Dodici giorni

 

Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

Si trovava a cavallo, quella mattina del primo luglio, e Oscar pensava che, porca vacca, la licenza era finita e lei era rimasta al punto di partenza. Anzi, peggio, quasi. Guardò André che le cavalcava a fianco. Beh, se non altro aveva preso la saggia abitudine di camminare sempre alla sua destra: per tenerlo costantemente sotto controllo, non si sa mai cosa può succedere nella vita. Lui o faceva finta di niente, o si innervosiva, o la prendeva in giro; lei però ci teneva e gli si era appiccicata come una cozza allo scoglio durante tutti quei giorni. Oh, beh, se poi gli dà fastidio che gli stia sempre addosso ha ben poco da lamentarsi: così impara cosa vuole dire avere il cane da guardia sempre tra i piedi. Ecco, impara.

La realtà era che aveva fatto fatica ad allontanarsi da lui in quei giorni, e la visite di precetto che le era toccato svolgere da parenti e conoscenti le erano risultate più intollerabili del solito. Le sembrava di aver scoperto solo in quei giorni quanto fosse piacevole la compagnia di André e quanto fosse riappacificante la sua vicinanza. Le sembrava di poter fare pace con la vita quando stava con lui; anche con suo padre le sembrava di poter fare pace; persino con se stessa... persino. Quando poi erano lontani allora tornava ad arrabbiarsi lo ugualmente, ma, insomma, era una bella sensazione comunque quella di avere André accanto. Adesso pensava con preoccupazione a come riuscire a mantenere contemporaneamente sia dei rapporti civili con lui sia un minimo di professionalità in caserma: le sembrava poco serio mettersi a svolazzargli attorno per averlo sempre sotto controllo e alla sua sinistra. Ma quello che la preoccupava, più che il contegno, era il come fare a tenere a bada i pensieri senza il sussidio dell'effetto riappacificante André. Perché in quei giorni aveva fatto una scoperta, una sola ma meglio di niente: e cioè che, quando stava con lui, ai suoi indovinelli e ai suoi labirinti non ci pensava minimamente. Al massimo pensava a trovare l'occasione per vendicarsi, ma quello era poco male e anche divertente. E invece quando non l’aveva a portata di voce, o di vista, o di mano, tornava bellamente ad impelagarsi nei suoi giochini e nei "se solo" che, tra l'altro, erano l'aspetto più noioso della vicenda. Un paio di notti, non riuscendo a dormire, aveva pensato di andare in camera sua e risolvere i suoi problemi nel seguente modo: per prima cosa, già che c'era, gli sarebbe piombata addosso assetata di vendetta, per seconda cosa gli avrebbe chiesto un parere spassionato, ossia se, secondo lui, lei lo amava, visto che sapeva sempre tutto, il sapientone. Però aveva sempre rinunciato: si vergognava.

-Oscar? - si sentì scossa per il braccio -Oscar! -

Oscar precipitò bruscamente a terra dal suo mondo iperuranico. André la guardava sghignazzando:

-Immagino che i tuoi pensieri siano molto lieti e interessanti, dalla faccia sognante che avevi. Perché non ne fai partecipe anche me? - e il tono di voce si era fatto insinuante. E avrebbe voluto aggiungere che altri due sbattimenti di ciglia e si sarebbe scatenata una tromba d'aria, ma si trattenne.

-Sentimi bene, impicciati dei fattacci tuoi. E' un mio problema questo, non tuo.-

-Non mi sembrava un problema così terribile. - facendo l'indifferente.

-Insisti? -

André le sorrise:

-Va bene, va bene, taccio. -

-Ecco, bravo, taci. -

Oscar arrivò in caserma pensando ad un modo per risolvere in fretta quella situazione.

