Nelle mani

parte XVI

 

Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

 

“Dimmi che mi vuoi, ti prego, Oscar”.

Le sue labbra erano tenere e appassionate, mentre glielo mormorava. E la stringeva tra le braccia, aderendo al suo corpo, in quei baci. L’accarezzava con le mani e le sfilava i vestiti. Era lui, era la sua pelle quella che la sfiorava.

Gli diceva sì senza parlare, solo con lo sguardo.

 

Stava sognando, ne era consapevole. Ed era triste finanche nel sogno. Era il prezzo che pagava per aver scoperto la verità, si disse con gli occhi ancora chiusi nella penombra. Un prezzo che, pure, pagò con gratitudine strana e sensata, perché prima non lo sognava affatto.

Lasciò passare tanto tempo prima di ammettere che si era svegliata. Il letto era caldo e, per la prima volta dopo tanto tempo, aveva dormito bene. Anche se il dolore non se n’era andato.

Si girò tra le lenzuola, affondando il viso nel cuscino: quell’appartamento di Versailles non l’aveva mai usato, nonostante fosse molto confortevole e situato nell’ala più prestigiosa della reggia. Aveva anche fatto sapere a Sua Maestà che non le serviva, molto tempo prima, quando le era stato messo a disposizione, ma Maria Antonietta aveva insistito perché rimanesse suo, e aveva avuto ragione.

Erano due giorni che stava lì, ma quel mattino se ne sarebbe andata.

Il tempo di sistemare le sue cose.

 

Ci aveva passato la prima notte che aveva lasciato palazzo Jarjayes, dopo il colloquio col generale, e quando era arrivata in quelle stanze aveva gettato la servitù nello scompiglio, perché era la prima volta che si fermava. Dopo ciò che aveva fatto al mattino, oltretutto, non c’era una sola persona in tutta la reggia che non la guardasse con meraviglia e attenzione, dalle duchesse ai valletti.

Lei si era ritirata subito e aveva congedato il personale appena le avevano  preparato la camera.

 

Si alzò a sedere sul letto in silenzio e poi scese posando sulle spalle la vestaglia che era su una poltrona. Scostò la tenda della grande vetrata e guardò fuori: c’era il sole.

Aveva chiesto udienza alla regina, il giorno prima, di mattina. E Maria Antonietta l’aveva ricevuta immediatamente. Lo faceva sempre, con lei, ma quel giorno era stata ancora più sollecita. Perché aveva saputo, perché voleva sapere. E aveva sempre apprezzato, di Oscar, la linearità di comportamento, il fatto che preferisse chiarire le questioni di persona piuttosto che dare spazio alle infinite chiacchiere che nascevano sul suo conto.

 

Era abituata all’affetto che la sovrana le mostrava, eppure il modo con cui ne era stata accolta quel giorno l’aveva commossa: Sua Maestà le era andata incontro e l’aveva indotta ad alzarsi dall’inchino con cui l’aveva salutata, prendendole le mani.

Era meno alta di lei, e l’aveva guardata con dolcezza di sotto in su, come un’amica. Le aveva rivolto un sorriso preoccupato: “Cosa vi hanno fatto, Oscar?”, le aveva chiesto.

Erano sole, e di fronte a quell’affetto mostrato così limpidamente, di fronte all’assoluta certezza che la regina manifestava che non potesse essere attribuito a sua colpa l’episodio con madame de Surgis, di fronte all’emozione dolorosa che le era vibrata dentro a quelle parole, cosa vi hanno fatto, lei non aveva saputo trattenere le lacrime, e aveva chinato il viso.

Maria Antonietta allora aveva asciugato quel pianto delicatamente col suo fazzoletto di cotone morbido e profumato. Poi l’aveva abbracciata, mentre Oscar, stupita nonostante la commozione, era rimasta un po’ rigida in quella stretta affettuosa, senza sapere che fare.

 

“Sono riusciti a far del male anche a voi”, aveva mormorato la sovrana poi, in una mesta constatazione, tenendole le mani e rimanendole di fronte.

Oscar allora aveva ceduto, e con gli occhi bassi aveva lasciato andare un sospiro silenzioso e amaro, velato appena da un sorriso: “Non è certo una novità”, aveva risposto con una tristezza semplice che aveva scosso la regina.

Infine l’aveva guardata in viso, e lo aveva detto: “Mio padre ha distrutto la mia vita, e io non posso più rimanere qui”.

Maria Antonietta aveva chinato il capo a sua volta, conscia e addolorata, quasi esitasse a chiederlo: “Si tratta di qualcuno cui volevate bene, vero, Oscar?”

“Sì – aveva risposto lei senza reticenze -, qualcuno cui volevo bene”. Tacque un istante, perché non riusciva a proseguire. “Qualcuno che mi è stato portato via”.

