Manoscritto di un vecchio sporcaccione
(Nonita)
Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, rememeber not to steal from them.
L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.
Nonita, fiore della mia adolescenza, quanto ti
desiderai, quanto ti cercai quando ancora ero ignaro dei turbamenti d’amore.
Perché tu, evanescente sogno proibito, eri solo una creatura agognata, frutto
dei deliri di un ragazzetto dai precoci pruriti. Nonita, il solo nome mi provoca
un brivido che sale dai visceri e si estende potente per tutto il corpo. Gioco
col tuo nome per farlo mio: N-O-N-I-T-A. Dolce suono che mi provoca un fremito
nell’anima. Ah! Nonita, nonita mia…Spasmo orgiastico, nettare divinamente
inebriante…
Ho
sempre avuto una certa predilezione per quelle che io chiamo vezzeggiativamente
“parchette”. Rammento che fin da piccolo mi accoccolavo nel grembo della mia
nonna. L’ava mi stringeva con amorevole cura al suo petto vetusto ed io mi
perdevo in fantasie morbose. Poi sono cresciuto ed è cominciata la mia
educazione sentimentale fatta di sospiri di servette acerbe e di donnette
prezzolate. Ma i visi rotondi e coperti di efelidi non provocavano in me lo
spasmo erotico. Ero bramoso di esperienza, di caldi abbracci intimi e profondi
capaci di togliermi il respiro. Ricordo quando la vidi
in tutto il suo splendore. I capelli candidi come la neve mandavano
riflessi lunari. Le luci offuscate da una potente miopia, velate dalle lenti
spesse degli occhialini d’oro. Il suo aspetto corpulento mi infiammò e si
insidiò nella memoria lasciva e corrotta. Escogitai vari stratagemmi per starle
vicino: l’aiutavo a salire lo scalone di marmo reggendole la tremula mano e di
tanto in tanto afferrando la sua vita. L’aiutavo a portare il pesante vassoio
d’argento in modo da sfiorarle la mano fugacemente. Ricordo con spasmi di
voluttà il giorno in cui cadde ed io la soccorsi prontamente. A causa della
caduta la gamba si era svelata ai miei occhi, liberata dall’ingombro del panno
pesante. L’arto così pallido, solcato dalla linea ondulata delle varici fece
in me scoppiare il desiderio folle. Dovevo farla mia. L’aiutai ad alzarsi e la
strinsi a me mentre la guardavo con occhi di bragia. Le accarezzai il volto
segnato dal tempo. O troppo, troppo debole carne! Al contatto di quella che mi
parve una prugna avvizzita la mia virilità si svegliò, fiera e possente.
Cercava di divincolarsi, la pudica, ma non glielo permisi. Premetti le labbra
sulle sue. E, O dei del cielo siate miei testimoni, la possedetti sul posto
scoprendo con un po’ di tristezza ch’ella non era alla sua prima esperienza.
Lei mi si donava con vetusta pudicizia. Io mi muovevo come un fuoco dentro lei,
solleticando i deliziosi baffetti che le crescevano sugli angoli di quella bocca
rosata e un poco crespa. La mia lingua vogliosa esplorava il suo palato,
percorrendo voluttuosamente il contorno delle labbra, alzando e abbassando la
protesi. Ero eccitato come non mai e anche lei danzava seguendo il ritmo del mio
maschio desiderio. Alla fine dell’amore l’ammirai: mai si era vista in tutta
la terra creatura più sublime. Scrutavo quel corpo cadente, quel grasso morbido
e rugoso, la linea dei fianchi scendere mollemente, i seni cadere sotto il peso
degli anni. Avevo fatto di lei nuovamente una donna. Cominciò così la nostra
relazione segreta. Quando la notte scendeva furtiva come un ladro, io mi
introducevo avvolto dal silenzio, nelle sue stanze. Le declamavo dolci versi
amorosi e la possedevo. Avevo preso piacere a dipingere le sue grazie e così,
dopo l’amplesso, la ritraevo mollemente adagiata sul letto, tra la morbidezza
dei pizzi. La vezzosa appoggiava la mano sul pube dal vago crine ed io non
resistevo, la possedevo febbrilmente, senza sosta: c'era l'osso nei miei 20 cm
di asta! Nonita, nonita mia, se penso a te, nulla ha più significato, il tuo
amore val più del mia stessa vita, del mio onore.
