Il ritorno

 Parte II

 

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André stava parlando al telefono con suo padre Antoine, che si trovava a Londra per affari. "Comunque hai fatto benissimo ad acquistare quel secrétaire, sono d'accordo con te", gli disse, e poi aggiunse: "Senti papà, vorrei chiederti…i vecchi registri, quelli risalenti ad almeno vent'anni fa…dove sono?", "Perché?", "Così, vorrei controllare una cosa…la vendita di un quadro", "Che quadro?" "Quello che mi piaceva tanto da bambino…la donna bionda sul cavallo bianco". "Non posso crederci, ancora quel quadro! André, sono passati più di vent'anni, e tu ancora ci pensi?", "La mia era solo curiosità" "No, è sempre stata una fissazione che non hai perso con gli anni", "Va bene, e se anche fosse? Stavolta però ho deciso di andare a fondo. Voglio sapere dov'è finito il quadro" "Per fare cosa?" "Per vederlo". Il padre sospirò rassegnato, poi disse: "Va bene, fa come ti pare. I vecchi registri sono nel deposito di Rue de Vaugirard. E spero di non sentire più parlare di quel quadro!". "Non preoccuparti. Adesso ti saluto, ci sentiamo presto. Ciao", disse André posando il ricevitore. Si rilassò sulla poltrona, guardando il cielo grigio aldilà della finestra che si affacciava sulla Senna. Il quadro…se avesse potuto vederlo avrebbe potuto verificare se davvero la donna somigliava così tanto ad Oscar François de Jarjayes. Non la vedeva da molti giorni ormai, ma il suo viso continuava a perseguitarlo. "Oscar…che cosa starai facendo adesso?", si chiese.

Oscar sedeva in un piccolo caffè all'aperto, vicino a Place de la Bastille. Stava parlando con un vecchio amico di suo padre, Pierre Queineau, che voleva chiederle una consulenza su un purosangue appena acquistato. "Oscar, sai che mi fido ciecamente del tuo giudizio", stava dicendo lui. Oscar annuì e rimase ad ascoltare solo con una parte della sua mente. La Bastiglia…la vedeva incombere quasi minacciosamente su di loro, chissà perché. Non esisteva da più di duecento anni, ormai. Eppure osservarne le riproduzioni le aveva sempre fatto uno strano effetto, da piccola ne aveva addirittura paura. No, non era paura…piuttosto un'inquietudine, una vaga angoscia. Si accorse che Pierre stava congedandosi, e lo salutò con la promessa di passare a vedere il cavallo il giorno dopo. Si alzò e si avviò verso il centro della piazza. Perché, perché quell'inquietudine? Si fermò in un punto preciso, sentendo la sua angoscia aumentare, e in quel momento una colomba bianca volò sopra di lei. Improvvisamente il tempo sembrò rallentare, il volo della colomba le sembrò infinito, e tutto intorno a lei sembrò sparire. Sentì una fitta nel petto che le tolse il fiato, mentre tutto si faceva buio, sempre più buio…"Ehi, ma quella donna si sente male! Presto, aiutiamola!", sentì qualcuno gridare vicino a lei, e capì di essere scivolata a terra. Sentiva delle voci confuse risuonarle nella testa, e poi un'altra più lontana, che diceva: toglietele quel sangue dal viso…e spari…da dove venivano quegli spari? Si accorse che qualcuno le stava delicatamente schiaffeggiando il viso, ed aprì faticosamente gli occhi. "Signorina, signorina, come vi sentite?" chiese una giovane donna china su di lei. Oscar si raddrizzò e la guardò: aveva un viso dolce e grandi occhi castani. "Adesso meglio, grazie", rispose "ma cosa è successo? Non ricordo più…" "Ero vicino a voi e vi ho visto cadere…mi avete fatto prendere uno spavento!" "Vi ringrazio, ora mi sento meglio…credo di farcela a camminare, è meglio che torni a casa" "Ne siete sicura?" "Sì, non preoccupatevi, è stato solo un momento". Qualcuno dall'interno di un negozio gridò: "Rosalie, che succede?". La giovane rispose: "Niente mamma, vengo subito, non preoccuparti". Oscar le porse la mano e disse : "Andate, sto bene, ora. Siete stata molto gentile". La ragazza le strinse la mano "Arrivederci" disse, e se ne andò. Oscar la seguì con lo sguardo. Rosalie…da piccola aveva una bambola a cui aveva dato quel nome, ed era la sua preferita. Chissà dov'era finita, adesso? Si avviò verso il Metrò per tornare a casa, sentendosi molto stanca. Che le stava succedendo? Aveva sentito davvero rumore di spari? O l'aveva sognato? Toglietele quel sangue dal viso…Quale sangue? E chi aveva parlato? Si sentiva come se stesse camminando su un filo sempre più sottile, ed aveva paura.

