Nelle mani
parte VIII
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Aver
preso quella decisione fece cambiare ancora il loro rapporto. Il sentimento che
provavano acquistò una ricchezza maggiore, una stabilità nuova. Erano
coinvolti da quel progetto, ansiosi e preoccupati di realizzarlo, attenti a
prevedere ogni cosa. Ma una luminosità distesa sfiorava i loro sorrisi quando
stavano insieme.
Non
c’era bisogno di dire molte cose in quei momenti: erano divenuti spesso
silenziosi, nel condividere il tempo. Lui
l’andava a chiamare bussando alla porta, lei apriva e sulle scale gli prendeva
la mano. Poi si lasciavano subito, e scendevano vicini. Partivano insieme.
Talora,
quando Oscar era di riposo, si allontanavano dalla casa e passeggiavano nel
giardino, sotto gli alberi spogli. Avvolti nei mantelli guardavano il cielo
vuoto senza parlare, lasciando che le dita fredde del vento s’insinuassero tra
i capelli.
E
certi giorni, se una circostanza favorevole permetteva di stare più insieme,
accendevano il camino nella stanza di Oscar e passavano la sera sul divano,
davanti al fuoco. Poi andavano a letto, e lei gli cingeva la vita mentre André
le sfiorava il collo, posandole il braccio sulle spalle. “Potremo farlo ogni
sera”, pensava allora. A volte lo diceva.
Nel
salone di palazzo Jarjayes, nei pomeriggi d’inverno, trascorrevano qualche ora
leggendo, seduti al tavolo di fronte alla vetrata che si colorava di un giallo
sfumato ai raggi obliqui del sole. La luce tiepida carezzava il viso di lei,
quando André la guardava: e allora, nonostante tutto, non riusciva a credere
che la vita gli avesse fatto quel dono. “Vieni”, mormorava Oscar alzando gli
occhi. E nel silenzio, dopo aver chiuso la porta, si nascondevano dietro un
divano o si sedevano a terra, poggiando la schiena alla vetrata. Celati dalla
grande tenda leggevano insieme lo stesso libro, che lui teneva tra le mani
mentre l’avvolgeva in un abbraccio, accogliendo sulla spalla il suo capo
abbandonato. Ripeteva piano le parole che leggeva, e spesso Oscar chiudeva gli
occhi, ascoltandolo, perché le piaceva che fosse la sua voce a raccontarle le
storie.
André
faceva fatica a proseguire, allora, pagina dopo pagina, perché c’era troppa
emozione nel suo cuore.
*
Quel
mese era passato senza che accadesse nulla. E l’abbandono d’amore di quella
sera nelle scuderie non aveva avuto conseguenze. Oscar si era quasi dispiaciuta
scoprendolo, anche se avevano deciso di non farlo più, di aspettare ancora un
po’. André ricordava il suo volto un po’ deluso quando gliel’aveva detto,
e ricordava la tenerezza che aveva provato. Se fosse successo in quel momento
avrebbero corso un grave rischio, e lo sapeva: eppure, sì, lo aveva desiderato
anche lui.
Rendersene
conto lo fece riflettere, lo rese consapevole di cose che prima sentiva senza
poterle formulare con chiarezza. Erano pronti, tutti e due. Lui era pronto, e
anche Oscar lo era. Presto anche il desiderio di un figlio sarebbe stato
qualcosa di reale e forte, non solo una fantasia indefinita e piena di dolcezza.
Per
quanto tempo ci fosse voluto prima che decidessero di farlo davvero, tuttavia
anche per questo dovevano andarsene al più presto: non potevano più rimandare
il momento di vivere la loro vita in libertà, e obbedire solo ai comandi di
quell’amore che li aveva uniti e non si accontentava più dei pochi spazi che
riuscivano a ritagliare dalla facciata delle loro esistenze divise. Non si
trattava tanto del volere un figlio, ma del non temere che potesse succedere,
persino in una situazione come quella. Si trattava di un legame divenuto
fortissimo. La quotidianità non
aveva altro senso, ormai, se non quello degli istanti vissuti insieme, e il
trasporto che li aveva rapiti quel giorno, spingendoli con volere irresistibile
al dono completo di se stessi, ne era la prova. Si era affidato totalmente al
piacere che gli dava il corpo di lei, il suo respiro sulle labbra, il suo
tremare appassionato e indifeso. E aveva goduto in lei, fin quasi a morire in
lei: era così che si era sentito in quel momento. Lo aveva fatto perché lo
aveva voluto con tutto il suo essere, con ogni fibra dei suoi nervi, con ogni
barlume cosciente della sua anima. E non si era pentito neanche per un istante,
nel tempo venuto dopo. Aveva desiderato farlo ogni altra volta, da allora, ogni
singola volta.
