Nelle mani
parte IV
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Nessuna lampada era accesa, in quell’ala della casa. Oscurità, e solo brani di chiarore lunare sotto le finestre chiuse, che giacevano a terra filtrati a forza dalle imposte.
La sua stanza era lì, ma nessuna luce proveniva da sotto la porta.
Bussò.
Un movimento improvviso, dentro.
A voce bassa: “André…”
Silenzio. Un silenzio in ascolto.
“André, aprimi, ti prego”. Avvertì la nota di pianto nella propria voce, e pensò che adesso l’avrebbe sentita tutta la servitù, che sarebbero usciti dalle loro stanze e l’avrebbero vista lì, in lacrime davanti alla porta di André. E che non le importava.
Ma lui non la fece aspettare lì fuori. Aprì, e la fissò un istante, prima di farla entrare, senza una parola.
Era buio, e la finestra spalancata sul giardino faceva della stanza uno spazio aperto, che accoglieva le voci della notte. La luna passava piano dietro le nuvole, e quando ne usciva si stendeva sul suo volto, preziosa e triste.
Guardò quel volto, quasi stupita.
“André…”
Lui non rispose. Si girò e fece pochi passi verso la finestra. Appoggiò le mani sul davanzale.
“Perdonami André. Perdonami”.
“E per cosa, Oscar – disse senza muoversi, di spalle, con voce piena di rabbia amara -, per cosa? Per aver mandato via il tuo attendente da un colloquio privato con un conte? Un nobile non si scusa di queste cose, dovresti saperlo. O forse sono le frequentazioni plebee a farti dimenticare il tuo rango?”
“Ti prego…”
Lo aveva detto in un soffio, e la sua voce affranta lo fece voltare. Vide brillare per un istante una luce di commozione, nel dolore sordo dipinto sul suo viso.
Ma soffriva troppo, e non gli bastò.
“Stavate bene insieme, sai? Proprio una bella coppia, a vedervi da fuori. Aristocratici, eleganti… Sai una cosa, Oscar? Ti ho sempre visto bene, con lui”.
“Ma che dici, André…”
“Perché? Non è quello che hai sempre voluto? Non l’hai desiderato per anni? E ora sembra proprio che si avveri. Forse ti chiederà anche di sposarlo… Sarebbe un gran bel matrimonio”.
“André, basta!”
Le si avvicinò, fissandola in un modo che la fece tremare. “Sì, hai ragione, basta – disse -. Basta illusioni, basta con questa follia che ci ha preso... la realtà vera è un'altra, non sono io. Non siamo noi. Non sono tutti i baci che mi hai dato, e tutte le volte che ti ho stretto tra le braccia, e tu mi hai detto sì… La realtà vera è il conte di Fersen, che ti viene a trovare e ti fa allusioni fiorite, e tu che ridi garbatamente e mi chiedi di andarmene. Vero?”.
“No, io non volevo che te ne andassi, André! Ho dovuto…”
Lui scosse il capo: “Hai dovuto, certo. Certo, Oscar, non credere che non lo capisca. Hai dovuto: l’etichetta prima di tutto. Peccato che solo mezz’ora prima ti stessi rotolando nell’erba con me”. Aveva uno sguardo pieno d’ira, e dolore: “Spero di averti fatto divertire, almeno”.
Le fece male, quasi quanto ne faceva a se stesso, con quella frase. Lei alzò una mano d’impulso, per schiaffeggiarlo. Ma la prevenne, e la fermò stringendole il polso.
Poi chinò il capo: “Scusami – disse continuando a tenerle quella mano -. Scusami”. Respirò, lasciandola, lieve.
“Scusa, non dovevo parlare così di stasera”. La guardò, e nei suoi occhi si fece un’espressione di pianto, e di dolore. E anche la voce: “Ma stasera ci baciavamo, Oscar, ti accarezzavo. Stasera hai detto che volevi fare l’amore con me… Stasera…”
“Sì, André, ascolta…”. Gli sfiorò il viso con la mano, e incontrò una lacrima, con le dita. “Ascolta…”
“No, ascolta tu, invece. Ascolta tu, Oscar, e ricordati: tu non sarai mai felice con lui, né con nessun altro. Lui non ti amerà mai come ti amo io, e nemmeno tu potrai. Nessuno ti amerà mai quanto ti ho amato io. E questa è l’unica cosa che conta”.
Lo aveva detto con un tono così determinato che lei tacque un istante, commossa.
“Lo so, André. Hai ragione, lo so”.
Rimasero a fissarsi, in silenzio, uno di fronte all’altra.
