Luce

 

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Non trovava più il lenzuolo: con quel caldo chissà dove l'aveva lanciato nella notte estenuante. Cambiò per l'ennesima volta posizione: si mise di schiena e allargò braccia e gambe nella speranza di catturare ogni filo di frescura tanto intrepido da superare la barriera delle pesanti cortine alla finestra. Sentiva la pelle sudata; nulla osava muoversi con quel caldo, neanche l'aria. Chissà che ora era.

Spalancò gli occhi, si voltò verso la finestra: se il sole fosse già sorto ne avrebbe visti i raggi superare le tende. Nulla. Buio totale. Si rassegnò all'eterna durata di quella notte. Il mattino non si decideva ad entrare nella stanza. Non se ne poteva più. Chissà che ora era.

Aveva da fare ma esitava a scendere dal letto: il programma della giornata non era gradevole. Ma indubbiamente era necessario; per tutti e due, forse. Sperò. Cosa farei se non ci fossi tu accanto a me... Osò alzarsi sui gomiti: non ce la faccio più; scendo. Neanche un rumore o una luce da sotto la porta. Ricadde sul materasso. Chissà che ora era.

 

Come un moscone pazzo di disperazione sbatteva furioso contro il vetro di una finestra serrata, così si stava agitando nella sua stanza, in bilico tra l'uscire e il non uscire, il chiamare e il non chiamare. Perché? Dove sei? E' tardi. Hai cambiato idea, dimmi, hai cambiato idea? Si affaccia alla finestra, controlla, ascolta, attende, aspetta, cammina, siede, non riposa; ed di nuovo si affaccia alla finestra, sbircia dalla porta la vita della casa, di nuovo torna a richiudersi nella sua stanza. E di nuovo passeggia, siede, sposta le cose, si gira, cammina, controlla, sbircia, guarda, osserva, apre, chiude, non sa che fare. Vede dalla finestra un cavaliere arrivare; dabbasso voci di benvenuto salgono fin nella sua stanza. Possibile che sia stato lui a venire qui? Possibile? Sì, è lui! Non ne posso più. Non posso più aspettare senza fare nulla. Vado.

 

Entrò nella stanza ancora addormentata senza timidezza ma con l'inquietudine di quello che di lì a poco sarebbe potuto succedere. I raggi di luce che filtravano chiaramente dalle tende pesanti indicavano la strada; vi si diresse. Svegliò la stanza col sole del mattino e con la voce tremante che voleva sembrare irritata:

-André, svegliati cretino d'un pigrone. Mi avevi promesso che ti saresti alzato presto e invece sono le dieci e sei ancora lì a poltrire. - Scostò per bene le tende pesanti, spalancò la finestra, fece entrare la luce del giorno. Sentì il suo corpo nel letto irrigidirsi poi muoversi lentamente, impacciato e teso; non osò guardarlo:

-André, è venuto. E' venuto lui. - una muta richiesta d'aiuto nell'informazione implorante.

Si voltò. Lo vide seduto sul bordo del letto, di spalle, curvo, seminudo, con la confusione nella stanza e il volto sulle le mani.

Gelò. Non seppe subito perché.

-André, va tutto bene? - Nella richiesta il braccio andò verso di lui in una carezza impossibile. L'attesa della risposta la spaventò quasi quanto il desiderio di avvicinarglisi, così, ora, vicino al suo letto. André, André, mio caro André, perché non rispondi? Cos'hai? Cosa c'è? Parla ti prego. Immobilizzata vide che allontanava un po' il volto dalle mani:

-Va tutto bene, stai tranquilla: è stato il sole che mi ha ferito gli occhi quando mi hai svegliato. Nulla di strano. - tentò di ridere tradito dalla voce roca.

Non è vero. Non era vero e lei lo seppe subito.