Sentì lo squillo del suo cellulare, guardò e vide che era un numero sconosciuto. "Pronto?". Silenzio dall'altra parte. "Chi parla?". Riattaccarono. "Avranno sbagliato", pensò camminando velocemente verso il Metrò.

André riattaccò il telefono nel suo appartamento. Che stupido…non aveva avuto il coraggio di parlarle. Per dirle cosa, poi? Che improvvisamente aveva avuto la sensazione che fosse in pericolo? L'avrebbe preso per pazzo, sicuramente. "Oscar…non so cosa mi succeda, ma so solo che devo rivederti", pensò.

Se non potessi più rivederti, Oscar. Se perdessi la luce…Che sciocchezze! Perché mai avrebbe dovuto perdere la luce? Chissà come gli venivano in mente, certe cose. Domani sarebbe andato a cercare i vecchi registri, e se fosse riuscito a trovare il quadro forse la sua ossessione avrebbe avuto fine.

Alcuni giorni dopo Oscar stava sellando il suo cavallo preferito, Balthazar, uno splendido purosangue bianco. Tese una mano ed accarezzò il muso dell'animale con affetto. Era da molto tempo che non lo montava, ma quella mattina aveva intenzione di farlo, di lasciarsi trasportare lontano dai pensieri oscuri degli ultimi tempi. Montò in sella ed uscì all'aperto, e mentre si avviava verso il suo percorso preferito vide da lontano un uomo in groppa ad un cavallo scuro. Si bloccò immediatamente. Non riusciva a distinguerlo chiaramente, ma sentiva che la stava aspettando. Sei tornato da me, mio amico, mio compagno di sempre…Perché si sentiva il cuore in gola, mentre si avvicinava a lui? Era così familiare…quella figura eretta, quei capelli neri…era André Grandier. Ora lo vedeva più chiaramente, teneva gli occhi fissi su di lei mentre si avvicinava, e la guardava come ipnotizzato. Gli si accostò, fermando il cavallo, e disse con finta disinvoltura: "Signor Grandier, che sorpresa. Cosa ci fa qui?". "Buongiorno, Oscar François. Ecco, io…per la verità era molto tempo che non andavo a cavallo, ma mi ripromettevo sempre di farlo. E visto che stamattina non avevo impegni urgenti ne ho approfittato per venire qui…" "Ah, bene. Ne sono lieta" disse lei sforzandosi di sorridere.

