Casa I

- (credevate di liberarvi di Notturno...) -

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Agli anni che passano

 

-Sei dolce, lo sai? -

-Mmmh... -

-Non sei convinta? - Dalla finestra vedeva le sagome dei rami degli alberi su un muro gialliccio.

-Non tanto. -

-E cosa c'è che non ti convince? - Sorrideva, con quel sorriso che si usa rivolgere ai bambini quando si fa finta di aspettarsi da loro delle improvvise, ovvie, rivelazioni. Quell'arrovellarsi non era in fondo così nuovo.

-Mmmm... -

-Certo, capisco perfettamente il tuo discorso. - Si meritò un pizzicotto all'altezza delle costole, ma non tanto energico da farlo desistere. Forse l'argomento era più interessante del previsto, benché fosse iniziato in modo banale. Curioso come alle volte...

Rimasero ancora un po' in silenzio. Si stava quasi riaddormentando nella quiete calda di letto di quella domenica pomeriggio. Erano così rare le domeniche insieme! Gli lasciavano il sapore del rimpianto di un dolce fuori stagione. Scialacquare il tempo non era un lusso che si potessero concedere senza pagarlo con gli interessi. No, per niente. E le lenzuola erano protettive e invitanti mentre fuori il pomeriggio fuggiva con una luce dorata. Il sonno del giusto, pensò. Cercò di muovere la spalla indolenzita dal peso della testa di lei.

-Secondo te sono cattiva? -

Sonno d'amore che richiede il pagamento. Nulla è più gratis in questo mondo. E si fa fatica a riconoscere le cose davvero preziose nella confusione del dover sopravvivere.

 

Quanto tempo era passato da quando abitavano assieme? Quanto dal giorno in cui avevano iniziato a condividere, anche se di rado, le azioni del vivere insieme, oltre che i pensieri e il corpo? Qualche mese; neanche un anno. Ed era di nuovo primavera. Tempo rubato alle relazioni sociali, ai doveri filiali, tempo di sotterfugi, invenzioni e bugie, neanche tanto irreali, sul lavoro che si fa sempre più difficile, la crisi economica, il tempo che non basta mai. Ma erano ancora insieme, e già questo si poteva considerare una fortuna. Una tra le tante, in fondo. E, non si sa come, era lei che gli ricordava più spesso quanto erano fortunati nonostante tutto.

 

La casa era stata presa in affitto a nome di lui, con la scusa, per il mondo e la famiglia, che non se la sentiva più di abitare in casa d'altri senza lavorare lì o pagare un affitto. E poi, aveva detto, affitto per cosa, se riusciva a tornare a palazzo sì e no un paio di giorni in un mese? Alla sua età, era ora che si slegasse dai ricordi d'infanzia. In privato aveva detto alla nonna che, magari, andando a stare da solo, sarebbe anche riuscito a trovarsi una moglie. Ne avevano riso, una volta rimasti da soli. Era stata una cosa molto divertente in fondo. La più grossa marachella della loro lunga e collaudata carriera. Lei aveva di volta in volta problemi variabili che le impedivano di tornare a casa, risse, rivolte, difficoltà d'approvvigionamento, ritardi vari ed eventuali, plichi di scartoffie da firmare all'ultimo minuto, malattie, pestilenze, invasioni di cavallette, di rane, acqua che si tramuta in sangue, pioggia di fuoco e quant'altro. André le diceva di procurarsi del sangue d'agnello per il giorno che avrebbe chiamato l'angelo della morte in suo soccorso, visto che lui era primogenito. Se la ridevano. Ma, scherzi a parte, col tempo a palazzo si erano quasi abituati a vederla rientrare a intervalli sempre più distanziati e irregolari. Ormai non le chiedevano praticamente più nessuna spiegazione: si erano rassegnati, evidentemente. Oppure l'orgoglio per la fama di indefessa dedizione al proprio ruolo era più importante che rivedere la propria prole ogni tanto. O forse era semplice indifferenza. Con l'arrivo dell'inverno, della neve e delle gelate, poi, le strade erano così maledettamente insicure da rendere preferibile rintanarsi in caserma, piuttosto che tra le mura della casa paterna. E così la chiamata dell'angelo della morte era stata rinviata a data da destinarsi. Nel frattempo erano ancora insieme. Ed era già tanto.

