -

André si chiese sulle prime quando sarebbe finita quella tortura. Poi rise di sé. Avrebbe fatto praticamente di tutto per averla e lo stillicidio di quella sera era una miseria in confronto agli ostinati silenzi che a volte gli opponeva. In fondo lei gli stava donando una parte preziosa di sé e lui non l'avrebbe sciupata per nulla al mondo. Alain non lo capiva: lo chiamava pazzo o santo, a seconda dell'umore. Lui però sapeva di non essere nessuna di queste due cose: era solo ambizioso e avido, di lei e del suo amore. La voleva e la voleva sua, l'irraggiungibile Oscar. E più gli costava sofferenza più la considerava preziosa. Ormai non sapeva più che farci se non continuare a starle accanto nonostante tutto. Non gli importava di quanti sacrifici avesse dovuto fare, ma, poterla avvicinare, poterla avere, poterne condividere la vita, i pensieri, il corpo valeva tutto ciò. La guardò: ne valeva davvero la pena.

Lei lo osservava attendendo un commento. Lui si appoggiò al muro, e, con le mani rilassate in grembo, chiuse gli occhi: non voleva che lei si accorgesse di quanto lo irritava quel confronto.

-E in che cosa, sentiamo. -

Cercò di sorridere ma non gli riuscì.

-Beh -disse lei tranquillamente -tutti e due amate una donna che non è per voi, siete gentili, generosi, d'animo nobile, pronti a fare sacrifici per colei che amate, però... -

Cercò le parole.

-Però tu... -

André attese il colpo senza scomporsi.

-Tu non sei mai scappato. -

Grazie!

-E poi, André, tu... -

Cosa? Cosa ancora? Si sentì sudato.

-Tu mi ami. -

Ma va! Altrimenti sarebbe rimasto lì!?

-Ami me. -

Sì, sì, amo te, proprio te, dannazione. Ti amo! Come vuoi che te lo dica, che te lo dimostri? Ti amo, ti amo! E noi siamo qui, insieme, e tu mi dici queste cose e... e io...

Avrebbe voluto urlarle queste cose ed altre ancora ma si trattenne, a stento ma ci riuscì. Avrebbe perso le sue confidenze e non voleva, non adesso, non così; tutto meno che sentirla fredda e lontana. Rimase completamente immobile, qualunque gesto avesse fatto, avrebbe perso il controllo; e aveva giurato... Attese, in ascolto, cercando di non far trasparire la sua agitazione.

-Sai, è molto che ci penso, spesso, troppo spesso, al tuo amore per me. Lo sto esplorando, sono mesi che lo sto esplorando, e non ne vedo i confini. Lo vedo, lo sento in ogni tuo gesto, in ogni tuo sguardo e in tutte le tue parole: mi chiedo quanto sia grande, fin dove sarebbe capace di arrivare e la risposta è che non lo so, che non ne vedo i limiti ed i contorni, non vedo, ancora, un ostacolo davanti al quale il tuo amore si fermerebbe. Davvero, non vedo i confini del tuo amore per me. E, te lo dico francamente, la cosa mi fa tremendamente paura: ho il terrore di perdermici, di non trovare più me stessa, di dimenticare chi sono e il posto che ho nel mondo. Sento che se mi facessi prendere, l'Oscar che tutti conoscono, Monsieur, Madamigella, Generale, Comandante, quello che vuoi, tutte queste cose sparirebbero; verrebbe fuori una nuova Oscar che non conosco e non so se mi piacerebbe. O per meglio dire, non so in che modo potrei uscirne, ammesso che io poi ce la faccia, ad uscirne. E non è neanche questo il problema: se decidessi di lasciarmi andare al tuo amore, che senso avrebbe  poi cercare di uscirne? Il vero problema è, forse, la paura di ciò di cui non vedo i confini. E forse anche la paura del mio senso di inadeguatezza nel corrispondere a tutto ciò. Tu riderai, perché poco fa mi sono lamentata di un amore limitato. Sono incontentabile, vero? Tremendamente difficile. Se solo... -

Non finì la frase, non avrebbe proprio saputo cosa aggiungere. Aveva scaricato su André il succo di tutto ciò che l'aveva tormentata in quei mesi e si sentiva meglio, adesso. Prese la bottiglia e bevve. André era ancora nella stessa posizione di prima. Se il suo respiro non fosse stato un po' affannoso si sarebbe detto che dormisse. Oscar lo guardò un po' di sbieco sorridendo, poi si rilassò e si appoggiò anche lei al muro distendendo le gambe.