Gli si avvicinò a passi incerti e gli posò la mano sulla spalla nuda. Lui sobbalzò, alzò appena la testa fissando un punto indistinto sul pavimento. Rimasero per un po' così in sospeso: lei non sapeva ne' togliere ne' lasciare la mano, lui, immobile, impenetrabile, non sapeva più nulla e basta. Ad un tratto, saturi di quella situazione, André tornò in sé:

-Vai, Oscar. Precedimi: io ti raggiungo subito. Promesso, faccio in un lampo. E scusa se non mi sono svegliato in tempo. Scusami davvero. -

Lei non si mosse, lui, sempre fissando il pavimento, fece scivolare via la sua mano dalla spalla col tempo di una carezza. Mio Dio, Oscar, allontanati, vai via per pietà, non mi rendere tutto ancora più difficile col tuo sguardo su di me. Vai, c'è il conte di Fersen sotto che ti starà aspettando, ti staranno cercando. Vuoi che ti trovino qui da me in queste condizioni? Vai, vai via da me, adesso.

-André... - Oscar ebbe terrore a formulare la domanda.

Lui si alzò di scatto come per scacciarla e si avviò deciso verso il suo armadio:

-Sto bene, Oscar. Per favore non metterti a fare la frignona proprio adesso: non mi sembra proprio il caso di far tanta scena per un risveglio brusco. - Vai via! Vai via prima che cominci a cercare i vestiti!

Sentì i passi di lei lenti che si allontanavano verso la porta. Si voltò; vide apparire la sua sagoma e qualcosa, forse la paura, si spezzò in lui:

-Oscar, mi vuoi bene? Mi vuoi bene davvero? -

L'aria d'intorno rimase muta e bloccata.

-Sì. - un'assoluta certezza, senza dubbi, ipotesi o vacilli, un'affermazione ineluttabile e necessaria -Ti voglio bene. - respiri -Ti voglio bene per quello che sei stato, per quello che sei ora e per qualunque cosa diventerai. -

André sembrò crollare e lei lo sorresse, serissima, rubando il tempo alle parole:

-André, si può smettere di amare con passione e si può smettere di odiare, ma non si può smettere di voler bene. Capisci? Non si può. Io non posso. Ciò che è dato è dato. Qualunque cosa dovesse cambiare, il fatto che ti voglio bene e te ne voglio sempre di più non può più essere modificato. Questo è quanto. -

André aveva guardato verso la porta da dove veniva la voce di lei. Pian piano era riuscito a distinguerne il colore dei capelli e il completo verde che non metteva da tanto, tanto tempo e che gli era sempre piaciuto. Bella. Bellissima. Preoccupata da morire. Le sorrise meglio che poté:

-Detta così sembra quasi una minaccia. -

Incorreggibile, pensò lei. Ma meglio così. Comunque, anche in quella situazione, non era il caso di dargliela vinta tanto facilmente:

-Per te o per me? - ribatté.

-Per tutti e due, suppongo. -

Non le restò che sorridere a sua volta.

Era rimasta sulla porta:

-Ascolta, devo andare: devo sistemare questa faccenda e prima me la sbrigo meglio sto. Tu fai con comodo: non sei obbligato a venire se non te la senti. -

-No, vengo anche io con te. Faccio in un attimo. -

-Come vuoi. Comunque ti aspetto per la colazione. - e uscì.

-Che sia abbondante, mi raccomando! Sono stufo dello schifo che ci rifila la tua direzione della caserma. - lo sentì raccomandarsi alle sue spalle.

Uomo viziato!

