Nelle mani

parte IX

 

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“André? Sei lì, André?

La governante lo aveva detto timidamente, aprendo la porta della stanza di suo nipote. Era da poco trascorsa l’ora di pranzo. Lo trovò sdraiato sul letto, le mani incrociate sul cuscino dietro la nuca, un ginocchio piegato. Fissava il cielo oltre la finestra, da quella posizione.

Si alzò a sedere, quando la vide, con un’aria sorpresa: Marie non veniva mai a cercarlo in camera sua. “Dimmi – rispose - cos’è successo, nonna?”

La donna si avvicinò piano, senza dir nulla. Si sedette sul letto con un sospiro. Poi lo guardò: “Come sta il mio nipote preferito?”

“Bene, perché me lo chiedi?”

“Sai, è tanto tempo che non parliamo un po’…”

André la scrutò in modo interrogativo: “Be’… non è che di solito facciamo lunghe conversazioni…”

“E’ vero, ma non ce n’è bisogno, di solito…”

André accavallò una gamba con un gesto maschile e si portò una mano al viso, il gomito poggiato sul ginocchio. Posò la guancia sulle nocche delle dita. “E stavolta invece ce n’è bisogno?”

La governante sospirò di nuovo: “Temo proprio di sì…”

Lui si preoccupò davvero, allora. “Cos’è successo?” chiese, serio.

“Ecco, sono venuta qui perché devo dirti una cosa. Una cosa che riguarda te e Oscar”

“Me e Oscar?”

“Ho parlato col generale, André: mi ha chiamato nel suo studio”.

Il giovane impallidì, cercando di controllare la propria reazione. Rimase immobile, le labbra chiuse, gli occhi attentissimi:  “E perché?”

“Mi ha detto delle cose e… devo riferirtele, André”.

“Dunque riferiscimele…”

“Ecco… ha ingiunto di mantenere la massima riservatezza, ma…”

“Ma?”

“Tu sai com’è fatto, è un uomo di poche parole…”

“Nonna, insomma!”

“Sì, sì, scusa… è che non so come dire questa cosa, André”.

“Dilla così com’è…”

“Certo… certo. Ecco, André, lui non vede di buon occhio la tua vicinanza con Oscar. Non gli piace la confidenza che avete”.

André si sentì mancare il respiro: “In che senso?”

“Be’, non l’ha detto espressamente, ma… dice che passate insieme troppo tempo”.

“Troppo tempo? Ma se è stato lui a darmi l’incarico di proteggerla!”

“Lo so, sei il suo attendente…”

“Appunto, e allora?”

L’anziana donna sospirò con un po’ d’affanno, e si passò una mano sulla fronte: “Non l’ha detto a chiare lettere, ma me l’ha fatto capire. Insomma, Oscar è una donna, tu sei un uomo… non vuole che stiate troppo vicini. Credo tema che… tra voi…”

André sudava freddo: “Lui pensa che io e Oscar abbiamo una relazione?”

“No no, per carità! Se lo pensasse non avrebbe mandato me a dirtelo. No… vuole solo scongiurare ogni lontana possibilità che accada qualcosa… Ha detto che Oscar è una ragazza molto bella, e che fa una vita molto libera…”

“E se ne accorge adesso? E da quando ha notato che sua figlia è una donna? E’ stato lui a costringerla a vivere come un uomo, a cercare di convincerla che era un uomo! Adesso improvvisamente si è reso conto che è femmina?”

“Sì, lo so, lo so, André… hai ragione. Ma io penso che il generale stia cambiando, che si senta un po’ in colpa… Credo che abbia capito che non è giusto costringere Oscar a fare la vita che fa. O per lo meno che è piuttosto rischioso… E che voglia far qualcosa per impedire… guai”.

“E che cosa, di preciso?”

“Ecco, prima di tutto vuole allontanarti dal suo servizio…”

André si alzò in piedi di scatto, stringendo i pugni, e fissò la governante con occhi di fuoco. Ma non disse niente: aspettava che finisse.

“Ma non preoccuparti, André! Non vuole mandarti via da palazzo Jarjayes, ti assegnerà altre mansioni: solo, non con Oscar. E poi…”

“E poi?”

“E poi c’è un’altra questione. Vuole che tu ti sposi”.

“Cosa?!”

“Sì… dice che non è normale che un uomo della tua età non abbia una compagna… insomma, che… tu sei un uomo giovane, André, ed è naturale che alla tua età…”

“Insomma vuole accertarsi che abbia qualcuno con cui sfogarmi!”

“Praticamente… sì… E’ così. Pensa che così sarà evitato il rischio che…”

“Che mi sfoghi con sua figlia…”

“Sì. Non ha detto questo, non lo direbbe mai, ma le cose stanno così. Lui pensa anche che Oscar sia molto fragile, a causa della condizione in cui vive, e che potrebbe cadere…”

“Negli artigli di un bieco seduttore”.

“Sì”.

“Cioè io”.

