Il ritorno

 Parte III

 

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"Che idea pazzesca!", pensava Oscar la mattina dopo preparando un leggero bagaglio. Andare nel palazzo di famiglia, ed insieme ad André Grandier poi! Ormai non poteva più tirarsi indietro, ma la cosa la incuriosiva molto, in realtà. "Dì la verità, Oscar" pensò "Vuoi vedere se quel palazzo è lo stesso dei tuoi sogni, confessa". Forse, e allora? Il signor Grandier aveva la sua ossessione, e lei la sua. "Non è solo per quello…" insisté una voce dentro di lei. Cosa c'era in lui che la stava portando a comportarsi come non avrebbe mai pensato? Non lo sapeva, eppure sentiva in modo confuso che poteva fidarsi di André, che in qualche strano modo era legato a lei, che qualcosa d'importante stava accadendo nella sua vita… qualcosa al di fuori del suo controllo. Chiuse la borsa con rapidità, ed in quel momento squillò il telefono. Non avrebbe risposto, era già in ritardo. Scattò la segreteria telefonica, ed una voce disse: "Buongiorno signorina de Jarjayes, perdoni il disturbo. Lei non mi conosce, mi chiamo Bernard Chatelet, ed insegno Storia della Rivoluzione alla Sorbona. Vorrei parlarle riguardo ad alcuni documenti in mio possesso che credo potrebbero interessarle. Può trovarmi al numero…", e lasciò un recapito.

"Che può volere da me un professore della Sorbona?", si chiese Oscar stupita. "Se è una cosa importante richiamerà", pensò chiudendo la porta.

 

Alcune ore dopo André si trovava nel giardino dell'albergo, attendendo che preparassero la sua stanza. Quel giardino…com'era familiare. Forse assomigliava a qualcuno in cui era già stato, probabilmente. I cespugli di rose erano spogli, in febbraio, e lui ne sfiorò uno con le dita, pensando ad Oscar. Dietro il suo sguardo apparentemente glaciale c'erano la purezza e la fragilità di una rosa bianca, lo sentiva. Guardò verso l'ingresso e la vide, ferma sulla soglia. Sembrava non riuscire ad entrare. "Oscar!" chiamò, ed andò verso di lei. Lei si voltò e lo guardò mentre si avvicinava. In quel momento si levò un vento stranamente caldo, che li avvolse portando un profumo di fiori. Da dove veniva? Fiori non ce ne erano, eppure…La mia rosa eri tu…"Che hai detto?" chiese Oscar "Niente, perché?" "Scusami, mi sembrava…". Oscar lo fissava, e sentiva di nuovo quell'attrazione così strana che l'aveva afferrata l'ultima volta che l'aveva visto. Dovette trattenersi per non prendergli la mano. "Vorrei baciarti e stringerti a me…" pensava André. Gli sembrava la cosa più naturale del mondo. Come essere con lei lì, in quel luogo mai visto prima. "Vogliamo entrare?" disse sentendo che se non l'avesse fatto l'avrebbe abbracciata subito. "Sì" mormorò lei incapace di fissarlo negli occhi. Aveva provato l'impulso irresistibile di abbracciarlo. Ci mancava solo quello! Si avviò all'interno sforzandosi di sembrare sicura di sé, ma non lo era affatto. L'ampio portone d'ingresso… sembrava chiamarla, volerla accogliere silenziosamente. Fece un respiro profondo ed entro', pensando: "Eccomi. Perché mi sembra che questo sia un ritorno? Si può tornare in un posto mai visto prima?". Entrò nella hall e si guardò intorno. Gli arredi erano diversi, ma l'ampia sala in cui si trovava ora, la grande scala che portava ai piani superiori, quasi la stessa aria di quel posto, immobile, colma d'attesa, erano come nel suo sogno. Avrebbe saputo orientarsi ad occhi chiusi, e non era sorpresa; in fondo se l'aspettava. Anzi… provava un senso di pace profonda, rasserenante. Consegnò i suoi documenti alla reception, ed attese. "Stanza 24 signora", disse il conciérge porgendole le chiavi. Oscar le prese e rimase in silenzio, consapevole della presenza di André accanto a lei. Guardò l'ampio scalone ed improvvisamente ebbe la visione di sé stessa che ne scendeva i gradini mentre gli occhi di un uomo la fissavano, occhi che la guardavano stupiti, innamorati; occhi così vivi… vivi come quell'uomo… vedeva solo i suoi occhi verdi che la seguivano, la testa le girava, sembrava che il tempo stesse rallentando la sua corsa, che qualcosa emergesse da chissà dove… "Oscar!" chiamò la voce di André vicino a lei. Si voltò di scatto e vide nuovamente quegli occhi fissi su di sé… così reali. Erano reali. Lui la stava fissando preoccupato. "Cos'hai? Sei diventata pallida… ". Sai cosa ho sempre rimpianto? Di essermi vestita come una donna per un altro e non per te… Oscar si guardò: pantaloni scuri, camicia bianca di taglio maschile… "Sei uno di quelli che apprezzano di più le donne in gonna, magari corta?" gli chiese all'improvviso. André la guardò stupito Che c'entrava adesso? Si, in fondo gli erano sempre piaciute le donne in abiti femminili, ma da quando aveva conosciuto lei gli sembrava che il suo abbigliamento fosse il più affascinante del mondo. Ma com'era vestita, poi? Non avrebbe neanche saputo dirlo. Non vedeva altro che lei. "No" rispose dopo un po’, "Non mi importa l'abbigliamento di una donna, se mi interessa lei" aggiunse fissandola. "Bene" rispose Oscar sorridendo "Allora ascolta… per la cena aspettami qui, va bene? Qui, ai piedi di questo scalone" "Perché?" chiese lui, ma uno sguardo di lei lo zittì. "Va bene… " disse "obbedisco, Comandante". Quella parola restò sospesa tra loro. Si guardarono perplessi. "Perché l'avrò chiamata Comandante?" pensò André "Perché non mi sembra strano sentirmi chiamare così?" pensò Oscar avviandosi verso la sua camera.