A lavoro la discrezione era più difficile: nascondere la confidenza tra due persone ad un'intera caserma non era impresa da poco, specie se una delle due era il comandante. Ed era ancora più difficile nascondere il fatto che, finito di lavorare, entrambi lasciavano lì i cavalli e andavano nella stessa direzione. Stavano sempre attenti a non fare la strada insieme, e non era neanche difficile, visti i loro orari inconciliabili, ma come far tacere nella testa di cinquecento persone la domanda su dove va il comandante quando non dorme in caserma e non torna a casa sua? Inspiegabilmente per Oscar, e con sua somma sorpresa, avevano avuto l'appoggio incondizionato degli strati bassi della caserma, che avevano finito per farsi rispettosamente i cavoli loro e minacciare d'insubordinazione qualunque ufficiale avesse violato la regola del silenzio. Quei pochissimi soldati che ancora non potevano sopportare il comandante donna o l'immoralità di una simile situazione erano messi a tacere o dalla maggioranza o dai pugni di Alain. L'ultima opzione due volte soltanto, pensava Oscar, e tutte e due per malignità contro André: ancora il suo nome non era stato fatto, ma per quanto sarebbe durato? Spesso Oscar si chiedeva se questo tacito consenso fosse davvero un bene o non piuttosto una miccia accesa più lunga delle altre. Ma, d'altra parte, per il momento le faceva comodo e le permetteva di rimandare molti problemi. Poi pensava che non l'avevano richiesto ne' lei ne' André, ma che era stato loro offerto spontaneamente: e così concludeva che era una fortuna anche quella. La segretezza era sostanzialmente mantenuta: André ufficialmente viveva da solo e non aveva detto a nessuno il suo indirizzo, neanche ad Alain finché, spaventatissimi, non l'avevano tenuto in casa qualche giorno dopo la morte della sorella e della madre. Tutti i commilitoni però sapevano benissimo che André aveva smesso in via definitiva di fare il domestico e sotto sotto ne erano anche fieri.

La ricerca della casa era stata una lotta lunga e snervante, tra loro due, ma era finita a pari e patta. Oscar aveva posto due condizioni: che fosse sulla rive gauche, perché voleva finalmente abitare in un posto vivace, con gli studenti, il latino per le strade, la Sorbona, i giovani, i luoghi di ritrovo, i dibattiti, i negozi, le botteghe, tanta gente strana e diversa in giro, vedrai passeremo di sicuro inosservati, tra tanto casino non noteranno un ufficiale gentildonna che abita con un soldato semplice, garantito; e che fosse una mansarda perché trovava le mansarde molto pittoresche. Anche André aveva posto due condizioni: che non fosse sulla rive gauche e che non fosse una mansarda, primo perché a lui piacevano la tranquillità, la pace e il decoro quando tornava a casa dopo lo schifo della caserma e delle strade, secondo perché le mansarde erano strette, buie, sporche, puzzolenti, tanto affollate da far sembrare di abitare in strada, tutti sapevano tutto di tutti, non valevano mai il prezzo dell'affitto, e in più, come se non bastasse, c'erano i "bagni" in comune per tutto il piano: nessuno di noi due sarebbe in grado di reggere una situazione simile, vogliamo fare tanto i ribelli ma non dimentichiamoci che in fondo siamo sempre dei signorini venuti su dalla nobiltà. Oscar però aveva ceduto solo quando, in uno dei suoi periodici viaggi di lavoro a Versailles, era venuta a sapere che l'ultima moda fra le gran dame era quella di incontrare i loro amanti di seconda scelta in qualche mansarda di Parigi, dimora degli stessi. "Se proprio devo dare scandalo, voglio almeno farlo con originalità. E che non si dica mai in giro che il mio André è un amante di seconda scelta!", aveva pensato, e così si erano accomodati in un decoroso, piccolo e anonimo appartamento in rue Saint Jacques, al primo piano e sulla rive gauche. Avevano iniziato ad occuparlo più o meno stabilmente, in novembre, e vi avevano passato il più bel capodanno della loro vita: loro due, insieme, con l'unico limite dell'evitare rumori molesti per non attirare tutta l'attenzione dei vicini sulle loro attività. Praticamente erano stati tutto il tempo sotto le coperte e si erano divertiti molto. Lui le aveva detto che sarebbe stato bello se si fossero potuti sposare per davvero, lei aveva annuito, e avevano deciso di chiudere questo sogno in un cassetto e buttare la chiave, per evitare la tentazione di chiuderlo nei momenti di depressione. Si volevano bene, stavano bene insieme e riuscivano a starci nonostante tutto, ed era bellissimo. Oscar si dava della pazza quando, pensando razionalmente alla sua vita di adesso, si sentiva ugualmente fortunata. Non c'era una ragione logica: l'unica cosa logica erano le sue paure e il suo amore per André, niente altro. Però pensava anche che, se non aveva motivi particolari per rallegrarsi, non aveva neanche motivi impellenti per disperarsi: e che, dunque, continuava ad essere lo stesso molto fortunata. Con i tempi che corrono, poi... Non erano ancora stati scoperti, erano vivi, André ancora ci vedeva per non si sa quale intercessione divina e nonostante il suo categorico rifiuto di curarsi, avevano un lavoro, insieme, e, tra tutti e due, riuscivano a pagare l'affitto, a comprare del cibo decente e del pane bianco, quando c'era, della legna per scaldarsi e cucinare, quando riusciva ad arrivare a Parigi, a pagare una donna che lavasse loro i vestiti che non riuscivano a far lavare in caserma, e, in occasioni allegre, si erano presi anche qualche libro e un po' di spartiti per passare le serate fuori dal letto, e a fine mese un poco avanzava. André andava periodicamente in crisi quando pensava che, se non ci fosse stato lo stipendio di Oscar, ancora ostinatamente da capitano ma sempre buono, avrebbero fatto fatica a mantenersi in una mansarda. Lei allora lo prendeva da parte e lo coccolava, e gli diceva che non era mica colpa di nessuno se erano nati come erano nati ed erano cresciuti come erano cresciuti. Ma lui un giorno le aveva chiesto chiaramente:

-E se un giorno, per un motivo qualunque, nostro o dell'universo creato, tu non potessi più fare il soldato? -

-Bella domanda!- aveva risposto lei, e aveva concluso invitando al risparmio e a rimandare il problema al momento in cui si fosse realmente presentato. Ma era sicura che lui avrebbe continuato imperterrito a rimuginare la cosa.

I mobili erano tutti di seconda mano, chiaramente, e li aveva recuperati André vattelappesca da quali conoscenze nei più disparati rami dell'artigianato parigino, con un considerevole, e indubbio, apporto alle operazioni di Alain o chi per lui, visto che all'interno di uno sportello della credenza c'era incisa, con caratteri piccoli ma chiari, la frase "Donna schiava lavora e chiava", seguita da un "Ciao comandante!" delle dimensioni di un manifesto. Ovviamente André non se ne era accorto e Oscar si era ben guardata dal fargli passare la mano sopra un tale bassorilievo di nessun valore artistico. Gli unici lussi di casa loro, se si escludeva il fatto che erano al primo piano, erano: il materasso di lana, la spinetta usata di Oscar, che André aveva recuperato per lei chissà dove e che non era un pianoforte ma meglio che un pugno in un occhio, e la chitarra nuova che Oscar aveva regalato a lui quando, scornatissima, aveva ricevuto l'inaspettata rivelazione che lui avrebbe voluto da sempre poter suonare la chitarra, ma che "illo tempore non gliel'aveva mai detto per non essere preso in giro e poi se ne era fatto una ragione, tanto non aveva i soldi per prendersene una". Lei era scattata: ma allora! Ma eravamo comunque amici! Ma perché mi nascondi le cose! Ma perché ti tieni i segreti! Tu e la tua brutta abitudine di non rivelarti quando è il momento! Guarda fin dove ci ha quasi portati! Se mi dicevi subito certe cose ci saremmo risparmiati un sacco di casini! Per chi mi hai preso! Non credere di mantenere il vizio di non dire le cose che ti stanno a cuore se no ti pianto!

-Va bene, però ammetti che a dodici anni mi avresti preso in giro perché è una roba da femminucce romantiche? -

-Beh, sì, abbastanza: è una roba da femminucce romantiche anche adesso, ma che c'entra? -

-Ecco! Lo vedi come mi smorzi gli entusiasmi? -

Lei gli aveva dimostrato sperimentalmente che non gli smorzava proprio niente, anzi, e il giorno dopo si era presa due ore di libera uscita per cercargli una chitarra e un manuale con le intavolature degli ultimi successi, in modo da soddisfare al meglio la sua vocazione musicale dell'ultimo minuto. La prima volta che aveva avuto in mano la tanto desiderata chitarra si era andato a rintanare, emozionatissimo, nello studio-camera-in-più-ripostiglio dove erano ammassate robe di diversa provenienza e diverso utilizzo, compresi i libri, le armi e la spinetta; lei si era messa a ridere: le aveva fatto tanta tenerezza e così, pian piano, lo aveva convinto ad uscire allo scoperto.

Adesso, quando lei era costretta a portarsi a casa del lavoro da fare alla sera, lui le faceva il sottofondo musicale e la teneva sveglia. Delle volte, quando capitava di finire il turno dopo di lui, lo trovava ad esercitarsi. Era sorprendentemente bravo e veloce ad imparare (per non aver mai preso in mano una chitarra prima dei trentaquattro anni, ovvio), suonava rigorosamente ad orecchio, perché tanto del libro era riuscito a leggere solo la parte introduttiva poi si era arreso, e ci metteva una passione che Oscar riconosceva bene e un po' la ingelosiva. Una volta aveva interrotto quello che stava facendo per chiedergli se preferiva abbracciare lei o la chitarra, e se faceva lo stesso effetto. Lui aveva smesso di suonare, l'aveva guardata, e le aveva detto:

-Non essere sciocca! - e aveva ricominciato a suonare abbracciando la chitarra. Lei gli sarebbe semplicemente saltata addosso, anche se quella sera era il suo turno per lavare i piatti e dopo aveva una montagna di carte da firmare che il colonnello Labord le aveva lasciato sulla scrivania senza permetterle di rinviare. Per fortuna André aveva imparato a falsificare la sua firma, quel ladruncolo! Gli avrebbe chiesto di lasciar stare la chitarra e di aiutarla, piuttosto.