“Cioè tu, che - anche se sei il suo attendente - sei molto intimo con lei, da sempre”.

André camminava su e giù per la stanza, fuori di sé. “Certo, improvvisamente si accorge, dopo quasi trent’anni, di aver fatto una cosa mostruosa! E pretende di aggiustare tutto da un giorno all’altro! E’ proprio da lui, proprio da lui… E dimmi, non pensa che le persone abbiano dei sentimenti che non si possono calpestare a piacimento? Come gli viene in mente di decidere che io devo sposarmi perché così lui sta più tranquillo? Non gli è bastato giocare alle marionette con sua figlia? Ora vuole fare la stessa cosa con tutto il resto del mondo? E non pensa che Oscar abbia una sua sensibilità, e che non è giusto schiacciarla ancora? Per l’ennesima volta? Non dico di me, è chiaro che di me se ne infischia, ma di sua figlia non si preoccupa affatto? Del male che le fa?”

“Sì… credo che abbia in mente qualcosa anche per Oscar”.

André si arrestò improvvisamente: “E cosa…”

“Ecco, penso che voglia indurla a lasciare l’uniforme, e… darla in sposa a qualcuno. Tu sai che lei non può rifiutarsi, André. Penso voglia trovarle un marito tra la nobiltà. Quanto a te, mi ha detto che se non accetti le sue condizioni dovrai andare via da questa casa”.

Ora aveva detto proprio tutto. Alzò gli occhi timidamente, per guardare il nipote. Lo vide impietrito. Attese che rispondesse qualcosa, ma il giovane restava in silenzio. Restò in silenzio per molti minuti.

“Certo…”, lo udì dire poi a voce bassissima, inseguendo un pensiero. “Certo… così ci ha sistemati tutti e due e si è messo in pace la coscienza… Non gli importa niente di Oscar, proprio niente. Pensa solo al buon nome del suo casato, ed è pronto a schiacciare chiunque, per questo”. Poi lo vide alzare il viso, e fissarla con un’improvvisa determinazione nello sguardo. I suoi occhi le fecero paura.

“Bene – lo sentì dire, mentre le voltava le spalle -. Questo rende tutto più facile. Molto più facile.”

 

*

 

Oscar era stata sconvolta dalla notizia, e non riusciva a darsi pace. Quando André le aveva riferito i contenuti del colloquio con sua nonna, si era dovuta sedere perché la testa aveva iniziato a girarle all’improvviso. A lei suo padre non aveva detto niente: si era solo trasferito di nuovo a palazzo Jarjayes, e tutte le volte che metteva piede fuori dalla sua stanza se lo trovava davanti. Anche quella spiegazione con André era dovuta avvenire a Versailles, in una pausa del servizio, perché a casa era assolutamente impossibile incontrarsi a tu per tu, ormai.

Aveva il cuore colmo d’ira e di paura insieme. Conosceva bene la volontà ferrea del generale e sapeva che, quando decideva una cosa, pretendeva che fosse realizzata immediatamente, senza preoccuparsi affatto di eventuali obiezioni. Questo lato del carattere di suo padre l’aveva soggiogata per anni, prima che divenisse consapevole di se stessa grazie al rapporto con André. Ne era spaventata anche ora, sebbene fosse più che determinata a resistere.

Dunque volevano allontanarla da André. E farlo sposare. E far sposare anche lei. Con dei perfetti sconosciuti, magari, purché persone di pari condizione sociale.

Pensare a se stessa tra le braccia di un uomo che non fosse André le dava un senso di nausea insopportabile. E lui con un’altra donna, poi, era un’immagine che non riusciva nemmeno a rappresentarsi, tanto la faceva star male.

Aveva dovuto usare tutto il suo amore e la sua dolcezza, André, per riuscire a calmarla: l’aveva fatta entrare di nascosto in una stanza buia, in un corridoio secondario della reggia, per poterle raccontare ogni cosa lontano da testimoni. L’aveva abbracciata e baciata, quando lei aveva iniziato a piangere senza potersi trattenere, l’aveva stretta forte dicendole di non avere paura, che l’avrebbe protetta lui, che nessuno avrebbe potuto separarli. E poi, quando lei gli si era gettata addosso e aveva iniziato a spogliarlo disperatamente, in quella stessa stanza, e lo aveva baciato sulla bocca incurante di tutto, e aveva premuto il corpo contro il suo corpo per far l’amore lì, subito, appassionata e smarrita come se avesse paura che potessero impedirle di toccarlo ancora, come se facendolo lì, subito, sul pavimento, potesse riaffermare con tutte le forze che si appartenevano; quando lo aveva trascinato a terra ed era salita su di lui lottando contro le sue resistenze, i suoi inviti alla prudenza, e lo aveva infiammato coi baci e si era unita al suo corpo in una frenesia angosciata, piangendo tra i gemiti, allora André aveva ceduto completamente e l’aveva tenuta stretta mentre si muoveva affannosamente sopra di lui, e aveva unito a quei sospiri i suoi sospiri, a quelle lacrime le lacrime sue, finché lo sgomento che lei aveva nell’anima non si era sciolto sulle sue membra abbandonate al piacere. Erano tanti giorni che non facevano più l’amore, e in quella stanza buia di un corridoio oscuro di Versailles lui l’aveva amata di nuovo, facendole mille carezze sul viso mentre, su di lei, ora, teneva fra le braccia il suo corpo per nasconderla al mondo.