"Non è vero" pensò tra sé, "Invece mi dispiace. Avrei preferito non vederti mai più. La tua presenza mi turba, non so neanche io perché. Ed io ho bisogno di pace, solo di pace…". "Vedo che ha scelto il nostro Julius", aggiunse "E' un cavallo difficile, sa? Non so se lei sia in grado di…". "Vuole mettermi alla prova?", la interruppe lui sorridendo. Oscar lo fissò. Quel sorriso la attirava come una calamita, pensava stupita di sé stessa. "D'accordo, mi segua allora", esclamò partendo al galoppo. Dopo un attimo di sorpresa André si precipitò dietro di lei, mettendosi subito sulla sua scia. Quella scintilla di sfida che aveva letto nel suo sguardo…sapeva di conoscerla, di averla già vista. E quando l'aveva vista avvicinarsi sul suo cavallo, si era sentito paralizzato da un'emozione inspiegabile. Quella figura elegante, quei lunghi capelli biondi che ondeggiavano nel vento…parevano venire da un altro luogo, un altro tempo…ma quale? Riuscì ad affiancarsi a lei, mentre percorrevano una lunga strada fiancheggiata da alberi. Oscar guardava davanti a sé, ma sentiva la sua presenza al suo fianco, sentiva che galoppava al suo stesso ritmo, che era quasi una cosa sola con lei. Resta al mio fianco per sempre …non abbandonarmi mai…. Non ti abbandonerò mai…diceva una voce nella testa di André, la mia ragione di vita è questa…tu sei la luce, io sono l'ombra. Oscar rallentò il passo, ansante, e sentì lui rallentare accanto a lei. Proseguirono per un lungo tratto così, senza parlare. Sentivano che non ce n'era bisogno. In quel momento erano tutt'uno con il cielo azzurro, il vento leggero, il rumore tra gli alberi. Arrivati vicino ad un piccolo laghetto, Oscar fermò il cavallo e scese. "Meglio farli riposare un po’", disse. André scese anche lui e le si accostò. "E' come se avessimo cavalcato insieme da sempre, non è vero?", disse fissandola intensamente. Oscar si sentiva la gola serrata. Avvertiva una strana sensazione…quasi di paura, mentre gli occhi verdi di lui la fissavano. Assurdo! Lei non aveva mai avuto paura di nulla e di nessuno. Ma era come se qualcosa in lui le ricordasse un dolore, un dolore lontano che preferiva non conoscere. "Non capisco, cosa vuol dire?", rispose freddamente. "Niente", rispose lui ritraendosi, e poi aggiunse: "Si ricorda quando le parlai del quadro? Quello con la donna che le assomigliava tanto?", "Sì, e allora?". "Ho fatto delle ricerche sui vecchi registri, ed ho scoperto che fu acquistato dal Barone de Villiére. Sono riuscito a contattarlo, ma lui l'aveva venduto cinque anni fa". "Mi dispiace per lei. A questo punto avrà lasciato perdere, immagino". "Neanche per idea. Lei non mi conosce bene, Oscar. Io sono molto tenace. In tutto". Oscar sì sentì a disagio sotto il suo sguardo, e tacque. Dopo un po’ lui riprese: "Comunque sembra che l'abbia venduto ad un mercante d'arte che conosco…continuerò a seguirne le tracce!" Oscar rimase ancora in silenzio. André sembrava veramente ossessionato, pensava. D'altronde era ossessionata anche lei dai suoi sogni, da quell'uomo sconosciuto, da quel palazzo…"Sa che esiste un palazzo che era di proprietà della mia famiglia, che non ho mai visto?", gli disse impulsivamente. "Davvero? E perché mai?" "Non saprei…forse non sono abbastanza curiosa, tutto qui". Il palazzo…ne conosceva solo l'esterno. Suo padre non aveva mai voluto che ci mettesse piede, e lei aveva obbedito. E poi…che senso avrebbe avuto ammirare qualcosa che non le apparteneva più? Forse la realtà era che aveva paura. Paura di scoprire che era lo stesso palazzo dei suoi sogni, e di scoprire il significato di quell'ossessione, se mai ne avesse avuto uno. André la guardava e pensava: "Vicino a te mi sento in pace, Oscar. Mi sento come se fossi stato sempre al tuo fianco…". Ora sarebbero tornati indietro, e poi? Quale altra scusa avrebbe inventato per rivederla? Doveva fare qualcosa, prima che quel momento passasse. "Oscar, io volevo chiederle…" disse facendosi coraggio" Verrebbe a cena con me? Le assicuro che non so parlare soltanto di quadri, giuro che non l'annoierò". "E' meglio di no" pensò subito Oscar, "mi sembra una pessima idea". Aprì la bocca per rifiutare ma suo malgrado la sua voce disse: "Può darsi…" "Quando?" "Non saprei…" "Stasera?" "Non posso" "Domani, allora". Oscar sorrise e disse: "Va bene, mi arrendo" Mentre tornavano indietro si era già pentita. "In fondo cosa so di lui? Niente, e allora perché ho accettato?". Dì la verità, volevi rivedere quegli occhi e quel meraviglioso sorriso, disse una voce dentro di lei. Aveva quasi la sensazione di perdere il controllo delle sue azioni, vicino a lui. E questo la spaventava. Si voltò indietro quasi con rabbia e disse: "Domani non venga a prendermi. Sono abituata a muovermi da sola. Mi dica dov'è e ci vedremo lì", e partì al galoppo. André restò un attimo a guardarla e poi partì dietro di lei. "Sarà forse il mio destino quello d'inseguirti sempre?" pensò.