Più tardi Oscar si osservava allo specchio, nella sua stanza. Contrariamente a quanto faceva di solito aveva portato con sé uno dei pochi abiti realmente femminili che possedeva. Perché l'aveva fatto? L'aveva preso senza quasi rendersene conto, obbedendo ad uno strano impulso, ed ora l'aveva indossato. Grigio argento, impalpabile, lungo fino alla caviglia… la faceva sembrare un'altra. E i capelli? Aveva voglia di cambiare, un'irrequietezza insolita la tormentava. Provò ad alzarli, raccogliendoli sulla nuca. Aveva un'aria… antica. Che avrebbe detto lui? Scacciò quel pensiero con fastidio. Mai, mai si era preoccupata in vita sua dell'opinione di un uomo. Ma non era sciocca vanità, la sua. Sentiva che in qualche strano modo glielo doveva, che anche se a lui non importava assolutamente nulla di come fosse vestita, lei doveva farlo. 

Guardò l'orologio: era quasi ora di cena. Si avviò verso lo scalone, sentendosi inspiegabilmente emozionata. Neanche quando suo padre l'aveva obbligata ad andare a quell'assurdo ballo di cadetti, si era sentita così. Sorrise ripensando allo sconforto sul viso del padre quando lei si era presentata in pantaloni e camicia, come al solito. Uno dei ricordi più buffi della sua vita. Sempre sorridendo iniziò a scendere, pregando che lui fosse già lì. Eccolo. Le dava le spalle, vedeva la sua testa scura, le sue ampie spalle… le veniva voglia di corrergli incontro. Lui percepì la sua presenza e si voltò, restando a fissarla. Occhi verdi che la seguivano, occhi stupiti, innamorati… occhi vivi. I suoi. Oscar si sentiva attrarre irresistibilmente, e non sapeva il perché, ma avvertiva il desiderio di dirgli che era lì per lui, che si era vestita così per lui, che stavolta… 

André avrebbe voluto andarle incontro, ma una strana emozione lo tratteneva. Eri così bella… ma non era per me che sorridevi… non era a me che pensavi… non era me che cercavi… cos'era, una canzone? Ma no, lei stava guardando proprio lui, era a lui che sorrideva, stava venendo verso di lui… strano, gli veniva da piangere. Oscar si fermò sull'ultimo scalino, ed i loro occhi si trovarono alla stessa altezza. "Vorrei baciarla adesso" pensava André "ma probabilmente mi prenderebbe a schiaffi… " "Perché non mi bacia?" pensava Oscar sentendosi attrarre da una forza quasi magnetica verso di lui. André rammentò a sé stesso di aver detto di non far molto caso all'abbigliamento delle donne, e si sforzò di non apparire molto colpito. "Vogliamo andare?" disse accennando un sorriso. "Anche se non gli piaccio così, poteva almeno sforzarsi di fingere" pensò Oscar rabbuiandosi. "Certo" disse sorridendo nuovamente "Andiamo" e gli passò davanti senza aspettarlo.