 

*

 

Si era lavata e vestita, e aveva suonato il campanello. Seduta al tavolo dell’altra stanza, adesso, sorseggiava il tè che le avevano portato. Vide riflesso sulla superficie fumante il volto di Maria Antonietta: aveva avuto un’espressione di sincero dolore quando l’aveva supplicata di congedarla dal servizio, di assegnarle un altro incarico lontano dalla corte. Un’espressione accorata. Eppure non aveva fatto obiezione alcuna, e aveva acconsentito senza tentare di dissuaderla. “Ricordatevi che vi sarò sempre amica, e che potrete sempre contare su di me”, le aveva detto.

Curioso, le stesse parole di Fersen. Quei due erano fatti per amarsi, pensò: erano uguali.

E provò una fitta di rimorso e vergogna per quanto era accaduto proprio con Hans poche sere prima. Non era in sé, era ubriaca forse, eppure non poteva giustificarsi: aveva tradito il suo amore per André, con quel bacio. E aveva tradito anche la regina, che le era amica.

Non riusciva a perdonare se stessa per ciò che aveva fatto: che razza di persona era diventata, in quelle settimane? Non si riconosceva nemmeno più. Sì, l’avevano ingannata, le avevano fatto male, un male orribile. Ma lei perché aveva perso così facilmente la fede? Perché?

Fersen aveva detto che non doveva accusarsi: incredibile Fersen, aveva capito subito cosa le sarebbe passato per la mente poi. “Non siate troppo severa con voi stessa”, le aveva mormorato.

Ma non riusciva a non sentirsi responsabile. Era stata così debole, così insicura.

Una prova, pensò, è stata una prova. E l’ho persa.

Desiderò poter avere davanti, in quel momento, tutti coloro che aveva offeso cedendo in quel modo allo sconforto, alla voglia di distruggersi, e confessare la verità senza omissioni per liberarsi di quella colpa chiedendo perdono.

Ma capì, nel momento stesso in cui si accorse di desiderarlo, che non era possibile. Forse non era nemmeno giusto. Così ne avrebbero sofferto gli altri, mentre lei alleggeriva la sua coscienza. Forse portare su di sé il peso di quel rimorso era il prezzo che doveva pagare. Forse.

 

Non indossò l’uniforme: era la prima volta, a Versailles. Vestita in abiti civili percorse in silenzio i lunghi corridoi che portavano all’esterno, guardata con dissimulata curiosità dalle poche persone che incrociava. Era presto, e il suo bagaglio era già stato portato fuori. Quando si trovò nel piazzale semideserto su cui quel padiglione si apriva si fermò un lungo minuto e chiuse gli occhi respirando, mentre il sole tiepido le sfiorava il viso. Sentì la mente vuota, e un senso di vertigine. Aveva una meta, quel viaggio, ma ugualmente lei non sapeva dove andare.

 

Non c’era alcun luogo in cui avesse senso andare, da molto tempo. E dopo che aveva lasciato anche la sua casa non esisteva più nemmeno un pretesto per tornare la sera nel posto consueto. Presto avrebbe avuto un nuovo incarico, lontano dalla corte, un incarico di cui neppure riusciva a capire lo scopo, ma che era l’unica cosa che potesse fare, a parte uccidersi.

Quei giorni di attesa erano una specie di limbo deserto, senza rifugi e senza compagni, in cui forse sarebbe sprofondata, lo sapeva.

Ma non voleva nessuno vicino a sé, e non voleva più camminare per quelle strade.

Gli ultimi passi le erano costati troppo, il giorno prima, a Parigi. Aveva cercato di trovare il punto dove avevano assalito André. Come se fosse possibile, e se avesse un’utilità, dopo tutto quel tempo. Ma ci era andata lo stesso, come ci era andata subito dopo la confessione di madame de Surgis. E di nuovo, la notte stessa che aveva lasciato la sua casa, prima di recarsi a Versailles.

Non aveva trovato niente, non era nemmeno sicura che quello fosse il posto giusto. Non c’erano tracce, come potevano essercene? Eppure si era messa in mente che uno in particolare, di quei vicoli che aveva visto, fosse quello in cui André era stato aggredito. Non c’era alcuna certezza che lo fosse, poteva essere tutt’altro posto, ma era ugualmente rimasta a fissare un punto preciso della strada, a lungo, immaginando la scena, senza poter chiudere gli occhi. Tutte le volte.

 

Un’onda di dolore le avvolse il cuore all’improvviso, e mentre la carrozza usciva dai cancelli della reggia le fece piangere il pianto più accorato della sua vita.

Per questo stava andando in Bretagna. Per piangere da sola, cercando ancora André.

 

No, non lui, non lui… Lui non poteva trovarlo in Bretagna. Il ricordo di se stessa con André, il loro amore come avrebbe voluto essere, come sognava di diventare. Come lo immaginavano abbracciati, a letto, parlando di un futuro che non ci sarebbe mai stato. Questo cercava, forse.

