Speranze
parte 1
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Distanze
Inverno 1787
Tirò con
forza le redini. Il purosangue si impennò. Lo spinse di nuovo al galoppo. Il
silenzio di quella mattina fu interrotto bruscamente dal rumore degli zoccoli
sul selciato.
Avvolto in un
ampio mantello scuro, sembrava non essersi accorto del freddo pungente di quella
mattina.
Sono davvero
un pazzo…
Fu questo che pensò, quando il vento gelido di quell’improvvisa corsa cominciò
a penetrargli nelle ossa.
Non
era certo l’ideale cavalcare con quel gelo, soprattutto dopo una notte
terribile come quella appena trascorsa; non era riuscito a chiudere occhio per
niente, rigirandosi mille volte nel letto. Aveva deciso di alzarsi, aggirandosi
come un fantasma nel palazzo avvolto dal silenzio e dall’oscurità, alla
ricerca di un qualcosa che non sapeva neanche lui cosa fosse… o forse sì?
Oscar
non era lì. Era partita due giorni prima per Fontainebleau al seguito della
regina, del re e… di Fersen; anche André sarebbe dovuto andarci, in qualità
di suo attendente, ma all’ultimo momento aveva trovato una penosissima scusa
per poter rimanere solo al castello.
Era rimasto lì,
a guardare, in lontananza, l’esile figura di Oscar che lo salutava con la
mano. La sua bellissima Oscar… fino a un momento prima di partire, lei aveva
continuato a domandargli se stesse bene, se avesse bisogno di qualcosa…alla
fine aveva preferito non insistere ulteriormente, ed era partita lanciandogli
uno sguardo fra l’inquieto e il preoccupato. I pensieri di André avevano
indugiato a lungo sul volto di Oscar, il sole che trasfigurava in mille riflessi
i suoi capelli biondi; quel sole che, quel giorno, l’aveva accecato per un
attimo… come la sua bellezza. Accecato. No, non era la stessa sensazione. Non
erano assolutamente assimilabili: il sole poteva abbagliarlo solo per pochi
istanti, lei ci riusciva da tutta una vita.
Gli
mancava moltissimo; si maledisse per essere stato così deciso nel suo rifiuto
ad accompagnarla. Quella decisione, dettata dalla voglia di ferirla, sottile
vendetta per quella gelosia che a Fontainebleau temeva non sarebbe riuscito a
celare, si stava rivelando una terribile arma a doppio taglio; non sapere cosa
stesse facendo e soprattutto non averla accanto, era più insopportabile che
osservarla cercare con lo sguardo il suo adorato conte svedese…
E quello che proprio non riusciva a mandare giù era l’atteggiamento,
così inusuale per lei, che assumeva se anche solo sentiva parlare di Fersen:
gli occhi si facevano lucidi, le labbra si increspavano leggermente, le mani
cominciavano a tormentarsi, e tutto a un tratto quella stramaledetta espressione
sognante si dipingeva sul suo volto. Quanto
la odiava in quel momento… Quanto odiava vederla così per quell’uomo che
non avrebbe ricambiato mai i suoi sentimenti. Era così chiaro che non c’era
posto nel cuore di Fersen, mentre lui avrebbe aspettato una vita intera, se
fosse stato necessario, per Oscar.
All’inizio,
quando aveva cominciato a notare quei turbamenti in lei, si era imposto di non
darci peso: si era costretto a pensare che non era possibile che Oscar si fosse
innamorata proprio dell’amante della regina. Poi, arresosi all’evidenza,
aveva pensato di indurla a notare quanto fosse inutile struggersi d’amore per
un uomo che non l’avrebbe mai amata. Ma non l’aveva fatto… Non sapeva
nemmeno lui perché avesse deciso di tacere e di soffrire in silenzio… in
realtà, temeva di avere rinunciato a metterla in guardia da Fersen in una sorta
di vendetta contro di lei. Avrebbe voluto che Oscar comprendesse sulla sua pelle
cosa significa amare senza essere ricambiati, senza avere la minima possibilità
di vedere il proprio sentimento ricambiato. Sì… forse in fondo al suo cuore,
voleva che anche lei soffrisse per amore, come lui… Se non lo amava, almeno
avrebbe provato la sua stessa sofferenza. E non si sarebbe mai separata da lui.
La sua speranza.
Era quasi
arrivato al basso muro a secco che delimitava la piccola vigna al confine con la
proprietà dei Jarjayes; pensò di saltarlo, si preparò a farlo ma, nella
frazione di secondo che il cavallo impiegò per superare il muretto, tutto
divenne buio attorno a lui. Un istante solo. Paura. Poi tutto tornò chiaro,
nuovamente chiaro.
Pensieri,
paure invisibili e, allo stesso tempo, così reali da essere addirittura
soffocanti presero immediatamente il sopravvento sulla sua razionalità:
Mio Dio, cosa è successo? Non ci ho visto più…
l’occhio destro… non… non è possibile, forse la stanchezza… una notte
insonne può giocare questi scherzi… sì… può anche succedere questo…
certo… però… però…
Gocce di
sudore gli scesero lungo le tempie, mentre, sul cavallo ormai fermo, si guardava
intorno alla ricerca di punti di riferimento per controllare lo stato della sua
vista: vide nitidamente alcuni uccelli su un olmo ormai spoglio, cercò con lo
sguardo i rami rampicanti del vigneto lì vicino per assicurarsi dei loro netti
contorni, e infine si guardò le mani coperte dai guanti di pelle nera e sorrise
nel vederli ormai logori e consunti alle dita…
Le statue di
marmo che ornavano il parco della reggia di Fontainebleau brillavano della
leggera brina posatasi durante la notte.
C’era uno
splendido sole, non solito in quella stagione, che rendeva sfavillanti le
fontane, ghiacciate dalla rigida temperatura di quei giorni.
Il recente
restauro di gran parte della facciata della reggia, nonché la ristrutturazione
di alcuni appartamenti e del padiglione da concerto, avevano reso Fontainebleau
un piccolo capolavoro di architettura barocca – neoclassica e anche un luogo
riservato a pochi nobili privilegiati che, al seguito dei sovrani, ricercavano
il puro piacere dello svago e una vita scevra dalla rigida etichetta di
Versailles.
Maria
Antonietta sembrava entusiasta.
Aveva ritrovato la serenità:[i]
si muoveva con la sua innata grazia nel piccolo salone a piano terra,
dove si era appena concluso il concerto, circondata da un nutrito gruppo di dame
che la seguivano ad ogni suo passo. La sua felicità aveva una spiegazione che
tutta la corte conosceva, e che solo lei si ostinava a credere fosse segreta: il
conte di Fersen era tornato in Francia, da lei. Era giunto la sera prima,
credendo che nessuno l’avesse visto, e le aveva
giurato che avrebbe passato con lei due settimane prima di ritornare in
Svezia.
In cuor suo
la regina sapeva che sarebbe presto tornato da lei, e per questo, nel corso dei
lavori di restauro a Fontainebleau, aveva approntato per lui, o meglio per loro,
un piccolo appartamento che comunicava, attraverso un passaggio segreto, con
l’appartamento reale. Non vedeva l’ora di mostrarglielo e di condividere con
lui i momenti d’amore che tanto aveva sognato.
Oscar bevve
un altro bicchiere di borgogna, mentre i suoi occhi vagavano sui volti
semisconosciuti degli astanti: lo stava cercando… cercava disperatamente il
suo viso. Le era sembrato strano
che Fersen non avesse ancora reso omaggio ai sovrani, nonostante fosse quasi ora
di desinare. Non era riuscita a dargli il benvenuto la sera prima, quando aveva
saputo del suo arrivo, e adesso non vedeva l’ora di rivederlo. Durante la
notte non era riuscita a chiudere occhio. Sperava di trovare il modo di passare
un po’ di tempo con lui: infine aveva deciso che gli avrebbe proposto una
lunga cavalcata nei dintorni del castello, o di allenarsi con la spada.
“Oscar!”
Quella
voce… quell’accento inconfondibile… Oscar si voltò, pensando di essere in
quell’istante la donna più felice del mondo.
Hans era di
nuovo di fronte a lei, splendido come al solito, e le stava sorridendo con
calore.
“Hans…
che piacere rivedervi… da quanto tempo…- e mentre lo diceva pensava che, in
quanto a frasi fatte, aveva
superato il limite giornaliero.
Fersen le
prese la mano baciandola delicatamente, prima di aggiungere:
“Già…
ciononostante qui in Francia sembra che il tempo si sia fermato, e che nulla sia
cambiato… beh, a parte il nuovo padiglione da concerto!”
Risero
entrambi, poi il Oscar riprese, il volto fattosi serio.
“Sono
felice che voi siate ritornato, ma devo dissentire da quanto avete detto prima;
purtroppo i tempi stanno cambiando molto rapidamente. Tre anni fa la regina
sarebbe riuscita a superare indenne qualsiasi scandalo l’avesse coinvolta,
anche perché erano cose da poco, capricci, di cui, in fondo, il popolo sapeva
molto poco; ora, invece, dopo l’affare della collana, sua Maestà è guardata
con sospetto da tutti e, cosa ancor più grave è considerata la responsabile da
tutto il popolo francese.”
“Vi
prego… mi è bastato vedere Parigi invasa dagli orribili libelli di M.me de la
Motte… avrei voluto esserle vicino… per fortuna c’eravate voi, Oscar, a
proteggerla.”
Oscar non lo
ascoltava già più. “Avrei voluto esserle vicino…”, parole così semplice
e chiare, eppure imbevute della più atroce e inconfessabile verità.
Quella
sottile sofferenza procuratale dall’inevitabile presa di coscienza, la fece
distrarre per un attimo dall’argomento della conversazione, tant’è che
dovette scusarsi con Hans e chiedergli di cosa stesse parlando.
Ma che diavolo mi prende? …Continuando a
parlargli in questo modo, mostrandomi come l’amica di sempre, a cui tutto si
può confidare… non si accorgerà mai di me… già, ma se anche gli rivelassi
i miei sentimenti, anche se lui sapesse quanto lui è importante per me, quanto
io lo amo, sarebbe tutto inutile. Lui ama la regina ed io non potrò mai
sostituirmi a lei… in fondo, però,
io lo amo anche per questo: per la sua lealtà, per la sua fedeltà a questo
amore impossibile. Oh Hans… quanto ti amo…
L’improvviso
congedo di Fersen la riportò crudelmente alla realtà.
“Oscar, ma
che avete? Sembravate a un miglio di distanza da qui? Ora devo andare, ma spero
che avremo presto modo di vederci; sapete, mi piacerebbe moltissimo cavalcare di
nuovo con voi per questi deliziosi giardini e magari potreste insegnarmi qualche
nuovo attacco nel fioretto!”
“Ne sarei
davvero lietissima!”- rispose Oscar celando a stento la gioia- “potremmo
vederci domani, dato che la regina sarà impegnata nell’organizzazione del suo
nuovo spettacolo teatrale. I dintorni di Fontainebleu sono davvero splendidi e,
se la giornata sarà come quella di oggi, vi assicuro che ne rimarrete
estasiato!”
“Molto
bene! Penso che un po’ di svago non potrà che farmi bene
e mi aiuterà a non pensare troppo ai miei problemi… bene… allora…
a domani.”
Fersen si
allontanò, dopo averle nuovamente baciato la mano, ed Oscar ebbe la sgradevole
sensazione di essere arrossita.
Tornò di
corsa nei suoi appartamenti, con il cuore che sembrava volerle esplodere nel
petto da un momento all’altro; riuscì a calmarsi solo dopo essersi
rinfrescata il viso e aver bevuto un bicchiere di cognac.
Sapeva di
stare sbagliando: era perfettamente cosciente che tanto affanno non sarebbe
servito a niente. Era in preda ad una terribile confusione, incerta
tra ciò che voleva veramente e ciò che le sarebbe bastato ricevere. Una
decisione davvero difficile da prendere, per lei. Forse sarebbe riuscita solo a
rendersi ridicola. Scacciò quel pensiero dalla testa, scuotendo
involontariamente il capo: mai, nemmeno per amore di Fersen, avrebbe perso la
propria dignità, nemmeno se quella dell’indomani fosse stata l’unica
occasione di vivere il proprio amore.
“No… non
mi amerà mai; o perlomeno non come io vorrei”- rifletté ad alta voce
guardandosi allo specchio.
Era strano
che proprio lei avesse fatto, in realtà, una precisa analisi sull’amore; lei,
che appariva a tutti come il gelido e impenetrabile comandante delle Guardie
reali, e che in realtà fino ad allora si era tenuta volontariamente lontana da
qualsiasi fantasticheria, si ritrovava a pensare insistentemente a sogni
d’amore e speranze finalmente appagate. I suoi sentimenti ormai le erano
chiari e tutto sommato non era stato difficile accettarsi in questa nuova
situazione di innamorata. L’educazione maschile impostale aveva reso più
forti le sensazioni che provava, come se queste fossero state chiuse in
un’enorme cassa di risonanza, che ne avesse aumentato l’intensità.
Sì. Lei
voleva l’amore. Un amore sublime, una passione bruciante, che desiderava da un
uomo che sapeva, fin dall’inizio, non sarebbe stato suo, perché già legato,
da quell’amore e da quella passione ad un'altra. Un sentimento tale da legare
un solo uomo ad una sola donna. E lei non era quella donna. Questo la rendeva
triste. Desiderava poter suscitare tenerezza, passione, desiderio, e finalmente,
adesso capiva di poter provare per un uomo le stesse cose, ma pretendeva,
inutilmente, anche di essere l’unico oggetto di simili emozioni. Appoggiò la
testa allo specchio e gli occhi le si riempirono di lacrime.
Ho paura che arrivi domani; io, che credevo di non
aver paura di niente, ho paura di una passeggiata a cavallo… ho così terrore
di perderlo che preferirei vivere in eterno in questo limbo di incertezze,
piuttosto che chinare il capo ad un’amara realtà…
Come vorrei che l’alba non spuntasse mai…
Aveva
passato una notte terribile popolata da incubi che non ricordava, ma che sapeva
essere stati spaventosi; aveva anche dimenticato di chiudere bene le tende e
adesso sottili raggi di luce gli ferivano l’occhio destro con una crudeltà
del tutto nuova. Ci mise un po’ prima di mettere a fuoco la sua stanza e di
riuscire ad alzarsi dal letto: un’altra notte senza di lei, un altro giorno
nella solitudine più totale, e non aveva da incolpare che se stesso. S’impose
di non pensarci, del resto aveva un mucchio di lavoro da sbrigare oltre a dover
finire di riparare una carrozza che ormai da troppo tempo giaceva inutilizzata
nella rimessa.
Prese con sé
gli attrezzi necessari e si diresse con poco entusiasmo verso il capannone
accanto alle scuderie. Si rendeva conto di non essere in perfetta forma per un
lavoro così pesante, ma non gli importava: doveva impedirsi di pensare ad
Oscar. Del resto, lei probabilmente
non stava pensando a lui in quel momento. Tanto valeva darsi da fare e finire in
fretta; e concedersi una cavalcata nel pomeriggio.
Lavorò
duramente per circa due ore, poi decise di concedersi una pausa; il cielo doveva
essersi improvvisamente rannuvolato poiché la luce all’interno della rimessa
era diventata piuttosto scarsa. Accidenti, pensò, si preannuncia
davvero un brutto temporale. Ci devono
essere nuvole cariche di pioggia là fuori… sembra come se si stesse facendo
notte… Fu un attimo e capì. La luce divenne sempre più fioca intorno a
lui, fino ad esaurirsi del tutto nel giro di pochi secondi. Era solo. Era al
buio. Avvertiva il calore della luce sulla pelle, ma era inesorabilmente al
buio.
Rimase
immobile, mentre il suo cuore accelerava i battiti e il sudore gli si gelava
addosso; strinse convulsamente le mani sulla ruota che stava riparando. Cominciò
ad avere paura. Poi, d’un tratto, dal buio emersero ombre indistinte, come se
fossero state avvolte nella nebbia, che si dissolse per lasciare il posto alla
luce di un giorno fatto.
Era
sconvolto. Si passò una mano fra i capelli e corse fuori in fretta. Non
riusciva a capire. Non riusciva a pensare. Salì come una furia in camera sua,
quasi travolgendo sua nonna, chiudendosi dentro prima che lei potesse
raggiungerlo per chiedergli spiegazioni. La testa gli faceva male, e solo dopo
un po’ il cuore riprese il suo battito regolare.
Ripeteva a se
stesso che doveva calmarsi e cercare di essere razionale, ma ora era consapevole
che il suo problema non era la stanchezza per una notte agitata, ma un grido di
aiuto inascoltato per troppo tempo. Non riusciva a farsene una ragione, e mai ci
sarebbe riuscito, aveva tentato per tanto tempo di negare quella realtà,
assurda, dolorosissima, definitiva, relegandola in un angolo oscuro della sua
mente. Ora i pezzi del mosaico combaciavano: le difficoltà crescenti nel
leggere la sera i suoi libri, la necessità di accendere un maggior numero di
candele nelle stanze in cui si trovava, e la difficoltà al risveglio di mettere
a fuoco gli oggetti.
Che stupido
che era stato… un incosciente di prim’ordine; era chiaro che l’occhio
destro aveva dei problemi e gli mandava segnali in tal senso già da parecchie
settimane. E lui non se ne era curato. Aveva sottovalutato, volontariamente, per
paura che fosse comunque troppo tardi, una cosa così importante…come se non
pensarci avrebbe potuto scongiurare
il pericolo, o almeno rimandarlo, di qualche tempo.
Forse era già
tutto perduto. Una lancinante fitta alla bocca dello stomaco lo obbligò a
sedersi sul letto.
Era affranto.
Non riusciva a capire come era potuto accadere, e ora, prendendone finalmente
coscienza, non riusciva a pensare lucidamente. Sapeva solo di avere paura. Come
qualcosa che gli gelava i pensieri, il cuore… Diventare cieco. Al buio. Per
sempre.
Si disse che
non avrebbe dovuto lasciarsi prendere dal panico, ma stava tremando e non per il
freddo… provava una paura folle. Diventare cieco e non essere in grado di
impedirlo.
Non riteneva
di essere un vigliacco, in fondo aveva affrontato tutte le prove cui la vita
l’aveva messo di fronte e la stessa decisione di rischiare l’occhio per
salvare Oscar, era stata una sua scelta. Un rischio calcolato, e un risultato
accettato in piena consapevolezza.
Ora era
cambiato tutto; il gioco non era più in mano sua, e il destino si prendeva la
rivincita.
E poi c’era
Oscar. Ancora e sempre lei: nel cuore, nella mente, nell’anima, e anche nelle
sue paure. Il timore di poterla perdere era parte integrante della sua vita, ci
conviveva da quasi vent’anni… adesso, probabilmente, era giunto il momento
che tanto aveva temuto. Non poteva dirglielo, non doveva e non voleva.
Il suo futuro
era un mare nero nel quale annegare, Oscar, l’unico appiglio a cui aggrapparsi
per non morire, ma non doveva e non voleva dirglielo. Perché l’avrebbe persa,
per sempre. Di sicuro gli avrebbe impedito di starle accanto per proteggerla,
l’avrebbe protetto dandogli il colpo di grazia; e, comunque, che razza di
protezione le avrebbe potuto offrire in quelle condizioni? Forse avrebbe messo
addirittura a repentaglio la sua incolumità…
“No!”
esclamò quasi in un grido. Sentì il sale delle lacrime sulle labbra.
Non lo
avrebbe permesso. Anche se questo significava prendere una decisione: ecco, la
sua paura… svelata. Il velo, che celava la veritò, finalmente squarciato se
l’avesse persa, sarebbe impazzito.
Si alzò di
scatto. Aprì la finestra e ispirò profondamente l’aria frizzante di quella
mattina. Rimase lì per un po’, appoggiato alla balaustra di marmo, lasciando
che il vento leggero lo avvolgesse nel suo fresco abbraccio.
Doveva fare
qualcosa. Prendere una decisione; prima che fosse troppo tardi, prima che lei si
accorgesse di qualcosa, ma, in quel momento, per quanto si sforzasse, non
riusciva a vedere altro che orizzonti di china nera sbarrargli il passo e
negargli qualsiasi via di fuga.
Continua…
mail to: annyg@libero.it
[i] = poco tempo prima la Regina Maria Antonietta era stata coinvolta nello scandalo della collana.