Nelle mani

parte XVIII

 

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Il suo volto riprendeva colore, ed era tanto tempo che non la vedeva più. Solo, in una stanza con lei, da poterla toccare. Non era come l’aveva immaginato. Sentiva il cuore pieno d’emozione e di stupore per averla lì. La gioia che gli aveva dato sfiorare la sua pelle tremava ancora sulle dita. Ma non doveva odiarla? Non doveva detestarla per ciò che aveva visto da quella finestra?

Eppure no, non la odiava affatto.

A un certo punto avvertì una sofferenza acuta, e quasi desiderò, assurdamente, che non si svegliasse, che non dovessero parlare. Che avessero dimenticato tutto e dovesse solo abbracciarla e tenerla stretta, perché era quello che voleva fare.

“Oscar… Oscar…”

Un mormorio sommesso gli era uscito dalle labbra nel chiamarla, e si sentiva completamente in balia della situazione. Non ricordava più i propositi con cui era entrato in quel suo ufficio, lo stato d’animo pieno di rancore che per tanto tempo lo aveva accompagnato. Il desiderio di punirla, di accusarla, di gettarle in faccia tutto il suo dolore per essere stato abbandonato, tradito. Pronunciava il suo nome a bassa voce e ricordava improvvisamente tutto di lei.

“Oscar…”

La vide aprire gli occhi, rimanere a fissarlo a lungo, senza mutare espressione, come se non comprendesse ancora. E le lacrime uscire in silenzio, poi, scorrendo ai lati del viso, senza che abbassasse le ciglia. Le labbra che tremavano appena, e vide che era troppo debole per alzarsi, nel corpo e nel cuore.

Si chinò su di lei, vicinissimo, gli occhi nei suoi.

Fu allora che Oscar mosse una mano piano per sfiorarlo, per prima, e poi anche l’altra: e rimase così, con le mani attorno al suo viso, scuotendo impercettibilmente il capo senza riuscire a parlare. Piangeva in silenzio. Poi in un gemito si strinse al suo corpo cingendolo con le braccia al collo. Un abbraccio sempre più intenso, più forte, come il suo pianto muto che diveniva un singhiozzo, e parole disunite che rivolgeva a lui, a lui soltanto: “André… André… sei… io… sei qui…”

Riconobbe il suo abbandono, la tenerezza del suo darsi, ma era fragile come non l’aveva mai sentita. E non fu lui a decidere ma le sue braccia che la circondarono, la strinsero per portarla al suo petto. Si accorse che la sollevava a sedere e la teneva a sé, che l’abbracciava forte, sempre più forte, il viso contro il suo, con gli occhi chiusi, desiderando che non parlasse, che non ci fosse nulla da dire, da ricordare, spiegare. Che fosse vero ciò che gli stava dicendo il suo corpo, che era lo stesso di allora, e più di allora, sì… E il corpo di lei, il corpo di lei tra le braccia… E quella parola che aveva in gola, che voleva uscire, amore, amore

“Amore mio… André… amore… amore…”

“Oh, Oscar…”

Era stata lei a dirlo, e lo diceva ancora mentre la teneva così, aggrappata alle sue spalle. E le mani che la stringevano, senza sentire ragioni, l’accarezzavano lungo la schiena, oltre l’uniforme…

Oscar lo chiamava amore, lo chiamava amore, ancora.

 

Non seppe per quanto tempo, e nemmeno più dove fosse. Sfiorare il suo viso, abbandonarsi al suo profumo, che ricordò nell’istante in cui l’ebbe tra le braccia, non era come immaginarla da lontano, non era così, no… E pensò che avrebbe voluto che quel momento non finisse, esattamente nello stesso modo in cui l’aveva desiderato quel primo giorno al fiume, quando erano rimasti a parlare a lungo su quella coperta e l’aveva baciata per la prima volta. Prima che si dovesse spiegare, capire, prima che uno dei due fuggisse perché aveva paura.

 

“Sei vivo, sei  vivo, André…”

Era tornata in sé, ma ancora non poteva crederci. Sussurrava quelle frasi in un modo disarmato e felice, con gli occhi lucidi, continuando ad appoggiarsi a lui perché non voleva abbandonare il contatto col suo corpo. André accarezzò coi pollici il dorso di quelle mani bianche che teneva nelle sue, delicatamente, e fissando il proprio movimento mentre le accarezzava, senza guardarla, si rese conto che se non avesse smesso subito non le avrebbe detto neanche una parola, l’avrebbe baciata e avrebbe fatto l’amore con lei immediatamente, su quel divano, dentro il suo ufficio di comandante.

“Sì, sono vivo, Oscar. Sono qui”, disse sollevando il viso, guardandola negli occhi.

“Oh, sei qui, sei qui… credevo che ti avessero ucciso… credevo che tu fossi morto”.

Piangeva ancora, senza potersi fermare, tra le sue braccia. André la lasciò sfogare a lungo, finché non ebbe recuperato il controllo di sé. Poi si alzò lentamente e andò al tavolino accanto, versò dalla brocca che vi era sopra un bicchiere d’acqua, glielo porse. La osservò bere, riacquistare poco a poco le forze, posare i piedi per terra rimanendo seduta sul divano, davanti a sé, le mani aperte ancora sui cuscini.