Perché non erano fuggiti subito? Perché avevano accettato di soffrire per le imposizioni assurde di quel mondo? Non era quello che aveva fatto adesso, andare via, dicendo addio a tutti? E senza nascondersi affatto? Quale prudenza assurda li aveva fermati, quale ritegno? Quale paura?

Aveva abbandonato suo padre apertamente, adesso. Per sempre. E non gli avrebbe permesso mai più di avvicinarsi a lei. Perché non lo aveva fatto prima, allora? Quando c’era André? Non era abbastanza disperata per capire quanto lo amava?

 

In Bretagna da sola. Cosa avrebbe trovato, in Bretagna, se non una più dura conferma della sua disperazione?

Ma voleva andarci lo stesso. Forse a vedere i luoghi dove avrebbe potuto essere felice, si disse mentre con le ciglia abbassate cercava di immaginarsi con lui, in quei posti che non aveva mai conosciuto. Tenne gli occhi chiusi a lungo, respirando pianissimo. L’addormentò il vibrare disuguale dei sedili, mentre le ruote della carrozza giravano sulla strada terrosa.

 

 

***

 

 

“Sì, questa va bene. La prendo”.

Il proprietario dello stabile si era inchinato con un sorriso ossequioso e compiaciuto, facendo strada per l’uscita. “Non dubitate”, aveva assicurato quando gli aveva detto che doveva essere pronta in pochi giorni, e attrezzata di tutto.

Fersen si sistemò i guanti e si voltò a guardare l’edificio, quando ne fu fuori. Sì, era signorile e più che confacente. Aveva voluto visionarlo di persona, invece che affidare l’incarico a qualcuno, perché era stata Oscar a pregarlo di trovarle una casa a Parigi dove poter alloggiare per qualche tempo.

Lei aveva chiesto una cosa molto sobria, con lo stretto necessario, ma Hans, più che quella raccomandazione, aveva seguito il suo senso del decoro e la stima che nutriva per Oscar. Era un bell’appartamento in un bel palazzo, quello che aveva fermato. Non sfarzoso, perché non le sarebbe stato gradito, ma silenziosamente elegante.

Di servitù l’avrebbe provvisto lui, e su questo non avrebbe sentito ragioni, anche se la sua amica aveva detto di non volerne. Il minimo indispensabile, magari, ma quanto serviva alle sue esigenze.

 

Oscar era stata destinata al comando della Guardia cittadina, anche se non lo sapeva ancora. Era una settimana che era partita, e la regina, accogliendo la sua richiesta, le aveva assegnato quell’incarico. Era l’unico libero, e non era privo di incombenze, ma certo era meno rischioso che mandarla a comandare un esercito, come aveva detto di esser disposta a fare. Fersen lo aveva saputo in via riservata proprio da Maria Antonietta.

Oscar stessa si sarebbe stupita della celerità con cui le cose erano andate avanti: di solito ci volevano mesi per queste assegnazioni. Ma Sua Maestà non aveva perso tempo e l’aveva esaudita subito, anche perché le era parso, valutando le possibilità esistenti, che quel posto vacante fosse una valida occasione per venire incontro ai desideri di Oscar prima che lei decidesse di cambiare idea, e andarsene chissà dove.

 

E non era stato quello l’unico provvedimento preso dalla regina.

Fersen sorrise al pensiero di ciò che era successo solo tre giorni prima, e di cui a corte si parlava ancora. Madame de Surgis era caduta in disgrazia, e aveva perso tutte le sue fortune. Senza nemmeno riceverla in udienza Maria Antonietta le aveva fatto comunicare che lei e i suoi familiari potevano considerarsi decaduti da tutti i benefici di cui godevano per intercessione regale, che al casato erano state revocate le rendite assegnate fin dai tempi di Luigi XIV e che le terre e le proprietà graziosamente accordate ai de Surgis dalla Corona di Francia potevano considerarsi reintegrate nel patrimonio regio.

In pratica significava che la contessa era stata ridotta sul lastrico, dal momento che la fortuna della famiglia era iniziata grazie alla benevolenza dei sovrani, un secolo prima, e le proprietà d’origine del casato, in una lontana località montuosa dell’Alvernia, da tempo non appartenevano più ad esso, essendo state vendute per iniziativa del defunto conte de Surgis, nonno dell’attuale.

Madame de Surgis era svenuta quando un messaggero di Sua Maestà le aveva letto il decreto, e poco dopo era stata rianimata dalle urla del marito, accorso appena informato della cosa e non meno sconvolto di lei. Le voci sull’episodio con Oscar si erano ingigantite e, benché nessuno avesse realmente idea di come stavano le cose, era apparso con cristallina chiarezza a tutta Versailles che le due faccende erano collegate, col corollario evidente che fare un torto a Oscar François de Jarjayes era iniziativa indiscutibilmente deleteria.

