Nelle mani

parte VI

 

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Fu disagio, e sofferenza da dover dominare, il sentimento che prese entrambi quando tornarono alla vita reale. Un sole che feriva gli occhi illuminava il piazzale davanti a palazzo Jarjayes, pieno di gente indaffarata nei suoi compiti. Quando li videro arrivare, due valletti corsero da Oscar e s’inchinarono fino a terra. Una domestica si precipitò nella casa padronale ad avvertire che la figlia del generale era arrivata. Uscirono tre servitori, che presero il mantello e i bagagli di lei mentre varcava la soglia, pronunciando frasi rispettose di bentornato. Le venne comunicato che l’attendeva un messaggio della regina.

André portò i cavalli nelle scuderie.

Si voltò, quando fu a metà del percorso. La vide ancora sulla soglia, che guardava verso di lui.

 

Fino a sera non poté vederla un istante, e anche a cena non scambiarono una parola: c’era il generale suo padre, che le chiedeva quando avrebbe ripreso servizio, e André li osservava desinare, in piedi dietro il tavolo. Incontrarla nella sua stanza quella notte era un rischio impensabile: gli sembrò quasi di non poter credere alla propria memoria, che gli parlava di braccia nude di lei intorno al collo, e di ciglia chiuse, e parole d’amore mormorate tra i gemiti. A un certo punto provò un senso d’oppressione fortissimo, e dovette uscire su uno dei balconi a respirare profondamente l’aria della sera, perché si era sentito quasi mancare. Nessuno lo notò.

 

Non riusciva ad accettare l’idea di vederla andare a letto così, senza neanche poterla stringere, darle un bacio. La sera prima di partire dalla Normandia erano saliti in camera abbracciati, nella casa vuota, e avevano fatto l’amore con la porta aperta: le loro voci si erano unite in sospiri che le volte affrescate avevano raccolto. E la notte dopo, sulla via del ritorno, avevano trovato alloggio in una locanda. Avevano preso un’unica stanza con due letti separati: non era stato difficile farsi passare per due uomini in viaggio. L’aveva spogliata in fretta, appena chiusa a chiave quella porta, come se sentisse sulla pelle il respiro incalzante delle poche ore che erano rimaste. Lei lo aveva fatto godere baciandolo con frenesia appassionata.

 

Eppure dovette sopportare di non sfiorarla nemmeno, quella sera. Arrivarono ospiti, dopo cena, alti ufficiali amici del generale, e rimasero a lungo in uno dei salotti, a bere e parlare di spedizioni militari. Oscar partecipò alla riunione, come aveva sempre fatto per volere del padre. Lui la guardò da lontano, seminascosto dalla cortina che copriva la porta: gli sembrò perfettamente a suo agio. A un certo punto la vide anche ridere, posando sul tavolo il bicchiere.

Allora decise di aspettarla fino a tardi, finché non fossero andati via tutti lasciandoli soli. L’attese in fondo alla scalinata che portava alle stanze da letto. Lei lo fissò con un’espressione impenetrabile, camminando nella sua direzione, e voltò appena gli occhi a guardare a fianco, oltre le sue spalle: solo allora si accorse che erano entrate due cameriere a rassettare. “Buonanotte Oscar”, poté solo dire, trattenendo il respiro e il dolore nel petto. “Buonanotte”, si sentì rispondere con una voce che gli sembrò gelata.

Non dormì.

 

Il mattino dopo dovettero alzarsi prestissimo, perché Oscar era attesa a corte, e dopo l’addestramento sarebbe stata ricevuta in udienza privata dalla regina. Quando alzò gli occhi e la vide scendere in uniforme, gli stivali lucidi, la giubba fiammante con tutte le sue decorazioni, i guanti tenuti con naturale eleganza in una mano, la spada già allacciata al fianco, sentì qualcosa di fragilissimo che stava per spezzarsi dentro al cuore. Eppure l’aveva vista così tante volte.

Voleva dire, ma non c’erano parole che riuscisse a pronunciare. Lei manteneva un’espressione altera e composta, davanti alla servitù, che per un attimo lo terrorizzò.

Andò nelle scuderie a prendere i cavalli, col cuore gonfio di sgomento, la testa che gli girava.

Oscar, Oscar…

Non riusciva a trovare un modo per reagire a quella mancanza.