Non
poteva più dominare quell’amore.
Ed
era così anche per Oscar. André la vedeva mutare ogni giorno, avvertiva
sbocciare in lei stati d’animo e riflessioni e pensieri che non erano più
quelli di quand’era solo una giovane determinata e fragile, una donna
cresciuta in un ruolo maschile che non sapeva molto di se stessa. Non era
cambiata nella sua natura, no, ma ne era diventata consapevole. Aveva imparato a
viverla, a gioirne. Oscar era una donna innamorata e felice: lui lo vedeva, e
presto lo avrebbero visto anche gli altri. Era solo questione di tempo.
Si
capiva già, in effetti. Ma nessuno se n’era ancora accorto perché da una
vita, ormai, erano tutti abituati a considerarla come fosse un maschio, e a
vedere lui al suo fianco: in quel momento era un vantaggio per loro, ma non
sarebbe durato. Sarebbe bastato che a qualcuno sorgesse un piccolo dubbio, che
si ponesse ad osservarli meglio, e lo avrebbe capito nel giro di un’ora.
Senza
contare il rischio quotidiano di abbracciarsi e baciarsi e far l’amore in una
casa dove dietro ogni angolo poteva spuntare qualcuno, e rovinarli chiunque egli
fosse.
Doveva
portarla via, portarla via subito.
Per
fortuna era arrivata un’altra lettera dalla Bretagna, l’aveva ritirata
all’indirizzo di Parigi che per prudenza aveva usato per farsi spedire la
posta. Philippe, suo cugino, si era dato da fare dopo che gli aveva scritto
ancora, e in fogli pieni d’entusiasmo spiegava che se avesse voluto si sarebbe
potuto trasferire lì anche subito, e che tutto era organizzato: bastava solo
che gli desse la conferma. Aggiungeva anche, in tono scherzoso, che la città
era piena di belle ragazze, e che non avrebbe avuto difficoltà a trovarsi una
moglie. La cosa aveva un po’ irritato Oscar, quando l’aveva letta. Voleva
persino che André rispondesse, dicendo che aveva già provveduto, per quello, e
che suo cugino non si desse troppi pensieri per accasarlo. Ma si era dovuta
arrendere, perché era troppo rischioso anche solo accennare a un fatto del
genere, in quel momento.
Ad
ogni modo tutto procedeva secondo i piani e nel giro di poche settimane
sarebbero partiti. Avrebbero aspettato la successiva licenza di Oscar e si
sarebbero allontanati da casa come molte altre volte, dicendo che andavano ad
Arras per alcuni giorni. Questo avrebbe consentito loro di acquisire un
vantaggio prezioso su chiunque volesse inseguirli, perché la loro fuga si
sarebbe scoperta con molto ritardo. Oscar avrebbe scritto una lettera a suo
padre per dirgli addio - che gli sarebbe stata recapitata dopo una settimana -
ma senza accennare minimamente a cosa avrebbe fatto e dove. Non sapeva ancora
che parole usare, e la cosa la preoccupava: ma aveva deciso, ormai, e non
sarebbe tornata indietro. Alla governante, invece, che fino all’ultimo sarebbe
stata tenuta all’oscuro di tutto, avrebbero lasciato un’altra lettera
d’addio, contenente tra l’altro delle indicazioni false sulla loro
destinazione, cosicché, se qualcuno l’avesse interpellata e costretta a
parlare, quello divenisse un mezzo assolutamente credibile per depistare le
ricerche. Era un provvedimento crudele, e se ne rattristavano: ma non c’era
altro modo, e André sperava che sua nonna comprendesse, col tempo.
Così
i giorni erano passati, e non mancava molto. La prospettiva che avevano davanti
li riempiva di un entusiasmo venato d’ansia, che cercavano di superare stando
vicini. Solo su una cosa non ebbero mai alcun dubbio: la necessità di compiere
quel passo, la convinzione che fosse giusto.
***
“Da
quanto tempo non ci vediamo, generale! Mi siete mancato…”
Madame
de Surgis aveva usato un tono civettuolo, piuttosto inadatto, ormai, a una donna
non più nel fiore degli anni: ma nel salotto di Versailles in cui si trovava
nessuno se n’era stupito, dal momento che quello era il suo modo abituale di
apostrofare i gentiluomini.