La sera successiva Oscar ed André stavano camminando lungo la Senna, sfidando il vento freddo che li avvolgeva. Durante la cena Oscar si era sorpresa a spiare il viso di André. Il modo in cui abbassava gli occhi, il sorriso, i gesti, persino il modo di respirare, tutto la turbava come un'emozione mai provata eppure al tempo stesso terribilmente familiare. Avevano scoperto di avere altre cose in comune, oltre alla passione per i cavalli. Oscar era stata una campionessa di scherma, da ragazzina, ed anche lui aveva vinto molte gare. Tutti e due avevano un grande interesse per il '700, particolarmente per il periodo di Luigi XVI, ed André era un vero esperto dell'arte di quel tempo. Oscar era una donna fiera ed indipendente, aveva capito André, ma c'era anche dolcezza nei suoi occhi, ed una sorta di strana tristezza. Il suoi occhi…sentiva di poter leggere dentro di loro con una chiarezza sconcertante. Era incredibile come si trovasse a suo agio in sua compagnia, come gli sembrasse di conoscerla da sempre…"Qual è il tuo fiore preferito?" chiese lui all'improvviso "Le rose, perché?" "Di che colore?" "Bianche" "Lo sapevo!" esclamò lui sorridendo. "A volte sei strano, sai?" disse lei guardandolo. Perché sentiva quell'emozione così forte vicino a lui? Perché non riusciva a distogliere gli occhi dal suo viso?. Abbassò lo sguardo e disse: "Mi chiedevo…una volta che avrai trovato il tuo quadro, che farai?" "Chissà, forse deciderò di rubarlo, travestito da cavaliere nero" "Da chi?" "Da cavaliere nero. Non dirmi che non conosci la storia" "Vagamente…" "Si dice che prima della Rivoluzione terrorizzasse le nobili famiglie di Parigi, derubandole e donando tutto ai poveri. Da bambino spesso mi vestivo come lui!" "Il cavaliere nero…non era quello con un occhio solo?" "No, non mi sembra" "Avrò fatto confusione…" disse Oscar, ed all'improvviso sentì un suono provenire dalla riva del fiume, "Cos'è?" chiese. "Sembra…una fisarmonica" disse André. Si sporsero verso la riva e videro un uomo dall'aspetto malandato che suonava una vecchia fisarmonica, cantando una canzone. "La conosci?" chiese lui "Mi sembra…". Se avessi capito prima il tuo amore…se avessi capito che anch'io amavo te…è per questo che piango, che piango per te…dicevano le parole. "E' molto triste" disse Oscar sentendosi stringere il cuore "Andiamo via" "Come vuoi". Dopo un po’ lui disse: "Il palazzo della tua famiglia…com'è possibile che tu non l'abbia mai visto?" "Non so…mio padre mi proibì di metterci piede, non accettava ancora l'idea di averlo perso, probabilmente" "Scommetto che era un ammiratore di Maria Antonietta!" "Di Robespierre sicuramente no" disse lei sorridendo, ed aggiunse: "Sai, ho visto alcuni ritratti di Maria Antonietta insieme ai suoi figli, ed era veramente molto bella. Sicuramente avrà fatto molte scelte sbagliate, ma io la vedo più come una vittima. Della sua immaturità, della persone che la circondavano…" "Sicuramente la sua pena fu troppo crudele" disse André "Chissà se qualcuno della tua famiglia la conosceva" "Penso di sì…" rispose lei persa nei suoi pensieri. André sentiva l'impulso irrefrenabile di prenderle la mano, ma non osava. Stava correndo troppo, eppure…avvertiva l'urgenza disperata di toccarla, sentire che quella donna era reale, e non l'immagine di un sogno fatto da bambino. Arrivarono davanti ad una piccola chiesetta, e lui alzò lo sguardo verso la facciata. "Guarda…non l'avevo mai notata" disse