Erano rimasti a lungo soli là dentro, senza curarsi di tutti quelli che li avrebbero cercati, perché la cosa più importante di tutte, in quel momento, era che fossero insieme, solo loro due.

 

 

*

Fu difficile deciderlo, ma alla fine convennero entrambi che bisognava stare al gioco e rimandare di qualche tempo la partenza. In quel momento, con l’attenzione del generale a controllare qualsiasi mossa imprevista, c’era il rischio concreto che la loro fuga fosse scoperta troppo presto, e fallisse. Cercarono di essere prudenti, anche se andava contro ogni sentimento del loro cuore.

Il colloquio che ebbero per arrivare a quella determinazione fu forse l’ultima occasione in cui poterono parlare a lungo, prima che iniziasse un periodo di lontananza quotidiana e dolorosa.

Fu ancora a Versailles, nelle scuderie di Palazzo, affollate di un andirivieni di persone e per questo sicure come se fossero vuote.

“Daremo loro quello che vogliono”, aveva detto André. Si stava lavando le mani, dopo aver sistemato il cavallo, e lei lo ascoltava appoggiata a una colonna, con le braccia incrociate sul petto e gli occhi al terreno, tristi.

“E cioè?”, aveva chiesto senza alzare lo sguardo.

“Oscar… devi essere forte… sarà soltanto per poco tempo, poi staremo insieme. Dobbiamo fare in modo che tutto si calmi, perché se ci opponiamo con rabbia otterremo l’effetto opposto. Dobbiamo aspettare, e prepararci a un sacrificio”.

Non aveva il coraggio di sentirglielo dire, eppure glielo chiese: “Quale sacrificio?”

“Dobbiamo fare come dice lui, per adesso: Oscar, devo lasciare il tuo servizio”.

“André…”

“Coraggio amore, sarà per poco tempo”.

A lei erano venute le lacrime, e l’aveva detto con voce bassa, di pianto: “E come faccio… se mi manca l’aria al solo pensiero… André…”

Sentire il suo nome pronunciato così, come una supplica, una domanda d’aiuto, gli fece venire il desiderio di abbracciarla lì, in mezzo a tutta quella gente. Le si accostò in silenzio, il viso vicinissimo al suo. Le parole sfiorarono la sua guancia, mentre le stava di fronte senza guardarla, le braccia immobili e trattenute: “Ti amo”, le disse.

“André… come farò senza di te… come?”

“Sarà solo per poco, amore. Partiremo e nessuno ci troverà più”.

“Ma non ti vedrò più ogni giorno…”

“No, te lo prometto, Oscar: ci vedremo sempre. Magari per pochi minuti, ma ci vedremo. Non durerà a lungo”.

“Ma se mio padre vuole che tu ti sposi…”

“Oh, su questo sono io che ho più voce in capitolo, non credi? Prenderò tempo. Vedrai, già il fatto che ci separiamo lo tranquillizzerà subito. Lui non pensa davvero che ci sia qualcosa tra noi: questa è una cosa inconcepibile per un uomo come tuo padre. Vuole solo sgombrare la mente da qualsiasi dubbio, e se non ci vedrà più insieme gli passerà”.

“E se vuol fare sposare me? André, se vuol farmi sposare io non ho il diritto di oppormi…”. Aveva stretto i pugni, nel dirlo. “Ma morirò, piuttosto che sposarmi per forza…”

Sul volto di lui passò uno sguardo serissimo. Ma poi le sorrise con tenerezza: “Questo non succederà mai, amore. Non penserai che io permetta una cosa del genere… Non devi stare in pena: prima che abbia il tempo di organizzare qualsiasi matrimonio noi saremo già lontani”.

Poi gli era venuta ancora voglia di abbracciarla, ma non poteva. Non poteva nemmeno prenderle le mani, sfiorarla. La fissò con un’intensità dolorosa. “Penserò a te continuamente”, disse.

 

 

La sera stessa, a palazzo Jarjayes, il generale mandò a chiamare André.

Lo aspettava vicino a una finestra del suo studio, fumando la pipa. Dava le spalle all’uscio quando sentì bussare, e non si voltò dopo aver detto avanti.

“Mi avete fatto chiamare?”

Jarjayes non rispose e aspirò una boccata in silenzio. Quell’uomo non era che un attendente: era bene che se ne ricordasse.

“Sarò breve, André – disse infine in modo secco e severo -. Lascerai il servizio di Oscar a partire da domani, come tua nonna ti ha preannunciato”.