 

Chiuse la porta della stanza di André alle sue spalle. Vide la lunghezza delle scale che le si stagliò davanti: la pienezza del vuoto dentro di lei l'assalì all'improvviso insieme ad un senso di capogiro e smarrimento. Quelle scale le sembrarono  immensamente lunghe e vertiginose ad un tratto; le scese lentamente cercando di distrarsi con la liscia superficie del legno levigato del corrimano. Ogni tanto si voltava indietro chiedendosi se fosse giusto quello che stava facendo adesso, se fosse davvero così urgente andare a chiarire proprio ora, senza aspettare, le cose con quell'altro là, mentre André era nella sua stanza così; chiedendosi se ad André avesse detto tutta la verità, senza tacere nulla; se lo amava, infine, se era amore quello che gli aveva offerto, e, se lo era, di che specie sarebbe mai potuto essere e di che cosa avrebbe mai potuto vivere. Fosse stato per lei si sarebbe messa a sedere sulle scale ad aspettare di essere prelevata e portata via da qualcuno: era stanca. Sull'ultimo pianerottolo prima delle stanze di rappresentanza si guardò per l'ultima volta indietro. Che vigliacca che sono: è un mio problema questo, non suo. E in fondo è poca cosa. André... Decise che si sarebbe liberata di Fersen prima ancora che André avesse il tempo di scendere. Ammesso e non concesso che ci fosse riuscito. Ma assolutamente non voleva che se lo fosse dovuto trovare di fronte, ancora in casa, ancora a parlare con lei, proprio quella mattina. Un supplizio del genere non sarebbe stato difficile evitarglielo: al massimo avrebbe mandato al diavolo la buona creanza e il signor Conte con qualche frase Alaenis modo. Sorrise. E per fortuna c'è Alain che ci fa ridere! Non era neanche più offesa con lui; ammesso che si potesse rimanere a lungo offesi con un tipo simile.

Si fece dire dove il conte di Fersen era stato ricevuto: era nel salone delle vetrate e aveva accettato di fare la colazione da loro. Oscar schiumò a questa notizia: hai capito il ruffiano!

Entrò nella stanza col piglio deciso del comandante che deve conferire urgentemente con un collega. Lo vide in controluce in piedi dietro il tavolinetto tondo apparecchiato per due. Due.

Ruffiano ruffiano ruffiano! Ruffianissimo! Non più di cinque minuti per te: ultima offerta!

Gli si avvicinò archiviando senza alcun dubbio il sorriso romantico che le rivolse. Senza concedergli scelte o convenevoli gli strinse la mano con energia e, nel tempo di quella stretta, disse tutto quello che aveva da dirgli:

-Buongiorno conte di Fersen, non dovevate disturbarvi a venire: sarei venuta io da voi oggi stesso a porgervi le mie scuse perché, in effetti, nonostante tutto non voglio sposarmi con voi. - Punto.

Fersen necessitò di qualche secondo per riprendersi da un tale attacco; se ne prese troppi:

-Allora? Niente da dire? -

Fersen sobbalzò:

-Scusate, francamente non mi aspettavo questa schiettezza. -

-Forse che con una spada sarebbe stato tutto più chiaro? -

Il sorriso strafottente di Oscar lo umiliò. Oscar archiviò anche questo: come se avessi ancora tempo di consolare la povera anima tormentata. Ah, caro mio, la carrozza quando passa passa.

-Perdonami Oscar. In effetti ero venuto per chiarire, per spiegare... -

-Non ce n'è alcun bisogno. Vi siete chiarito perfettamente l'altra sera. - Guardò il tavolo e preparò l'ultimo affondo:

-Se volete rimanere a colazione come i vecchi tempi do subito ordine di far apparecchiare anche per voi. -

E Fersen fece quello che Oscar non si sarebbe mai aspettata: si arrese; sorrise tra sé girando la testa di lato, poi la guardò con l'affetto intimo dell'amico d'infanzia che non era mai stato:

-Mi dispiace Oscar. Sono le dieci e un quarto e in effetti il tempo per la colazione è già passato. - prese una pausa -Ho già mangiato abbondantemente a suo tempo.- Si guardarono seri -Grazie di tutto Oscar e scusate il disturbo. -

Le si inchinò militarmente:

-Arrivederci. -

-Arrivederci. - rispose lei.

E il Conte uscì da quella casa.