fermandosi. "Non mi piace" disse lei "Perché'?" "Non so…mi fa uno strano effetto". Oscar si sedette sui gradini della chiesa e si sentì assalire da una profonda tristezza. Perché, perché mi hai abbandonato? Non è vero, non ti ho mai lasciato…Sentì un inspiegabile desiderio di piangere. "Oscar, cos'hai?" chiese André avvicinandosi a lei. Lo guardò, e senza neanche accorgersene gli prese la mano, sentendo la sua ansia placarsi. "Niente, scusami. Forse abbiamo camminato troppo…". Erano molto vicini, adesso. André sentiva la forza che emanava da lei, la forza misteriosa che lo aveva attratto dal primo momento. Voglio baciarti, pensava, lo voglio da sempre…ma non ne aveva il coraggio. Temeva che lei lo respingesse. "Vuoi che ti accompagni a casa?" le chiese gentilmente. "I suoi occhi…" pensò lei, "potrei guardarli per sempre, potrei stringere la sua mano per sempre…" Per sempre, Oscar…ti amerò per sempre…diceva una voce lontana. Da dove veniva? Un lenzuolo bianco agitato dal vento…ed un dolore, un dolore mai dimenticato. Perché pensava a questo, adesso? Si rese conto che André la stava fissando, ed agendo come in sogno alzò la mano e gli accarezzò il viso. André sentì il cuore battergli con forza, mentre un'emozione violenta si impossessava di lui. Le afferrò la mano, chinò la testa e la baciò sulle labbra. Oscar si lasciò sfuggire un gemito quasi di dolore, mentre si stringeva a lui con tutta la sua forza. Ti ho aspettato…ti ho aspettato tanto, ti ho cercato nella luce e nel buio…André le passò le mani nei lunghi capelli, desiderando disperatamente diventare una cosa sola con lei, perdersi in lei…"Non ho mai provato questo prima", pensava sentendo il corpo di lei tremare contro il suo. Mia amata, mia unica e sola…diceva una voce nella sua testa. "Che sto facendo?" pensava Oscar incapace di staccarsi da lui, mentre suo malgrado le sue mani lo attiravano a sé. "Voglio fare l'amore con te" pensava André accarezzando il suo corpo "Più di ogni cosa al mondo, anche se domani dovessi morire…" Non posso morire adesso…non posso…Si sentì improvvisamente disperato, mentre la spingeva verso il muro della chiesetta. "Ti desidero" pensava lei "Ti desidero come mai nessuno…oh Dio, ma che mi succede?". Si staccò da lui all'improvviso, tornando bruscamente alla realtà. Lui la guardò senza parlare, ansante. Oscar non riusciva a sostenere il suo sguardo, si sentiva avvampare per la vergogna. "Oscar.." mormorò lui "Ti prego, guardami". "Non posso", pensava lei desiderando scomparire. "André, io…" disse con lo sguardo abbassato "non so cosa mi accada. La verità è che è stato uno sbaglio, è successo tutto troppo in fretta, mi dispiace". "Uno sbaglio?" disse lui prendendole il mento con la mano "Guardami, ti prego. Come puoi dire che è uno sbaglio?". Oscar fissò i suoi occhi e si sentì mancare il respiro. Doveva andarsene. E subito, prima di commettere altre sciocchezze. "Sì" disse cercando di controllare la sua voce "Non sono abituata ad andare così in fretta. Non sono abituata a non controllare più le mie azioni. E questo non mi piace". "Va bene" disse lui allontanandosi leggermente "Farò come vuoi. Da ora in poi rispetterò tutte le tue regole. Va bene così?" "Sì, ti ringrazio" disse lei spostandosi verso il marciapiede. "Tutto troppo in fretta", pensava Oscar sconvolta. Cosa c'era in quell'uomo che la spingeva a comportarsi così? Non si riconosceva più. Passò un taxi e lei alzò un braccio per fermarlo.