Allora si allontanò di un passo, come se volesse vederla tutta, mentre parlavano: “Anch’io credevo di essere morto, Oscar. Mi hanno sparato quel giorno che dovevamo incontrarci, e non so per quale miracolo non mi abbiano ucciso”.

“Sì – rispose lei guardandolo, e poi si alzò per andargli vicino di nuovo -. Lo so”.

“Lo sai?”, disse alzando il viso sorpreso mentre gli prendeva le mani. Lei se ne accorse, ne fu ferita.

“Aspetta – gli disse -, devi conoscere tutto”.

“Sì, Oscar, dimmi tutto, ti prego. Dimmi perché sapevi e non ti ho visto più… dimmi perché ti ho persa il giorno che credevo di fuggire con te.”

“Oh, André… mi dispiace, mi dispiace… è stato terribile, lo so”.

“Oscar… perdonami, ma…”

“Aspetta… aspetta, André, è una storia orribile, e difficile da spiegare. Io ho scoperto tutto molto più tardi”.

“Hai scoperto… cosa c’era da scoprire, Oscar? Spiegamelo, ti prego – disse, non riuscendo a nascondere  la nota addolorata che si modulò nella voce -. Spiegami perché hai detto che saresti partita con me e poi invece… invece…”. Non si era mosso, ma aveva stretto i pugni quasi senza accorgersene.

“Mi hanno ingannato, André…”, gli rispose quasi ansiosa, subito: “Ci hanno ingannato, tutti e due… una cosa atroce… io ero venuta alla locanda, quella sera… ti aspettavo… ti ho aspettato tanto…”. La voce s’incrinava, nel ricordare quei momenti.

Anche lui ricordò: la locanda, il pensiero che sarebbe venuta, il camino che aveva acceso.

“E poi cos’è successo? Chi ti ha ingannato? Cosa…”

“Mio padre, André. Mio padre e la sua amante. Madame de Surgis, io non lo sapevo. Ci hanno scoperto, ti hanno teso un agguato e mi hanno fatto credere che mi avessi mentito, che ti fossi preso gioco di me… E io l’ho creduto… l’ho creduto per tanto tempo… Credevo mi avessi abbandonato, André”.

Scosse il capo, uno stupore sollecito.

“Oscar… ma come hai potuto crederlo, dopo tutto quello che c’era stato tra noi… dopo tutti i progetti che avevamo fatto… Come hai potuto credermi capace di lasciarti così, all’improvviso, senza una parola?”

“Hai ragione, non dovevo crederci, ma ero sconvolta, ferita… tu non arrivavi… e quella lettera… André, io l’ho creduto a lungo, ho pensato a lungo che mi avessi lasciato, che te ne fossi andato abbandonandomi qui. Sono stata tanto male, André, perché non capivo, m’interrogavo su te, su noi, pensavo di aver sbagliato tutto… E forse ancora non avrei capito, André, e starei ancora in quella casa a soffrire e a chiedermelo, se Fersen non mi avesse aiutato…”

“Fersen!”

Quel nome, solo quel nome, ebbe il potere di fargli montare una rabbia sorda nel cuore. “Fersen, certo – disse con voce bassa e sconvolta -. A me non hai potuto credere, ma al conte di Fersen sì…”

Gli rivenne in mente all’improvviso l’immagine di lei tra le braccia di quell’uomo, dietro quella finestra, il bacio che si davano, la sorpresa e il dolore atroce che aveva provato nel vederli. E tutto quello che era successo prima, prima che stessero insieme, quando Oscar ne era innamorata e per tanti anni non aveva nemmeno capito cosa lui provava; quando Oscar si ubriacava da sola, e lui la poteva solo guardare, aiutare come un amico morendo dentro perché l’amava; quando Oscar non era ancora sua, anche se già la teneva tra le braccia, la baciava, e il conte di Fersen veniva a palazzo Jarjayes e gli lanciava frecciate maligne per ferirlo, sfruttando il vantaggio della sua nobiltà… perché aveva capito che lui l’amava, Oscar, e aveva deciso di portargliela via, c’era quasi riuscito… c’era riuscito… c’era riuscito adesso…

La guardò e c’erano ira e dolore nei suoi occhi, come se quel momento dolce, intimo, in cui l’aveva ritrovata e riconosciuta e si era sentito di nuovo quello di allora, fosse volato via all’improvviso.

Oscar lo comprese.

“No, no… aspetta, André, cosa pensi… Il conte di Fersen mi è stato vicino… aspetta...”

“Oh, non ho dubbi che ti sia stato vicino… vicinissimo, Oscar!”

Si era voltato e c’era un tono sdegnato nella sua voce: “Ha trovato il modo di consolarti della mia scomparsa, e c’è riuscito alla perfezione, in un batter d’occhio! È meraviglioso, Oscar, mi congratulo con te… maledetto idiota che sono…”

“No, ma cosa vuoi dire, André… cosa pensi… ti prego… Hans ci ha aiutato”

Si voltò, allora, quasi offeso per quella frase. Le rivolse uno sguardo carico di rimprovero. “Ah, Hans ci ha aiutato, che gentile… Dovrei anche essergli grato, allora”. Stava perdendo il controllo.