 

E dodici giorni passarono senza che nulla con André si fosse apparentemente sbloccato. Lei si era fatta riprendere dal solito viavai di ordini, esercitazioni, verbali da leggere e controfirmare, ispezioni, pattuglie ogni tanto: si sentiva attiva e intraprendente dopo tanto tempo e aveva voglia di fare. Di momenti per pensare a indovinelli e labirinti non ne aveva più: di solito lavorava e quando non lo faceva o dormiva o mangiava, e non è che i pasti consumati nel tavolo ufficiali fossero chissà quale tempo libero per meditazioni metafisiche. Le sue "pause al sole", invece... a quelle sì che teneva, immensamente, non vi avrebbe rinunciato neanche se l'avessero chiamata per un assedio a una fortezza e non se ne lasciava sfuggire una: dalla campana delle sei a quella delle sei e mezza di pomeriggio, tutti i pomeriggi, puntualissima nell'entrata e nell'uscita. Aveva cambiato posto: invece di appoggiarsi al muro divisorio della piazza d'armi e rimanere lì a fare da tappezzeria immobile, cosa in sé piuttosto noiosa, aveva scovato, vicino agli alloggi, una specie di gradone sufficientemente largo e lungo da permetterle di sedersi e rilassarsi variamente posizionata, "svaccata" le diceva Alain, e dove, volendo, poteva anche distendersi, magari allentando la cravatta. Tra l'altro trovava stupefacente quanto poco tempo avesse impiegato a disabituarsi all'oppressione della cravatta e del seno perpetuamente stretto dalle fasce: brutta abitudine, questa, presa nel post-ballo-abito-Fersen-André-camicia-strap e che purtroppo non aveva ancora abbandonato: ma ci mancava poco, non ne poteva più. Aveva provato delle volte a pensare ad un marchingegno che lo facesse stare fermo senza stringerlo ma non le era mai venuto in mente nulla di attuabile. Chissà, in un futuro... Comunque durante quella licenza aveva smesso di portare le camicione del nonno per tirare fuori dall'armadio i vecchi completi con il gilet, con cui, insomma, quel poco che c'era non veniva cancellato dalla faccia della terra. André se ne era accorto, e lei si era accorta che lui se ne era accorto, e la cosa la faceva ridere sotto i baffi: lui, ancora, faceva di tutto per non farsi scoprire, il finto timido, ma si può? Tra l'altro le parve strana, dapprima, la sua assenza di reazione agli attentati che certi sguardi di André compivano contro la di lei presunta virilità; ma poi considerò che una vendetta deve essere preparata con cura e che non va tralasciato nessun dettaglio per la cattura dell'offensore. E poi le facevano piacere. Ogni tanto pensava che le sarebbe piaciuto riadattare le sue uniformi e farsi fare anche qualche bel completo nuovo, con bei gilet delle misura giusta, finalmente, aderenti ma non castranti, e delle giacche comode. Solo che la stoffa costava e vista la situazione finanziaria generale non era il caso di scialacquare. Però un completo nuovo se lo era fatto fare, e le piaceva molto: era blu intenso e di un bel cotone morbido. Sperava di indossarlo per un'occasione divertente, magari con un nastro nei capelli.

Il divertimento Oscar lo scoprì in quei giorni in caserma come mai avrebbe creduto potesse esistere per lei. Il divertimento da bambina, anche con André, lo ricordava totalmente diverso. In seguito ricordò quei dodici giorni come i più belli della sua vita, i più attivi, i più allegri, vivaci, sereni nonostante tutto, spensierati, infine, per le tante cose da fare e le persone da ascoltare che non le lasciavano il tempo di perdersi in chissà che labirinti ma solo quello di sorridere ad André quando lo vedeva. Con André si tenevano d'occhio più di quanto avesse sperato al ritorno e i suoi uomini la facevano morire dal ridere: stava bene, coma mai avrebbe creduto di poter stare. Il lavoro lo svolgeva con il solito rigore e la solita precisione, ma alle sei interrompeva qualunque cosa stesse facendo per precipitarsi alle sue pause al sole.