 

Oscar stravaccò sulla prima sedia che le capitò di sotto, abbandonando la testa all'indietro: le pareva che ogni movimento che faceva contribuisse a perderla di più in un vertice melmoso di eventi incontrollabili.

-Sono stanca. - formulò il pensiero scandendo chiaramente ad alta voce.

-Esausta. - precisò.

Si raccolse a sedere appoggiando i gomiti sulle ginocchia allargate:

-Auf! - verso che avrebbe voluto significare il sollievo di essere ancora viva nonostante tutto e in licenza; con André. Quell'André a cui sarebbe stato necessario provvedere in un qualche modo. A chiedergli apertamente spiegazioni avrebbe ottenuto in cambio l'effetto Sfinge: se l'avesse fatto lui a lei gli si sarebbe rivoltata contro come un'arpia ferita.

E chissà se lo amo sul serio?

Bah, un problema alla volta. Si sentiva così incapace in quel periodo! Le sembrava che le azioni non le riuscissero più con la fluidità di prima.

Guardò la porta: ancora non arriva. Tornare in camera sua? Sospirò: non avrebbe risolto nulla.

Si alzò energicamente dalla sedia e andò verso la vetrata: sarebbe stata anche una splendida giornata per cavalcare in compagnia. Se solo...

Sentì aprirsi la porta alla sue spalle e riconobbe il passo; si voltò:

-Sei tu finalmente! Ce ne hai messo di tempo per arrivare! -

Lo vide sbancare. Questo non lo dovevo dire. Mi ero abituata troppo bene a parlare con lui senza pensare: chi lascia la strada vecchia per la nuova...

-E il conte di Fersen dove l'hai nascosto? - lo sentì chiedere con voce atona mentre avanzava fermo e lento verso di lei. Oscar pensò che una mezz'oretta sui ceci non le avrebbe fatto male.

-Gli ho detto che non lo sposerò ed è andato via. - Ovvio, no? Come se fosse la cosa più scontata che sarebbe potuta capitare.

André non mostrò alcuna pubblica reazione alla notizia; le si mise accanto sorridendo  di nascosto oltre la vetrata, come se volesse che quel suo sorriso nostalgico e dolce non fosse notato. Le posò il braccio sulle spalle con la mano che, si sentiva, avrebbe voluto stringerla ma temeva:

-Sei contenta? - senza guardarla, senza stringerla, perso nel vuoto di un luminoso e verde panorama estivo.

-Sì. - rispose senza bisogno di pensarci troppo -Adesso sì. -

In fondo tra tutte le domande che le confondevano la via questa era una delle più facili. Lo guardò e gli accarezzò la guancia con i polpastrelli, senza porsi il problema dell'illiceità di quei gesti. Provò a sorridergli, lui abbassò lo sguardo. Oscar rettificò la risposta:

-Per quanto possibile. -

André girò il viso per sottrarsi alle dita di lei.

-E tu sei contento? - le scappò di chiedere all'improvviso. Che accidenti di domanda scema gli vado a fare proprio ora! Un tempismo perfetto! Ma tanto ormai ci stava facendo il callo a quelle "splendide" figure che rimediava con André. Solo che, considerò a sua discolpa, ormai preferiva delle brutte figure al gelo di qualche mese fa. Prima non avrebbe mai osato fargli una domanda del genere e scoprì che, in fondo, la rilassava il sapere di potersi lasciar andare a dire la prima cosa che le passava per la testa con l'unico rischio di essere presa un po' in giro e di poterne poi ridere assieme. Se non si fosse potuta prendere questo lusso con lui con chi mai avrebbe potuto farlo? Gli appoggiò la testa sulla spalla e gli sorrise pagliaccia: tanto una cavolata in più o in meno non farà differenza. Lui ruppe la sua concentrazione, la staccò da sé e prese un'aria teatralmente ispirata:

-E allora, via, mangia nella gioia il tuo pane

e bevi con cuore lieto il tuo vino,

perché questo è quanto Dio vuole che tu faccia.