-Povero André, che brutta parte ti è toccata in questa storia: innamorato respinto, amico e confidente delle pene amorose tutto insieme. Mi chiedo come tu, almeno apparentemente, riesca a sbrogliartela. Non deve essere facile. Me la faccio spesso questa domanda e l'unica risposta che riesco a darmi per adesso non fa altro che aumentare i miei timori. -

Fece una pausa e lo guardò. Sembrava pietrificato. Più precisamente Oscar pensò che poteva benissimo assomigliare alla statua di sale, quella della Bibbia di cui non ricordava il nome, che si era voltata a vedere la distruzione di Sodoma e Gomorra. Si rese conto all'improvviso che doveva aver compiuto in lui una strage di proporzioni bibliche. Lei stava meglio, ma lui? Possibile che anche quando voleva prendersi un momento di tranquillità insieme, riusciva comunque a creargli qualche problema? Abbracciò le ginocchia e stette ad ascoltare, aspettando qualche segno di vita. Nulla. Se non altro lo sentiva respirare: non gli aveva ancora fatto avere un coccolone. Ancora, ma non avrebbe saputo garantire per il futuro. Lo guardò di nuovo e sorrise, amaramente imbarazzata questa volta. Prese un bel respiro, cercò di rilassarsi, o quantomeno cercò di fare finta di essere rilassata: distese le gambe e guardò per aria. Le stelle le erano sempre piaciute e quella sera di fine maggio le sembravano particolarmente splendenti. Chissà se André le vede, pensò. Anche questo, accidenti! Ma non ora, non ora, non ci voglio pensare adesso.

-Se vuoi che cambi discorso, che stia zitta o che mi tolga dalle scatole non hai che da dirmelo. -

Attese. Lo sentì scuotersi come da un lungo intorpidimento, come se si risvegliasse con fatica da una nottata piena di incubi. Dio mio, che cosa gli sto facendo? Perché, perché lo faccio soffrire così? Basterebbe così poco, basterebbe che facessi un piccolo gesto verso di lui, per smettere di farlo stare male, se proprio non riesco ad renderlo felice. Una carezza, basterebbe solo una carezza... Perché non lo faccio, perché...? Adesso era Oscar che si sentiva pietrificata in quella domanda. Sentiva il rimbombo del cuore in testa, furiosamente. Poi ascoltò, come da lontano, la voce di lui, roca e atona:

-No, Oscar, se hai qualche cos'altro da dirmi vorrei che tu me lo dicessi, interamente. -

Il cuore le rallentò all'improvviso. Scappare, fuggire, una scusa qualunque per troncare quella conversazione. Che dire, che dirgli? Possibile che ogni volta che provo a mettere una pezza sulle sue ferite non riesca ad altro che allargargliele di più? Possibile? Che gli dico? Che gli dico? Sono mesi che rimugino su queste cose, e ora? Tutte le considerazioni molto intelligenti, dove sono adesso? Che dire, che dire, mio Dio, che non lo faccia soffrire. Non ne sarei capace. Devo andare via, una scusa, una scusa...

-Ti aspetto, Oscar. -

La sua voce aveva ripreso il tono caldo e avvolgente di sempre. Sentì che le prendeva la mano, per rassicurarla, percepì nettamente la vicinanza del corpo di lui. Non anche questo, André, no! Quando, quando ti fermerai, André? Possibile che tu possa continuare all'infinito ad amarmi? Me, che posso farti soffrire all'infinito? No, no, fermati, ti prego, André, fermati, o io mi perdo, mi perdo... e ho paura.

Ritirò la mano bruscamente e strinse le ginocchia contro il petto nascondendo il viso. Mi sta guardando. Smetti, smetti! Non mi guardare così.

E lui smise. Si sentì sola, e piccola. Stette un po' in silenzio, senza pensieri.

-Hai fegato, sai? Ne hai da vendere. -

La cosa più stupida che avrebbe potuto dire l'aveva detta. Stupida stupida stupida. Avrebbe voluto scomparire.

-Ne ho talmente tanto che la persona a cui vorrei donarlo non lo vuole per paura di un'indigestione.-

Touchée. Un filo di spada nello stomaco. Ma era il minimo che potesse aspettarsi e, dopotutto, se lui non avesse ribattuto nulla si sarebbe preoccupata. Però lo sentì sorridere, triste ma pur sempre sorridere. Quell'uomo la stupiva in continuazione, viveva con lui da sempre ma riusciva ancora a sorprenderla. Se si fosse trovata al suo posto avrebbe dato in escandescenze dopo tre parole ascoltate; lui, invece, sorrideva nonostante tutto. Un sorriso amareggiato, d'accordo, ma era già qualcosa, e comunque meglio dell'immobilità di prima. Oscar sperò di poter recuperare onorevolmente la serata.