Più
la guardavo, nascosto da occhi sospettosi, camuffando il mio amore per devozione
filiale, più sentivo montare in me la gelosia. Nonita era così bella, così
calda, così prepotentemente donna. Mi prese, perciò, la brama di possesso e
cominciai a prenderla in diverse posizioni. Quando ero in cucina, con la scusa
di un assaggio culinario, la possedevo di tergo, alzandole le pesanti sottane e
omaggiandola della mia virilità eretta, lignea come un orno. Lei tratteneva
sommessamente gli spasimi e mi implorava nel silenzio di non appoggiarmi troppo
alla schiena cara che da tempo era piegata dalla sciatica. Nonita, come ti
possedetti in quel tempo d’ubriacatura d’amore? Ricordi, mio unico amore,
magnifico strumento di sensualità e appagamento? Mia moglie, la donna che
dovetti sposare per interesse di casato, non sospettava nulla. La nostra attività
coniugale si era conclusa da tempo, con la nascita di Oscar la nostra
ultimogenita. Oscar, ragazza che mi aveva sempre dato dei grattacapi per quel
carattere troppo ribelle, troppo problematico secondo i costumi dei giovani
d’oggi, era diventata una balda giovinetta piuttosto belloccia. Ella
rappresentava l’unico ostacolo che si poneva tra il coronamento del nostro
sogno d’amore. Purtroppo la ragazza non ne voleva sapere di accasarsi. Con la
testa piena di idee alquanto bislacche, aveva voluto rinunciare alla sua
femminilità indossando un’uniforme solo per seguire le mode del tempo.
Sarebbe stata anche più carina se avesse curato maggiormente la sua persona e
non avesse avuto quei capelli ammatassati, poco inclini al pettine, che
ripugnavano la mia sensibilità estetica di uomo di cipria e parrucca. Io ero
tutto preso dall’ardore per la bella Nonita e volevo che l’impicciona
figliastra levasse le tende dal borgo natio anche perché la tenera fanciulla
aveva raggiunta l’età di 33 anni. Mi accordai con tale Girodel, giovane
premuroso che mi avrebbe garantito una nobile discendenza. Lo supplicai di
convolare a giuste nozze con mia figlia Oscar, mi prostrai ai suoi piedi con gli
occhi bagnati di fruttifero pianto pensando alle mie notti d’amore con Nonita
e alla voglia di dare stabilità al nostro rapporto, che ormai non era più solo
sesso e amplessi infuocati
ma reciproca stima e nobile amore. La peste rifiutò il pretendente e portò lo
scompiglio nella mia dimora. Si arruolò nei soldati della guardia seguendo qual
malsano capriccio. Io e Nonita seguitavamo ad incontrarci segretamente sempre
temendo le visite improvvise di mia figlia. Non resistevo più. Gli amplessi con
Nonita erano solo fugaci sveltine consumate nell’oscurità della notte e nella
solitudine della cantina dove tenevo il vino novello che lei, splendida come
sempre, andava a prendere per compiacermi. La rabbia a lungo repressa e la
frustrazione per il mancato coronamento del mio sogno d’amore più grande mi
portarono ad aizzare lo spirito libertino della mia figliola in modo che
aderisse ai moti rivoluzionari che imperversavano in Francia. E, con sotterranee
macchinazioni la condussi nelle braccia di André, il nipote di Nonita
segretamente invaghito della fanciulla da immemore tempo. Volevamo toglierceli
dagli augusti piedi. E così fu. Mia figlia mi fece recapitare un messaggio in
cui mi ringraziava dell’amore e dell’affetto che avevo nutrito per lei e mi
supplicava di perdonarla. Il mio cuore cominciò a sobbalzare, il mio sogno si
stava avverando. Con le ali ai piedi corsi da Nonita per asciugarle le lacrime.