Poi fu lei a prendergli le mani, e a cercare il suo sguardo nell’ombra della stanza. A cercarlo sotto le ciglia ostinate distolte da lei, nel volto girato di lato, per non incontrare i suoi occhi. Rimase ferma davanti a lui, aspettando, finché non tornò a guardarla.
Allora gli si fece vicina, e posò il capo sul suo petto. Gli cinse la vita, e stette ferma così, a occhi chiusi. “Abbracciami, ti prego”, disse.
“Abbracciami, André. Io aspetterò finché tu non mi abbracci”.
Attese, finché non sentì il suo corpo cedere a quella richiesta, e le sue mani stringersi appena su di lei. E sentì la sua sofferenza, che era in mezzo a loro.
Allora sollevò il viso, e gli baciò la guancia, il collo, in una carezza. E gli parlò all’orecchio, appassionata e seria: “Ho sbagliato, lo so. Ma non ho mai voluto mandarti via, André: io volevo stare con te, non m’importava d’altro. Solo con te”.
Gli sfiorò il volto con le mani, l’attrasse a sé: “E’ stato bellissimo stasera, su quel prato. E’ stato bellissimo, e quello che ho detto era vero: io voglio fare l’amore con te, André”.
“Oscar… ma perché allora…”
“No, non è successo altro, da allora. Stasera eravamo insieme sulla collina, stanotte siamo qui, come avevamo detto. Non è successo altro”.
“Sì, Oscar, è successo, invece”. La sua voce era bassa, come quella di lei. Continuava a cingerla, piano, il viso accostato al suo.
“Hai ragione, André, è vero: qualcosa è successo. E se penso a questo sono quasi felice di questo momento, anche se ci fa così male. E’ successo che ho capito, ho capito…”
“Che cosa, Oscar…”
Sollevò il capo, e cercò il suo sguardo. Era dolcissima e seria, quando gli parlò.
“Tu non mi hai mai chiesto di dirtelo, André, e ora so perché”.
“Oscar…”
“Io ti amo”.
Tacque, e ascoltò i battiti del proprio cuore a ogni sillaba di quella frase che aveva detto. E il suo respiro: “Io ti amo, André. Ti amo, avevi ragione tu”.
Lo baciò delicatamente, per prima: “Non respingermi… ti prego…”
Allora sentì le labbra di lui tremare, in risposta a quel bacio, mentre vi posava le sue, e le sue braccia che l’attiravano appena, in silenzio. Lo sentì sospirare, come un vento leggero sulla pelle.
Rimase muta, e lo strinse mentre quel “ti amo” si stendeva sopra di loro. Ed era diverso il suo abbraccio, adesso, da tutti quelli con cui l’aveva avvolta fino a quel momento. Un abbraccio che bastava a se stesso, pieno solo di lei.
Accostò il viso al suo viso, e riconobbe che abbandonava il capo, solo un istante. E chiudeva gli occhi, nel farlo.
Poi André la sollevò, e la posò sul letto. E si stese accanto, e le prese la mano, senza fare altro.
Rimasero in silenzio, le mani unite, ascoltando la notte.
Tempo. E attesa. Avevano bisogno di questo, adesso, Oscar lo capì. E capì quei gesti trattenuti di André, e la sua ferita, che doveva guarire.
Per troppo amore.
Se Fersen non fosse venuto, pensò. Se non fosse venuto non ci saremmo dati questo dolore, e saremmo stati pieni di passione e carezze. Come stasera, sopra quel prato. Tu saresti mio, e non avresti dubitato di me.
Eppure non avrei saputo quello che ora so.
Dimentica,
amore. Dimentica.
Pensa
soltanto a me.
Era bello avere il suo corpo vicino, e quel letto che era il suo letto. E quella stanza, piena a tratti di luna e poi di nuovo buia, e stringere piano la sua mano, allora. Era bello, e si girò verso di lui perché tenergli la mano non le bastava più, e l’abbracciò nascondendo il viso nel suo petto, affidandosi con tutta se stessa.
Tremò, le dita sulle sue braccia.
Restarono svegli, vicini, senza parlare. Poi la notte si distese su loro.
*
C’era una candela accesa che rischiarava il soffitto, quando aprì gli occhi. E le braccia di André che l’avvolgevano. E il suo viso illuminato dal bagliore fluttuante della fiamma: la stava guardando. La finestra chiusa, e improvvisamente quella stanza divenuta un rifugio, e loro due soli. Era notte fonda.