In casa aveva scoperto di essere una frana: non era così facile badare a rimettere in ordine, per piacere e necessità, tenere la roba pulita, procurarsi il cibo e cucinarlo. Soprattutto non era così facile come si era sempre immaginata: le avevano fatto credere che fossero attività inferiori per gente inferiore come le donne, ma quando si era trovata con la necessità di imparare a cucinare, con l'unica alternativa di mangiare pane e formaggio a vita, le aveva rivalutate. Con tutto il tempo e l'abilità che richiedevano ora capiva che c'era un motivo se metà del genere umano doveva essere impiegato in quelle faccende d'importanza vitale. Ogni tanto aveva l'impressione di essere vissuta in un mondo a parte. Ma, per questo aspetto, lo sapeva già di essere stata più fortunata della media delle persone. Aiutando André tutte le volte aveva imparato tanto ma, se lui si faceva un problema per chi riportava i soldi a casa, lei se ne faceva uno identico su chi invece la teneva, la casa. D'accordo, non l'aveva mai fatto, nessuno le aveva mai chiesto nulla, neanche André aveva mai preteso nulla che fosse al di là di quello che sapeva fare, ma era un suo punto d'onore e la condizione minima per un'esistenza indipendente ed economica. Per la lavanderia, che Oscar scoprì essere una faccenda oltremodo noiosa, lunga e complessa, per non dire di come rovinava le ossa delle lavandaie, avevano preferito pagare una donna. I suoi primi banali esercizi di stiratura, fazzoletti, tovaglie e biancheria, erano stati al limite dell'incendio e con cenere e braci diffuse intorno. Riordinare era facile e le veniva naturale. Per tutto il resto dipendeva da André e dalle sue indicazioni. Cucinare alla fine era la cosa più appagante ma richiedeva un sacco di tempo: già accendere il fuoco e fargli fare la brace non era così immediato, poi c'era da andare a prendere l'acqua dal pozzo e buona grazia che ce ne fosse uno in comune nel cortile del palazzo, così da non dover pagare un acquaiolo che portasse su quella putrida della Senna. Anche preparare le cose più semplici, che poi erano le uniche che sapeva fare, portava via tanto tempo, e, d'altronde, se avessero mangiato sempre delle bistecche, avrebbero fatto bancarotta prima ancora di digerirle, per non parlare della frutta; tutto il resto, formaggio escluso, doveva essere preparato, e così arrivavano al piatto che avrebbero mangiato anche quello, specie lei che era abituata ad averlo pieno non appena si sedeva. Oscar all'inizio aveva proposto dei turni, ma, per fortuna, quando erano in casa assieme, André l'aiutava tutte le volte che ne aveva bisogno, ossia quasi sempre, e lei aiutava lui, cercando di imparare e invidiandolo perché riusciva ad essere indipendente e lei no. André un giorno, durante una delle sue crisi d'arrovellamento per la questione della sussistenza, aveva scherzato:

-Ma pensa come ci siamo accoppiati con equilibrio! -

E lei aveva riso: sì, in fondo era una fortuna anche quella. Poco male, nessuno è perfetto, si era detta continuando i suoi esperimenti di stiratura e giungendo alla conclusione che stirare lenzuola, calzini, asciugamani e biancheria intima era una perdita di tempo e se André voleva le mutande stirate se le stirava da solo, visto che era pure più bravo di lei, accidenti. Ma tanto anche André giungeva alla sua stessa conclusione quando era il suo turno di stirare, e così vivevano sereni salvaguardando sia il decoro andreiano che i loro interessi. Anzi, in un pomeriggio di licenza che erano riusciti ad avere insieme, André aveva decretato che un'eccessiva pignoleria in certe questioni era tempo sottratto ad altre attività che rendevano migliore il genere umano, e così l'aveva trascinata sull'ultimo letto che avrebbero avuto con le lenzuola stirate da quel momento in poi. Poco male, davvero.