La cena si svolgeva in una sala del pianterreno, graziosa ed accogliente. "Sicuramente qui ci sarà stata la cucina" pensò André all'improvviso. Una grande cucina, con un'anziana governante che sovrintendeva a tutto… una simpatica signora dai capelli bianchi, probabilmente. Gli sembrava quasi di vederla, che buffo… Non riusciva a guardare Oscar, seduta di fronte a lui. Era così bella che non ci riusciva. Non riusciva neanche a mangiare, stava solo giocherellando con quello che aveva nel piatto. Lei era silenziosa… sembrava quasi in collera con lui. Sicuramente si era già pentita di essere venuta lì, sicuramente stava meditando di andarsene… "Non mi guarda nemmeno" pensava Oscar sempre più indispettita "sembra così distante… forse lo sto annoiando". Lo guardò: le lunghe ciglia scure abbassate, giocherellava con il cibo distrattamente. "Non ti piace?" gli chiese all'improvviso. "Cosa?" disse lui alzando gli occhi e riabbassandoli subito. "La cena" rispose lei gelidamente. "Ottima" disse lui continuando a giocherellare con la forchetta. La prendeva anche in giro… oltre a non degnarla neanche di uno sguardo. Oscar si sentiva puerilmente ferita dal suo atteggiamento… in fondo cosa le importava se lui non aveva neanche fatto caso al suo vestito? Erano sciocchezze… ma lo avrebbe ammazzato volentieri. Non glielo avrebbe fatto capire per tutto l'oro del mondo, comunque. Ma con orrore udì la sua stessa voce dire: "Allora… non mi hai detto che ne pensi del mio vestito". Dio, che cosa sciocca aveva detto! Lui rispose: "In che senso?". "Ora cambio discorso… " pensò lei disperata, ma disse invece: "Nel senso che non è il mio abbigliamento abituale… non so… mi sento un po’ strana, buffa… non trovi?". André taceva. "Starà pensando che sono stupida" pensò lei tristemente. Dopo un po’ lui si decise a posare la forchetta con cui stava giocando e disse: "Buffa? Non saprei… non è il termine che userei. Ma penso che tu lo sappia già" "No… cosa?" mormorò lei confusa. Lui la guardò: com'era possibile che una donna bella come lei fosse tanto insicura? Era incredibile… "Oscar… " disse, "tu sei la donna più bella ed affascinante che abbia mai conosciuto nella mia vita, ma immagino che l'avrai sentito dire tante volte… per questo non ho detto nulla. Mi sembrava scontato". Lei non rispose. Stavolta l'aveva lasciata senza parole. Adesso la stava fissando, ma ora era lei che non riusciva a guardarlo, e con orrore si rendeva conto di stare arrossendo. Per fortuna la cena era terminata, e lui avrebbe dovuto incontrare il proprietario dell'albergo, e lei… avrebbe potuto rifugiarsi nella sua stanza. Si alzarono restando silenziosi, e lei si avviò esitante verso il grande salone che si intravedeva. Era vuoto, in quel periodo dell'anno c'erano poche persone. Quelle grandi finestre…ricordava bene la loro luce, ma la luce di quali giorni? Andò verso un angolo della sala e si fermò, alzando gli occhi verso André che la osservava "Il pianoforte…qui c'era un pianoforte, non ricordi?" "Oscar, non sono mai stato qui prima d'ora, e credevo neanche tu" disse André stupito. "Scusami, hai ragione. Non so neanche quello che dico". André la guardava muoversi lentamente nella sala, toccando gli oggetti. La luce della sera filtrata dalle finestre sui suoi capelli…gli sembrava di ricordarla, come in un sogno lontano. Oscar si sentiva frastornata. Forse…forse da bambina aveva visto qualche immagine dell'interno del palazzo e poi l'aveva dimenticato. Sì, la spiegazione poteva essere questa, ma certo! Che sciocca a farsi suggestionare tanto da un sogno. Eppure… Guardò André e disse: "Immagino che avrai molto da fare. Ti sto facendo perdere tempo, non preoccuparti per me" "In realtà sto aspettando che arrivi il signor Picard, il proprietario. Sono curioso di vedere questo pezzo così particolare". In quel momento un uomo alto dai capelli bianchi entrò nel salone. "Signor Grandier, mi perdoni per averla fatta attendere! Sono molto felice che sia potuto venire" disse stringendogli la mano. "Grazie, signor Picard. Vorrei presentarle una mia amica, la signorina de Jarjayes" disse André voltandosi verso Oscar. Il signor Picard la guardò ed impallidì. "Ma lei…è incredibile!" disse fissandola a bocca aperta. "Cosa?" chiese lei stupita "No, mi scusi, forse mi sto sbagliando, è che…no, non ci faccia caso, sono un maleducato. Molto piacere di conoscerla" e le strinse la mano, continuando a fissarla con sguardo imbambolato. Oscar si sentì a disagio, e disse: "Bene, allora vi lascio soli. Vado nella mia stanza… ", guardò André desiderando dirgli qualcosa, magari che avrebbero potuto incontrarsi dopo, ma riuscì solo a fargli un cenno con la testa, ed uscì. "Bene, signor Picard" disse André guardandolo incuriosito "Cos'è questo pezzo che ci teneva tanto a farmi vedere?" "Io…si tratta di un quadro. Dell'anno della Rivoluzione, almeno così pare… Voglio farglielo vedere subito, così forse capirà anche perché…oh, ma deve vedere con i suoi occhi. Incredibile…" e si avviò verso la hall. André lo seguì stupito. Che tipo eccentrico! Lo seguì per l'ampio scalone che conduceva al piano superiore, ed in quel momento gli parve di scorgere una luce di candele, tante candele che illuminavano i gradini; guardò in alto ma vide soltanto dei lumi elettrici, eppure… Percorsero molti ampi corridoi, ed alla fine giunsero in un salottino, dove c'era un grande quadro appeso al muro. André lo guardò, e gli sembrò che il cuore gli si fermasse nel petto.