“André…”
Lui non parlò, e continuò a fissare il suo volto che usciva da quel sonno di un’ora, l’espressione intensa di chi l’aveva vegliata senza dormire.
Schiuse le labbra per dire, allora, ma si accorse che parole non c’erano, per quello che aveva dentro, per lo sguardo di lui e la dolcezza del suo abbraccio e la profondità di quel silenzio, di quella notte.
Rimasero minuti così, i volti vicini, avvertendo il contatto dei loro corpi.
Furono i suoi occhi azzurri a chiamarlo, solo i suoi occhi.
Poi mani e carezze tenere e lievi e accese, e intrecciarsi di sospiri e di sguardi, e timore e gioia. E i baci che conosceva, dono prezioso e delicato sulla sua pelle, e desiderio per la prima volta appagato di offrirsi a lui. Chiuse gli occhi alla frenesia dolcissima del suo cercarla, inarcò il corpo mentre le sfilava i vestiti, e le carezzava il seno con labbra umide e ardenti, strappandole gemiti di piacere mentre gemeva di desiderio anche lui.
Fu muoversi impaziente e ansioso, e ciglia chiuse di timidezza e d’ardore, e minuti che durarono ore, e profumo di luna sulle dita.
I loro corpi nudi, vicini, poi. E la gioia di quello sfiorarsi. E la sua paura. E come glielo disse con gli occhi, dentro i suoi occhi, che aveva paura. E come lui le rispose, fermandosi, con un bacio.
Poi il coraggio che le tornò, e le sue dita stringerlo e chiamarlo ancora. E il volto di André che si fece serio e l’espressione che prese, che non dimenticò più. E le sue braccia che la cinsero appassionate, e come si avvicinò a lei e le sfiorò le gambe, e come la fissò, senza lasciare il suo sguardo un istante, mentre la luna si liberava da una nuvola, riempiendo il cielo, e il suo corpo entrava in un tremito dentro lei.
Era questo l’amore, sì, era questo che poteva dare. André nel suo corpo, che la prendeva, e i brividi diversi, intrecciati in un soffio sul suo seno, e la mente smarrita per la troppa gioia, e quel gemito di dolore che le era sfuggito, e come lui aveva accostato il viso al suo, allora, e l’aveva sentito bagnato di pianto, e come in quel suo pianto era nato un gemito di piacere, e un altro ancora, che le aveva donato. E come quei gemiti l’avevano rapita, portandole via la ragione e soffiando sulla sua pelle un ardore che aveva travolto anche lui.
Come si erano abbandonati, insieme, in un abbraccio che non aveva confini, e come avevano soffocato i sussulti mormorandoli a bassa voce, e la stanza si era riempita di tremiti e di sospiri in un delirio sommesso che li aveva resi felici.
Tutte le volte che gli aveva detto ti amo, fino a non avere più voce, perché il suo cuore le imponeva di farlo, e la gioia immensa che aveva provato quando aveva compreso che lo stava portando al piacere, per la prima volta, e come avrebbe voluto trattenerlo quando lui invece l’aveva lasciata, perché non poteva più resistere, e si era posato su lei e l’aveva stretta, sconvolto dalla passione, e in quell’incontro con il suo corpo lo aveva sentito fremere, lo aveva sentito godere.
Tutte le volte che gli aveva detto ti amo.
L’unica volta che lo aveva detto lui. In un sospiro profondissimo, passandole le dita sulle labbra, mentre la luce tenue della candela le dipingeva per sempre nella memoria il colore verde dei suoi occhi.
*
Poi erano rimasti in silenzio, con gli occhi aperti, e André aveva posato il capo sul suo seno e l’aveva stretta in modo dolcissimo. E l’aveva abbracciata ancora, con un moto come improvviso, dopo pochi momenti. Le aveva detto che l’amava come se volesse occupare il cielo con quelle parole, ed era risalito al suo viso stendendosi accanto a lei, portandola su di sé.
Aveva sentito il battito veloce del suo cuore posandogli la guancia sul petto.
“Oscar…”
Aveva la mano abbandonata lungo il corpo, e lei la raggiunse, cingendolo, e intrecciò le dita alle sue in risposta.
“Ti amo, Oscar”.
Respirò l’odore della sua pelle e chiuse gli occhi. Era felice. Si affidò al calore che le trasmetteva per ripararsi dal buio.