Non ricevette risposta, e fu costretto a girarsi per osservare la reazione: André era fermo in mezzo alla stanza, le braccia lungo il corpo, e non diceva nulla. Ma lo guardava negli occhi.

“Allora? Non hai niente da dire?”

“No, signore”, rispose André senza abbassare lo sguardo.

“Bene, dunque è deciso”, ripeté il generale. Sembrava quasi, dall’accento duro della sua voce, che si aspettasse – che cercasse - una ribellione. Ma André non si muoveva, e continuava a fissarlo. Pronunciò solo le parole: “Come desiderate”, con un tono che si sarebbe potuto definire in qualsiasi modo, tranne che adatto al contenuto della frase.

Di nuovo calò il silenzio. Il generale si sentì in imbarazzo: il comportamento di André era ineccepibile, ma il suo tacere risuonava di sfida.

Allora si mosse verso di lui, fino ad arrivargli di fronte: “Ti occuperai a tempo pieno delle scuderie”, disse con alterigia guardandolo negli occhi. Ma per farlo dovette sollevare il viso dal basso in alto.

Allora gli voltò ancora le spalle, e tornò alla finestra. Lasciò passare alcuni minuti, fissando fuori.

“E per l’altra questione – aggiunse infine senza girarsi, con una severità di cui la voce tradiva tutto lo sforzo –, mi auguro che quanto prima tu prenda moglie”.

Di nuovo rimase di spalle di proposito, perché l’idea d’incontrare ancora lo sguardo di André lo metteva a disagio. Ma quell’uomo che per Oscar era come un fratello taceva, e quel silenzio creato dal suo tacere lo rese insicuro e rabbioso. “Ebbene - domandò allora voltandosi di scatto, dominando a stento la collera -, cosa pensi di fare? Ti sposerai?”

Per alcuni secondi non ricevette risposta. Poi la frase che arrivò da André lo colpì come una frustata, anche se la sua enunciazione non dava modo di spiegarne il perché:

“Certo, signore. Avevo proprio quest’intenzione anch’io”.

 

 

***

 

 

 

Come il generale aveva voluto, si erano separati. Senza rumore, senza che Oscar interpellasse suo padre per avere spiegazioni. Jarjayes si era preparato a una richiesta di chiarimenti e si stupì un po’ nel non riceverne da sua figlia, che si accontentò, invece, della laconica motivazione che le diede un mattino, passando dalla sua stanza prima di uscire: nelle scuderie serviva una persona in più e vi aveva destinato André. Ma giacché non accadde nulla, egli non fece il primo passo e pensò che la situazione non fosse preoccupante come aveva temuto: si disse che Oscar probabilmente non aveva dato grande peso alla cosa e che la presenza di André al suo fianco le fosse tutto sommato indifferente. Convinzione che si rafforzò, poi, per il fatto che, privata del suo, lei non chiese un altro attendente: si faceva assistere dai servitori della casa quando tornava la sera, e a Versailles da quelli di Palazzo. Sembrava non sentire affatto la mancanza di uno scudiero.

Saperla sola, d’altra parte, adesso, lo impensieriva persino, dopo che la situazione si era normalizzata. Con André a vegliare su lei era certamente più tranquillo, sentimento contraddittorio che non riusciva a spiegarsi e che per questo decise di ignorare. Preferì non toccare quel tasto e non metterle accanto qualcun altro, per il momento, anche perché i piani che aveva per Oscar avrebbero risolto la situazione da sé.

Erano passate settimane e tutto scorreva normalmente. Il generale ritrovò tutta la sua tranquillità e si rallegrò in cuor suo di aver avuto timori più che infondati, rinsaldandosi nelle convinzioni con cui li aveva respinti.

 

Per ottenere questo risultato Oscar e André pagarono un prezzo altissimo.

 

Persero ogni occasione di stare insieme, ogni possibilità di vedersi e parlare. Nessuno glielo vietava espressamente ma, per incontrarsi, adesso, sarebbero dovuti uscire dai ritmi abituali delle loro diverse giornate, ritagliare spazi destinati solo a quello senza la copertura di alcun pretesto: e sarebbe stato notato, soprattutto in un momento simile.

Dovettero rinunciare del tutto, ed evitare con la massima cura la possibilità di creare sospetti.

Però André trovava sempre il modo, come aveva promesso, di vederla ogni giorno. A volte erano solo pochi istanti, uno scambio di sguardi, quando lei riportava il cavallo nelle scuderie, la sera, e - mentre qualcuno lo riceveva in consegna - cercava con gli occhi gli occhi di lui, trovandoli, in una presenza muta che non la lasciava mai sola: perché André l’aspettava sempre, e non smetteva di lavorare finché non era tornata. Talora era qualche minuto, se c’erano poche persone, e riuscivano ad accostarsi fino al punto di essere vicini. Non che gli altri li osservassero deliberatamente per controllarli: ma quell’allontanamento di André era stato notato, e aveva scatenato mille supposizioni da cui più che mai dovevano guardarsi. Così era necessario mantenere un comportamento tranquillo, simulare serenità. Non si dicevano nulla. Quei momenti erano colmi di sofferenza, ma lui le sorrideva, e per un attimo il peso volava via dal cuore.