Sia la contessa che i suoi parenti avevano chiesto udienza alle Loro Maestà, più volte, quasi elemosinando un incontro, una spiegazione. Ma non c’era stato nulla da fare: la regina era irremovibile e aveva usato tutta la sua influenza col re perché facesse altrettanto. Palazzo Surgis, gli appartamenti di Versailles erano stati sottratti al casato, e Madame era stata quasi cacciata dalla reggia, in lacrime, da valletti compitissimi e ferrei, appena il tempo di fare le valigie.

Del suo segretario particolare non aveva avuto più notizie: dopo averlo fatto cercare, furente e bramosa di vendetta, aveva realizzato che era fuggito portandosi via buona parte del denaro che le era rimasto, e di sicuro non si sarebbe fatto più vedere in quella zona della Francia.

 

Fersen scosse la testa, nella carrozza, e gli sfuggì quasi una risata divertita. Buona parte del merito di tutto ciò era stato suo, perché era stato lui – benché sfumando e senza rivelare a Maria Antonietta i particolari della vicenda, per riguardo a Oscar – a far capire chiaramente alla sovrana che genere di responsabilità avesse madame de Surgis nei confronti della sua amica. La regina era inorridita, e poi era andata su tutte le furie, rifiutando persino gli inviti alla cautela che lui le aveva rivolto, e che di norma ascoltava. Non era un bene per lei che si facesse apertamente tanti nemici tra i nobili. “Non sarà uno in più a fare la differenza, ormai”, gli aveva risposto, prendendo carta e penna.

Anche per il generale Jarjayes c’erano state parole sprezzanti, in quel colloquio. Ma su di lui Sua Maestà aveva deciso di non prendere provvedimenti, al momento. Aveva solo annunciato che gli avrebbe impedito di nuocere ulteriormente a sua figlia. Da giorni, del resto, egli non si faceva vedere a corte, addolorato e chiuso nel suo palazzo. Aveva anche chiesto di essere esentato da alcuni incarichi prestigiosi che aveva molto lottato per ottenere. “La sua punizione l’ha già avuta”, era stato il commento della sovrana.

 

Oscar sarebbe tornata di lì a una settimana, e avrebbe trovato molti cambiamenti.

 

Ripensò a lei, e allo sguardo sofferto con cui, prima di partire per la Bretagna, gli aveva raccontato cosa aveva scoperto su quell’intrigo. Allora quel sorriso che aveva in volto si spense in un sospiro amaro. A cosa sarebbe servito, comunque… La vita di Oscar era stata spezzata, e lei non sarebbe più tornata quella di prima.

 

***

 

 

 

“Oh, vedo che vi siete svegliato, buongiorno…”

La giovane che aveva detto quella frase teneva in mano un vassoio, con un sorriso un po’ ironico. Aveva i capelli neri e non era una cameriera. Le labbra dipinte di rosso si accostarono al suo viso, dopo che ebbe posato la colazione sul comodino, e lo sfiorarono appena sulla guancia, in modo sensuale: “Spero che stamattina vi sentiate meglio”, mormorò.

André portò una mano alla fronte, per riparare gli occhi dalla luce, e faticò a riconoscere quella donna che si era seduta sul letto, accanto a lui. La testa gli doleva, e quella stanza non l’aveva mai vista.

Sentì due mani leggere posarsi sulle sue tempie, e massaggiarlo piano, e non poté fare a meno di lasciare andare un sospiro. Poi ritornò più padrone di sé e le allontanò, con un gesto delicato ma fermo. Il suo sguardo si posò un istante sul pavimento, dove giaceva una bottiglia vuota, da cui si era versata la scolatura in una piccola chiazza di liquore sulle assi di legno. Si guardò addosso: era senza vestiti. Istintivamente gli venne di coprirsi, di fronte a quella donna.

“Premura vana – commentò lei in una breve risata, scostandosi una ciocca di capelli dal viso con un gesto leggero -. Vi ho contemplato a mio piacere per un bel po’, prima di decidermi ad aprire la finestra”.  Gli si avvicinò, scostandogli il lenzuolo dal petto in modo provocante: “Non è il genere di spettacolo che mi scandalizza, vi assicuro – disse in un sussurro -. Anche se, è vero, mi capita di rado di vedere braccia come queste…”. Le sue dita gli si posarono sulla spalla, scivolando fino al gomito in una lenta carezza: “No, non mi capita quasi mai…”

“Vi prego”, disse André prendendola per le spalle e stendendo le braccia per allontanarla da sé. La fissava come per mettere a fuoco i ricordi della notte prima.

La donna sospirò, e piegò il capo da un lato: “Che peccato – gli disse piano –. E’ tutta la notte che penso al momento del vostro risveglio… e sì che vi ho anche portato la colazione… Io non sono tenuta a farlo, sapete? Ma voi mi piacete, mi piacete proprio…”

La frase gli salì alle labbra, ma non la pronunciò. “Che è successo?”, voleva chiedere, ma si ricordò all’improvviso, con chiarezza.