Ma André era pieno di gioia, e d’amore, e in quell’abbraccio si girò ancora su di lei, e la baciò, la baciò con passione struggente, senza saziarsi mai. “Ti amo – le disse ancora -. Ti amo”. Lo ripeté tante volte, infinite volte, come quel giorno che l’aveva raggiunta in camera sua, e l’aveva stesa sul letto ubriacandola di baci ansiosi. Si baciarono, i corpi allacciati, come se ci fosse ancora troppa emozione, nei loro cuori, e dovessero darle fondo. E lentamente quei baci divennero più tenui, più smorzati, mentre l’emozione si scioglieva nel tempo e una stanchezza lieve carezzava le loro membra. Sentì il respiro di André farsi sommesso e regolare, sul suo seno, e gli passò le dita tra i capelli mentre si addormentava. Poi si addormentò con lui.
*
Il colore del cielo si addolciva, ormai, e girandosi sul cuscino non sentì la sua presenza accanto. Lo cercò, allora, con occhi ancora incerti, e lo vide accanto alla finestra, nudo, la pelle carezzata dalla luna, guardare fuori ascoltando i suoni remoti che annunciavano l’alba. Si girò verso di lei, senza che lo avesse chiamato.
“Vieni”, gli disse.
Accolse il suo abbraccio e le sue membra fresche con un brivido.
“Cosa stavi facendo…”, mormorò.
Lui non rispose subito, come se non fosse sicuro: “Convincevo la luna a non tramontare”, disse infine, con un sospiro triste.
L’attrasse a sé, allora, e volle che la baciasse ancora. E ancora lo baciò, con passione nuova. E avvertì il proprio corpo offrirsi nuovamente alle sue mani che adesso la carezzavano, alle sue labbra che la sfioravano con ardore. “Prendimi ancora – gli sussurrò in un ansito -. Ancora, amore…”
E sentendolo entrare di nuovo dentro di sé, in quel desiderio e in quei gemiti e in quelle carezze, ritrovò la gioia completa del primo istante, e il proprio corpo che si muoveva, ora, accompagnando quei movimenti lentissimi in una danza che cercava il suo ritmo. Lo cercarono insieme, tenendosi stretti, le bocche unite, mormorando parole e sospiri confusi, e lei avvertì come un tremito lontano annunciarsi sulla pelle, in un lento irradiarsi sul suo corpo, come una carezza sempre più intensa. Seguì quel tremito con gioia che divenne accesa, e più viva, felice dell’ardore crescente sul viso di lui, e del suo respiro che si faceva ansioso, dei suoi occhi che la seguivano attenti e pieni d’amore, e che colsero il suo sguardo e lo accompagnarono senza lasciarlo mai, dove quei tremiti la portavano, insieme a lui.
Poi chiuse gli occhi, perché il piacere era troppo grande, e poté affrontarlo solo abbandonandosi alle braccia di André, e il gemito che gli sentì uscire dalle labbra in quell’istante fece nascere sulle sue labbra altri gemiti, che non finivano mai, e bagliori di luce improvvisa, a invaderle la mente.
*
Infine fu l’alba, e il primo chiarore, e quando il cielo si colorò di rosa erano già vestiti e pronti ad uscire, perché nessuno doveva trovarli insieme lì. Era più rischioso, nella stanza di André.
Ma non volle farla andare da sola, nel corridoio, e si mosse per primo, nascondendola dietro sé. E fu una corsa silenziosa col respiro trattenuto fino al cuore della casa, fino alle zone in cui potevano parlarsi e guardarsi davanti a tutti.
Fra poco ci sarebbe stato movimento, nelle cucine e nel cortile, ma adesso regnava ancora un silenzio addormentato su tutto. Nella luce crescente si distinguevano appena i contorni dei mobili, degli ambienti noti.
Camminarono veloce per mano, pieni d’agitazione e d’amore. Quando arrivarono alla scalinata centrale lei strinse la mano nella sua e lo guardò un’ultima volta, prima di salire. Le diede un bacio lievissimo e smarrito e la lasciò andare. Non staccò lo sguardo da lei finché non scomparve, in cima alle scale.
Poi uscì da solo nel giardino, e si appoggiò al bordo della fontana, a guardare il sole che sorgeva.
*
Il cielo risplendeva d’azzurro, quando la vide scendere quelle scale, e ne seguì il percorso fino al salone, dove lui era, ad aspettarla.
C’era la colazione sul tavolo, e fragranza di pane.
La fissò in silenzio, come taceva lei, mentre sedeva al suo posto. Gli rivolse uno sguardo pieno di parole, ma non disse nulla: c’erano le cameriere, intorno, e la casa sveglia.
Fu una vicinanza silenziosa, quel mattino, molto più di ogni giorno, prima di quel mattino.