La spesa ormai la faceva per loro la vicina di pianerottolo nonché padrona di casa, Madame Claire. Oscar vedeva tutti i giorni le file lunghissime e sempre più esasperate per il pane; ore e ore con i piedi nella neve e nella pioggia d'inverno, e con la testa sotto il sole d'estate. E spesso con la fame nello stomaco e bambini piagnucolosi e laceri attaccati alle sottane. Per poi arrivare davanti al fornaio e sentirsi dire, se andava bene, che c'era rimasto solo del pane bigio di due giorni prima al prezzo del pane fresco e che comunque costava la metà di quello che si era guadagnato quel giorno. Poco importava, in quell'inverno terribilmente rigido che stentava a passare, che uno avesse o no i soldi per pagarsi del pane migliore: tanto non ce n'era, e i rifornimenti erano arrivati sempre più lentamente della fame. Oscar ormai lo aveva imparato a sue spese, anche se era tra i fortunati che potevano permettersi tranquillamente anche più del necessario. E la carità, che nei mesi più freddi era arrivata da chi di cibo ne aveva in abbondanza, non aveva di certo accorciato le file o sgonfiato le pance di molti bambini. Claire diceva che l'elemosina serviva soltanto a placare le coscienze di chi la faceva e non a risolvere i problemi. Oscar pensava che avesse ragione ma anche per questo continuava a farla, quando usciva di casa in borghese.

André le aveva intimato di non azzardarsi mai, in nessun caso, ad andare a comprare il pane o, peggio, la carne: era già pericoloso farlo da comune cittadino, ma per il riconoscibilissimo comandante della Guardia, anche se in borghese, che si diceva fosse anche una femmina travestita e per di più nobile, poteva anche essere mortale, se alla gente quel giorno girava male: e si dà il caso che alla gente girasse sempre peggio ogni giorno che passava. E lei, anche se apertamente lo prendeva in giro, se ne rendeva conto benissimo: avrebbe preso personalmente a pugni almeno una dozzina di persone di sua conoscenza a Versailles, quando non riusciva mai a far quadrare i conti per l'approvvigionamento della caserma e per quella settimana di fine gennaio in cui, a casa, avevano mangiato solo cipolle, fagioli ammuffiti e croste di pane perché c'era talmente tanta neve che a Parigi non si riusciva a trovare nient'altro, e, anche se si fosse trovato, non ci sarebbe stata legna a sufficienza per cucinarlo perché le "autorità" preposte non erano riuscite a farla arrivare fin lì a causa della Senna ghiacciata. Oscar non si stupiva più della rabbia che vedeva in giro: la capiva, anzi, perché era arrabbiata anche lei. Non credeva al complotto aristocratico, no, quello no, però...

Madame Claire l'avevano conosciuta davvero per via della chitarra di André. Di lei si diceva che fosse una specie di veggente, che conoscesse il passato e vedesse il futuro, che richiamasse gli spiriti e vivesse con loro; Oscar non ci aveva mai creduto, André era scettico ma curioso. Comunque affittava gli appartamenti del suo palazzo a un prezzo ragionevole, e all'inizio a loro era bastato questo. In più non aveva mai fatto domande sull'abbigliamento di Oscar, sul loro stato civile, oppure sui loro strani andirivieni ad orari ancora più strani; si salutavano gentilmente sorridendo, senza mai fermarsi a parlare oltre che del tempo: un lusso in più in quella città in cui nessuno si faceva gli affari suoi. Poi una sera Claire aveva sentito la chitarra di André e aveva bussato alla porta chiedendo il permesso di ascoltare. L'avevano fatta accomodare, un po' imbarazzati tutti e due. André era anche diventato rosso: la sua vocazione musicale dell'ultimo momento (come diceva Oscar, che ancora non si capacitava di queste improvvise abilità al limite della folgorazione sulla via di Damasco) gli aveva anche fatto scrivere una canzone che parlava di puttane, di Dio e di quanto va male il mondo bisognerebbe rifarlo tutto da capo perché così è una merda. Giusto quella sera le stava facendo sentire la versione finale. Claire aveva ascoltato e poi aveva detto sorridendo:

-Sapete, voi mi ricordate mia figlia e mio genero, che adesso sono emigrati nelle nostre vecchie colonie in America. Anche loro sono cresciuti insieme, anche lui all'inizio era il servitore di lei, e anche lui ha perso qualcosa per la loro storia e suona canzoni sul mondo che dovrebbe essere rifatto. Solo che lui ha perso le prime tre dita della mano sinistra e non canta di puttane ma di galline che si ribellano alle volpi. - E si era messa a ridere.

Quella sfilza di "anche" aveva gettato Oscar nel panico e André nello sconcerto, ma Claire aveva fatto finta di nulla e aveva iniziato a raccontare di sua figlia e di suo genero, e di come suo marito, che era un membro del parlamento di Parigi, si fosse opposto alla cosa e di tutto quello che ne era derivato. Adesso della figlia a Claire restava soltanto la nipote Isabeau, un peperino di ragazza che faceva la spola tra il nonno e la nonna, suonava il violoncello a gambe larghe nonostante le gonne ed era invischiata con uno di quei ragazzotti dell'università tanto giovani e tanto arrabbiati. Cose che capitano, aveva detto. Con il tempo erano entrati abbastanza in confidenza, e spesso Claire andava a tenere compagnia a quello dei due che in quel turno si trovava in casa da solo. Forse si sentiva sola anche Claire, nonostante i suoi (presunti) spiriti, i vicini affittuari e la nipote di vent'anni. Come poi avesse saputo della loro reale situazione nessuno dei due si era azzardato a chiedere: ognuno ha diritto ai suoi misteri.