“Non è successo niente – disse allora come parlando a se stesso -, niente…”

“Oh, questo non c’è bisogno che me lo ricordiate – replicò subito lei -. Me lo ricordo benissimo da sola, e credo che me lo ricorderò per un pezzo”. Gli rivolse un sorriso seducente, carezzandogli il petto con una mano. “Sapete? Voi siete il primo che mi resiste. Mi sono detta che forse era perché eravate troppo ubriaco. Così, stamattina… ho voluto vedere se potevamo recuperare…”

Non rispose, scostando di nuovo quella mano. “Ma perché sono… chi mi ha spogliato?”.

“Beh, io, naturalmente. Ma purtroppo dormivate già come un sasso. E non preoccupatevi per la vostra virtù, visto che ci tenete tanto: ho dormito in un’altra stanza”. Gli porse una tazza fumante prendendola dal vassoio: “Bevete, su… questo non è alcolico…”. Sorrise, guardandolo sorseggiare: “E a proposito, spogliandovi ho notato che avete una gran bella cicatrice addosso. Una cosa recente…”

André si fermò, e la fissò serio.

“Scusatemi… vi prego. Non volevo essere indiscreta. In effetti nel mio mestiere si impara presto a non immischiarsi nelle faccende altrui”.

Lui finì di bere, e le porse la tazza. La guardò. Era una delle ragazze della taverna, e se l’era portata in camera la notte prima, dopo essersi adeguatamente imbottito di alcol. Non ricordava bene di chi fosse stata l’iniziativa, in realtà, perché anche lei gli aveva mostrato subito una straordinaria simpatia, e in quella stanza al piano di sopra l’aveva quasi portato di peso, facendosi passare un braccio sulle spalle, mentre lui camminava trascinando il passo. Lo aveva fatto sdraiare sul letto e poi gli aveva anche aperto la camicia, cominciando a baciarlo sul petto. Ricordava di aver chiuso gli occhi per qualche secondo: tutto gli girava intorno, e si stava anche eccitando. Ma poi gli era venuta in mente Oscar, e le sue labbra che lo sfioravano, il modo languido e irresistibile con cui aveva imparato a passargli la lingua sui capezzoli, che non era lo stesso modo, no… e il suo corpo aveva avuto nostalgia di lei, solo di lei, e gli era venuta una rabbia dentro, e aveva rivisto quella scena dalla finestra, e aveva allontanato quella donna quasi con dolore, quasi piangendo. Era stato così deciso che la ragazza non ci aveva neanche riprovato.

Le sue labbra si piegarono in una curva amara, ripensando a questo. “Oscar…”, mormorò, la testa tra le mani, non riuscendo a trattenere un gemito.

“Oh, vi prego…”, disse la giovane davanti a lui con uno sguardo sconfortato. “Vi prego, non ditemi che è perché non vi piacciono le donne, per favore…”. Era davvero costernata.

André allora non poté reprimere una risata, malgrado tutto: “Ci manca solo questa”, rispose, e continuò a ridere amaramente con la mano sulla fronte, per un po’. “Vi prego, uscite – le chiese infine -. Vorrei vestirmi, adesso”.

 

*

 

Doveva smetterla con quella vita, con quell’abitudine che aveva preso di andare in giro a bere da un’osteria all’altra. Era degradante, e inutile. All’inizio aveva pensato che poteva servire a togliersi lei dalla testa, ma adesso sapeva bene che non poteva riuscirci in quel modo. Passare la notte fuori, addormentato su qualche panca di taverna o in qualche stanza sconosciuta… a cosa serviva? Era forse servito, la prima volta, quando tornando da palazzo Jarjayes con quella scena negli occhi si era fermato nel primo buco di locanda che aveva trovato per strada e ci aveva speso tutto quello che aveva in tasca?

Scosse la testa con tristezza: e poi tanto non ce la faceva a tradirla. Anche se lei lo aveva tradito. Gli era entrata nel sangue, era questa la verità, così tanto che tutte le volte che qualche ragazza gli si avvicinava, in cerca di soldi o compagnia o entrambe le cose, non aveva mai concluso niente. Eppure ne aveva voglia, eccome se l’aveva. Ma soltanto di lei, di lei... E adesso si sentiva talmente solo che se l’avesse avuta accanto in quel momento avrebbe accettato qualsiasi condizione, pur di averla di nuovo. Anche di dividerla con quel bastardo che da sempre aveva cercato di portargliela via, e alla fine c’era riuscito. Anche di dividerla con mille altri, pur di averla ancora con sé, per un’ora… per un’ora soltanto… come allora… e che lei lo baciasse, lo volesse come lo aveva voluto tanto tempo fa…