La presi per mano e la condussi nei miei appartamenti. Finalmente eravamo liberi
di amarci. Mi sentivo fiero come un animale predatore dopo il travaglio
notturno. La preda era stata catturata. La baciai lascivamente sul collo. Lei si
contorceva e il suo corpo era percorso da ondate di voluttà. Le tolsi il
grembiule e la contemplai in tutta la sua bellezza. Potevo dedicare al vetusto
corpo tutte le attenzioni amorevoli di cui aveva bisogno. Lei impiegava un po’
per riscaldarsi ma io, nel mio ardore le stuzzicai i seni, delicati boccioli di
rosa un poco caduchi. La mia prepotente virilità urlava dal desiderio: ahi,
qual era cosa aspra e dura, pareva lo stendardo spiegato per l’ardua
battaglia. Mi tuffai su di lei e la feci nuovamente mia. Lei ansimava, implorava
che rallentassi il ritmo per darle il piacere ma io, egoista maschio dominatore,
accelerai i moti d’amore. Raggiungemmo la meta, io per primo, lei molto dopo.
La guardai con le lacrime agli occhi: Nonita, finalmente insieme, io e te.
Nonita, fiore della mia vita, focosa e parca amante. Nonita, bellissima
ossessione. Nonita, Nonita, io e te insieme per sempre…
Generale de Jarjayes
Nota del curatore
Il
manoscritto termina qui. Attraverso le cronache del tempo possiamo ricostruire
con certezza le sorti del generale e della sua amante dopo il coronamento del
loro sogno d’amore. Allo scoppio della Rivoluzione il generale ideò di
mettersi in salvo con Nonita scappando dalla Francia. Prima di partire però, da
nobile fedele della corona qual era, egli propose alla Regina un piano per
facilitarne la fuga. La Regina rifiutò l’offerta coraggiosamente disposta ad
andare incontro al proprio destino. Espresse solo la volontà di recapitare una
sua ultima lettera d’amore al suo conte di Fersen. Accadde l’irreparabile.
Durante l’incontro, Fersen rimase letteralmente stregato della bellezza e
dalla grazia di Nonita. Fersen, provato dal fascino della “parchetta” si
consumò di ardore e passione. Dichiarò il suo amore a Nonita con eterni giuri.
Nonita, lusingata, accettò e ne divenne l’amante. I loro incontri si
svolgevano all’oscuro dal generale. Nonita aveva tratto vantaggio da questa
nuova relazione, si sentiva ringiovanita, una donna nuova, seducente e vitale.
Decise, dunque, di migliorare il suo aspetto: impacchi alla camomilla, pomate
per le varici, un mangiar più sano e ripetute tinture all’ennè per i capelli
bianchi. Fersen le propose di fuggire lontano. E così fecero. A questo punto la
storia si ingarbuglia e non ci consente di comprendere gli spostamenti di questo
triangolo amoroso. Il manoscritto è stato divorato dai topi e alcune parti
risultano di difficile comprensione. Possiamo solo intuire che il generale pazzo
di gelosia si sia messo sulle loro tracce, fermamente intenzionato ad avere la
sua donna. Nonita tentò un approccio col generale, provando a spiegare che il
loro amore era finito, che lei stava vivendo una nuova giovinezza accanto ad
Hans Axel. Il generale in un impeto di rabbia, furente per lo sfacelo della sua
“parchetta” decise di togliersi la vita, non prima di aver ucciso il bel
conte di Fersen.
Imbracciò
l’arma, sparò al conte freddandolo. Nonita, al culmine del dolore gli si gettò
tra le braccia implorandolo di non commettere altre sciocchezze. Il generale non
l’ascoltò e, rivoltole un ultimo sguardo compassionevole, quasi a contemplare
quella maschera di belletto e tintura, premette il grilletto. Nonita restò tra
lo stupito e il perplesso pensando che oramai la Francia era testimone
dell’astro nascente di Napoleone Bonaparte. Alcuni studiosi affermano che
Nonita non si diede per vinta e si mise alla volta di Parigi, forse in cuor
sperando che il futuro imperatore avrebbe gradito le parchette. Si sa, morto un
papa se ne fa un altro…
Mail to elisabetta.dragotto@comune.mantova.it