-Quest'ironia becera dove l'hai imparata? Ti ricordavo più signore. Deve essere la compagnia di quell'Alain, che ti ha traviato, ti ho capito io, caro il mio André. Dovrò prendere dei seri provvedimenti per voi comari. - tentò di scherzare.

Goffa, sei goffa, Oscar. Non riesci neanche più a scherzare degnamente. E dire che in società passo per una persona disinvolta, seppur riservata. E con lui, l'unico col quale sarei felice di lasciarmi andare, riesco ad essere di una goffaggine esasperante. Cara la mia Oscar, la situazione è più grave di quanto tu stessa immagini, forse.

Però lo sentì sghignazzare mentre si ripeteva la parola comari. Oscar tirò un sospiro di sollievo e si rilassò guardandolo ridacchiare. Le vennero in mente i due amici con le barbe incolte, le sottane lunghe di mussola e le cuffiette, intenti a parlare indifferentemente del prezzo del pane e del puerperio della vicina di casa.  Sorrise e chiuse gli occhi.

-Comari a parte, tu non dovevi finire di dirmi una cosa? -

Se le avesse lanciato una secchiata d'acqua gelida gli sarebbe stata più riconoscente. Che dire? Che dire? Cercò di rilassarsi il più possibile, aveva ancora voglia di sorridere: pensò alle comari, ad Alain alle prese con le sottane, guardò André di sottecchi e lo trovò bellissimo. Le brillarono gli occhi: in fondo la sua situazione non era poi così brutta. Prese un respiro profondo e una decisione: si sarebbe lasciata andare, accidenti! Dopo più di trent'anni passati in estenuanti sforzi per contenersi e mezza bottiglia di vino in corpo, poteva permettersi di dire, per una volta in vita sua, la prima cosa che le fosse passata per la mente. Anche se per adesso non sapeva cosa. Di sicuro non avrebbe peggiorato la situazione. Finì il respiro e si gettò nel vuoto; si accorse di precipitare solo quando fu troppo tardi:

-Vedi, André, tu mi piaci. - Che sto dicendo, che sto dicendo! -Cioè, volevo dire che ti voglio bene.- Peggio peggio peggio! Sentì il cuore di André fermarsi un istante. O forse era il suo e lo confondeva con quello di lui. Non ci capiva più nulla, non capiva neanche il perché avesse detto quello che aveva appena detto. Cosa le era saltato in testa? L'unica cosa che riusciva a distinguere con chiarezza erano le parole "Ti voglio bene" che le ronzavano importune nella mente.

Devo rimediare, devo rimediare, non deve credere che io... che io...

-Come amico, intendo. Ma amico... amico. -

Si udì un silenzio che non seppe decifrare, attimi di lunga attesa, immobili. Non era convinta di aver rimediato, a cosa, poi, non lo sapeva più neanche lei. Aspettava; lo sentiva raccolto, immerso in pensieri che, dopo oltre venti anni di convivenza, non aveva ancora imparato a capire dove sarebbero andati a parare.

L'attesa, snervante, finì. Un sonoro ed ingombrante stiracchiarsi di tutte le membra fu il primo commento di André; il secondo fu una risata breve e profonda. Dopodiché cominciò ad osservarla con aria sorniona.

Beh, che ha da guardare così? Mi sta prendendo in giro? Adesso? Ma brutto cretino! Adesso gliene dico...

-Tutto qui? -

Oscar lo fissò con occhi bovini:

-C... c... come tutto qui? -

-Oscar, cara, credi davvero che dopo tanti anni che viviamo e lavoriamo assieme io non sappia che tu comunque mi vuoi bene come ad un amico? -

Vuoto.

-Vuoi che in tutto questo tempo io non abbia imparato ad attribuire il giusto significato ai tuoi impenetrabili atteggiamenti, oh comandante dagli occhi di ghiaccio? -

Panico.

-Sono desolato nel constatare, comandante, che la vostra decantata eloquenza ha avuto, in questo caso, un ben misero esito. - Sorriso a trentadue denti.

Stronzo.

-In ogni caso si è fatto tardi. Comandante, vi auguro una buona notte e, soprattutto, un buon risveglio. - André fece velocemente il saluto militare e si avviò ridendo.

Oscar, paralizzata, finì di metabolizzare quello che aveva appena udito quando lui si era già un po'allontanato.

-Risveglio? - si disse. -Ri... -

Si alzò di scatto e urlò:

-Soldato André Grandier! Questa te la faccio pagare! -

-Ti aspetto, Oscar, ti aspetto. - si sentì rispondere.

Il poverino è completamente impazzito, pensò; e rimase, perplessa, ad osservarlo andare via col passo sciolto delle persone contente.

 

 

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