“André!”

“Smettila, Oscar, smettila… ogni parola che dici peggiora le cose…”

“André, ma cosa…”

“Basta! Io ti ho visto, Oscar. Hai capito? Io ti ho visto, ti ho visto…”

Lo fissò attonita: “Hai visto… Cosa hai visto, André…”

Le si avvicinò piano, allora, finché fu in piedi di fronte a lei. Le rispose a voce bassissima, tesa, senza toccarla, trapassandola con lo sguardo: “Ti ho visto tra le sue braccia. Ti ho visto baciarlo. Ero dietro la finestra della tua stanza… non hai idea di quello che avevo fatto, dei rischi per riuscire a venire da te, a parlarti, per capire… ma lasciamo stare… ero venuto fino a casa tua di nascosto, per trovarti, per spiegarti cosa mi era successo… E ti ho visto baciarlo davanti al camino, Oscar, nel salottino della tua camera… proprio come baciavi me”.

“Oh, no, André…”

Le erano scivolate le braccia lungo i fianchi e aveva lasciato andare il capo all’indietro. Si era seduta di nuovo sul divano, le mani nei capelli, disperata: “Dio mio, no, no…”

La raggiunse la sua voce fredda. “Come vedi lo so già, Oscar, non me lo devi spiegare. Ma quello che mi fa più male adesso è scoprire che me lo avresti nascosto. Questo forse è anche peggio di sapere che siete… Dio, non riesco nemmeno a dirlo, Oscar…”.

Alzò il viso stupita e vide che aveva le lacrime agli occhi. Lo vide dirigersi verso la porta, mettere la mano sulla maniglia per andarsene.

“André! André, cosa fai… dove vuoi andare?”

“Che senso ha parlare ancora dopo questo?”, le rispose piano, senza voltarsi. “Tu non sai come mi sento, Oscar. Io ho conosciuto delle donne, in questi mesi, e ti avevo visto tradirmi. Ma non ci sono riuscito, non ci sono riuscito lo stesso ad andare con loro. Non ho potuto. Tu invece… tu l’hai fatto. Come sei riuscita a farlo? Come?”

Non continuò. “Lasciamo stare”, disse. Piegò la maniglia.

Aveva aperto la porta, era già fuori.

 

“ANDRÉ! FERMATI!”

 

“FERMATI. NON USCIRE DA QUESTA STANZA”.

 

A farlo arrestare non fu quello che disse, ma il tono determinato e forte che sentì vibrare nella sua voce turbata. Lei si era alzata e gli era andata incontro, lo aveva raggiunto alla porta e l’aveva chiusa. “Fermati – gli ripeté -. Devi fermarti e ascoltarmi, ascoltare tutto”. La vide sostenere il suo sguardo senza cercare di evitarlo, e parlare con una sicurezza che lo colpì. “Poi te ne andrai, se vuoi – gli disse -, puoi anche non perdonarmi, odiarmi. Lo accetterò. Ma prima devi sapere tutto. Ogni cosa, da me”.

Lo fece sedere su una sedia, gli rimase davanti in piedi. Per un attimo le sue mani si tormentarono una nell’altra, ma si dominò.

 

“Bene, André. Hai visto. Non intendo negarlo, è vero. Mi addolora che tu abbia visto, ma in parte ne sono sollevata, perché non sopportavo di vivere con questo peso, con questo segreto”.

La fissò in silenzio. L’ammissione di lei gli aveva fatto male, un male profondo. Eppure in ciò che diceva e nel modo era così onesta che ne provò un contraddittorio rispetto.

Oscar si scostò di poco, facendo un passo indietro, si appoggiò alla scrivania e continuò a parlare rivolta verso di lui, guardando a terra, le braccia incrociate sul petto.

“C’è stato un bacio, e, quel che è peggio, l’iniziativa è stata mia. Fersen era venuto a trovarmi amichevolmente ed è stato coinvolto dalla mia disperazione. Soffrivo, credevo che mi avessi lasciato, Avevo bevuto, ma non voglio usarla come scusa. Non so cosa mi sia preso, so solo che non è stato certo per amore: forse cercavo conforto, o volevo distruggermi del tutto”.

André si portò una mano alla fronte, lo sguardo sul pavimento.

“C’è stato un bacio, ma soltanto quello, André. Fersen non è, e non è mai stato, il mio amante. Si è tirato indietro perché ha visto che ero disperata. E anch’io mi sono resa conto subito dell’errore che avevo fatto. Non ero in me. Non provavo niente per lui, né lo provo ora. Me ne sono pentita immediatamente, e ancora adesso ne provo rimorso. Però è stato in seguito a questo momento di debolezza che sono riuscita a capire tutto. Gli ho raccontato cos’era successo, mi ha ascoltato come un amico, davvero come un amico. A lungo. Gli ho detto tutto di noi e mi ha aiutato a scoprire la verità. Ci hanno ingannato in un modo atroce, André”.