E
anche perché - si diceva - lei e Jarjayes, un tempo, erano stati amanti.
Il
padre di Oscar s’era inchinato in modo composto e cortese: “Ne sono
dispiaciuto, contessa – aveva detto – ma il dovere mi tiene spesso lontano
da Palazzo”.
“Lo
so, ahimè…”, aveva risposto allora madame de Surgis, simulando un sospiro
rattristato. Poi, dopo qualche minuto di conversazione, approfittando
dell’allontanarsi degli altri cortigiani richiamati dall’arrivo della
regina, si era fatta porgere il braccio e l’aveva invitato a uscire su uno dei
balconi.
Fuori
era una bella giornata, e l’ora che conduceva al meriggio riscaldava con un
sole inconsueto i giardini assopiti nell’inverno. “Come vorrei che arrivasse
presto la bella stagione…” aveva mormorato ancora la contessa, guardando il
suo cavaliere con aria sognante. “E voi?”
“Oh,
per un militare non fa molta differenza, signora: siamo abituati a tutti i
climi”.
Madame
de Surgis aveva sospirato davvero, allora, e lo aveva fissato con un tono di
bonario rimprovero: “Mio caro Savinien, non si può certo dire che il vostro
rigore s’infranga dinanzi ai vecchi amici… Voi indossate l’uniforme sul
cuore!”
Il
generale aveva avuto un breve sorriso, allora, seppur venato di disagio: “Non
è così, e voi dovreste saperlo”, si era lasciato sfuggire.
“Oh,
fatico a ricordarlo, se è per questo – era stata la facile risposta di lei -,
e devo dire che me ne dispiace molto…”
Poi
aveva cambiato argomento, perché sapeva che non era così che sarebbe riuscita
a interessarlo.
“Ma
ditemi, cosa mi raccontate della vostra coraggiosa figlia? E’ molto tempo che
non la vedo: anche lei, come voi, si tiene lontana dai salotti. E’ sempre così
bella?”
Il
generale non aveva risposto.
“Ah,
sì, è stata educata come un uomo… Ma Oscar è una giovane molto bella, e
questo è sotto gli occhi di tutti. Anche se forse lei per prima non se ne rende
conto”.
“Oscar
non pensa a queste cose – disse Jarjayes -, ma solo al suo dovere”.
“Sì,
lo so, e i suoi meriti vi riempiono d’orgoglio… Ma ciò non toglie che sia
una donna, sono spiacente di dovervelo ricordare”.
Lo
aveva detto con tono lievemente insinuante, senza troppa enfasi, perché sapeva
che bastava un accenno vago a tale argomento per pungere sul vivo il generale.
Non tardò a raccogliere i frutti di quella manovra:
“E
cosa vorreste dire con questo?”, chiese Jarjayes con voce quasi severa, ma
incrinata appena dall’ansia.
“Ma
è molto semplice, Savinien. Che prima o poi se ne accorgerà, se non è gia
successo… E allora…”
“Allora?”
“Allora,
perdonate la franchezza, penso che fareste bene a trovarle un marito che sia di
suo gradimento, se non volete che provveda da sola…”
Il
generale non aveva risposto, ma era impallidito, e, voltando le spalle alla
contessa, si era posto ad osservare il giardino sottostante il balcone. Madame
de Surgis aveva sorriso dietro il ventaglio, e pochi istanti dopo l’aveva
raggiunto, accostandosi a lui: “Perdonatemi – aveva mormorato con voce soave
-, la vostra perfetta cortesia vi impedisce di dare la risposta che la mia
indiscrezione merita. Ma mi conoscete, amo essere sincera con le persone che ho
a cuore”.
Jarjayes
si voltò, con uno sguardo preoccupato e sofferto: lo sguardo di un uomo che ha
abbassato le difese. “Sono certo che vi sbagliate, madame”, disse.
“Oh,
ma certo… le mie sono solo chiacchiere un po’ frivole, mi conoscete…”,
rispose lei rassicurante.
Poi
si pose a osservare il giardino, con aria lieta, e notò qualcosa che attrasse
la sua attenzione. Poco oltre le siepi, in un vialetto laterale, Oscar e André
stavano parlando. Il sole risplendeva tra i capelli biondi di lei, mentre,
poggiata appena a un muretto, volgeva il viso verso il calore e sorrideva. André
la guardava, ascoltandola parlare, e rispondeva ogni tanto con un’espressione
distesa sul volto. A un certo punto sorrise anche lui, e scosse appena il capo.