Il primo giorno, quello del ritorno, aveva bloccato André alla fine del turno e lo aveva trascinato a sedere alla sua sinistra, anche se all'inizio lui non voleva perché diceva che non gli sembrava una cosa saggia visto che li potevano vedere tutti. Lei gli aveva fatto notare che non si sarebbero certo messi a copulare selvaggiamente in pubblico e che quindi non si facesse pregare troppo perché la sua pazienza aveva un limite, lui aveva chiesto se invece potevano farlo in privato, lei iniziò ad alterarsi e così lo "convinse" a sedersi: aveva troppa voglia di vederlo e di parlargli, di constatare, se lui non le avesse detto nulla, come si era trovato a lavoro, se aveva avuto problemi, se stava bene, se ci vedeva ancora abbastanza da non farsi ammazzare in giro per Parigi e cose così. André le aveva sorriso e aveva detto che se non la smetteva avrebbe iniziato a chiamarla mamma invece che comandante, lei si era offesa e lui aveva cercato di farla sbollire; ma Oscar si era accorta che era contento di quel terzo grado tanto quanto lo era lei di riuscire finalmente a farglielo; e così avevano parlato fino alla campana della mezz'ora.

Il secondo giorno si era unito anche Alain apostrofandola con un qualche commento sullo stare al sole, il sudore, gli odori e le cipolle; lei, che si era distesa con le ginocchia piegate e lo guardava dal basso schermandosi gli occhi con la mano, lo aveva accolto col suo più caloroso: "Toh, chi si vede! Il soldato ravanello." Lui le aveva chiesto perché ravanello e non cetriolo, carota o sedano, lei aveva risposto che era per non rischiare di fargli un complimento e lui allora aveva osservato, lanciando eloquenti occhiate ad un interdetto André, che in quei giorni era notevolmente migliorata  e chiedendole anche se si fosse finalmente decisa a prendere lezioni sull'argomento ché ce n'era bisogno: un peccato sprecare certi talenti; lei rispose con il più eloquente linguaggio del corpo che conosceva facendoli gemere entrambi, rispettivamente per un energico pizzicotto e un sonoro calcio negli stinchi. Fu così che si accordarono per una tregua armata.

Il terzo giorno si era aggiunto timidamente Gerard e così di seguito molti altri, da soli o in gruppetti, come avevano voglia o secondo le possibilità dei turni. Dopo pochi giorni si era creato un gruppetto di una dozzina di fedelissimi e una cinquantina di saltuari che cercavano di non perdersi, per quanto possibile, nessun incontro nel "salotto" come lo chiamava André che, in veste ufficiosa di attendente e segretario, cicisbeo secondo Alain, teneva il conto e la prendeva apertamente in giro per quella nuova abitudine così spiccatamente femminile e aristocratica. Alain le aveva anche chiesto quando si sarebbe decisa a offrire i pasticcini e il the nelle tazze di porcellana; lei aveva sorriso.

Sorrideva sempre in quelle mezz'ore, cercando di mettersi in pari con tutti i sorrisi che non aveva mai distribuito e non distribuiva nel resto del tempo. E poi, di sorridere, non riusciva a farne a meno: aveva André sereno e rilassato, anche scherzoso a volte, alla sua sinistra, in un posto che nessuno aveva osato soffiargli, e tutti gli altri davanti a parlare, in piedi o seduti per terra; solo Alain si era arrogato il diritto di svaccarsi anche lui alla sua destra sul gradone punzecchiandola ogni volta che poteva. Ma lei si divertiva: rideva. La facevano ridere. Non parlava molto, anzi, quasi mai: il più delle volte li ascoltava e basta. Se si scatenavano delle discussioni interveniva solo per placare gli animi e durante le chiacchierate si limitava a commentare piano qualcosa con André, oltre, ovviamente, a rispondere come si conveniva ad Alain. Adorava starli a sentire: scoprì che preferiva le chiacchiere di svago alla conversazione di mestiere. Le adorava, le chiacchiere, per quella libertà che avevano di poter dire una cosa così come la si sentiva e non come i manuali di conversazione consigliavano di fare. E in quei giorni ne aveva sentite di tutti i colori, tanto da fare provvista per una decina di anni: da storie d'ordinaria miseria, come la differenza del fastidio dato dalle pulci o  dai pidocchi, ad aneddoti di scherzi riusciti, da storie di famiglia a discussioni sulle regole dei giochi di carte. Qualunque cosa dicessero Oscar lo assorbiva con la voracità di una spugna, tanto  lo stesso stare a suo agio in un "salotto" le sembrava nuovo e strano.