Alzò lo sguardo di nuovo, a sostenere quello di lui.

“È accaduto una volta sola, poi mai più. E’ andato via e non l’ho più visto per molto tempo. Non lo vedo quasi mai, neanche adesso, anche se lo considero un buon amico, il migliore e il più leale che abbia mai avuto. Non è vero quello che hai pensato: non c’è stato niente tra noi. Nient’altro oltre a ciò che ho detto. Io non ti ho mai dimenticato, non era possibile che ti dimenticassi, e se guardi nel tuo cuore dovresti rendertene conto, se ti ricordi ancora di noi due. Non avrei mai potuto prendermi un uomo che cancellasse ciò che provavo per te, ciò che non ho mai smesso di provare”.

Si fermò un istante, commossa e stanca.

“Io vivo sola in una casa di Parigi, André: ho lasciato la mia casa, mio padre, la corte, dopo che ho scoperto ogni cosa. È per questo che sono qui, alla Guardia cittadina. Ho lasciato tutto, tutto quello che ti ha portato via a me. Sei libero di odiarmi lo stesso, se vuoi, ma devi credermi perché questa è la verità”.

 

Tacque, e André rimase a lungo in silenzio.

Le credeva.

Le credeva, sì, non poteva non crederle. Quella era la Oscar che conosceva, e non ebbe dubbi che dicesse la verità, fin dalla prima parola.

Sospirò senza rumore: soffriva. Ma lei gli aveva detto che non amava Fersen, che Fersen non aveva preso il suo posto. Gli stava dicendo che c’era ancora lui nel suo cuore, che c’era sempre stato.

Sollevò il viso, serio. “Ti credo, Oscar”.

 

Allora fu lei a sospirare, e dovette lottare molto per trattenere l’emozione. Era passato tanto tempo, da quando erano vicini. Adesso erano lì, uno di fronte all’altra, e il dolore aveva tracciato una distanza tra loro. Altri avevano scavato un abisso di solitudine in mezzo al cammino che stavano percorrendo insieme. Non era stata colpa loro, o non solo colpa loro… ma non era facile ritrovare i passi perduti, adesso. Ne era consapevole. Cancellare in un momento solo tutto quello che aveva lacerato i loro cuori, tutto quel dolore.

Lo fissò, seria e triste, senza avvicinarsi. “Grazie”, mormorò.

 

“Oscar… Spiegami tutto con calma, Oscar. Dimmi cosa ha fatto tuo padre, dimmi della sua amante. Parlavi di una lettera. Che lettera, Oscar? Devo sapere tutto, ti prego, io non so niente, niente…”

 

Allora lei si diresse verso la scrivania e da un cassetto estrasse un plico. Un foglio di carta ripiegato che guardò non riuscendo a reprimere un’espressione di fastidio e dolore. Glielo porse.

“Ecco, André, questa è la lettera che mi passarono sotto la porta della locanda, il giorno che ti aspettai invano”.

Lui la prese dalla sua mano e l’aprì, trasalendo nel rendersi conto di cosa fosse.

“È la mia scrittura…”, mormorò.

Oscar chinò il capo addolorata: “Sì, l’ho creduto anch’io”.

 

Quei pochi minuti trascorsero in un silenzio irreale. André leggeva stringendo quella lettera in mano, senza alzare gli occhi dal foglio. Lesse più di una volta, tornando indietro su alcune righe, alcuni passaggi, come se non potesse crederci.

Infine volse il viso a lei, sgomento.

Indignato.

“Chi è stato a fare questo…”

“Mio padre, André”.

Si fissarono alcuni istanti, senza poter parlare.

Poi fu Oscar a spiegare, a raccontare tutto, e quel ricordo aveva una voce dolorosa, triste: “Mio padre ha scoperto cosa c’era tra noi. Ha trovato l’ultima delle tue lettere nella tasca della mia uniforme… no, non l’avevo strappata… è stata l’unica che non ho strappato”.

Guardò lontano, fuori dalla finestra, mentre proseguiva.

“Mio padre aveva un’amante, madame de Surgis, ed è stata lei a convincerlo ad agire così. Lui voleva ucciderci. Invece hanno organizzato insieme questo ignobile intrigo, facendomi credere con questa lettera che tu mi avessi lasciato. E io l’ho creduto”.

“Oscar…”

“Lo so, non avrei dovuto crederci. Non ho avuto fiducia in te, in noi… Dio, André, sapessi quanto mi vergogno per questo, quanto mi sono rimproverata…”

“Oscar, io ti amavo… non avrei mai potuto abbandonarti… e con una lettera… e scriverti delle cose indegne come queste… Dio, Oscar, per quanto tempo hai creduto che io fossi così spregevole? Per quanto tempo mi hai disprezzato, mi hai odiato…”

La vide portarsi le mani al viso, coprirsi gli occhi. Udì la sua voce rispondere in un singhiozzo: “No, non ti ho mai odiato, André… mai…”

“Mi hanno aggredito, Oscar. Io ero lì, a Parigi, quel giorno. Ti aspettavo. Mi hanno teso un agguato due uomini, in un vicolo… mi hanno sparato… Oscar… niente, ti giuro, niente mi avrebbe potuto tener lontano da te oltre a questo”.