E poi, qualche volta, riuscivano persino a parlare. Accadeva quando era André che si occupava del suo cavallo. La mattina Oscar scendeva apposta prima che potesse esser pronto, e, mentre lui ultimava di prepararlo per poterglielo consegnare, lei gli stava vicino. Davanti ai pochi servitori presenti si scambiavano brevi frasi dai contenuti insignificanti, tremando al suono delle loro voci intrecciate. Sarebbe stato ancora più strano, del resto, che non si parlassero più: così anche quelle brevissime conversazioni apparvero presto più che normali, e in seguito loro due poterono approfittarne dicendosi piano ciò che veramente sentivano. Però erano così tante le cose che avrebbero voluto dire, e così poco il tempo, che ugualmente non riuscivano a consolarsi, e si allontanavano pieni di una delusione struggente.

Fu per questo che iniziarono a scriversi, e a scambiarsi di nascosto lettere in cui riversavano tutto il loro amore frustrato. Si scrivevano ogni giorno, e ogni giorno distruggevano i fogli su cui avevano tremato, riga dopo riga. Si facevano coraggio, in quei messaggi. Si dicevano che si amavano. Parlavano della fuga da tutto che presto li avrebbe riuniti.

 

Era stato necessario modificare i piani, e André aveva inviato una lettera a suo cugino per informarlo che rinviava la partenza. Ma le acque si stavano calmando, e presto ne avrebbero approfittato. Oscar doveva recarsi in missione col suo reggimento entro breve tempo. André sarebbe rimasto a casa, e dopo un  paio di giorni avrebbe preso un periodo di riposo dicendo a sua nonna che andava in un villaggio non lontano, dove c’era una giovane con cui aveva intenzione di fidanzarsi. Ma si sarebbe diretto a Parigi, prendendo alloggio in una locanda: Oscar l’avrebbe raggiunto lì, perché avrebbe abbandonato l’accampamento adducendo come pretesto un improvviso messaggio  ricevuto da casa che richiedeva la sua presenza per una questione urgente: lei era uno degli alti ufficiali e poteva allontanarsi senza ulteriori giustificazioni. Da Parigi, dopo essersi incontrati, sarebbero partiti per la Bretagna.

 

La cosa più difficile, per tutti e due, era dover simulare tranquillità. In modo credibile.

André aveva cambiato completamente le sue giornate: mangiava nelle cucine insieme agli altri, lavorava nella casa senza più accompagnare Oscar fuori. Non aveva più a che fare con spade e pistole, come quando assisteva lei nei suoi allenamenti.

Gli pesava, oltretutto, che il resto del personale di palazzo Jarjayes lo guardasse con sospetto: non c’era nessuno, uomo o donna, con cui avesse legato. In parte era per una sorta di soggezione che la sua figura incuteva, cosa di cui si accorse davvero solo in quei giorni; e in parte per l’invidia che molti gli portavano, e per il compiacimento che derivava loro, adesso, dal constatare che aveva perso i suoi privilegi, che era tornato ad essere un domestico qualsiasi. Era meschino, e molto triste, oltretutto: André pensò che la differenza di classi sociali in quel loro mondo esisteva perché esistevano uomini che pensavano da servi, cosa che a lui non era mai venuta in mente di fare, stando con Oscar. E che solo l’esistenza di servi rendeva davvero possibile che esistessero dei padroni.

 

Oscar era stata forte, e aveva trovato nella lunga abitudine al comportamento impassibile la risorsa per sembrare tranquilla. A chi l’avesse osservata bene sarebbe parsa tornata indietro di tanti anni; alla primissima giovinezza, addirittura, che della sua vita era stato il periodo più duro: quello in cui ai cambiamenti del suo corpo e della sua anima aveva reagito ostentando una freddezza glaciale. In cui ai turbamenti che non la facevano dormire, che la costringevano a interrogarsi sulla propria identità senza darle la possibilità di trovare una vera risposta, aveva risposto, allora, semplicemente ignorandoli. Facendo finta che non esistessero, costruendosi intorno una corazza di rigore e distacco impenetrabili: che aveva pagato a carissimo prezzo, giorno dopo giorno, lacrima dopo lacrima, rinuncia dopo rinuncia, fino all’ultima rinuncia, quella ad avere dei sogni.

Era stato terribile per lei.

E ora, per una singolare convergenza tra la necessità di fingere e il ricordo di ciò che un tempo era stata, sembrava avere la stessa espressione di allora. Era, in realtà, un mutamento radicale e rilevantissimo, che avrebbe dovuto preoccupare, non tranquillizzare chi la osservava.

Ma per fortuna solo André lo vedeva, e lui ne conosceva il motivo.