Non avevano fraternizzato con nessuno degli altri condomini, sebbene i rapporti fossero ancora cortesi. Strano, visto che nelle case di Parigi tutti si sentivano in possesso del diritto di condividere. Secondo André era madame Claire che li teneva al riparo dalle indiscrezioni con il suo indiscusso potere di padrona di casa. In ogni caso erano costretti a vivere appartati dal resto del palazzo e del mondo, primo perché comunque l'appartamento lo occupavano nei ritagli di tempo, secondo perché sarebbe stato troppo pericoloso fare delle nuove conoscenze. Oscar dava nell'occhio per molte ragioni anche se lei cercava di mimetizzarsi il più possibile. A meno che non fosse in servizio, non usciva mai dalla caserma con la giacca della divisa e men che meno entrava in casa con gli abiti da lavoro: si cambiava in caserma e girava in borghese. Però, per quanto si sforzasse, non riusciva più a sembrare un uomo e, come se non bastasse, aveva un'età in cui non poteva neanche essere scambiata con un imberbe. Alternare pantaloni a lavoro e gonne in licenza, se da una parte l'avrebbe messa al riparo dalle chiacchiere curiose a Parigi, le avrebbe fatto perdere il silenzio forzoso degli ufficiali e l'autorità che continuava ad esercitare ancora e comunque su tutti. Non potevano permetterselo. Tanto valeva passare per una coppia eccentrica, scostante, pervertita e fuori dalla grazia di Dio con i vicini, che solo un'altra eccentrica e pervertita come madame Claire, separata dal marito, poteva tollerare in casa sua, piuttosto che far giungere così presto voci pericolose al generale padre. Ma per Oscar era comunque una grande fortuna riuscire a stare insieme anche così.

 

Per André non tutto era una fortuna come per Oscar: tanto per cambiare voleva quello che il mondo intero si impegnava a ricordargli che non poteva avere. I sogni realizzati di Oscar che ricambiava i suoi sentimenti, che lo amava, che faceva all'amore con lui, che ora viveva con lui, quando solo un anno prima era lì a disperarsi perché i sentimenti, il rango, la vita li avrebbero sempre tenuti separati, non gli erano bastati, e forse era un pazzo, sì, un folle incontentabile e perennemente insoddisfatto, perché voleva di più, voleva sposarla davanti a tutti, e non voleva più nascondersi, voleva poter invitare gli amici a casa, dire il suo indirizzo come tutte le persone normali, voleva che potessero portare al dito le fedine che si erano regalati, e non al collo nascoste sotto le camicie: voleva poter vivere senza la paura che un giorno piombassero in caserma, o peggio a casa, e uccidessero lui e facessero chissà cosa di lei. Non pensava ad altro quando era solo: smaniava per la luce e la temeva. Ma, soprattutto, voleva prendersi la sua dignità di uomo e la possibilità di camminare a testa alta senza dovere elemosinare a nessuno una vita degna di tale nome. Non smetteva di pensarci: era ambizioso e lo sapeva. Ma per il momento non c'era modo di far evolvere la situazione e gli toccava accontentarsi della penombra e di brandelli di tempo rubati alla prima occasione possibile. Chissà per quanto sarebbe riuscito a tollerare una situazione del genere: c'era gente che aveva aspettato tutta la vita il momento favorevole ed era morta aspettando. Una volta aveva creduto di essere in grado di sopportare all'infinito, ma ci si abitua presto ai lussi e se ne vuole sempre di più. Se qualcosa gli avesse tolto Oscar adesso sarebbe morto di crepacuore in un attimo: come sopravvivere alla privazione d'amore dopo l'abbondanza?