“Certo,
mi sbaglio…”, mormorò tra sé a voce bassissima madame de Surgis, chiudendo
il ventaglio in una mano con un gesto misurato. “Oh, guardate, Savinien –
esclamò con aria innocente -, vostra figlia è proprio qui sotto! Proprio lì,
dall’altra parte del cortile”.
“Sì,
vedo”.
“E
ditemi, chi è quel bel giovane che le è accanto?”
Il
generale spalancò gli occhi: “Quello? Quello è il suo attendente, André…”
“Ah…
- disse con tono deluso la contessa -. Così da lontano avevo creduto che fosse
un gentiluomo. Sapete, il fare confidenziale con cui sembravano parlare…”
“Confidenziale?”
La
contessa rise: “Che buffo, non è vero? Scambiare un servo per un
corteggiatore… Devo aver smarrito la ragione, quest’oggi. O forse è il mio
temperamento sentimentale, che mi fa vedere anche ciò che non c’è. Temo di
essere inguaribile, ormai…”. Avvertì un fremito di piacere dentro di sé:
il suo compagno era sempre più allarmato, l’aveva quasi in pugno. “E
ditemi, per curiosità: da quanto tempo è presso di voi questo André?”
Jarjayes
era a disagio: “Beh… da molti anni – rispose interdetto -. Lo prendemmo in
casa fin da bambino, era orfano, perché svolgesse questa mansione al servizio
di Oscar…”
“Pare
molto compito, per essere un servitore”.
“Ha
ricevuto un’educazione che lo mettesse all’altezza dell’incarico”.
“Educazione
andata a buon fine, vedo. Dunque… si potrebbe quasi dire che lui e Oscar siano
cresciuti insieme, se l’assiste da tanti anni…”
“…Sì…
presumo di sì… prese le dovute distanze”.
“Oh,
ma certo”, approvò madame de Surgis, con un tono rassicurato che tranquillizzò
per un momento il generale. Poi aprì il ventaglio, e gli sorrise coprendosi
appena il viso: “Sono cresciuti insieme… è per questo che mi ero confusa,
guardandoli da qui. Quella familiarità così evidente mi aveva tratto in
inganno…”
“Familiarità?”
“Ma
certo, non vedete? Sembrano quasi due innamorati…” Rise garbatamente: “Che
assurdità, non è vero? Ma ora è chiaro il motivo: si conoscono da
sempre…”
Il
padre di Oscar guardò verso il giardino con un’espressione terrea. Sua figlia
e André parlavano in modo lieto e sereno, senza accorgersi di essere osservati:
“Ma non stanno facendo nulla…”, obiettò con un filo di voce.
“Appunto,
non stanno facendo nulla – concluse con un tono malizioso e leggero la
contessa, godendosi il suo trionfo in cuore -. Non vedete che armonia c’è tra
loro, anche se non fanno nulla?”
*
Quella
sera il generale arrivò inaspettatamente a casa poco prima dell’ora di cena.
Giunse a cavallo, senza servitori al seguito. La sua venuta provocò grande
scompiglio: ma, stranamente, nessuno ricevette disposizioni particolari.
Jarjayes si limitò a lasciare l’animale a uno stalliere e si incamminò, a
piedi e da solo, verso il palazzo.
Voleva
vedere Oscar.
Ma
non parlarle.
Voleva
guardarla, e guardarla insieme ad André.
Madame
de Surgis era una cortigiana intrigante, e lui lo sapeva. La conosceva bene. Ma
conosceva anche il suo intuito fuori del comune, e i discorsi che aveva fatto
quel mattino l’avevano turbato profondamente. Indubbiamente si era comportata
così per attrarre la sua attenzione, però… c’era qualcosa, in quelle
parole piene di malizia, che – a sentirle con davanti agli occhi sua figlia,
nel parco di Versailles con André - suonava di una verità inquietante. Non
l’aveva mai notato: ma per un attimo - solo per un attimo – gli era apparso
davanti agli occhi con evidenza incredibile un quadro inatteso e sconvolgente.
Non
poteva essere. No.