“Lo so, lo so André… non devi dirlo… lo so… adesso lo so…”

“È per questo che sei tornata a palazzo Jarjayes? Che hai continuato a vivere come prima?”

“Sì… sì. Io non sapevo dove altro andare… non sapevo cosa fare, senza di te. Tu eri scomparso, e in quella lettera c’erano cose che solo tu conoscevi, e io non potevo immaginare, non potevo…”

La sua voce fu interrotta dal pianto.

Allora lui si alzò, le prese le mani: “No, non piangere, non piangere più, ti prego”. Le asciugò una lacrima: “Poi cos’è successo, Oscar?”

Attese, perché lei non fu subito in grado di continuare.

“Io non riuscivo a farmene una ragione… non ci riuscivo, André. Bevevo da sola, non parlavo con nessuno… passavo i giorni, le settimane a ricordare, a chiedermi come fosse potuto accadere… Oh, André, non so come spiegarlo…”

“Non devi. È la stessa cosa che ho fatto io”.

“E sarei andata avanti per tanto tempo, chissà per quanto… io non avevo più la forza di credere a nulla…”

Sfilò delicatamente le mani dalle sue. Si voltò, come per pudore. “Poi una sera, quella sera, è venuto a trovarmi Fersen”.

André sospirò, chiuse gli occhi mentre l’ascoltava, dietro di lei.

“Fersen aveva capito che era successo qualcosa di grave – la udì dire con voce sommessa -, perché era stato lui a trovarmi, quel giorno della lettera. Mi aveva trovato in una strada di Parigi, sconvolta, a terra. Mi aveva raccolto e aiutato. Io non ero in me, non lo sono stata per tanti giorni…”

“E poi…”

“Mi aveva ospitato, fino alla mia decisione di tornare a casa. Ma non gli avevo spiegato, non potevo… forse aveva intuito qualcosa… Ma non mi chiese nulla”.

“Fino a quella sera”.

“Fino a quella sera, sì”. Oscar chinò il capo, continuando a parlare, di spalle. “Ero disperata, André. Più il tempo passava e meno riuscivo a trovare conforto, spiegazioni. Non riuscivo ad accettare che mi avessi lasciato, a farmene una ragione. Credo di aver toccato il fondo, quella sera. Mi stavo ubriacando, davanti a lui. Che era molto in imbarazzo, ma io non smettevo di bere. Poi…”

“No, Oscar, basta. Basta così. Non dirmelo. Non voglio sentirlo”.

Lei fece una pausa, scosse il capo. “André… oh, perdonami, André… se potessi cancellare tutto io lo farei… ma non posso, non posso… Ero fuori di me, non so cosa cercavo, cosa volevo…”

“Basta Oscar, per favore…”, mormorò con un sospiro trattenuto, sofferto.

“Sì… sì, André, va bene…”. Si asciugò gli occhi con una mano, si riprese. “Ma è stato allora, proprio quella sera che ho capito tutto. Abbiamo parlato a lungo, voleva aiutarmi davvero. E lo ha fatto. Se non fosse stato per le cose che abbiamo scoperto insieme, riflettendo su ciò che era accaduto, io non avrei mai capito. Ero troppo sconvolta, troppo sola… Dio, André, sapessi quanto male fa la solitudine, sapessi cosa vuol dire…”

“Lo so. So esattamente cosa vuol dire, Oscar”.

“Ma da allora è tutto cambiato, tutto”. Si girò verso di lui, e aveva una nuova luce nello sguardo. “Ho scoperto ogni cosa, ho fatto confessare quella donna ignobile e il suo segretario, ho affrontato mio padre…”

“Tuo padre…”

“Sì, mio  padre. Ma non è più mio padre, André. Non lo è più da allora, non ho più paura di lui. Ho abbandonato quella vita, la mia casa, ho abbandonato tutto, non voglio vederli più. Ho chiesto un nuovo incarico, lontano da quel mondo odioso che ci ha fatto questo. Non voglio più tornarci. Mi hanno mandato qui”.

“E adesso…”

“Adesso sono qui, ho preso una casa a Parigi. Ho fatto anche un viaggio, in queste settimane: sono stata in Bretagna… ho visto quei posti, ho conosciuto tuo cugino Philippe… Ho pensato a te, sempre a te… Oh, André, io credevo che fossi morto, ed ero morta anch’io… Credevo di non rivederti mai più… e invece sei qui… sei qui…”

Le rivolse uno sguardo dolce, triste. “Sì, sono qui. È incredibile, ma sono qui, Oscar”.

“Ma tu… cosa è accaduto…”

“Il soldato che è entrato prima con me. Si chiama Alain. Mi ha salvato la vita quella sera. Mi ha trovato e ha impedito a quei due di uccidermi del tutto. Mi ha portato a casa sua e mi ha nascosto per molto tempo. Mi ha curato. Poi mi ha proposto di arruolarmi, e ho accettato. Anch’io non sapevo cosa fare”.