Per ingannare il tempo ascoltava i discorsi che si tenevano un po' dappertutto a Parigi, cercava di leggere, o meglio di farsi leggere i giornali e i pamphlet, sperava, perché non poteva far altro, se non pensare, cercare testardamente una soluzione che potesse essere accettabile per entrambi, senza riuscire a trovarla, per un qualche impiccio, difficoltà, paura da superare, rischi eccessivi, l'ansia del poter rimanere cieco da un momento all'altro, di dover pesare su di lei, che già si caricava abbastanza di pensieri, come se non bastasse il suo lavoro, la necessità di nascondersi, infiniti tentativi, prove inespresse, pensieri, piani, e ancora, costante, quella disperazione mista a rabbia che l'aveva accompagnato praticamente per tutta la sua vita e che non era sparita con la realizzazione del sogno, ma aveva solo cambiato oggetto. Forse era lui ad essere sbagliato, a non riuscire ad accontentarsi di quello che aveva, nel tentativo, sempre frustrato, di guardare il sole direttamente senza bruciarsi gli occhi. Si sentiva un fallito e un incapace, quando si ritrovava da solo a pensare alla sua vita, quando tornava a casa e la trovava vuota perché riuscire a far combaciare i loro turni era più difficile che sposarla, quasi, e quando la vedeva fare fatica in caserma e continuare in casa impacciata e volenterosa, e sapere che tutto sarebbe diventato sempre più duro da sopportare, fino al giorno in cui lui sarebbe diventato solo un peso da mantenere, presto o tardi che sia, speriamo mai. Ma forse era davvero meglio non pensarci prima del tempo. Si ricordava bene di quella volta che Oscar si era arrabbiata a morte e gli aveva fatto una sfuriata che se la sentiva ancora nelle orecchie, perché, ad un suo commento su come si stava impegnando nello studio della chitarra, lui aveva risposto (ma per scherzare, davvero!) che si stava preparando per la sua futura professione di suonatore in strada. "I ciechi guadagnano un sacco di soldi, non lo sai?" Si era incazzata da morire. Come darle torto? Si sarebbe arrabbiato anche lui se fosse stata lei a dire una tale cretinata; e poi si rendeva conto da solo che, a volte, decisamente esagerava. Per fortuna, quando riusciva a riferire ad Oscar quelli che a lui sembravano ragionamenti logici, lei era capace di smontarli in cinque minuti, classificandoli come "paure irrazionali". Architetture gotiche di mostri e chimere, costruite in settimane di faticosi e oscuri viaggi solitari, distrutte da un banale "Secondo me fai i problemi più grossi di quello che sono: pensaci quando sarà il momento. Perché ti devi inacidire la vita?" E il bello è che, a pensarci con calma, e con lei vicino, il più delle volte aveva ragione. Aveva la netta impressione che si fossero scambiati i ruoli e, se questo da un parte lo lusingava e lo rassicurava, perché gli dava un senso di equilibrio e stabilità, dall'altra lo faceva sentire ancora più inetto. "Sembri una femmina che cambia umore con il ciclo", gli aveva detto una volta Alain. C'era rimasto talmente male che lo aveva riferito ad Oscar sperando in una smentita, lei invece si era messa a ridere e aveva detto che Alain era un mito. Ma poi l'aveva coinvolto nella risata e nello scherzo, perché quando erano vicini ridevano di tutto, anche di sciocchezze, ed erano finiti a fare l'ennesimo controllo di chi era il maschio e chi la femmina tra di loro, ehi ragazza, non metterti in testa strane idee. E quando c'era lei, ed erano vicini, tutto gli sembrava risolvibile in un qualche modo, e non c'erano problemi gravissimi, perché comunque sarebbero rimasti assieme, e andava bene così, perché in fondo erano tanto fortunati, bastava guardarsi intorno. Con lei stava così bene che solo raramente le aveva parlato di come stava quando era solo, e di come avrebbe voluto di più anche per lei, ma non poteva offrirglielo. Però sentiva che Oscar lo teneva sotto una discreta ma strettissima sorveglianza e che più di una volta questo gli aveva impedito uno scivolone fatale, appoggiandosi a lei e facendosi coccolare. Aveva una voglia matta di coccole, presenti e arretrate, e si stupiva tutte le volte quando lei gliene faceva in abbondanza, senza che gliele chiedesse esplicitamente e senza che l'avesse mai preso per imbecille-bambino-non-cresciuto-femminetta per questo; lo coccolava e basta, come se non ne potesse fare a meno neanche lei e fosse felice di farlo. Gli sembrava stupefacente tutto questo, e bellissimo. E quindi gli sembrava ancora più sciocco e folle continuare a sentire l'antica rabbia di disperata impotenza. Basta: non ne veniva a capo e sperava che Oscar avesse ragione quando gli diceva che doveva essere l'effetto del cambiamento recente e che sarebbe passato tutto da solo, con l'abitudine e il tempo. Peccato che lui, di voglia di abituarsi a tutto questo, ne avesse davvero poca. A parte il fatto che, a conti fatti, l'unico rischio che proprio non correva con una come Oscar era quello di annoiarsi: specie adesso che era invasata dalla frenesia della novità, libertà ed eguaglianza. E comunque, per adesso, ad evitare l'abitudine, c'era la precarietà, e il fatto che si volevano un modo di bene, che lei gli voleva bene come aveva sempre desiderato, e che si divertivano davvero tanto a risolvere assieme i loro innumerevoli problemi, logistici e non, a imparare cose nuove assieme, a stare assieme, a fare all'amore assieme, cosa che non era affatto male, anzi, delle volte lui non avrebbe fatto altro. Lei gli piaceva da morire, e adorava toccarla per il gusto di farlo, per controllare che ci fosse ancora e non gli sfuggisse più, non si sa mai. E la cosa splendida era che lei non ci pensava neanche lontanamente a fuggire, e, se all'inizio lui aveva avuto paura che lo prendesse per un maniaco che non voleva altro che metterle le mani addosso, i suoi sguardi compiaciuti, quando le sfiorava di sfuggita anche un braccio, lo avevano presto rassicurato e reso baldanzoso, persino temerario alle volte. Lei rideva sempre quando la toccava. E poi le loro discussioni, quella storica su dove abitare, ma anche su qualunque cosa capitava, e parlavano, parlavano tanto, e lui era contentissimo di sentire Oscar parlare, sfogarsi, raccontare, ricordare, perché c'erano tante cose da ricordare assieme, parti mancanti della loro storia, cose non dette, e poi il futuro, come sarebbe bello se, potremmo, facciamo, andiamo, ascoltiamo, ci sarà pure un modo, c'è tanta gente che in fondo vuole quello che vogliamo anche noi, che la pensa come noi, sarebbe bello se un giorno, prima di morire; progettavano. E speravano. In un qualche modo. E intanto stavano ancora assieme, alla faccia del mondo, dei problemi più grossi di quello che sono, delle faccende domestiche e dell'abitudine. Forse aveva davvero ragione Oscar a sentirsi fortunata.