Il sole del mattino era entrato nella stanza, sul letto, e aveva reso tiepide le lenzuola. Il solo pensiero di tenerla tra le braccia lo aveva fatto eccitare. Gli succedeva sempre, e ormai non aveva più nemmeno la forza di resistere, l’orgoglio di allontanare quell’impulso. Si abbandonò a quella fantasia e lasciò che la mano scivolasse sotto la coperta. Non riusciva nemmeno più a disprezzarsi. Chiuse gli occhi pensando a lei, alle sue labbra, alla sua bocca che lo avvolgeva, perché lei non si vergognava di niente quando facevano l’amore, ed era piena di voglia, di passione, e facevano tutto, tutto… e una volta lo aveva portato allo spasimo, allo stremo del desiderio succhiandolo, e all’improvviso poi si era staccata e aveva fatto come per sfuggirgli lasciandolo così, scivolandogli tra le braccia, sul lenzuolo, e lui allora non aveva capito più niente e l’aveva afferrata fuori di sé mentre lei si divincolava fingendo di lottare, e l’aveva voltata con impeto e l’aveva presa così, quasi soffocando un grido nell’entrare in lei, mordendosi il labbro mentre la sentiva gemere, tenendo le mani serrate saldamente sui suoi fianchi perché lei si dimenava come per staccarsi, lo faceva apposta, apposta, per eccitarlo di più… e non sapeva nemmeno come fosse riuscito a non venire anche lui quando l’aveva portata al piacere, forse perché doveva provare di nuovo le sue labbra che lo succhiavano ancora, subito dopo, quando era tornata a lui quasi imperiosa, afferrandogli le mani e tenendole strette nelle sue, e lo aveva fatto morire, stavolta, con un ardore quasi spietato, senza concedergli nulla, lasciando solo alla fine che le infilasse le dita tra i capelli e le spingesse il capo contro di sé, quasi con forza, con prepotenza, dimenticando tutto mentre in quel movimento affannoso, convulso, esplodeva gemendo nella sua bocca.

 

E l’amava. Oltre a tutto questo l’amava. Come poteva dimenticarla?

 

Ma lei? Come poteva lei andare con un altro, e fare con un altro le stesse cose? L’idea lo assalì improvvisa, quasi a tradimento. Come poteva, dannazione?

 

"Oscar..." Inarcò la schiena, stringendo tra le dita nervose la stoffa del lenzuolo. "Oscar..." Soffocò un grido rabbioso nel candore del cuscino. "Io... ti amo..." Era disperato. "Non posso..." Si girò, abbandonandosi, vinto, contro il materasso, le braccia lungo i fianchi, i capelli, lunghi, sparsi. Pensava a lei. Non riusciva ad odiarla… no, non era vero che la odiava. Non ci riusciva, nonostante quel pensiero fisso di lei con Fersen… a letto con lui... No. No. Non poteva essere... O sì... Che importava... che importava... lei non c'era, non era più sua.

Si passò una mano sulla fronte.

 

*

 

Basta. Non poteva andare avanti così. Ecco qual era il risultato di quell’abbandonarsi degradante, di tutte le sere passate a ubriacarsi e recriminare.

 

No, sarebbe finita presto, prestissimo. Ripensò al colloquio con Alain di qualche giorno prima:

“Senti, siamo diventati amici, ormai… ma mi dispiace, non puoi rimanere qui”. Glielo aveva detto in modo asciutto, come era nel suo carattere, eppure quasi dispiaciuto, un giorno a tavola mentre Diane era in cucina a rigovernare. Avevano appena terminato il pranzo, e André aveva annuito in silenzio, perché se lo aspettava.

“Comprendimi, ti prego – aveva aggiunto poi, come se volesse spiegare meglio -. Io sono spesso fuori per servizio, e tu sei guarito, ormai. E’ vero che sei quasi uno di casa, adesso, che ci aiuti in tante cose, fai tanti lavori… ci fa anche comodo economicamente che tu contribuisca alle spese per la tua parte… ma, André… mia sorella è giovane, è una ragazza… io devo pensare a lei. Lo so che tu sei affidabile, lo so… ma non è opportuno che tu viva qui, con noi. La gente fa presto a sparlare, e io non voglio che la reputazione di Diane sia rovinata. Potrebbe succedere, e non ti nascondo che sono molto preoccupato”.

“Certo, Alain, hai ragione”, aveva risposto allora, semplicemente.

L’altro aveva esitato, prima di riprendere il discorso, ma quando lo aveva fatto lo aveva guardato fisso negli occhi: “Anche perché, André, non credo proprio che tu abbia in mente di fidanzarti con lei, no?”