Più tardi, nella sua stanza, Oscar riposava sul letto. Stava facendo un bel sogno. Era bambina, e correva nel bel giardino che aveva visto dalla finestra. C'era qualcun altro, con lei. Un bambino dai capelli scuri che la rincorreva ridendo. Oscar, Oscar aspetta, non scappare…diceva, e poi era adolescente, e c'era lo stesso bambino, più grande, ora, ed erano tutti e due stesi sull'erba ad ascoltare il rumore delle cicale. Erano grandi adesso, ma lui si stringeva il viso tra le mani e lei non riusciva a vederlo, tra le sue dita filtrava del sangue, e lui diceva: Aiutami, aiutami Oscar, ti prego! Mio Dio! Pensò Oscar svegliandosi. Più che un sogno sembrava…una visione. Ma perché quell'uomo chiedeva aiuto? Chi era? Sentì un'oppressione nel petto e tossì per liberarsene. Guardò la sua mano. C'era del sangue. Si alzò di scatto, incredula. No, si era sbagliata. L'aveva solo immaginato. Ma com'era possibile? In quel momento sentì bussare alla porta. "Chi è?" chiese. "Oscar, sono André, devo dirti una cosa importante". Oscar aprì la porta "Che succede?" disse. Lui la guardava in modo strano, come un uomo che avesse visto un fantasma, e poi disse: "Devi venire con me, subito. Devo farti vedere una cosa". "Non puoi aspettare?" "No" disse lui, e l'afferrò per un braccio. "Lasciami, sei impazzito?" gridò lei, ma lui richiuse la porta e la trascinò con sé. Era tardo pomeriggio, ed i corridoi erano vuoti. Oscar era furibonda. "Deve essere pazzo", pensò. Lui la trascinò per stanze familiari e sconosciute, finché giunti in un salottino si fermò ed indicò un quadro alla parete. "Ecco" disse "guarda tu stessa". Oscar guardò in alto e vide l'immagine di una donna bionda su un cavallo bianco, e quella donna era lei.