La volta che venne fuori la discussione su "Le donne, il loro comportamento e il loro utilizzo" credette di morire soffocata: si ritrovò, infine, tanto rise, con Alain alla sua destra che cercava di farle riprendere fiato sventolandole il cappello davanti al viso e André alla sua sinistra che le batteva sulle spalle mormorandole divertito "Coraggio, coraggio, puoi sopravvivere anche a questo", e il resto dei salottieri perplesso e imbarazzato per essersi dimenticato quel particolare. Di discorsi sulle donne e sul sesso ne aveva sentiti tanti ma nessuno così assolutamente chiaro come il mezzogiorno. Impazziva per chi chiamava le cose con il loro nome, uno dei tanti motivi per cui impazziva per André, e avrebbe dato chissà cosa per aver potuto vedere le sue espressioni la prima volta che si era ritrovato in quel genere di conversazioni. Lui era quello che, nonostante si divertisse palesemente, cercava lo stesso di darsi disperatamente un contegno ogni volta che lei e Alain iniziavano i loro battibecchi a doppio e triplo senso. Nonostante Oscar avesse qualche documentazione sulle sue competenze, non ce lo vedeva, davvero non ce lo vedeva André a parlarne con quella scioltezza. Nell'atto pratico riusciva ad immaginarlo di più; sì, decisamente lo immaginava di più e, guardandolo in faccia, rideva: André, il suo solito André, con... senza... mentre... E per la prima volta in vita sua le vennero le lacrime agli occhi dal ridere. Avrebbe voluto vederlo! Sì, avrebbe voluto vederlo; e a quel pensiero si placò, non molto però. Riuscì a riprendere fiato e si asciugò gli occhi con i polsi, davvero stava cadendo proprio in basso, rise un altro po': ma tu dimmi! Ascoltò le scuse e le battute senza rispondere a nulla: qualunque cosa avesse commentato si sarebbe ritrovata sotto il fuoco incrociato delle battute di Alain e dello sguardo allegramente onnisciente di André. Il diavolo e l'acqua santa, accidenti a quei due. Venne salvata dal suono dell'orologio e scappò via salutandoli ridendo. Quel giorno, per la prima volta, azzardò un timido "sì" di prova come risposta al suo indovinello.

Anche André parlava poco nel salotto, quasi sempre solo per rispondere ai commenti che lei gli faceva piano, ma quando lo faceva apertamente era una sorpresa per tutti, anche per Oscar. Lo vedeva che aveva ritrovato quella schiettezza gentile che aveva avuto una volta, ora, forse, più ragionata ancora, e l'antica capacità di scherzare per tornare con i piedi per terra. E i commilitoni si stupivano appunto di questo. Oscar in quei giorni si accorse davvero di quanto solo era stato André in tutto quel tempo e del regresso a cui le circostanze lo avevano portato. In effetti lei non lo aveva mai visto parlare con gli altri soldati, a parte Alain, ed era da tanto che non lo vedeva sorridere così disteso. Si sentiva in colpa, spesso, ma lo vedeva rifiorire pian piano e sperava che questo, almeno questo, fosse colpa sua. Le piaceva quell'André gentile e gioviale e che non aveva paura di sorriderle. Paura che, dalla sera del fattaccio, si era fatta sempre più serpeggiante e lei se ne stava accorgendo solo ora che stava passando.

Poi, qualche giorno prima, si erano incontrati in armeria per questioni di servizio e, tra una cosa e l'altra, erano rimasti soli per alcuni minuti. Si erano sorrisi un attimo e lui, contentissimo, le aveva detto a bruciapelo: "Sai cosa mi hanno detto gli altri? Che non sono proprio quel gran leccaculo fighetto che credevano prima". Lei aveva obiettato piccata che non le sembrava poi un'osservazione di cui andare fieri e lui le aveva spiegato che invece sì, andava bene, perché era vero ed era contento che l'avessero capito. Poi aveva detto piano: "Prima ero solo triste", ma l'aveva detto mentre faceva delle cose, come se non fosse importante. Lei aveva interrotto quello che stava facendo e gli aveva chiesto "Lo sei ancora?" ripetendo in cuor suo come una litania: "Fa’ che dica di no fa’ che dica di no fa’ che dica di no". E lui disse che sì, si poteva migliorare ma per adesso non si lamentava. E lei aveva riso del tono adescatore che aveva usato, prendendolo poi in giro perché questa volta la risposta l'aveva davvero delusa: così poco culturale, poco letteraria, non certamente al livello delle sue eccellentissime letture notturne che aveva avuto modo di citare così a proposito, così chiare e chiarificatrici, degne di cotanto cervello sempre attento, sensibile, raffinato, dal pensiero potente e profondo, dalla memoria proverbiale... Lui ridendo l'aveva interrotta: "Hai finito di prendere in giro o credi di poter andare avanti ancora per molto?" Ed erano andati avanti così. Era sempre più bello parlare con lui.