Poi percepì la luce che il sole da fuori proiettava sulla paglia diminuire, oscurarsi, e sentì chiudere la porta della stalla col chiavistello. Si voltò, ancora confuso, e non fece in tempo a capire, perché se la ritrovò addosso in un attimo in un abbraccio affannoso e pieno d’ansia, la giacca rossa di quell’uniforme premuta contro il petto, le sue labbra che lo cercavano disperate in un bacio febbrile, che sapeva del suo stesso dolore.

Rispose piangendo a quel bacio, con disperazione uguale, e s’immerse nel profumo del suo viso con uguale felicità, mentre la paura volava via liberando dal suo peso il cuore. Lei rimase aggrappata al suo corpo a lungo, senza abbandonare la sua bocca, e la lasciò fare finché volle, stringendola con la stessa passione. Finché il dolore passò, e divenne desiderio.

Solo allora, con un gemito, Oscar si staccò, e rimasero a fissarsi stravolti, gli occhi che bruciavano come in una febbre.

“Non dimenticarti di me”, gli disse con lo stesso tono con cui lo avrebbe detto lui.

 

Allora fu un po’ più facile accompagnarla a Versailles, assisterla mentre svolgeva i suoi compiti, aspettarla mentre era a colloquio con la regina. Ma non riusciva più a rimanere tranquillo come prima, e non sapeva come fare a non stare così male.

Prima, quando la baciava soltanto, di nascosto, non era così. Si sentiva molto più forte: quasi credeva di essere lui quello che conduceva il gioco, che mandava avanti quella relazione segreta rassicurando Oscar. Erano momenti meravigliosi, che erano giunti dopo una vita di tristezza, e lui non pensava ad altro, mentre la baciava.

Dopo che era divenuta sua era già cambiato tutto. L’amore che provava aveva travolto ogni argine, e non si sentiva più capace di recitare nessuna parte. Almeno, però, era ancora abituato a palazzo Jarjayes, ai ruoli che imponeva.

Ma poi erano andati in Normandia. E lì aveva saputo cosa significasse poterla amare liberamente, senza doversi guardare intorno prima di abbracciarla, che non lo vedesse qualcuno. Aveva provato cosa volesse dire passare i suoi giorni con lei come se fosse la sua compagna. Anche se non era vero, perché nessuno avrebbe mai accettato che fosse la sua compagna, e che vivessero insieme. Aveva conosciuto le serate trascorse a camminare tenendole la mano, il suo respiro prima del risveglio senza l’ansia di alzarsi all’alba e dover fuggire in silenzio lontano dal letto dove le aveva donato i suoi gemiti e il suo cuore. L’aveva guardata sorridere mentre cenavano insieme, l’aveva tenuta sulle ginocchia quando si era alzata per mettergli le braccia al collo, e aveva bevuto il vino che lei gli porgeva dal suo bicchiere. Senza che qualcuno potesse giudicarlo, e dire che non ne aveva il diritto.

 

Come poteva, ora, rinunciare a questo? Sopportare che nessuno, nobile o servo, ritenesse concepibile che si amavano? Che a tutti sembrasse normale quella distanza forzata che il mondo decretava tra loro, inflessibile?

No, non ne era capace. Eppure doveva.

 

Fu costretto a fare appello a tutta la sua forza d’animo, per resistere, per non tradirsi. Era molto più difficile di quanto avesse creduto.

Lo fece per lei, perché vide che anche lei soffriva.

 

 

*

 

 

La regina aveva deciso di trasferirsi dal Trianon e ritornare a Palazzo, su consiglio di Fersen. Una decisione tardiva ma saggia. Oscar dovette organizzare la scorta.

Era una mattina piena di sole, e Maria Antonietta viaggiava su un cocchio scoperto, insieme ai principini. Ridevano, ma la tensione tra i soldati era palpabile: una lettera anonima aveva annunciato un attentato. E c’era anche un disegno, con la sovrana morta e piena di sangue tra i capelli. Oscar aveva stretto quel disegno nella mano con rabbia. André si era sentito gelare, alla vista dei capelli biondi insanguinati: “Stai attenta”, le aveva detto senza poterselo impedire.

Poi aveva caricato le pistole con particolare cura e aveva deciso di stare attento lui, perché la conosceva, e sapeva che non si sarebbe risparmiata, se fosse servito. Le cavalcava al fianco, poco distante, seguendo ogni sguardo che rivolgeva intorno, ogni segno che faceva ai soldati.