"Aspetta, ti accompagno io!" esclamò lui stupito. Il taxi si fermò , lei aprì la portiera e disse: "Preferisco di no, davvero. Non preoccuparti. E' meglio così", e sparì nella notte. "Oscar, da cosa stai fuggendo?" pensò André rimasto solo. Era quasi come se lei avesse paura. Di lui, forse? Non aveva avuto intenzione di spaventarla, ma era come se una parte di lui avesse atteso quel momento per tutta la vita. "Mi sembra quasi di essere prigioniero di un sogno", pensò allontanandosi. Passò nuovamente vicino all'uomo con la fisarmonica. Ricorda, ricorda il mio nome… diceva ora la canzone, un sogno perduto, un sogno spezzato…

 

Due giorni dopo Oscar si trovava seduta alla sua scrivania, nel suo ufficio. C'era del lavoro arretrato e la colpa era sua, si era fatta distrarre da troppe cose, ultimamente. Non era da lei. Aveva sempre avuto un fortissimo senso del dovere, insegnatole da suo padre. Aveva perso la madre da bambina, ed il padre aveva provveduto alla sua educazione. Forse era stato troppo severo a volte… era un uomo all'antica, fedele a certe regole di comportamento un po’ rigide. Ma Oscar sapeva che l'aveva amata molto, e che in fondo era sempre stato fiero di lei, di quella figlia coraggiosa, testarda ed indipendente. Ma quanta fatica per essere all'altezza delle sue aspettative… quante frustrazioni. "L'hai mai capito, papà'?", pensò rattristandosi. Sospirò ripensando alla telefonata con Gérard della sera prima. Gli aveva detto che era inutile proseguire quella storia senza senso, e lui l'aveva presa male. "Hai conosciuto un altro?" le aveva chiesto "No! Assolutamente no." "Non so Oscar…sei così cambiata, ultimamente. Ma forse è meglio così. Ho sempre saputo che c'era una parte di te che non mi apparteneva…per questo a volte eri così fredda…" "Non è vero!" "Sì che è vero! Sei una donna fredda Oscar, e probabilmente lo sarai sempre" ed aveva riattaccato. Le sue parole l'avevano ferita. Era vero…in tutte le sue storie non era mai riuscita a darsi completamente, era come se nessuno fosse riuscito a toccare davvero il suo cuore. Era così sicura di sé nel suo lavoro, così indipendente…e nei rapporti personali era un disastro. Si sentiva sempre impacciata, come se stesse recitando una parte che non era la sua, come se qualcosa le impedisse di abbandonarsi alla sua natura di donna. Poco femminile… anche quello si era sentita dire, a volte. Certo non era il tipo fragile ed apparentemente insicuro che molti sembravano cercare, ma di questo in fondo era felice. André…aveva cercato di non pensare a lui. Era ancora profondamente turbata da quello che era accaduto due sere prima. Con lui non era stato così, era stato tutto naturale, istintivo…come se non avesse atteso altro tutta la vita. Aveva sentito di poter essere se stessa per la prima volta, e questo in fondo le faceva paura. Non aveva mai provato un desiderio così forte per qualcuno, per quanto le