 

"Io…non so cosa dire", mormorò Oscar fissando il quadro. "Per una volta, neanch'io", rispose André, e continuò: "E' questo il quadro che cercavo, ed avevo ragione! Non si tratta di una semplice somiglianza, non vedi? Quello è esattamente il tuo viso. Lo stesso colore degli occhi così particolare, la stessa espressione…". "C'è una data", disse Oscar avvicinandosi alla tela, "1789…l'anno della Rivoluzione". "Significa qualcosa?". "C'era una mia antenata che partecipò alla Rivoluzione, e forse…forse è proprio lei". "Può darsi…ma questo non spiega l'incredibile somiglianza". "Che vuoi dire?", ""Che c'è qualcosa di strano". Oscar si sentiva girare la testa, quella donna con il suo stesso viso, il palazzo così familiare, i sogni che la tormentavano, e poi la presenza di lui, per certi versi inquietante… forse stava impazzendo. "Adesso basta, André!", esclamò "E' vero, quella donna mi assomiglia, e allora? Possono esserci tante spiegazioni! Adesso hai visto il tuo quadro, ma io non voglio più essere coinvolta in questa follia. Ho fatto male a venire, me ne andrò subito!", si girò e si avviò in fretta verso la sua camera. André la inseguì dicendo: "Oscar, Oscar aspetta! E' inutile fuggire!". Oscar spalancò la porta della sua camera, ma lui entrò dietro di lei e la richiuse. "Esci subito!", gli gridò furiosa. "No, tu devi ascoltarmi, invece" disse lui in tono concitato "Non ti accorgi che c'è qualcosa di strano? E' vero, sei identica alla donna del ritratto che ho cercato tanto, ma non è solo questo. Io…dal primo momento in cui ti ho vista ho sentito di averti già conosciuta, mi sono sentito legato a te da qualcosa di misterioso, inspiegabile, e sto cercando di capire cosa sia", "Stai delirando!". "Oscar, smettila di negare la realtà, è così anche per te, lo so…te lo leggo negli occhi…" "Adesso basta!", gridò Oscar, mentre sentiva come se qualcosa si stesse impossessando di lei, e senza volerlo alzò la mano e lo schiaffeggiò. André rimase immobile poi, con una strana luce nello sguardo, le afferrò i polsi stringendoglieli forte. "André, lasciami, mi fai male!", gridò lei, e non sapeva più a chi stesse dicendo quelle parole, ma lui la attirò a sé e la baciò rabbiosamente, poi la spinse sul letto e si stese su di lei. No, non è ancora il momento. Non lo sapevi anche allora? Non è ancora il momento…"André, lasciami o grido!", ma André non poteva fermarsi, era come se qualcuno agisse attraverso di lui. Un dolore profondo gli serrava il petto, una disperazione folle lo aveva preso. Come allora, Oscar. Come allora mi spezzi il cuore…Si sollevò e le strappò la camicia bianca, restando a fissarla. La tua pelle…bianca come una rosa... Oscar iniziò a piangere e disse: "Bene, e adesso cosa vorresti fare con me, André?". Lui abbassò lo sguardo e la ricoprì delicatamente con il lenzuolo. Si sedette accanto a lei, sconvolto, e disse: "Perdonami, Oscar. Non ti farò mai più una cosa del genere, lo giuro davanti a Dio". Sentì come se la testa gli si snebbiasse, e mormorò: "Non so cosa mi sia preso. Oh Dio, mi sentivo come se non fossi più io…Ti prego Oscar, non avere paura di me…non ho scuse lo so, ma io…non potrei mai farti del male. Io ti amo, Oscar. Lo so che sembra assurdo, ma sento di amarti da tutta la vita. L'ho saputo dal primo momento in cui ti ho visto. Ma se tu non vorrai più vedermi io ti capirò. Perdonami, ti prego". E si alzò mentre lei rimaneva sul letto, con la testa voltata dall'altra parte. Sentiva le lacrime scorrergli sul viso, poi aprì la porta ed uscì. Si appoggiò alla parete del corridoio, sentendosi senza forze. "Che cosa ho fatto?" pensò disperato, "E perché sento questo dolore, questa tristezza profonda? Mi sento come se avessi perso la cosa più importante della mia vita". Andò nel salottino e si fermò davanti al quadro. "Chi sei?", domandò alla donna bionda. "Perché la tua immagine è stata sempre dentro di me?". Non potrò mai dimenticare la bellezza di questo quadro, come non potrò mai dimenticare la tua vera bellezza…Ma l'immagine si stava annebbiando davanti ai suoi occhi, non riusciva più a distinguere bene i colori, le forme…stava diventando tutto buio. André si coprì gli occhi con le mani, spaventato, e quando li rialzò tutto era come prima. "Sono stanco, sono solo stanco" pensò, e si diresse verso la sua camera.

 

 

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