Era una bella giornata. E l’attentato ci fu.

Un pazzo, soltanto un pazzo lo avrebbe fatto. Un uomo da solo che sbucò all’improvviso a piedi da dietro una siepe. “La regina deve morire!”, gridò brandendo una pistola.

Non riuscì ad avvicinarsi, perché le guardie che seguivano la carrozza ne arrestarono la corsa, facendo barriera davanti a lui. Maria Antonietta non se ne accorse nemmeno. Ma l’uomo sparò, e, approfittando dello spavento dei cavalli, fuggì. Gli spararono dietro. Oscar lo inseguì.

Era partita al galoppo senza dire una parola ancora prima che il movimento iniziasse, perché aveva visto da lontano quella sagoma uscire dal cespuglio, e quando l’attentatore s’infilò nel boschetto di Apollo lei era già scesa da cavallo per inseguirlo, addentrandosi nell’intrico di alberi.

Non aveva fatto in tempo a raggiungerla, e non la vide più, quando ci arrivò anche lui. Si trattenne dal gridare “Oscar!” solo al pensiero che l’avrebbe messa in pericolo. Vagò disperato tra gli alberi e i cespugli, senza pensare a se stesso e al rischio che correva. Il cuore gli batteva impazzito nel petto, e si fermò quando sentì lo sparo.

“Oscar!”, disse in un urlo strozzato.

Furono attimi di terrore, e quando sentì il rumore di un corpo cadere in mezzo alle foglie si precipitò là, la pistola in mano. Era nel fitto della vegetazione, e percorse la zona in cerchi concentrici sempre più stretti, non riuscendo a respirare, senza precauzioni, senza pensare a nulla. Poi vide una mano abbandonata che usciva da dietro un tronco, e gridò, col cuore in gola mentre si avvicinava: “Oscar!”

Ma era quell’uomo, non era lei. Era morto, e davanti a quel morto che non era lei provò una gioia acutissima, che lo stordì costringendolo ad appoggiarsi a un albero, respirando forte.

“Era ferito – sentì dire dalla sua voce mesta dietro le spalle -. Ha preferito uccidersi che farsi catturare”.

Allora si voltò e le andò incontro in pochi passi. La strinse all’improvviso a sé, fortissimo, la mano tra i suoi capelli, premendo il viso contro il suo. La tenne stretta, tremando. “Non farlo più - mormorò con un tono spaventato e venato d’ira -. Non farlo mai più, Oscar!”

“André…”, la sentì dire quasi stupita, quasi volesse obiettare qualcosa.

“No – rispose -, no… Tu non farlo più e basta. Non devi farlo più, mai più…”

 

Quando arrivarono gli altri soldati, pochi istanti dopo, il comandante stava esaminando il corpo, china su di lui, e il suo attendente era in ginocchio a terra, le mani aperte sull’erba.

 

 

*

 

Non aveva mai vissuto giorni più dolorosi.

Forse era l’amore che provava, che gli toglieva il respiro e la ragione. Forse l’improvviso contrasto con la felicità completa di quella settimana da soli. Forse il non poterla toccare, abbracciare. Erano dieci giorni che non facevano l’amore, da quando erano tornati a casa. Troppo pericoloso, lo sapevano entrambi, anche se non avevano avuto nemmeno la possibilità di parlarne.

Il generale passava un periodo a palazzo Jarjayes, come aveva fatto di rado negli ultimi tempi, e quando c’era il generale a casa la servitù era in uno stato d’agitazione continua: sembrava che il numero delle persone che giravano per le stanze raddoppiasse. Nelle scuderie era un fermento costante perché il padrone andava a cavallo ogni mattina ed era severissimo nel pretendere animali freschi e perfettamente strigliati. Aveva i suoi domestici personali, ma anche tutti gli altri erano in stato di allerta, e anche André. Soprattutto André, perché il padre di Oscar conosceva la sua vicinanza con la figlia e spesso si serviva di lui per farsi preparare il cavallo, approfittando poi di quei momenti per sapere di lei. Dei suoi impegni, delle ultime cose che erano accadute, perché Oscar non parlava mai di se stessa, e suo padre non era capace di chiederle maggiore confidenza.