E nemmeno le loro mani si incontrarono, tranne che per un istante, quando Oscar allungò la sua verso la zuccheriera e lui gliela passò, coprendone il dorso in una carezza che la fece tremare.
Chissà se si vede da fuori.
Se lo chiese più volte, in quei minuti con lui davanti, senza poter fare nulla, solo guardarlo e lasciarsi guardare dai suoi occhi. Chissà se si vede. A lei sembrava di sì, e non riusciva a dire nessuna delle parole che diceva ogni giorno, con tanta naturalezza, prima di entrare nel suo letto e divenire sua.
Erano amanti, le venne questo pensiero in un palpito d’emozione, mentre cercava di abituarsi all’idea.
Amanti. Chissà se stava pensando questo anche André.
Forse da fuori non si notava, non si accorgeva nessuno. Lei era stata educata come un uomo, e in casa da una vita la consideravano così. Non aveva mai destato supposizioni la sua vicinanza con André: anche per questo erano così liberi di andare insieme dove volevano. Nessuno sospettava di loro.
Per fortuna, si disse.
Poi i sentimenti del suo cuore la fecero tremare, e ripensò alle mani di André su di lei, dentro quella notte, e a come era stato tutto così meraviglioso e naturale, e com’era naturale amarlo, sentire di appartenergli, pensare che André era suo.
Che lei era una donna, e che ne era felice.
E quel senso di sollievo fu cacciato per un istante da un pensiero doloroso, e venato d’odio: perché nessuno sospettava di loro? Come potevano pensare davvero che lei fosse un uomo? Che di un uomo avesse i sentimenti? Che non potesse accadere nulla tra lei e André?
Come aveva potuto pensarlo anche suo padre, che glielo aveva messo accanto fin da bambina, e non si stupiva affatto di vederli partire a cavallo per andare dove volevano, che non si stupiva di vederli bere insieme, e che André andasse a parlarle nella sua stanza?
Cosa volevano, cosa avevano voluto da lei?
Come aveva potuto assecondarli al punto di negare se stessa?
André, amore mio…
Sollevò il viso verso di lui, e lo vide preoccupato dall’ombra passata nei suoi occhi per quel pensiero. Allora si rasserenò, e gli sorrise abbassando le ciglia.
Per fortuna tu non ci hai creduto, André.
Poi, quando rimasero soli, finalmente, e lui poté chiederle cosa l’aveva turbata, e passò la mano sotto la sua, prendendole con delicatezza le dita, lei disse solo ciò che provava in quel momento, e ripeté in un tremito che lo amava.
*
Il tempo che seguì lo rubarono soltanto per sé, lontano da tutto. Oscar non aveva doveri a corte, in quel periodo, e allungò la licenza di una settimana. Partirono per la casa di Normandia, da soli, per fare l’amore ogni giorno, ogni notte.
Il mare lo scoprirono così, bagnandosi tra le onde che morivano sulla spiaggia deserta, dentro il tramonto caldo di quel mese d’estate. E sulla spiaggia, carezzati dall’acqua che lambiva i loro corpi, rimasero uno nell’altra immobili, cercando di trattenere il piacere. Si amarono parlandosi, con voci sommesse e ansiose avvolte dalla risacca, i corpi tesi in un abbraccio appassionato che il respiro dominava ancora, finché non fu la voce del mare a diventare loro, e ad affrettare quei gesti conducendoli all’abbandono.
E mentre guardava il profilo di lei scosso da gemiti di piacere, i suoi occhi chiusi e i capelli bagnati a carezzare la sabbia, e sentiva il sale sulla sua bocca riempirlo di sconosciuta dolcezza e il suo corpo totalmente affidato alle braccia che la stringevano, André seppe ancora una volta cos’era essere felice, e non volle più dominare il trasporto che lo invadeva. La prese, la prese allora con tutta la sua passione, con gemiti che mescolò ai gemiti delle onde, accogliendo su di sé il mare che li avvolgeva, lasciando che i capelli bagnati sul suo viso le sfiorassero in carezze le labbra.
“Adesso, amore, sì… adesso… adesso…”
“Oh… André… André… amore mio… André…”
Era questa la felicità, era questa, sì. Amare Oscar e tenerla tra le braccia, e riuscire a darle piacere, e guardarla mentre accadeva.
Poi l’asciugò e l’avvolse in una coperta, e accese il fuoco sulla spiaggia. Si scaldarono così, davanti a quel fuoco, sotto quella coperta, insieme.
*
Oscar congedò tutta la servitù, dal palazzo di Normandia.
Continua...
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