In ogni tempo siano candide le tue vesti,

né manchi il profumo sul tuo capo.

Godi la vita con la donna che ami,

giorno per giorno, durante questa vita fugace

che ti è data sotto il sole.

Questo infatti è quanto solo ti spetta

per la vita e per tutta la fatica

che tu sopporti sotto il sole.

Tutto ciò che fai, fallo finché ne hai forza, perché non ci saranno né azione né pensiero, né scienza né sapienza negli inferi, dove stai andando. -

La guardò, finalmente, sornione e divertito, e non privo di un certo intimo compiacimento. Oscar, invece, durante questa titritera, si era staccata da lui alquanto inorridita:

-Di’ un po', hai per caso mangiato un vocabolario stamattina? -

Lui rise.

-O... oppure hai intenzione di farti prete? -

André rise di gusto osservando allegro il volto di lei tra il disgustato e l'inquieto.

-Non mi avevi fatto una domanda? Io ho risposto, no? -

Lei scattò:

-Se tu questa la chiami una risposta... Non erano più pratici un sì o un no? - Cretino.

Si era spaventata, non sapeva se prenderlo sul serio o per scherzo, e in entrambi i casi la faccenda l'allarmava.

André le sorrise tranquillo dicendole piano:

-Se avessi potuto rispondere con un sì o con un no l'avrei fatto. Non credi? -

Oscar gli diede le spalle di scatto: le stava facendo paura. Non lo capiva, non lo capiva proprio, dannazione.

All'improvviso lui la prese per le spalle da dietro e la voltò bruscamente verso di sé, vicinissimo; poi con entrambe le mani le afferrò la nuca e le avvicinò in un lampo la testa alle sue labbra. Lei venne presa dal panico: che non entri nessuno adesso! La baciò a lungo sulla fronte come a volerle imprimere un marchio a fuoco, stingendola forte finché la stretta non divenne gradualmente una carezza sul collo; poi André si staccò da quel contatto di labbra roventi, si chinò un poco e le sussurrò all'orecchio, con una voce intima che lei non gli aveva mai sentito:

-Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno maggior vantaggio nella loro fatica. Se infatti uno cade, può essere rialzato dal compagno. Guai, invece, a chi è solo: se cade non c'è chi lo rialzi. Anche se si va a letto, in due ci si può scaldare, ma chi è solo come fa a scaldarsi? Non si spezza facilmente una fune a due capi. -

La tenne vicino a sé ancora per qualche istante poi la lasciò libera con un'ultima carezza sulle guance e le sorrise. Lei lo guardava paralizzata, assolutamente impotente di fronte a tutto questo a cui non riusciva a dare un nome o un qualunque aggettivo in grado di rendere l'idea. André, perché fai così? Perché non parli, non dici... Se mi confondi così, se proprio tu mi perdi ancora di più, come posso io... Smise di fissarlo, completamente smarrita. E si rese conto, all'improvviso, che nel suo famoso labirinto erano in due ad essersi perduti, non lei sola, e che la soluzione non le sarebbe potuta arrivare da nessun altro oltre lei, men che meno da André.

André, sempre sorridendole, pentito quasi, fece scivolare le mani sulle sue braccia; il sorriso divenne più forzato mentre diceva:

-Ieri notte non riuscivo a dormire ma sono riuscito a leggere un po'. Non è bello? -

Oscar si voltò velocemente perché le veniva da piangere:

-Bello, sì. -

Lui smise di toccarla, lei si fece forza e gli sorrise:

-Dai, facciamo colazione poi usciamo! Io ho voglia di fare tante cose con te in questi giorni in cui abbiamo un po' di tempo! -

Poi, timidamente, aggiunse:

-Vuoi? -

-Sì. -

E insieme divisero il pasto.

 

 

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