Non a tutti piaceva, però. Non a tutti piaceva quella nuova promiscuità del Comandante con i soldati, e la disapprovazione cresceva col crescere del grado. Oscar l'aveva notata un po' già prima della licenza ma proprio quel giorno era avvenuta la prima pubblica manifestazione di biasimo davanti al salotto riunito da un quarto d'ora. Solo sguardi sprezzanti di un gruppo di ufficiali di passaggio, nulla di eclatante, ma i soldati se ne erano risentiti e avevano iniziato subito a rumoreggiare. Oscar li aveva ascoltati tanto stupita quanto in ansia. A quel risvolto delle sue pause non aveva mai pensato realmente e in più non riusciva a capire il motivo di tanta reciproca gelosia: non le sembrava di togliere niente a nessuno, né in termini di efficienza né di attenzione. Evidentemente non bastava. In più c'era la spiacevole sensazione di sentirsi in mezzo, tirata dai due lati, lei che invece avrebbe dovuto occuparsi di tutti dall'alto. Ma che razza di mondo se... Venne riscossa dai suoi pensieri dalla richiesta di esprimere un parere sull'accaduto. Ebbe attimi di panico. Vide la spontaneità che aveva scoperto in quei dodici giorni svanire per sempre, lì nel salotto, e le disse irrimediabilmente addio. Era il capo, non c'era niente da fare. Però... Sentì, inaspettata, la voce di André che diceva in tono lieve:

-Adesso vi racconto una storia. -

Cosa?! E, senza aspettare commenti, André si mise a raccontare che una volta, tanto tempo fa, la nobiltà e il re non andavano così d'accordo come adesso perché i nobili vedevano il potere del re così vicino e a buon mercato che lo volevano a tutti i costi. Anche la borghesia voleva il potere dei nobili e voleva portarglielo via. E così, per motivi diversi, il re e i suoi sudditi erano alleati naturali contro i nobili, perché chi sta in mezzo è sempre odiato. Poi, per ben due volte, i nobili provarono a cacciare il re e una volta ci riuscirono anche a mandarlo via dalla capitale dove allora viveva. Chi ha un po' di potere ne vuole sempre di più. Poi il re aveva fatto una gran furbata, aveva fatto con i nobili come con i cagnolini: li aveva richiusi in un bel posto e li aveva addestrati ad obbedire in cambio di ossa e biscotti affinché non gli rompessero più le scatole. Solo che poi si era dimenticato della sua vecchia alleanza ma questa era un'altra storia.[i]

-Ve l'ho raccontata tanto per cambiare argomento, è roba tanto vecchia... - concluse distrattamente.

Brutta gatta morta, aveva pensato Oscar, odiandolo per un attimo nel silenzio imbarazzato che si era creato. Poi, sempre in quel silenzio gli aveva detto, ad alta voce, guardandogli per bene il profilo impassibile:

-Bugiardo. Bugiardo e lo sai. -

Lui non aveva fatto in tempo a ricambiarle lo sguardo che la campana della mezz'ora era suonata. Oscar corse via pensando che non andava bene, non andava bene per niente; non andava bene neanche che Alain la rincorresse per chiederle se stasera voleva uscire con loro, visto che sarebbero cambiati i turni e quindi non si sarebbero più visti per un po' nel salotto; e andava pessimamente che lei gli avesse risposto sorridendo sì volentieri mi piacerebbe ne sarei contenta, sbirciando con la coda dell'occhio il suo André e razionalizzando tanto inaspettatamente quanto fastidiosamente "o stasera o mai più".