“Oh, André, André…”.

Era vicinissima, adesso, poteva sentirne il respiro, leggere nei suoi occhi. Rimase muto a contemplarli, senza dire nulla. Poi gli sfuggì il suo nome in un sussurro: “Oscar…”, e sentì il cuore battere, e che non poteva impedirgli di battere così, mentre la guardava, ne avvertiva il profumo. Aprì le braccia quasi all’improvviso, la tirò a sé come se volesse rapirla, non potesse evitarlo, non potesse più. L’avvolse, la strinse forte contro il suo corpo, le mani premute sulla sua vita, sulle sue spalle, mentre tremava, il viso accostato al suo, le labbra a sfiorare il suo orecchio, tra i suoi capelli. Chiuse gli occhi senza riaprirli e, avvertendo una lacrima uscire, scendere lungo il viso, pensò che davvero poteva morire, adesso, e non sarebbe importato.

 

 

***

 

 

Stava arrivando la primavera. L’aria della città era mite, e senza uniforme la sentiva di più tra i panni leggeri che aveva indossato per uscire. Era solo, quel giorno il comandante non c’era. Chissà dov’era. Nella sua casa, certo, dove stava sempre quando non era in servizio, al corpo di guardia.

Il comandante. André sorrise, per averla chiamata così nel pensiero. Il comandante che era stata la sua donna per tanto tempo. Che era stata la sua amica, il suo amore, la cui lontananza lo aveva quasi ucciso, distrutto.

Ora era uscito senza di lei, e la pensava.

Scosse la testa. Non avrebbe mai smesso di pensarla, e l’amava ancora.

Rivide davanti agli occhi la faccia di Alain, che non riusciva a capire. “Ma perché?”, gli aveva chiesto. “Ora che vi siete spiegati, che siete di nuovo insieme…”

Non era riuscito a dare una risposta, forse era presto per farlo. Due settimane. In fondo erano solo giorni, una manciata di giorni da quando l’aveva rivista.

No, non era in grado di spiegarlo, e nemmeno Oscar. Era semplicemente quello che diceva il cuore. Un istante, un giorno per volta, poco a poco. Forse per ritrovarsi davvero. Forse solo così potevano riuscirci.

Sedette su un muretto, a guardare la Senna che scorreva, a sentire la carezza dell’aria tra i capelli. Li aveva tagliati entrando nella Guardia cittadina. Oscar aveva detto che gli stavano bene.

Poco a poco. C’era stato troppo dolore, troppo odio. Che era stato provocato da altri, ma che anche loro avevano alimentato. Senza fiducia, senza speranza, per troppo tempo.

L’aveva abbracciata, tenuta stretta a sé, nel suo ufficio. E lei si era abbandonata a quell’abbraccio, aveva pianto.

Ma non avevano avuto il coraggio, nessuno dei due.

Non ancora. Come se ci fosse un tempo da far passare, una giusta distanza da ritrovare.

No, non si poteva spiegare. Non era possibile far intendere ad altri quella struggente malinconia, quel desiderio di averla accanto, la gioia serena di starle al fianco, come allora.

Ieri erano usciti insieme, di pomeriggio. Erano andati fuori città, si erano seduti sotto un albero, in cima a una collina. Erano rimasti in silenzio per tutto il tempo. Lui le aveva preso la mano, passando le dita sotto le sue, e l’aveva vista chiudere gli occhi.

“Vorrei fare l’amore con te”, le aveva detto, ma non si era mosso. Era rimasto a fissare le ciocche dei suoi capelli scompigliati dal vento, e il colore rosa delle sue guance, la sua emozione.

“Anch’io”, l’aveva sentita dire, e anche lei era rimasta ferma, lasciando la mano nella sua.

Le stava accanto, senza parlare. I soldati cominciavano ad accettarla, anche se non era stato facile, da quando avevano scoperto che era una donna. Non era un mistero, del resto, che lo fosse. Ma solo Alain sapeva tutta la verità.

Però Oscar era straordinaria, e sapeva farsi rispettare.

L’amava ancora.

Proprio come sempre.

 

Si guardò intorno, e gli occhi indugiarono sul selciato sconnesso.

Erano tempi difficili, quelli.

La fame, la miseria. I comizi nelle piazze, e loro che dovevano mantenere l’ordine.

Quale ordine, poi?

Quello che li aveva voluti separati, infelici?

Molto spesso si fermava ad ascoltarli, quei discorsi tenuti da oratori improvvisati, e non ci trovava niente di sbagliato.

 

Si alzò, riprese a camminare lungo il fiume. Il sole del tardo pomeriggio si rifletteva sui panni stesi alle finestre delle case. Allungò una moneta a un mendicante con un flauto consunto nelle mani. Suona per me, disse sospirando mentre andava via. La melodia lamentosa e dolce gli carezzò il cuore, lo inseguì mansueta, dietro le spalle, fino a che svoltò l’angolo.

 

Oscar… Voglio fare l’amore con te, Oscar.

Ora vengo a casa tua e faremo l’amore.

Mi farai entrare, Oscar?