Certo,
la contessa aveva toccato un tasto dolente: doveva essere anche questo che lo
agitava tanto. Era molto tempo che le sue certezze sul destino che aveva scelto
per Oscar vacillavano. Non voleva ammetterlo, e forse fu proprio quella sera che
lo riconobbe di fronte a se stesso per la prima volta: aveva forzato la natura
di sua figlia, ma quella natura esisteva, e si sarebbe ribellata. Era vero ciò
che diceva Madame de Surgis: Oscar era una donna, e una donna molto bella. Ed
era sensibile, profonda. Aveva un mondo interiore ricchissimo, che faceva di
tutto per nascondere, persino a se stessa.
Era
una donna.
Ed
era un essere umano, come tutti gli altri.
Avrebbe
avuto bisogno di qualcuno cui appoggiarsi. Di qualcuno che la capisse, che le
volesse bene.
Si
sarebbe innamorata. Come tutti. Era impossibile che non succedesse.
E
si sarebbe innamorata di un uomo.
Quel
pensiero, e la certezza con cui gli si presentò alla mente, lo fecero fermare
mentre con passo deciso si dirigeva verso casa. Si appoggiò a un albero del
giardino, e si portò una mano alla fronte.
Sicuro,
sarebbe successo.
E
quando? E come?
E
con chi, soprattutto?
E
se invece fosse successo già? C’era stato un periodo, un anno prima, in cui
Oscar era molto più cupa e nervosa del solito. Che avesse incontrato qualcuno?
Che avesse provato proprio allora quel genere di sentimenti? In fondo lei
frequentava tante persone, svolgendo il suo compito.
Certo
erano stati sentimenti dolorosi, se li aveva provati davvero: aveva colto nei
suoi occhi, un giorno, uno sguardo tristissimo. Che era scomparso subito,
controllato da lei.
Adesso
sembrava ritornata serena, però.
Cos’era
accaduto?
Perché?
E
come poteva lui, l’uomo che le aveva dato il nome di Oscar François e le
aveva messo addosso un’uniforme e in mano una spada, come poteva lui che
l’aveva chiamata per anni “mio figlio” trovare il coraggio di affrontare
quella questione?
L’aveva
sempre accuratamente evitata, nei suoi pensieri.
L’aveva ignorata volutamente.
Ma
c’era qualcosa, nel suo animo, che non lo lasciava sereno. Da diverso tempo,
ormai.
La
verità era che si sentiva in colpa.
Fu
in quel momento, appoggiato a quell’albero, che lo realizzò per la prima
volta.
Sì,
aveva creato una situazione assurda. E una situazione terribilmente instabile.
Sentì quasi la testa che gli girava, le ginocchia che cedevano. Portò anche l’altra mano al tronco, per sorreggersi.
Cosa
passava per la mente di Oscar? Non lo sapeva, non l’aveva mai saputo. Per
quanto ne sapeva lui sua figlia avrebbe potuto avere anche decine di amanti: era
libera come un uomo, da sempre, e andava dove voleva.
In
mezzo ai soldati, poi…
Ma
non era così, lo sentiva. Oscar non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Però
era un essere umano, come tutti. E come tutti aveva bisogno d’amore.
Dio,
come aveva potuto ignorare una cosa tanto evidente? Pensava forse che sua figlia
si sarebbe votata alla solitudine perpetua?
Certo,
se era per questo, il mondo era pieno di persone sole per forza. Le giovani
costrette a prendere il velo, ad esempio: era mai stato un problema, quello?
Ma
le monache stanno chiuse in convento, non passano la loro vita in mezzo agli
uomini.
E
con un uomo come compagno di giochi fin dall’infanzia.
Già,
un uomo.
Ma
André non era un uomo, era un servo.
Un
servo con cui Oscar trascorreva le giornate, andava a cavallo, beveva cognac…
un servo da cui si faceva dare del tu.
Cos’è
che aveva detto, quando aveva ordinato alla governante di portare quel suo
nipote orfano a palazzo Jarjayes? “In mezzo a tante donne mio figlio avrà una
compagnia maschile”. Questo aveva detto, tanti anni fa.
Ed
erano cresciuti insieme. Madame de Surgis aveva ragione. Avevano studiato
insieme, avevano imparato a usare la spada insieme… Oscar aveva passato molto
più tempo con André che con lui, che con chiunque altro. Si conoscevano bene e
lei lo trattava da pari a pari. Da sempre.
Ma
era così severa con tutti, anche con lui… Così corretta, così rigorosa,
inflessibile…
No,
non poteva essere.