Il generale lo interrogava rivolgendogli la parola con un tono distante e altero, e André gli rispondeva sempre con frasi rispettose e sintetiche, che tuttavia lo accontentavano, perché gli davano l’illusione di seguire da vicino la figlia. Con gli anni Oscar era diventata sempre più risoluta nel suo riserbo, e intimidiva persino suo padre, che aveva deciso del corso della sua vita: benché si comportasse sempre con lui con perfetta correttezza, non gli concedeva assolutamente nulla di se stessa. Era lo scudo che si era costruita per difendersi, ed era impenetrabile. André lo aveva capito da tempo, ma aveva capito anche l’affetto del padre per lei. Per questo non si sottraeva a quelle domande, e dava risposte che avevano il potere di rassicurarlo, senza tradire in alcun modo Oscar. Alla fine di quei colloqui arrivava immancabilmente la raccomandazione che badasse a lei, che la proteggesse, fatta con tono accigliato e severo. André sorrideva dentro di sé, e col tempo aveva persino cominciato ad apprezzare il generale.

Ma adesso non era più così. Anche se razionalmente sapeva di essere nel giusto, che il sentimento per Oscar era sincero e puro come il loro legame, sottoporsi a quelle richieste lo metteva profondamente a disagio. Quei momenti che prima accettava, come testimonianza rara d’amore paterno, adesso erano una vera tortura. Gli sembrava quasi di tradire la fiducia che gli era stata accordata: a tal punto quel sistema di valori si era radicato anche in lui, suo malgrado. L’evidenza con cui la vera risposta a quelle domande gli si presentava alla mente mentre era costretto a inventare bugie lo lasciava sgomento. “Cosa avete fatto in queste settimane?”, gli chiedeva Jarjayes. André lo guardava negli occhi e pensava: “Abbiamo fatto l’amore tutte le notti”, e rispondeva disorientato un’altra cosa, odiandosi perché stava mentendo e odiando il generale perché doveva farlo.

Ma lui amava Oscar. Lui amava Oscar, e tutto il resto non contava nulla di fronte a questo.

 

Oscar. Chissà quando sarebbe scesa Oscar da quella stanza. Chissà quando avrebbe smesso di suonare il piano da sola perché lui non poteva andare ad ascoltarla, sommerso da impegni che altri gli avevano affidato.

Chissà quando l’avrebbe baciata di nuovo, quando di nuovo l’avrebbe stesa sul letto, o sull’erba, o sulla riva di un fiume dove nessuno potesse accorgersi di loro, quando di nuovo l’avrebbe fatta sua e avrebbe sentito di appartenerle e avrebbe trovato nei gesti che si scambiavano la conferma di ciò che sentiva in cuore. Che erano nati per stare insieme, che quell’amore aveva tutti i diritti del mondo, che niente al mondo poteva permettersi di separarli, di guardarli con stupore e disprezzo. Lui l’amava, e non c’era altro da dire, perché anche Oscar ricambiava quei sentimenti. Tutto il resto non contava nulla di fronte a questo.

 

Ma aveva bisogno di lei. Che lei venisse ad abbracciarlo, che gli desse quella conferma. Perché nessuno gliene dava, di conferme. Perché, anzi, tutto quello che aveva intorno ogni giorno pareva una continua conferma del contrario: che lui era un folle ad amare Oscar e a volerla per sé; che se solo quella storia si fosse saputa avrebbe trascinato la famiglia nel più atroce disonore; che Oscar sarebbe stata uccisa da suo padre e lui prima di lei dai suoi servi, perché il generale non si sarebbe neanche abbassato a toccarlo e lo avrebbe fatto semplicemente frustare e poi eliminare da qualcuno; perché nessuno si sarebbe stupito se fosse accaduto tutto questo.

Il generale che gli chiedeva della figlia. Che si serviva di lui come tramite per esser vicino a Oscar. Non lo chiedeva ai nobili suoi amici, lo chiedeva a lui: e da lui aveva una comprensione che da nessun altro avrebbe potuto sperare. Il padre di Oscar, che sapeva quanto André le fosse legato, e non gli veniva neppure in mente che quel legame potesse essere amore. E se gli fosse venuto in mente lo avrebbe sbattuto fuori senza pensarci due volte. Oppure avrebbe fatto finta di niente, perché era sicuro che la sua figlia nobile e educata da uomo non avrebbe mai potuto amare, e amare lui.