Lui aveva alzato il viso un po’ sorpreso, senza dire nulla. E Alain aveva proseguito: “Non mi hai più parlato della donna a causa della quale ora sei qui, ma è chiaro che è successo qualcosa di grave, non è difficile capirlo. Naturalmente sei libero di passare fuori tutte le notti che vuoi, di andare a bere dove ti pare – cosa credi, che non ti abbia visto? -, purché tu lo faccia fuori di questa casa e comportandoti sempre in modo corretto, quando sei qui… cosa che fai, del resto. Ma c’è qualcosa di molto pesante che ti assilla, e, anche se sembra che tu non voglia sapere più niente di quella storia, non te ne sei certo liberato. Giusto?”

André non aveva risposto, e le sue labbra si erano serrate impercettibilmente.

“Giusto – si era risposto da solo Alain -. Mi perdonerai, allora, se io realisticamente metto le mani avanti e impedisco a Diane di farsi strane idee su di te”.

Non c’era niente da dire, Alain aveva ragione su tutto e anche lui avrebbe fatto lo stesso, al suo posto. La piccola Diane, poi… era vero che aveva un debole per lui, se n’era accorto quasi subito. Era una giovane molto dolce e gentile, oltre che bella, incapace di nascondere cosa provava: e André non voleva certo nuocere alla sua reputazione, né ai suoi sentimenti. E poi lui era piuttosto vulnerabile, in quel momento. Non che avesse dubbi su se stesso: l’avrebbe rispettata comunque, anche se non fosse stata la sorella di Alain. Ma la compagnia di Diane era così amabile, così di conforto per il suo cuore, e lui ne aveva talmente bisogno… che forse… sì… forse avrebbe rischiato di lasciarla illudere, per il piacere egoistico di essere consolato dalla sua presenza. E poi chissà, in un momento di sconforto… illudersi anche lui che poteva essere una soluzione, e magari sposarla per dimenticare Oscar, e renderla infelice per sempre.

“Va bene, Alain, me ne andrò uno di questi giorni”, aveva detto con calma, guardandolo.

L’amico era rimasto un po’ in silenzio. “Sai già dove andare?” aveva chiesto poi.

“No, ma un posto vale l’altro”, aveva risposto alzando le spalle.

Fare quel viaggio in Bretagna non era proprio il caso, ormai: il pensiero che doveva essere il luogo in cui vivere insieme a Oscar sarebbe bastato a distruggergli la vita, ammesso che gliene restasse una. Poteva rimanere a Parigi, chissà, e trovarsi un lavoro. Oppure imbarcarsi per l’America, andarsene lontano… Ma a fare cosa? A vivere solo in un mondo libero? Poteva arruolarsi in qualche esercito, perché no? Andare a combattere una guerra qualsiasi e farsi ammazzare. Non gliene importava poi tanto.

Per questo ciò che disse Alain non gli sembrò così assurdo: “Senti, non è una gran proposta, mi rendo conto. Anzi, forse inducendoti a farlo ti rovino l’esistenza del tutto. Ma se non sai dove andare, se non sai che fare… in fondo anche questa è una possibilità. E poi mi fa piacere se continuiamo a vederci, se restiamo amici”. Si grattò la testa con un dito: “Potresti chiedere di entrare nella Guardia cittadina anche tu… io posso aiutarti, se vuoi. Che te la cavi bene con le armi si capisce: basta vedere come le prendi in mano quando ti passo la spada o la pistola… per non parlare dell’arma che ti sei portato dietro quando sei arrivato qui. A cavallo sembra che tu ci sia nato. Insomma, non mi hai spiegato perché, ma tu un addestramento militare ce l’hai già, e questo facilita molto le cose. Guarda, è un posto di merda, la paga è bassa e il rancio fa schifo. Ma se cerchi qualcosa per tenerti occupato, lì da fare ne hai quanto ne vuoi. Un letto te lo danno, per i documenti non devi preoccuparti… hanno bisogno di gente e non vanno tanto per il sottile, con le scartoffie. Se per te davvero un posto vale l’altro… beh, allora questo non è peggiore di tanti altri”.

 

Così aveva deciso, quasi su due piedi, di accettare l’offerta di Alain. Non ci aveva pensato che pochi minuti prima di dire sì. Per lo meno lì un amico lo aveva.

È vero, tempo prima era quasi un ricercato: ma ormai nessuno s’interessava più a lui e alla sua sorte, e la cosa tra l’altro non gli faceva alcuna paura. C’era anche una specie di gusto sprezzante nell’andare con quell’impudenza verso il nemico.

 

Sì, sarebbe finita presto, in qualsiasi modo.

 

 

***

 

 

Aveva detto al cocchiere di fermarsi ed era scesa. Non mancava molto al prossimo paese, ma non aveva fretta di tornare a Parigi. Si allontanò dalla carrozza in silenzio, verso la scogliera, e si fermò a guardare dall’alto il paesaggio disegnato dal sole. C’era vento, ma non forte, e si scoprì il capo tirando indietro il cappuccio del mantello. Rimase a contemplare il mare a lungo. Qualunque cosa fosse andata a cercare in Bretagna pensò che l’aveva trovata, perché il suo cuore adesso era pieno di quei luoghi.