Potrai amarmi ancora come prima, anche se ho dubitato di te?

 

Pensò che lui non la meritava, perché aveva potuto odiarla per tanto tempo. Perché si era abbandonato al dolore, alla disperazione. Alla gelosia.

Perché aveva pensato a sé, a sé soltanto, e non aveva mai guardato al dolore di lei, non aveva cercato di capirlo.

“L’ho fatto anch’io, André – gli aveva detto pochi giorni prima -. Anch’io, quando ho creduto che mi avessi lasciato”.

 

Era questo il nostro grande amore, Oscar?

 

Sospirò ancora, le mani in tasca.

 

Ci siamo fatti annientare dagli eventi, tutti e due. È stata anche colpa nostra.

È stata colpa mia.

Ma io ti amo lo stesso, nonostante ciò che ho fatto. Ciò che ti ho fatto.

Ti amo tanto.

Anche tu mi ami?

No, non promettere. Non giurare che non dubiterai più di me, non importa. Io ti amerò anche se non giuri, ti amerò anche se dubiterai ancora.

 

Voglio fare l’amore con te perché vorrei consolarti di questo male, e vorrei che tu mi consolassi, tenendomi stretto.

 

 

***

 

 

“Gli uomini sono nati tutti uguali. Nessuna legge può stabilire che non abbiano gli stessi diritti!”

 

Applaudono, gridano.

Saranno venti, trenta persone.

Sì, ha ragione. Ha ragione lui.

 

Non sono in divisa, per fortuna. Posso ascoltarlo senza che mi notino, senza che qualcuno mi ordini di disperdere l’assembramento.

 

Parla bene, quell’uomo.

Parla molto, il gruppo di chi lo ascolta aumenta sempre di più. Saranno dieci minuti che lo ascolto, ed è una piccola folla, ormai.

 

Mi guardo intorno. È pericoloso, meglio se smetti, adesso.

C’è troppa gente, e tu parli troppo.

 

Meglio andare, manderanno i soldati, adesso.

E se invece restassi a difenderti, a farmi disperdere anch’io, insieme ai sovversivi?

 

OSCAR…

 

“Oscar, che fai! Che cosa fai qui!”

 

L’aveva vista all’improvviso, in mezzo a quella folla. In abiti civili anche lei.

Oscar, che fai, partecipi alle adunanze dei ribelli?

“Oscar…”

“André!”

 I tuoi occhi spaventati, felici.

“Oscar, dobbiamo andare via, è pericoloso qui”.

 

Eccoli, i soldati. Lo sapevo, maledizione.

 

“FERMATEVI! È TUTTO SOTTO CONTROLLO!”

 

“No, fermati, Oscar! Quelli non sono i tuoi soldati, non puoi fermarli!”

 

Ti sei messa in mezzo alla strada con le braccia aperte. Gridi.

 

“Vieni via! È pericoloso!”

“André!”

 

Non ti faccio parlare, non ti ascolto. Tu non puoi fermarli, Oscar, dobbiamo scappare come gli altri. Sparano sulla gente, e spareranno anche a noi. Non sei nemmeno in uniforme, Oscar.

 

“André…”

“No, Oscar, no…”

 

Ti porto via con la forza, anche se ti ribelli. Vorresti fermarli, ma non puoi fermarli, amore. Nel portone  di quella casa, sì. Entriamo, presto. Non parlare, Oscar, non gridare, zitta…

Chiudo la porta appena in tempo. I soldati passano al galoppo. Urla, spari.

È buio. Ti tengo ferma, immobile, contro il muro. Ti metto una mano sulla bocca e ti supplico di tacere. Gli occhi si abituano al buio, c’è una luce che filtra tenue dalle fessure. Vedo i tuoi occhi aperti, sento le tue labbra sul palmo. Si muovono.

“André, io potevo fermarli…”

“No, non potevi. Potevi solo farti uccidere…”

“André…”

“No, ti prego… ti prego… zitta…”

“André…”

“Zitta… io non ti farò uccidere… non ti perderò ancora…”

“An…”

“Zitta, amore… zitta…”

 

Un bacio. Ti sto baciando, amore. Finalmente. Fuori sparano, gridano, e io ti bacio, ti bacio… Le mie labbra premono sulle tue. “Ti prego - mormoro -, non cacciarmi adesso…”

“Ti amo… ti amo, Oscar”.

Ti amo, ti sto stringendo dentro questo buio. Ti amo, sussurro e gemo mentre ti bacio. Quante volte te lo sto dicendo che ti amo. Baciami, baciami amore, baciami anche tu…

“Perdonami, perdonami amore, io ti amo, ti amo…”

E non so se ti sto chiedendo di perdonarmi perché ti ho portato qui, perché ti ho costretto a fuggire, oppure per tutto quello che ti ho fatto prima di portarti qui, per tutto il dolore, per tutto quello che hai provato per causa mia, e perché nonostante questo ti voglio ancora, e ti farò soffrire ancora, forse, solo con l’amarti, perché sono un uomo, ed ho sbagliato e sbaglio… ma non voglio perderti, non voglio perderti, non voglio perderti…