costasse ammetterlo; ed era quasi fuggita. Probabilmente non l'avrebbe cercata mai più, ne era certa, pensava giocherellando con una matita. Assolutamente certa. Cominciò a tracciare dei segni su un foglio bianco… un volto. Capelli scuri… lineamenti regolari… assomigliava ad André. Era André, senza dubbio. Lo guardò con occhio critico. Inutile, era proprio lui. Incredibile come il volto di qualcuno potesse imprimersi con tanta forza nella mente… se solo fosse riuscita a capire chi le ricordava… Appallottolò il foglio e lo lanciò nel cestino. Ecco, era meglio che restasse lì, tanto avrebbe scommesso qualunque cosa che non l'avrebbe più chiamata… Squillò il telefono. "Pronto?" "Oscar, sono André" "Oh, ciao" rispose lei. Dio, le stava tremando la voce. "Scusami, forse ti disturbo" "No, assolutamente", Ecco, così andava meglio, pensò facendo un bel respiro. Se solo il cuore avesse smesso di battere all'impazzata…"Come stai?" "Bene…". Sembrava calmo e indifferente, pensò lei sentendosi molto sciocca. Probabilmente quello che era accaduto non doveva aver significato poi molto, per lui. "Scusami…" gli disse cercando di sembrare abbastanza fredda "Ho molto lavoro, oggi. Cosa c'è?". Silenzio. Forse aveva esagerato. Ma André era deciso a non farsi scoraggiare. Dopo mezz'ora di rinvii aveva trovato il coraggio di chiamarla, ed ora sarebbe andato fino in fondo. "Ok", pensò guardando un foglio su cui prima aveva disegnato il viso di lei,, "facciamoci coraggio…". "Volevo raccontarti una cosa incredibile…" disse con aria noncurante "ricordi che l'altra sera abbiamo parlato del palazzo che apparteneva alla tua famiglia?" "Sì, certo" "Come sai è diventato un albergo esclusivo. Pare che ci siano ancora molti oggetti interessanti, ed il proprietario ha chiesto la mia consulenza per un pezzo in particolare, un quadro. Mi ha invitato per domani". Oscar taceva. Il palazzo…era incredibile. Perché tutto sembrava volerla ricondurre lì? "Oscar, ci sei?" "Sì, certo. Ti invidio, André, vorrei tanto vederlo anch'io" "Ecco, appunto" Trasse un profondo respiro "Volevo chiederti di venire con me". Silenzio. Oddio, non era quello che avrebbe voluto dire! "Cioè, intendevo…" disse precipitosamente "Venire a vederlo, anche solo per… poche ore. Io… io sarò impegnato con il quadro, e tu… potresti approfittarne per conoscere il palazzo della tua famiglia. Ma se hai da fare…" ed attese torcendo il filo del telefono. Oscar rifletteva furiosamente. Forse era giunto il momento di vedere quel palazzo che la incuriosiva terribilmente, ma andarci insieme ad André… non se la sentiva. "Ecco…mi hai preso alla sprovvista" disse "Devo confessare che sono molto curiosa, in effetti. Ma… credo che non sia una buona idea. Ho molte cose da fare,". "Come vuoi, non insisto. Rispetto le tue regole, ricordi?", disse lui con dolcezza. "Ti ringrazio", "Allora… ti farò sapere com'è andata, va bene?" "Sì, ciao" "Ciao".