Era come se André fosse insieme a lei, quando camminava da sola nella natura che si agitava intorno, tempestosa e gentile nella dolcezza struggente dei suoi colori. Le onde che si abbattevano sulla costa non riuscivano a mitigare la pienezza di quel verde che il mare donava alla terra annullandosi in lei. Un verde smeraldo incredibile e intenso, morbido come una carezza che lambiva le rive, e alzando gli occhi le nuvole soffici a stagliarsi sul cielo azzurro, limpido di quel sole come in un giorno d’estate. Tempestoso e gentile, com’era André, che era nato lì.

Soltanto adesso le sembrava di conoscere tutto di lui, adesso che aveva visto quei luoghi che neanche il suo amore ricordava. Ma che erano in lui, in ogni suo gesto, in ogni sorriso. Gli occhi di André erano come quel mare, ora lo sapeva: e giorni prima si era illusa di rubarne il colore, per portarlo via, raccogliendo quell’acqua nelle mani, sfiorandola con le labbra. Ma nelle mani era limpida e trasparente, doveva guardarla in lontananza per vederne le profondità. Come con André: aveva persino sorriso, al pensiero.

Sarebbero stati felici in Bretagna, e anche le lacrime scese sulle guance a quel pensiero, asciugate dal vento e carezzate dal tepore del sole, le erano sembrate meno brucianti, meno dolorose. André era nato in quei luoghi, ed era come loro.

Per tutto il tempo che era stata là, da sola, aveva avuto nell’anima la certezza che fosse vivo.

Ne era stata sicura, come del nascere di una nuova fiducia. Anche nei giorni di temporale, quando gli stessi paesaggi mutavano col mutare del tempo, e quel verde diventava un grigio plumbeo, che si confondeva col cielo, con la pioggia. Cupo come lo sguardo di André quand’era triste, o preoccupato, ma che non faceva paura perché il cuore era certo che su quel grigio si sarebbe aperta presto la luce di un sorriso, come quei raggi di sole che alla fine filtravano dalle nuvole, cambiando tutto, rari e fragili, e così preziosi , e così sereni.

Era vivo, e si sarebbero amati di un amore infinito. Ancora, e non importava, in quei luoghi, che la mente dicesse di no, che la paura spuntasse tra i pensieri, come in agguato, solo all’idea del ritorno che l’aspettava. Di un amore infinito come i bastioni battuti dall'acqua, gli scogli che si perdevano nel mare, quelle coste che sfumavano in una carezza nella curva dolce e ignota dell’orizzonte. André era vivo, e lei era da tanto tempo che non aveva sentito più in cuore la gioia di quella speranza.

Le avevano raccontato che, durante l’autunno, il paesaggio che portava a quel mare era meraviglioso, con gli alberi ancora carichi di foglie, e colori che dal verde volgevano al giallo, al marrone, al rosso di mille sfumature e toni. Da non riuscire a dire, con le parole. Distese come quelle che aveva sognato, forse, che aveva visto soltanto col desiderio dell’anima, quando lui c’era ancora, per poterci andare insieme, per poter rimanere.

 

Aveva trovato il paese dove viveva il cugino di André, e lo aveva conosciuto, ma senza dirgli chi fosse. L’avevano accolta persino a cena, in quella casa piena di tepore, che sapeva d’affetti solidi e discreti. Philippe, si chiamava, quell’uomo che avrebbe potuto offrir loro una nuova vita, e somigliava un po’a lui: Oscar aveva cercato di non mostrare la commozione che l’aveva presa al notarlo, e al pensiero di dove si trovava. Aveva chinato il capo. Poiché veniva da Parigi le avevano parlato di André, le avevano raccontato la storia che lei sapeva, di quel loro parente che viveva lì. Non aveva risposto niente, ma a un certo punto dovevano aver intuito, perché era sceso il silenzio, nella stanza, e la moglie di Philippe con un gesto inaspettato le aveva preso la mano sopra il tavolo.

Lo sapevano. Sì, lo sapevano, se ne era resa conto quasi all’improvviso. Marie aveva scritto, certo, e rispondendo alle loro domande sulla scomparsa di André forse aveva raccontato qualcosa. Qualcosa anche di lei, che comandava soldati e vestiva da uomo, anche se non era un uomo, e che era cresciuta con André. Che gli voleva bene.

Lei era una donna, e si vedeva.

Non aveva cercato di negare, qualunque cosa avessero capito, ma non aveva spiegato nulla.

Li aveva salutati con tristezza, la sera, e non era tornata più.

 

Si tirò di nuovo il cappuccio sui capelli biondi, chiudendolo con le mani sul viso. Sospirò, voltandosi in direzione della carrozza.

A Parigi.

Era quello il luogo in cui tornare, nonostante tutto.

 

 

Continua...

mail to: imperia4@virgilio.it

 

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage