Epitaph
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12 luglio
È così tranquilla, questa radura, in questo sabato sera. Non si sentono tumulti, non ci sono altri rumori se non il fluire placido del ruscello e lo stormire leggero delle fronde sotto la brezza serotina.
Non sembra vero che a Parigi, a poca distanza da qui, la situazione sia così grave. Non sembra che ci sia aria di rivolta, e che la tensione stia per esplodere.
Non sembrano vere nemmeno le parole che hai appena sentito. "Ormai è una vita che vengo con te in ogni occasione... non posso certo cambiare adesso, ti pare?"
Non ti sembra vero nemmeno di avergli risposto, di avergli detto a tua volta che lo ami.
E che lui lo sappia da sempre. E invece è vero, così come vero è il suo caldo abbraccio e quel bacio che stavolta non ti deve strappare a forza. Un bacio bello e dolcissimo, reale come la dolcezza con cui cedi alle sue mani forti e calde e ti lasci liberare della tua uniforme blu.
L'aria è così tiepida, addolcita da grilli e cicale, e l'erba così fresca e soffice. E quante lucciole... sembrano piccole stelle che giocano a rincorrersi sul filo dell'acqua.
Senti come ti batte il cuore?
Il tuo fragile e meraviglioso cuore di donna.
L'amore può portare a due cose, Oscar.
Per te, stasera, c'è solo la felicità completa, perché è solo quando siete insieme che senti di vivere.
È il 12 luglio 1789.
13 luglio
Tre spari infrangono il silenzio teso del tramonto in questa Parigi sotto assedio.
Tre, tutti insieme, a raffica, come una scarica di grandine che si abbatte su un vetro.
Due corpi vengono colpiti, quasi in simultanea. Il soldato che presidia il ponte cade, afflosciandosi sotto il peso della morte e dell'arma con cui ha sparato un colpo, mortale come quello che ha ricevuto a sua volta.
Un altro soldato, poco più sotto, si tiene il petto squarciato mentre le sue pupille si dilatano di paura e di dolore.
Colpi sordi, netti, metallici, di proiettili impazziti che oltre al silenzio della sera hanno mandato in pezzi due vite.
Il terzo colpo non si è sentito, eppure è quello che ha fatto più rumore di tutti. È il colpo che ti ha squassato l'anima, come se il proiettile che ha colpito il tuo uomo si fosse sdoppiato e avesse trapassato anche te. Un colpo silenzioso eppure assordante, nell'eco della tua testa.
Ti sembra che tutto nel tuo cuore e nella tua testa vada in pezzi, mentre a rotta di collo sfondi le barricate armate dei soldati per portarlo al sicuro, per cercare di salvargli la vita.
La vostra felicità appena cominciata sfugge dalle tue mani come sabbia tra le dita, nel tramonto di questa domenica parigina. Quelle stesse stelle che ieri sera parevano accarezzarvi, ora di lassù rischiarano gelide il momento del commiato.
Senti freddo dentro, eppure è luglio inoltrato.
Eppure la sua mano è calda, il suo unico occhio brilla ancora con quella tenerezza di sempre. Forse non tutto è perduto... lo pensi anche quando la sua stretta si allenta. Le forze lo abbandonano, ma tu hai forza per due, ne hai sempre avuta.
"… Sto forse per morire?"
Quando guarirà potrete ancora far a botte per vedere chi è più forte.
"… La nostra felicità è appena cominciata…"
Quando guarirà anche tu farai di tutto per guarire.
"… No, io non posso morire adesso…"
Quando guarirà potrete sposarvi, con la benedizione di tuo padre... Se solo...?
"… proprio non posso…"
È il 13 luglio 1789
14 luglio
Hai vagato per tutta la notte, sotto un cielo plumbeo. Quando le cateratte si sono aperte ed è sceso il diluvio eri là, per le strade di Parigi.
Alla ricerca di te stessa, di una ragione per andare avanti, o forse semplicemente alla ricerca di un perché. Dieci, cento perché.
Perché se ne è andato, perché proprio a te.
Perché proprio lui, perché?
Avresti voglia di lasciarti andare, di cedere alla bruma che si è già presa metà del tuo cuore, ma hai qualcosa da finire, qualcosa che devi ancora vedere.
E allora ti alzi, ti fai coraggio, e accetti la mano che quel soldato dal cuore grande ti porge. Era in pensiero per te, è venuto a cercarti, e non solo perché sei il suo superiore. È venuto perché è tuo amico e sa che le lacrime e il dolore si vincono solo buttandosi nella mischia anche in nome di chi non c'è più.
Allora vai, Oscar, anche i cannoni dei rivoltosi devono ruggire. E il tuo posto è alla testa del popolo di cui hai sposato la causa. Fallo per lui, fallo per te stessa, e cosa importa se le pallottole ti fischiano intorno.
Non cederai, come non hai ceduto davanti alle prove che la vita ti ho posto davanti in questi trentatré anni. Sei tosta e caparbia, Oscar, e nessun proiettile potrà fermarti se hai deciso che la Bastiglia deve cadere. Nella mischia sei quella che grida più forte, quella che sguaina la spada con più foga, la furia bionda che guida il popolo alla meta.
Così bionda e così esposta, non possono mancare il bersaglio. I fucilieri sono pochi, ma la loro mira è precisa quanto perentorio è stato l'ordine che hanno ricevuto. Mirare al petto. E su quel petto affondano due, tre, dieci pallottole. Ogni fucilata, un passo avanti verso le braccia tese del tuo André.
Ma la Bastiglia si è quasi arresa, il tuo compito è finito. Puoi congedarti da questo mondo con quella fierezza che nemmeno il tuo infausto destino è riuscito a scalfire.
Hai il fiato corto, Oscar, e d'un tratto ti senti più leggera. Non hai paura, mentre le tenebre ti inghiottono tra i singhiozzi di chi ti ha voluto bene. Sorridi, perfino.
Muore la figlia di Marte, immolata sull'altare della patria come lo era stata tanti anni prima su quello della vita.
È il 14 luglio 1789.
16 ottobre
La ragazza bionda tituba davanti alla porta di legno pesante.
Vi poggia una mano, poi la fronte.
Ha gli occhi arrossati, sembra abbia pianto.
La riscuotono i passi cadenzati del cambio guardia, fuori nel cortile, ed ella entra timidamente nella cella con un piatto fumante.
Ha un brivido lungo la schiena, e non è solo l'umidità di quella stanza malsana con le pareti ghiacciate a farle tremare la mano. La bella donna che da due mesi vive in quella cella è là, stesa di traverso sul letto misero, ancora vestita.
La sua veste lisa è macchiata di sangue, il volto pallido e i capelli ormai bianchi e scomposti fanno sussultare la ragazza.
Ma la donna è sveglia. Non ha dormito, ma del resto chi dormirebbe nell'ultima notte che gli resta?
È tornata in cella a notte fonda, stremata dopo che quel processo si è finalmente chiuso con la sua condanna.
Aveva sperato nella deportazione, l'esilio, oppure la clausura. Poi per un attimo aveva avuto paura, quando le avevano letto la sentenza che l'aveva condannata alla pena capitale.
Ma era durato un attimo. Man mano che la sua mente aveva registrato la parola 'morte', un senso di sollievo le aveva inondato il cuore. Era finita. Finita quella fatica, quello strazio, quella cerimoniosità ostentata che voleva dare un tono di ufficialità ad un processo che invece era solo farsa. Se fine significava questo, era pronta ad accettare la morte con serenità e gratitudine.
La sua calma aveva spaventato la giovane che da due mesi si occupava di lei, quando aveva chiesto carta e penna per scrivere in un'ultima lettera il proprio testamento. Parole piene di amore e di tenerezza per i cari rimasti, ma soprattutto di preoccupazione per i suoi figli.
Quella preoccupazione le dilania il cuore e la mente, ora che tutto è chiaro e ben definito, e lei se ne sta lì con gli occhi sgranati, mentre la giovane inserviente insiste per farle bere qualche cucchiaiata del brodo caldo che ha portato.
Mentre la luce del giorno invade la cella, intorno inizia il trambusto, come sempre quando un condannato eccellente si appresta a morire.
La donna non ha nemmeno il tempo di radunare i suoi pensieri, che già la ragazza bionda è pronta ad aiutarla a vestirsi e i gendarmi si avvicinano.
Quella stessa donna pudica che solo pochi anni fa faceva il bagno vestita fino al collo ora è costretta a spogliarsi davanti ad estranei per levarsi le vesti macchiate da quelle emorragie che la stanno consumando. Ma resiste, piena di dignità. Manca poco, ormai.
Il tempo di pettinarsi, e già la cella si riempie di persone. Le leggono quel verdetto che già conosce mentre le vengono tagliati malamente i capelli, a lasciare libero il collo su cui potrà allacciare soltanto una cuffia di tela.
La donna non si scompone, anche se in cuor suo forse trema.
Vacilla solo quando esce dalla prigione, forse perché la luce del giorno le schiaffeggia il viso. O forse perché mentre le stanno legando le mani ha visto la miserabile carretta con le assi di traverso sulla quale dovrà salire. Un altro insulto, vile e gratuito.
Ma lei stringe i denti, mentre due ali di folla segnano il suo percorso dal lungosenna a Place de la Révolution, e poi guarda fisso davanti a sé. Come ultimo sberleffo le hanno proibito di indossare le gramaglie nere che porta da quando è diventata vedova, in segno di disprezzo per la sua condizione, come se a nessuno fosse permesso piangere un marito re morto per mano di una Repubblica assassina. Sospira guardando avanti, e forse ride tra sé. Perché questi uomini di grandi intenti e ottuse arringhe progressiste nella loro ignoranza hanno voluto che per spregio si vestisse di bianco, senza sapere che quel colore da tempo immemore è il colore del lutto dei sovrani.