E
poi cosa poteva mai trovare in un servo la figlia del generale Jarjayes, che se
solo avesse voluto avrebbe avuto ai suoi piedi mezza Versailles? Se proprio
doveva legarsi a qualcuno avrebbe saputo bene verso che genere di persona
indirizzare il suo interesse. Non certo uno che le sellava il cavallo ogni
mattina, per quanto potesse essergli affezionata.
No,
era ridicolo.
Oscar
non aveva nessuno. Nessuno. Anche se ormai era adulta.
Ma
André? Anche lui era adulto. Non si era sposato, e che lui sapesse non aveva
relazioni con cameriere o sarte della sua casa. Anzi, gli altri servitori non lo
consideravano come uno di loro, perché era l’attendente di Oscar. Stava
sempre con Oscar, tutto il giorno.
Erano
cresciuti insieme.
Era
come un fratello, per lei. Prese le dovute distanze, certo.
Un
fratello.
Ma
non era suo fratello.
Ed
era un uomo.
Certo,
Oscar era bellissima, e non poteva non vederlo. Lei era cresciuta negando la sua
natura, ma lui no.
Un
uomo che le era molto devoto, anche.
Aveva
accettato il compito di proteggerla con una convinzione assoluta. Da quando
gliel’aveva messo accanto non c’era mai stato bisogno, nemmeno una volta, di
ricordargli questo suo dovere: si vedeva chiaramente che quello non era un
dovere, per lui, ma una scelta che partiva dal profondo del suo essere. Per
questo motivo si era sempre fidato di André: era certo che avrebbe dato la sua
vita per Oscar, e senza esitare un attimo. Saperlo l’aveva sempre reso più
tranquillo, quando pensava ai pericoli che sua figlia correva adempiendo ai suoi
compiti.
Le
era devoto.
Le
voleva bene, indubbiamente. Il bene senza richieste, certo, che si può volere a
qualcuno tanto più in alto di noi. A qualcuno che è irraggiungibile.
Ma
non avrebbe mai osato innamorarsi di lei… No, era assurdo il solo pensiero.
E
poi, anche se fosse stato così… quand’anche fosse stato così pazzo da
coltivare un’illusione simile… Non avrebbe avuto alcuna speranza, per mille
motivi che certo non ignorava. André conosceva bene le distanze sociali del
loro mondo.
Se
anche fosse stato così pazzo da… innamorarsi di Oscar… No, non
gliel’avrebbe mai nemmeno confessato.
Senza
contare che a lei, aristocratica e per giunta vissuta come un militare, una cosa
del genere sarebbe parsa semplicemente inconcepibile.
No,
decisamente non poteva essere.
“Adesso
ti faccio vedere io! Attento!”
La
voce cristallina di sua figlia, che giungeva da poco distante, lo ridestò dai
pensieri in cui era assorto. Sentì rumore di lame che s’incrociavano e si
diresse in pochi passi verso il luogo da cui quel suono proveniva. Dietro le
siepi del giardino Oscar e André si battevano con la spada, nel consueto
allenamento serale.
“Non
penserai di farmi paura!”, diceva lui ridendo, mentre rispondeva alle sue
stoccate precise con altri attacchi, e poi, arretrando, parava i suoi colpi
sempre più veloci.
Erano
concentrati e rilassati nello stesso tempo. Il generale li osservò non visto
per alcuni minuti, affascinato dall’armonia e dall’intensità di quello
scambio. Era uno spettacolo magnifico, non se n’era mai accorto prima.
Si
avvicinò un po’ di più, e fu in quel momento che André percepì la sua
presenza, mentre si batteva con Oscar. Si distrasse per una frazione di secondo,
e lei, che dava le spalle al padre, ne approfittò all’istante: con uno scatto
rapidissimo lo disarmò, facendo volare la sua spada in aria.
“Hai
visto?”, disse poi con un tono divertito mentre andava a riprenderla,
afferrandola per l’impugnatura ed estraendo la lama dal terreno in cui s’era
conficcata. “Te l’avevo detto che ti avrei dato una lezione, André –
ripeté trionfante -. Era parecchio che non succedeva, eh?”
Poi
si avvicinò per ridargli la spada, con un fare affettuoso. Si fermò davanti a
lui e gli sorrise: “Vieni a prenderla…”, disse.
André
si accostò con un’espressione seria e, porgendo lentamente la mano, la
indusse con uno sguardo a cedergli l’arma. Lei allora si girò, e vide il
generale.
“Ah,
padre… eravate qui… come state?”
No,
non poteva essere. Non era possibile.
Continua...
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