 

-Di', non rispondi? -

Si era appisolato di nuovo in un procelloso mare di bilanci; miracoli della stanchezza. E tra poche ore di nuovo a far la guardia inutilmente. Oscar, ti amo anche quando mi tormenti e non capisco dove vuoi andare a parare ma temo sempre verso un mucchio di guai.

-Mmm... Se sei cattiva? - Si era girato su un fianco alla ricerca di una posizione comoda per il suo viso tra i suoi seni e, nel farlo, l'aveva abbracciata ancora di più. Ti prego, stringiamoci ancora un altro po': che fretta c'è, amore?

-Appunto. -

Sospirò: so che con la mente sei ormai chissà dove, ti conosco, ma pensa, pensa che se va bene ci ritroveremo insieme in casa solo tra due giorni per poche ore, pensa che ho una voglia matta di stare con te, perché mi manchi da impazzire, e lo sai, e che sono felice quando le nostre pelli si toccano, pensa che ti amo e che oggi pomeriggio non ho voglia di lasciare noi per chissà cosa... Ma in fondo non importa: stringimi.

Lei gli circondò la testa e le spalle con le braccia e lo strinse a se', gli carezzò i capelli, li baciò. Attesero ancora per un po', abbracciati, mentre il muro gialliccio si faceva meno luminoso, le ombre degli alberi del cortile diventavano sempre più sfumate e le palpebre chiuse placavano i respiri. Oscar sospirò. André si accorse che cercava di rilassare le spalle e così si scostò appena dal suo posto comodo per guardarla negli  negli occhi, con il suo mezzo sorriso da chi ha capito tutto e ne va fiero, solo un po' più addormentato del solito. Avanti, quel che ci tocca ci tocca:

-Perché ti interessa sapere se sei cattiva? -

Lei distolse lo sguardo e gli si accoccolò contro: detestava trovarsi sotto quella faccia da inquisitore per passatempo che fa finta di non sapere. Anche se poi lo andava sempre a cercare e spesso non chiedeva altro: ne aveva troppo bisogno e gli voleva troppo bene.

-Così... -

-Beh - ridacchiò André - solo perché nel giro di una domenica mattina hai dato dell'incapace al colonnello Dagoût, dello stronzo ad Alain, dell'ipocrita al cappellano, e per fortuna che il sodomita l'ho sentito solo io, del rompicazzo a me, e dell'impicciona a Claire e alle sue amiche che ti avevano solo chiesto come andava, non mi sembra un motivo valido per sentirti cattiva. -

Oscar bofonchiò qualcosa: solo perché sei capace di fare due più due non vuol dire che tu possa sempre capire tutto. Per difendere l'imbarazzo si voltò dandogli le spalle e facendo l'offesa: va bene, ho fatto una cavolata, fammi vedere che mi vuoi bene lo stesso. André l'abbracciò da dietro aderendo a lei e facendo le fusa, (quanto è bella la mia donna!) con la mano sul ventre e centomila baci divertiti e soddisfatti sulle spalle.

-Potrei continuare all'infinito, lo sai? -

Sì, le voleva bene lo stesso, tutto a posto, concluse Oscar. Bene.

-E tu lo sai che l'infinito esiste solo nella mente di Dio? - disse rovesciandolo bruscamente a pancia all’aria per non lasciargli il tempo per approfittare della situazione; poi, rivoltatolo che l’ebbe, si mise a sedere abbracciando le gambe e coprendosi con il lenzuolo, concentratissima.

-André, parliamone seriamente. -

Ebbene, parliamone, dunque.

 

Continua...

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