 

 

*

 

Una notte fredda, e un letto troppo grande.

Era molto tardi, ma Oscar non poteva prender sonno. Si rigirava tra le lenzuola, cercando di trattenere l’ansia.

André.

Erano cinque giorni che non scambiava una parola con lui, che riusciva a vederlo solo da lontano, che poteva a malapena incrociare lo sguardo col suo. Ed erano quasi due mesi che non l’abbracciava.

Era così cambiata, la loro vita, da quel giorno in cui per la prima volta era dovuta andare a Versailles senza averlo al suo fianco. E solo adesso si rendeva conto fino in fondo di che tesoro prezioso avessero avuto in tutti quegli anni. Ora André non era più con lei, non era più il suo amico, il fratello con cui era cresciuta, contando sempre su di lui. Non era più il suo uomo, che la notte le dormiva a fianco, che la scaldava col suo corpo.

Lo avevano mandato via. Come se fosse una persona qualsiasi.

Era la rabbia, oltre alla tristezza, che la teneva sveglia. Quale crudeltà poteva esserci nel cuore di un padre che aveva deciso di fare una cosa simile? Anche se lei non avesse amato André come l’amava, come poteva il generale pensare di separarli così, da un giorno all’altro, senza curarsi dei sentimenti che in una vita avevano nutrito l’uno per l’altra? Da chi era andata lei a rifugiarsi, tutte le volte che si sentiva sola? Con chi era fuggita da tutto il resto nei momenti difficili? Chi le aveva dato la forza e il sostegno per andare avanti? Non certo suo padre. Era stato André.

E ora André non c’era più, in quelle giornate sempre più vuote e assurde. Non ne faceva più parte.

Quale pietà c’era in un padre che faceva questo a sua figlia?

Oscar strinse il lenzuolo nelle mani: solo perché l’aveva voluto André aveva accettato tutto questo. Solo per lui, che ora era lì, sotto lo stesso tetto. E che non poteva avere.

Certo, lui non soffriva meno. Lo vedeva nei suoi sguardi pieni d’amore e di desiderio, nel modo febbrile in cui stringeva le sue mani, quando la sfiorava di nascosto. Nelle parole d’amore che non diceva, perché gli faceva troppo male dirle così, in quegli incontri rapidi e senza dolcezza cui il mondo esterno li aveva costretti. Nei baci che non poteva darle più.

C’erano le sue lettere, sì. Quelle che le scriveva sempre, che le passava di nascosto, quando potevano avvicinarsi. Quelle lettere su cui Oscar trascorreva notti intere: soffrendo, poi, quando doveva distruggerle per cancellare ogni traccia. Erano sempre più belle, tanto più belle quanto più forte era il dolore che le ispirava.

Ma le lettere non erano braccia che l’avvolgevano, non erano mani capaci di accarezzarla. Le lettere non erano labbra passate sul suo viso. Erano fogli di carta con la sua scrittura, che stringeva a sé come se stringendoli potesse rinnovare il ricordo del suo corpo. Ma non erano lui.

 

Aveva sete, e il suo letto era come se fosse di spine. Il freddo della stanza era un conforto, rispetto a questo. Si alzò, avvolgendo intorno al corpo una coperta. Camminava misurando coi passi il pavimento, ogni tanto si sedeva sulla poltrona.

Alla fine uscì.

Scese le scale e percorse da sola il salone buio e deserto. Senza nemmeno una candela, perché fuori c’era la luna, e una luce tenue entrava dalle imposte. Attraversò la casa, e andò nelle cucine. Aveva sete.

Non andava spesso là, e fece fatica a orientarsi. Poi riconobbe i luoghi, trovò dell’acqua. Bevve, ma non voleva tornare indietro. La brace ardeva ancora nel focolare quasi spento. Vi si mise davanti, su una sedia. Pensava a lui.

Quel luogo aveva il potere di calmarla. E certo, chissà cosa avrebbero detto, tutti quanti, se l’avessero vista così, in camicia da notte, davanti al fuoco morente della cucina. Ma lì stava meglio. Pensava che André passava sempre da lì, ogni giorno. Si voltò verso il grande tavolo, e cercò d’indovinare il posto al quale sedeva per cenare.

Poi appoggiò il capo alla spalliera della sedia, e si assopì.

Fece anche un sogno, breve. C’erano tutti e due. Non lo sognava mai, non l’aveva mai sognato in quei mesi: eppure ogni notte che andava a dormire se lo augurava. Perché non ci riusciva mai, nel suo letto?

Lì, davanti a quel camino, vide il suo volto e le sue mani che la stringevano. E quella sera sulla paglia, tanto tempo fa. Ma non c’erano più le scuderie intorno, adesso, e c’era un campo aperto, dorato e pieno di luce. Era estate, e loro erano nudi in mezzo alle spighe di grano. Erano liberi, e al mondo non esisteva nessun altro. Erano i campi della Bretagna, quelli?

 

Quanto era durato quel sogno? Si riscosse, perché la testa le scivolò da un lato. Era ancora notte, e lei era avvolta nella coperta, su quella sedia.

 

Sentì un rumore, all’improvviso: una porta che si apriva nell’altra stanza. L’ingresso secondario, quello che usava la servitù. Si alzò in fretta, e si nascose nello stanzino delle provviste, quello in cui la governante teneva tutte le buone cose che preparava ogni giorno. Quel posto lo conosceva bene: quante volte con André, da bambini, erano andati lì a rubare dolci. L’aria profumava ancora di zucchero e di farina, aveva avuto sempre quell’odore.

Ma lei cosa avrebbe detto, se fosse stata scoperta?

Oh, al diavolo… doveva preoccuparsi anche di questo, adesso? Non era forse la padrona di casa? E allora avrebbe cacciato in malo modo chiunque l’avesse vista: essere nobili serviva pure a qualcosa, alla fine. Anche se in camicia da notte.

Ma preferiva non farsi notare, certo… ed ebbe un moto di disappunto quando la luce di una candela rischiarò proprio la cucina. Spiò dalla fessura, in direzione dei passi: era una persona sola, con un’andatura incerta, si sarebbe detto.

Un domestico rientrato tardi, forse.

 

No.

Non un domestico rientrato tardi.

Era André.

André che era rientrato tardi, e cercava la strada nella cucina. Lo osservava da dietro. Il bagliore della candela che teneva in mano si riverberava contro il suo corpo, disegnando un alone luminoso intorno alle spalle. Ma era lui, era davvero lui. Si abbandonò su quella stessa sedia, davanti al focolare, e soffiò sulla fiamma, deponendo il candeliere sulla pietra. Lei lo guardava, e nella penombra vide che metteva il viso tra le mani.

 

“André…”

Lo vide voltarsi stupito, nel chiarore notturno. Alzarsi.

“Oscar! Oscar, sei tu?”

“Sì André, sono io, sì…”

Mosse un passo verso di lei, e fece cadere a terra la sedia.

“André, non fare rumore…”, implorò a bassa voce.

Poi si gettò tra le sue braccia: “André, André…”. E lo strinse in silenzio, aggrappandosi a lui, mentre le sue mani l’avvolgevano, la carezzavano incredule.

“Amore, amore…”, le diceva. Abbandonava il volto sulla sua spalla, a sfiorarle il collo con le labbra, respirando piano. Con movimenti rallentati, come non fosse tanto padrone di sé.

“André, che cos’hai…”

Lui rise, ma era un riso tenero, pieno di dolcezza: “Niente, Oscar, niente… Amore, come sei calda… ma che ci fai qui… come sei calda, amore…”

“Non riuscivo a dormire… André, ma cos’hai… hai… hai bevuto, André?”

Rise ancora, la baciò lentamente, e si staccò sfiorandole ancora le labbra: “Sì… un po’ sì… sì…”

Poi la baciò, la baciò di nuovo, e il suo viso sapeva di freddo e di vento, il suo corpo aveva l’odore della notte. Ma le sue labbra erano calde, e le diedero i brividi. Gemette abbandonandosi a quell’abbraccio.

“Oscar, questo no… a questo non so resistere, Oscar… non dovevi venire qui…”

“Perché no, amore… perché… da quanto tempo siamo lontani, André…”

“Troppo… troppo, Oscar… io non ce la faccio più… oh… non baciarmi così…”

Ma lei non smise, e lo strinse a sé. Prese le sue mani e se le portò al seno, aprendo la camicia: “Ti prego, accarezzami…”

Allora fu lui a gemere, avvolgendo con le mani le linee morbide del suo corpo. Perse la testa, s’inginocchiò a baciarla, la tirò a sé.

“Aspetta, non qui in mezzo, André…”

“Sì, Oscar… qui… qui…”

“Nella stanza di là… vieni… nascondiamoci là…”

Lo trascinò nello stanzino, baciandolo, piena di carezze.

“Prendi la candela, Oscar. Prendila…”

“Va bene… ma perché…”

Chiuse la porta, e sentì le sue mani che le avvolgevano la vita, che la giravano verso il suo petto mentre le sue labbra la facevano tremare con baci appassionati. Fece scivolare la coperta a terra e ve la sdraiò sopra. Accese la fiamma, accanto a loro, sul pavimento.

“Voglio guardarti, amore. Voglio guardarti…”

 

 

***

 

 

Non era passato molto tempo, in fondo, da quel colloquio a Versailles con madame de Surgis che gli aveva creato tanta inutile apprensione. Il generale chiuse il libro che stava leggendo, nel suo studio, e rivolse lo sguardo fuori dalla finestra. Per lo meno, però, l’accaduto gli aveva dato modo di riflettere su Oscar e sulla vita che faceva, e ne aveva tratto lo spunto per risolvere quella situazione una volta per tutte.

Presto gliel’avrebbe detto. Molto presto.