Il generale che cercava e trovava in André quello che un padre avrebbe potuto cercare nel compagno, nel marito della figlia. E non lo capiva, non lo avrebbe mai capito.

 

Furono giorni terribili, pieni di paura e dolore.

 

E quella vita che lei faceva, il continuo pericolo di perderla, dover sopportare che rischiasse ogni giorno senza sapere se quel giorno sarebbe stato l’ultimo. Il comandante della Guardia Reale… Cosa avrebbe fatto il mattino dell’attentato se quella mano abbandonata che spuntava da dietro il tronco di un albero fosse stata di Oscar? Se quel pazzo invece di spararsi avesse sparato a lei? Se l’avesse uccisa? Cosa sarebbe successo? Non riusciva neanche a pensarci.

Eppure quella era la sua vita, la vita della donna che amava, e non sapeva neanche se fosse giusto desiderare che non la facesse più. Non le aveva detto che amava tutto di lei? Non era forse contenta Oscar di saper usare la spada, di cavalcare, di svolgere un ruolo così importante, e così impegnativo, che le riusciva così bene? Non era forse legatissima alla sua regina? E che diritto aveva lui di impedirglielo? Di desiderare che facesse una vita diversa? Oscar non avrebbe mai voluto vestirsi come una dama di corte e fare pettegolezzi a Versailles.

E con lui, poi? Cosa poteva aspettarsi di fare con lui, cosa poteva offrirle? Portarla via e farle fare la massaia in una casa modesta per amor suo?

Eppure una paura tormentosa lo stringeva tutte le volte che la vedeva in uniforme: una paura che prima non aveva, anche se già l’amava. Perché? Perché adesso ne era così terrorizzato?

 

Forse perché adesso sapeva cosa significasse avere il suo amore. Perché da quando aveva il suo amore l’amava infinitamente di più.

E perché adesso sapeva di poter fare qualcosa, e non sapeva cosa.

 

 

*

 

 

Era il tramonto, un altro tramonto senza di lei. Una domenica senza vederla, perché era andata a corte con suo padre, e non l’aveva potuta seguire. C’era un ricevimento nei giardini di Versailles. Un’occasione mondana.

Era rientrato in casa e si era rinfrescato, poi era rimasto un poco nel salone, a fissare oltre la vetrata.

“André – sentì chiamare sua nonna, la governante -. André… visto che non hai niente da fare, perché non mi fai un favore? Porta queste lenzuola nella stanza di Oscar, senza che debba chiamare una cameriera”.

Si voltò a guardarla, e per un attimo non rispose. L’anziana donna notò un’espressione intensa e triste passare negli occhi del nipote: un’espressione che non gli aveva mai visto, anche se aveva capito che voleva bene a Oscar, da tanto tempo.

“Sì, certo”, lo udì rispondere senza dire altro. Gli porse la biancheria, e lo guardò salire le scale. Tornò al suo lavoro, con un sospiro.

 

La camera di Oscar era pulita e profumava di lei. Il suo letto profumava di lei. La camicia da notte ripiegata con cura sul cuscino aveva l’odore del suo corpo nel sonno. André la prese nelle mani, e vi affondò il viso lentamente, sedendosi sul letto.

Rimase così forse mezz’ora, senza far niente. Gli era venuto da piangere, e non se l’era impedito.

 

Lei lo trovò così.

Entrò senza far rumore, e lo vide seduto sul suo letto, in quel momento di debolezza indifesa. Se fosse entrato qualsiasi altro, non lei, lo avrebbe trovato così, ugualmente.

“André…”, mormorò.

Lui alzò il viso e la guardò, come sorpreso di vederla, di vederla in quel momento, di vederla in un luogo dove erano soli insieme e dove non c’era nessun altro. Da quanto tempo non accadeva più.

Non rispose, e non si mosse da dov’era. Lasciò le braccia cadere piano sulle ginocchia, le mani aperte con in mano la sua camicia, continuando a guardarla senza sapere che dire.

“André, André…”

Fu lei che gli andò incontro, posando in fretta il mantello e i guanti sul letto, e si chinò su di lui, gli prese le mani. Gli sfiorò il viso col suo viso piangendo, dandogli baci leggeri e intensi, e posò il capo sulle sue ginocchia, in silenzio. “Amore, amore…”, gli diceva.