 

Appunto, o stasera o mai più, pensava maledicendosi di non riuscire a pensare ad altro che a quello, solo a quello, accidenti a te André, alla faccia di tutte le Fronde dell'universo mondo, anche se alle Fronde sarebbe stato salutare pensarci invece che pensare a lui, sempre lui, e che anzi, più pensava a lui più sarebbe stato salutare pensare alle Fronde dell'universo mondo e non capiva più niente le girava quasi la testa. Si sentiva contorta, stupida e contorta, terribilmente agitata, incapace di capire, incapace di calmarsi. Chissà se per qualcun altro era più semplice o era solo lei l’imbecille che doveva sempre complicare tutto. Più tardi, dopo che si era già preparata per uscire, chiusa nel suo studio per gli ultimi ritocchi, si chiese cosa implicasse il noi di Alain e chi ci sarebbe stato a quella serata: noi... chi? Si sentiva sempre più agitata cercando di specchiarsi col completo nuovo sulla vetrinetta dei liquori. Se succede qualcosa, chi sta in mezzo è sempre odiato, André? E' vero André? Cazzo se è vero. Lo vedeva tutti i giorni. Si specchiava intanto come poteva: le sembrava che quella sera nessuno avrebbe potuto scambiarla per un uomo con quel taglio per il gilet. Si sentiva persino carina nelle sue forme piccole ma regolari. Si vede, accidenti se si vede stasera che sono una donna con i pantaloni! Sfido chiunque a scambiarmi per un uomo, stasera. Ridicola che sono, ridicola, rideva poi sarcastica. Se stasera avesse davvero attuato la sua vendetta avrebbe lasciato una parte solida  e certa per scivolare bellamente in un traballante mezzo. Bell'affare. Si sentiva stupida per non aver afferrato chiaramente i termini del problema fino a quella sera. Passo tutto il tuo tempo a pensare a indovinelli e labirinti e questo è il risultato. Brava, brava Oscar! Come se certe cose non le sapessi da sempre. Le sapevo, non le sentivo, però. Stupida! Stupida a fare una patetica ginnastica per controllare i capelli su un quadrato di vetro di trenta centimetri di lato e stupida per non aver mai davvero capito cosa voleva davvero dire vivere con André, anche se con lui vivo da una vita. Ma ne vale la pena? Ne vale la pena? La domanda più complessa, la risposta più semplice.

André, ti prego, guardami. Guardami quando scenderò vestita così, ché non porto nulla di nuovo in fondo, ma sono nuova io. E io lo so, spero, che te ne accorgerai, perché un abito lungo sarebbe stato più vistoso ma non la stessa cosa. E forse il tuo sguardo mi spiegherà perché mi sento una persona irrimediabilmente diversa ma sempre uguale a me stessa, ché, mio Dio, davvero non capisco come ciò sia possibile. Non capisco. E se tu non potessi già più guardarmi allora metti le tue mani sul mio corpo e riconoscimi per quella che sono, perché senza di te, io, ancora, non lo so.

E un colpo di tosse le uscì improvviso.

 

 

-Ci mette molto, di solito, a prepararsi? -

-No, di solito no. -

-Ah. -

 

-E come mai allora stasera la fa così lunga? -

-Non lo so. -

-Ma tu non eri quello che sapeva sempre tutto del Comandante? -

-... -

-Capisco. -

 

-E come mai tu invece sei così impaziente? -

-E tu come mai sempre così calmo? -

-... -

-... -

-Carattere, credo. -

-Probabile. -

 

-Sai? Mia sorella si sposa. -

-Che bello! Congratulazioni! -

-... -

-Non sei contento? -

-Non lo so. -

-Perché? -

-Boh. -

 

-Quando si sposa tua sorella? -

-Alla prossima licenza. -

-Presto, quindi. -

-Già. -

-Ma che hai? -

-Niente. -

-Se lo dici tu... -

 