Il maggiore Girodel aveva chiesto la sua mano solo un mese prima. Neanche a farlo apposta, era avvenuto proprio in quel momento. Oscar non era stata mai chiesta in moglie, vista la strada che il padre aveva scelto per lei; e da tempo, del resto, non era più nell’età in cui normalmente le fanciulle andavano spose.

Eppure Girodel si era presentato a lui e l’aveva chiesta ufficialmente, dopo averla avuta per anni come comandante: doveva essersi innamorato, di certo.

Era stata una vera fortuna, perché il conte era un uomo giovane, e molto ricco, anche. Era la soluzione migliore che il generale potesse auspicare: se avesse dovuto provvedere altrimenti a cercare un marito per sua figlia, probabilmente ragioni di convenienza e accordi tra famiglie avrebbero fatto cadere la scelta su qualcuno più vecchio. Qualcuno su cui Oscar avrebbe avuto molto da ridire, lei sempre così libera di prendere le sue decisioni.

Invece così era perfetto, non si sarebbe potuto sperare di meglio. Girodel era anche figlio cadetto, tra l’altro, e ci si poteva concretamente aspettare che accettasse di dare una discendenza alla casata dei Jarjayes. Ne avevano parlato e lui non era stato contrario: la cosa sarebbe stata definita con precisione nel contratto di matrimonio, che avrebbe stabilito ogni cosa punto per punto. E, se Oscar avesse messo al mondo un figlio maschio, quello sarebbe stato finalmente l’erede tanto sospirato del generale.

 

Jarjayes si alzò dalla sedia e si accostò alla vetrata per guardare fuori: il pomeriggio invernale si stendeva sul giardino. Avrebbe dovuto pensare prima a una soluzione come questa. Ma a quel tempo, certo, era impulsivo e troppo arrabbiato col destino per mantenere la calma. Aveva deciso per Oscar una vita militare e un nome maschile, senza nemmeno pensare bene a cosa sarebbe successo. Poi il clamore nato intorno alla sua iniziativa lo aveva fatto intestardire in quell’atteggiamento, e le cose erano andate avanti così. Oscar era eccezionale con la spada, e i fatti gli avevano dato ragione.

Ma adesso era ora di cambiare: tutto sarebbe ritornato a posto. E anche sua figlia non avrebbe avuto di che lamentarsi, visto che le trovava un marito: non è forse quello che desidera ogni donna? In questo madame de Surgis aveva ragione. Girodel era un bell’uomo, un uomo che nutriva per lei sentimenti profondi: poche spose potevano sperare in una cosa del genere, in tempi come quelli.

 

Uscì nel corridoio, riflettendo su ciò che avrebbe fatto. Presto l’avrebbe detto a Oscar. Quella sera stessa, forse, dopo cena. S’incamminò per dirigersi al piano di sotto, passando davanti alla porta di sua figlia. Era socchiusa.

Lei non c’era, sarebbe rimasta fuori per servizio tutto il giorno. Sì, doveva dirglielo subito, prima che partisse per la missione col suo reggimento.

Entrò nella stanza: era ordinata e luminosa. Certo, non sembrava affatto la camera da letto di una donna: c’era un rigore sobrio in tutte le cose. Questo Oscar l’aveva preso da lui.

Tutto era disposto secondo un’organizzazione precisa: le carte sullo scrittoio, i libri. L’uniforme, sull’attaccapanni davanti al letto. E nell’armadio. Jarjayes lo aprì. Sorrise: era pieno di giacche militari e camicie maschili. Oscar non aveva in tutto il guardaroba un solo abito da donna. Passò le mani sopra quelle giacche, percorrendole con le dita, soprappensiero, ascoltando il frusciare delle frange sulle spalline. Rossa, azzurra, bianca… ne aveva di tutti i tipi: per il servizio quotidiano, per le serate di gala, l’alta uniforme…

Presto lì dentro ci sarebbe stato un abito da sposa.

Sì, era giusto così. Forse Oscar ne sarebbe stata addirittura felice: forse era ciò che aveva sempre voluto, senza osare mai chiederlo. Forse avrebbe persino potuto dimenticare cosa le aveva fatto. Gli avrebbe voluto bene.

Si mosse per uscire, e chiudendo l’armadio tirò involontariamente con la mano una di quelle giacche, facendola cadere dall’attaccapanni. La vide scivolare a terra, con un fruscio.

Si chinò per raccoglierla, allora, per rimetterla a posto. Era una bella giacca, piena di ricami. La sollevò, e, mentre la sollevava, da una delle tasche cadde qualcosa sul pavimento. Lo prese tra le dita: era un foglio di carta piegato in quattro, con una scrittura fitta su entrambi i lati. Ci posò uno sguardo distratto, all’inizio. Poi una parola… due…

Trasalì.

L’uniforme di Oscar gli cadde dalle mani mentre guardava quel foglio.

Sbiancando in viso, sbigottito, l’aprì.

Era una lettera.

 

 

Continua...

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