“Non voglio perderti… ti amo… perdonami amore… perdonami…”

Sì, ora sono pazzo, sono pazzo e non me ne importa. Oscar, io ti amo, e anche tu mi ami, e ti amerò anche in questo mondo che uccide, che ci fa del male, mentre fuori gridano e non c’è la luna e la pace della sera ma odore di polvere da sparo, scalpitio di cavalli, pianti di donne, rumore di lame affondate dentro sacchi di paglia, dentro corpi… e io ti amo, perdonami, amore, perdonami e baciami ti prego amore, perdonami e baciami anche tu, e dimmi che anche tu mi ami perché se mi ami possiamo vivere, amore, anche in questo mondo atroce che ci fa del male, anche col male che ci siamo fatti noi… ti prego non resistere… piangi se vuoi ma non resistere e baciami anche tu, lascia che ti stringa contro di me, che senta ancora il tuo corpo, le tue mani, perdonami amore, perdonami, io…

“Ti amo, Oscar. Ti prego, amami, amami anche tu, ti prego…”

“André… oh, André… ti amo, ti amo, sì…”

 

Le labbra di lei finalmente si schiusero, accogliendo le sue, e gli avvolse le braccia intorno al collo e si fece baciare, abbandonando il capo sotto la pressione della sua bocca, gemendo, lasciandosi spingere dal suo corpo contro quel muro, dentro il buio, ricambiando quei baci con passione, la stessa passione, quella di lui in quel momento, quella di tanto tempo prima, quella di sempre, e quell’amore nuovo che non avevano mai provato. Piansero mentre si baciavano senza smettere mai, in mezzo a quel buio, con quelle grida negli occhi, con quegli spari nel cuore.

 

 

***

 

 

Poi fu sera.

“Andiamo”, gli aveva detto. Soltanto quello.

E lo aveva portato nella sua casa.

Non era mai stato nella sua casa.

Stava gemendo in silenzio, adesso, mentre la sfiorava con le labbra. Aveva iniziato a percorrere la sua pelle spogliandola lentamente, era steso sul suo letto, con lei.

“Oscar, amore…”

Lei gli aveva portato un dito alla bocca, perché non parlasse, e poi lo aveva zittito con un bacio dolcissimo. Aveva aderito al suo corpo, e con un gesto antico gli aveva sfilato la camicia dalle spalle. Allora aveva fatto altrettanto, anche lui, con un sospiro emozionato e teso, e aveva svelato la morbidezza del suo petto. Era rimasto immobile alcuni istanti, a guardarla, perché quasi non ricordava più. Si era chinato sul suo corpo. Ora le baciava piano i seni, e aveva chiuso gli occhi.

“Ti amo…”, mormorò sollevandosi a guardare il suo viso, i suoi occhi illuminati dalla notte.

Glielo disse come se lo dicesse per la prima volta. Lei capì.

In quella casa non dovevano nascondersi, non c’era nessuno che potesse entrare, scoprirli, trovare qualcosa da dire.

“Non ci nasconderemo più, André. Mai più, te lo giuro”.

Questo gli aveva sussurrato stendendosi sul letto, attirandolo a sé, e aveva gemiti abbandonati e dolcissimi, adesso, mentre si offriva alle sue carezze.

Lo sfiorava con gesti lievi, spogliandolo, ed era come se potesse avvertirne il sorriso nella penombra.

La pelle nuda tra le lenzuola, con lei.

Ebbe un respiro d’emozione e d’affanno, e chiuse gli occhi baciandola ancora, con tutto se stesso, a lungo.

A lungo, le mani nelle mani, le dita intrecciate alle dita, le braccia aperte sulle sue braccia, aperte.

Non poteva aspettare.

“Oscar, non posso aspettare…”

Lei gli si offrì appassionata, allora, e inarcò il corpo continuando a tenere strette le sue mani. E mentre rispondeva al suo bacio era già dentro lei.

Quante cose avevano imparato, insieme, facendo l’amore. Eppure adesso voleva solo stare dentro lei, nient’altro. Dolcemente. E restare dentro lei, muoversi appena dentro lei ascoltando il ritmo che gli dava il suo corpo.

Restare in lei. A lungo, il più a lungo possibile. Restare dentro lei per sempre. Era l’unica cosa che voleva.

“Sì… - la sentiva gemere pianissimo -, sì…”. E si accorse che quella lentezza, la dolcezza di quel trasporto silenzioso e intenso le faceva perdere la ragione, la faceva piangere. Anche lei voleva questo, soltanto questo, anche lei.

“André…”

“Dimmi che mi ami, Oscar, dimmelo…”

“Oh… ti amo… ti amo… André… sì… oh, sì… sì…”

E mentre la sentiva gemere, mentre ricordava e capiva e sentiva il suo piacere, chiuse gli occhi in un sospiro più intenso, baciò le sue ciglia chiuse con le labbra, si abbandonò al suo abbraccio dimenticando tutto il resto del mondo, perché al mondo non esisteva nient’altro oltre al suo abbraccio, oltre al suo amore, a lei.

 

 

Continua...

mail to: imperia4@virgilio.it

 

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