-Secondo te perché una donna decide di sposarsi? -

-E' una strana domanda. -

-Avanti, rispondi. Sembreresti essere l'esperto. -

-Non sono esperto, non mi sono mai sposato. -

-Ma ti piacerebbe. -

-Ma non sono sposato. -

-Solo perché non hai la fede al dito non vuol dire che non sei sposato. Tu sei sposato in testa. -

-...? -

-Non mi credi? -

-... -

-Bah! Fai come ti pare. -

 

-Forse perché è innamorata. -

-Chi? -

-Una donna. -

-Quale? -

-Una donna che decide di sposarsi. Non mi avevi chiesto perché una donna si sposa? -

-Dici? -

-Boh? Può essere una motivazione. Non ti convince? -

-Altre? -

-Non so, perché vuole scappare di casa, perché vuole fare la bella vita col marito ricco, perché vuole avere una casa da comandare, perché è incinta, perché gliel'hanno imposto, perché altrimenti non saprebbe che altro fare. Cose così, credo. -

-Ah. -

 

-E tua sorella, perché si sposa? -

-... -

-Scusa, sono stato indiscreto. -

-No. -

-Mmm -

 

-E quindi? -

-Quindi cosa? -

-Stai tutto in silenzio... -

-Penso. -

-Addirittura! -

-La battuta è vecchia e non fa ridere. -

-Dai, cercavo di smuoverti un po'! -

-... -

-Ti preoccupa tua sorella? -

-Non lo so. -

-... -

 

-Non capisco. -

-Cosa non capisci? -

-Perché la gente si innamora, si sposa, fa dei figli. Per qual ragione fa cose così, insomma. Cosa capita nella testa di uno o di una quando pensano "va’ là, non ho niente di meglio da fare e adesso quasi quasi mi sposo". Cioè, è strano, se ci pensi. -

-Non lo so. E' la cosa più normale del mondo secondo me. -

-Lo so che per te è normale, per questo lo chiedo proprio a te. -

-... -

 

-Non rispondi? Allora? -

-Non so che dire. Non lo so. Per me è normale: come ritrovarsi da bambini a adulti. Succede. Non c'è un perché. O magari ce ne sono troppi. Succede e basta. Credo. -

-Capito. -

 

-A te non è mai successo? -

-Boh, non credo. -

-Come mai? -

-Non lo so. Se davvero è come dici tu non è successo e basta. -

 

-Non ti piacerebbe? -

-Cosa? -

-Che succedesse. -

-Non c'ho mai pensato più di tanto. -

-... -

 

-Neanche con Oscar c'hai mai pensato? -

-Senti un po', hai voglia di fare lo stronzo stasera? -

-No, per sapere. E' l'unica donna per cui ti ho visto un po' preso. -

-E tu che ne sai? -

-Nulla, è vero. -

 

-Il fatto è che non mi piace perdere il mio tempo dietro a una che non mi si caga di striscio. Certe cose le lascio a te. -

-... -

-Non mi piace perdere tempo ed energie per niente, tutto qui. -

-Ah. -

 

-Scusa, ti ho offeso. -

-No, hai ragione. -

-Ho ragione?! Ma ti rendi conto di quello che dici? Mandi a puttane tutta la tua vita se mi dai ragione. -

-Sì. -

-Sì?! -

-Però... -

-Però cosa? -

-Non lo so. La amo. Basta. -

-E allora tientela stretta: quante storie! Non vedo il problema: tu non sei me.-

-Già. -

 

-Eccola, va’! Però! In borghese stasera la madamigella! Mica male! Hai visto? -

-Sì. -

-... -

-... -

-Quando c'è qualcosa che ti interessa ci vedi sempre benissimo, vero? -

-... -

-... -

-Hai detto qualcosa, scusa? -

-Sì, sì, ho capito "vergine dell'annunciazione": hai visto l'angelo della lieta novella. -

-…?? -

-Ma cosa fai ancora imbambolato lì? Valle incontro almeno! -

-Eh? -

-Ma devo sempre spiegarti tutto benedett'uomo? Vai! Vai da lei! Sbrigati! Che ci fai ancora qui? Vai! -

 

Mail to brumilde@libero.it

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage

[i] Opinioni discutibili ma concedete al buon Grandier di lasciarsi andare al comune difetto di interpretare la storia secondo il proprio tornaconto.