Oscar mise giù il ricevitore. Accidenti a lui! Sapeva che voleva visitare quel luogo, e gliel'aveva proposto come la cosa più innocente del mondo! Non posso, non posso… continuava a ripetersi. In fondo che male ci sarebbe? No! Era impossibile, punto e basta. Strinse con forza la matita, che si spezzò. La gettò via con rabbia. Lei ed André insieme in quel palazzo… La nostra casa… Per un attimo le passò davanti agli occhi l'immagine di un salone, e lei ed André accanto ad una finestra, con una bianca luce accecante che li avvolgeva… "Basta sogni ad occhi aperti", pensò tentando di concentrarsi su una fattura che aveva davanti. Era sempre stata capace di una disciplina ferrea, quando voleva. "Sembri uscita da un'accademia militare… " le avevano detto una volta.

Guardò il telefono. Molto probabilmente l'aveva chiamata dal negozio, ed il numero lei l'aveva ancora…Non se ne parla. Si alzò ed andò alla finestra. Non aveva mai fatto nulla d'irrazionale nella sua vita, e non avrebbe certo cominciato adesso. Si, ma non l'avrebbe mai fatto prima… Assolutamente no. Ora sarebbe uscita e non avrebbe più pensato a quella telefonata e… a tutto il resto.

André stava osservando una pistola del 1810. Bella…ma la sua mente vagava altrove. Oscar…sapeva che era una follia chiederle di andare con lui, ma non aveva potuto impedirselo. Cosa c'era in lei che lo spingeva a fare cose assurde? Non si riconosceva più. Non era mai corso dietro ad una donna in vita sua, non era il tipo. O meglio… non lo era prima… L'immagine di lei lo inseguiva come una musica e lo tormentava come un problema. Si consolò pensando che l'innamorato che conservi la ragione non obbedisce fino in fondo al suo demone. L'innamorato. Chiaro, preciso e definito quel pensiero si era formulato nella sua mente. "Io l'amo" pensò puntando la canna della pistola sul suo cuore. Era come sentire un proiettile penetrare nel petto. Rapido, inesorabile. Strano, gli pareva quasi di avvertirne la sensazione, pensava sentendo un brivido. A volte aveva creduto che amare potesse essere quello che aveva provato in qualche occasione, ed ogni volta aveva dovuto ricredersi. Ma lei… aveva raggiunto immediatamente il centro del suo essere, un prodigio sorprendente, antico come il mondo. Quel bacio… erano due giorni che non pensava ad altro. "Neanche fossi un ragazzino…" pensò tristemente. La notte precedente aveva fatto un sogno confuso, in cui la baciava ancora, ma lei aveva uno strano vestito…e c'erano alberi, alberi e lucciole tutt'intorno. Squillò il telefono. Qualche seccatore, sicuramente. Non avrebbe risposto. Continuò a squillare. Avrebbe potuto essere suo padre... Se squilla un'altra volta rispondo, pensò. Altro squillo. "Pronto?" "André, sono Oscar". Accidenti a lui, si era augurata che non rispondesse. Ma aveva fatto squillare il telefono sette volte, e proprio quando stava per riattaccare, lui aveva risposto. Silenzio "Ci sei?" "Certo che ci sono" "Volevo dirti…ho controllato le mie cose e… non sono così impegnata come credevo… e visto che in fondo mi piacerebbe molto vedere questo famoso palazzo…" "Si?" "Pensavo…forse non sarebbe una cattiva idea se venissi anch'io" "Ah…" Silenzio "Hai cambiato idea, André?" "No, no. Assolutamente no. Mi fa piacere. Voglio dire…per te. Cioè: così potrai vedere quel posto, finalmente" Silenzio "Infatti. Ma riguardo al viaggio…" "Sì, lo so, preferisci venire da sola" disse lui sorridendo e guardò verso la strada. Gli stessi palazzi di sempre, le auto, le persone… strano come tutto sembrasse improvvisamente diverso.

 

 

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