Lungo il tragitto la folla rumoreggia, ma lei non la sente. Forse conta i battiti del proprio cuore. Dieci, cento, cinquecento...
Quando scende dalla carretta ha quasi fretta di salire sul patibolo, tanto da pestare un piede al boia.
Quando la staffa le viene posta sul collo, un solo pensiero addolcisce l'ora della paura.
Ha lasciato nelle mani di Rosalie una rosa di stoffa che ha confezionato da sola quando ancora le era permesso ricamare, con la preghiera di colorare quella tela grezza col colore preferito dalla loro amica comune. Sa che forse Rosalie la porterà sulla tomba di Oscar e quest'ultimo pensiero le dà una pace insperata. Forse si rivedranno, lassù.
Davanti alla forca hanno posto allegorie della Repubblica e della Libertà, ultimi dileggi al suo indirizzo.
Ma lei non le vede. Negli occhi ha la libertà vera, quella che rende leggera l'anima e che fa volare lo spirito verso il domani celeste.
Perché non ci sarà un domani terreno su quell'alba vivida che era sorta per Maria Antonietta in questo mercoledì di ottobre.
La testa della figlia dei Cesari cade sotto la mannaia poco dopo mezzogiorno del 16 ottobre 1793, a nemmeno trentotto anni.
Buttata in una cassa di legno con la testa tra le gambe, la sua salma resterà per quattro giorni sulla terra gelata del cimitero della Madeleine prima di essere gettata in una fossa comune.
20 giugno
Via, a rotta di collo.
Via, verso la salvezza. Bisogna fare presto. Via i principini, via il re, via la sorella del re. Via anche la governante. Bisogna portarli fuori dalle Tuileries e via da Parigi, ma bisogna fare presto. La berlina verde è in attesa, ma si potrà fidarsi del cocchiere?
Sono tempi, questi, in cui a Parigi i segreti e la lealtà si vendono e si comprano per poco... ma bisogna pur confidare om qualcuno, quando si decide di salvare la pelle da questa gente che sembra decisa a tutto pur di gettare discredito sulla monarchia e fomentare la Rivoluzione. Bisogna fuggire e bisogna fidarsi di qualcuno.
Anche dell'anonimo cocchiere che dovrà portarti in salvo, per le strade di Parigi prima e fuori dalla Francia dopo. In Belgio, in salvo. Quando hai cara la pelle ti fidi di chiunque... anche se sei la regina di Francia che sta scappando come un ladro nella notte. Ma puoi fidarti, quando a cassetta c'è il tuo uomo. Alto, solido, sicuro di sé. Il pericolo fa meno paura se a guidare la carrozza c'è Axel di Fersen, tornato dalla Svezia unicamente per starti accanto e portarti via. Forse hai anche un po' meno paura. Forse il destino, una volta tanto in questo giugno che per te sembra essere un mese maledetto, ha deciso di darti una opportunità e sorriderti, dopotutto. Forse il futuro sarà migliore già da domani, quando, scortata dalle milizie del generale Bouillé, riparerai in Belgio con la tua famiglia.
Forse lo spera anche tuo marito, quando decide che per l'incolumità di tutti è meglio che il cocchiere prenda un'altra via. È ragion di stato, la sua, oppure vergogna, oppure ancora un presentimento? E allora congedalo. Ha imparato a condurre la carrozza solo per portarti in salvo, e Dio solo sa quanto vorrebbe portarti via con sé per sempre. Salvarti da te stessa e dal domani. Ma non può. Deve andare. E allora guardalo per un'ultima volta, Maria Antonietta, imprimiti nella mente il suo viso perché non lo vedrai più. È la notte tra il 20 e il 21 giugno 1791.
Un corpo senza vita, martoriato e con la cassa toracica sfondata, è quello che viene raccolto dal selciato sul far della sera.
C'è stato un funerale, a Stoccolma, oggi. È morto il principe Cristiano Augusto, l'erede al trono, in seguito ad un ictus che lo ha fatto cadere da cavallo. Ne ha pagato le conseguenze un innocente, accusato ingiustamente di averlo avvelenato. La folla lo ha linciato, finché un corpulento marinaio si è avventato su di lui dilaniandogli il torace coi piedi. Ma forse per lui è stata una liberazione, e la sua anima gravata dal peso del rimorso deve essergli sembrata leggera come una piuma mentre rendeva l'ultimo respiro.
Incattivito dall'odio verso se stesso per aver abbandonato la sua donna al destino, e dal rancore verso coloro che la hanno uccisa, Axel di Fersen può finalmente ricongiungersi alla donna che ha amato nel giorno che ha sempre maledetto.
È il 20 giugno 1810.
Fine
pubblicazione sul sito Little Corner aprile 2015
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