Allora si sentì come si sentiva da bambino, quando stava per scoppiare in singhiozzi, e dovette stringere le labbra per non farlo mentre l’accarezzava. E mentre lei si alzava e lo abbracciava, e lo baciava ancora sul viso, André si rese conto che aveva bisogno che lo tenesse stretto, che lo tenesse a sé, e che desiderava solo abbandonarsi a quell’abbraccio, posare il capo sul suo seno, ricevere la sua voce piena d’amore e le sue carezze per consolarsi. Si portò le sue mani al viso, e le strinse a sé chiudendo gli occhi. Poi si affidò alle sue braccia, e pianse.

 

 

Aprì gli occhi che era giorno fatto. Il giorno dopo. Era nel letto di Oscar, con accanto lei.

E non riuscì subito a capire cosa fosse successo, perché a quell’ora fosse ancora lì, perché fossero insieme nella sua stanza e lei lo abbracciasse e gli sorridesse, e sembrasse non avere alcuna paura, alcuna fretta.

“Oscar…”, mormorò improvvisamente preoccupato. Lei gli diede un bacio: “Stai tranquillo”, disse.

“Ma che ore sono, Oscar…”

“Le nove”.

Si alzò sul gomito, all’improvviso, e la fissò stupito: “E la casa… tuo padre…”

Lei sorrise di nuovo: “E’ ripartito – rispose -. Oggi ho un giorno di riposo, e ho disposto che nessuno entrasse, ieri sera, che mi sentivo poco bene”.

Si strofinò su di lui: “E poi è chiuso a chiave…”, disse con aria complice.

“Amore, ma… e quando uscirò? Perché non mi hai svegliato, Oscar? Potrebbe vedermi qualcuno…”

“Ho detto che avrei ricevuto soltanto te, per una questione importante. Non si stupiranno di vederti”.

Allora si rilassò, con uno sguardo ancora incerto, quasi, e lasciò andare il capo all’indietro sul cuscino con un sospiro: “Oscar, Oscar…”. Avvertì il proprio corpo nudo sotto il lenzuolo.

Ora si ricordava, sì. Aveva pianto tra le sue braccia, aveva pianto a lungo, e lei lo aveva cullato, lasciandolo sfogare. Gli aveva dato piccoli baci sul viso, mentre lo stringeva in modo quasi materno. Lo aveva chiamato per nome dolcemente: “André… André…”. Più volte, senza aggiungere altre parole.

E poi aveva scacciato con altri baci quella tristezza, a poco a poco, e lui l’aveva desiderata e si era dimenticato di tutto. Aveva di nuovo fatto l’amore con lei, dopo tanti giorni, affidandosi al suo corpo come sperduto, perché lo accogliesse ancora. Aveva pianto di gioia, mentre si rifugiava nel piacere dolcissimo e improvviso che gli donava, e aveva desiderato poter rimanere in lei, più di ogni altra volta che l’aveva amata. Ora ricordava. Ricordava, sì.

“Oscar, io…”

Lei gli posò un dito sulle labbra, facendo segno di no col capo: “Non dire niente – disse a bassa voce -, lo so”.

Allora la guardò più intensamente e capì che anche i suoi occhi avevano pianto, quella notte. Che anche lei aveva sofferto nello stesso modo, quei giorni che erano stati lontani sotto lo stesso tetto.

Forse fu questo che gli fece tornare il coraggio.

Si girò pieno di tenerezza su di lei, e la prese tra le braccia. Poi la baciò una volta, e un’altra, e cominciò a baciarla con ardore sempre più intenso, mentre avvertiva quel corpo fragile tremare sotto il suo e abbandonarsi allo stesso bisogno di carezze che quella notte aveva avuto lui. E anche Oscar pianse quando André non poté più resistere a quei baci, e si spinse tra le sue gambe e la prese, pianse mentre entrava di nuovo dentro di lei e le posava le labbra morbide sul viso, e lo implorò di amarla e consolarla di tutto.

Fecero l’amore con passione, chiusi a chiave nella casa piena di persone, fino a quando non fu mattino tardi, e i raggi del sole sui vetri non scaldarono la stanza.

Nessuno li disturbò.

 

 

Continua...

mail to: imperia4@virgilio.it

 

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