Nelle mani
parte I
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Una mattina con troppo sole. Guardò in silenzio da dietro la finestra, allacciandosi il polsino della camicia.
Era tornato tardi, il giorno prima, a notte inoltrata. E, benché fosse tardi, gli era venuto il desiderio di non varcare il cancello del palazzo, di far voltare il cavallo e andarsene ancora da qualche parte, da solo, ascoltando la voce di quelle stelle che vedeva brillare impassibili, se alzava il viso. Per tanto tempo non aveva guardato più il cielo.
Poi però era entrato: aveva deciso di farlo, come sempre. E come sempre, mentre si dirigeva verso le scuderie, aveva rivolto lo sguardo alla finestra della stanza di lei. Che anche quella notte era illuminata.
Le sue mani nei guanti si erano strette sulle redini, in un moto istintivo che sapeva di dolore e di rabbia, e che aveva subito dominato, serrando le labbra.
Sono
qui, Oscar. Sono tornato.
Era entrato in casa senza fare rumore, e si era diretto verso la sua stanza, per andare a letto. Poi invece si era voltato ed era tornato indietro. Aveva salito le scale illuminate da poche candele, fino al piano di sopra. Fino alla camera di lei. In silenzio, perché lì non poteva andare, soprattutto di notte. E non era più come prima, che poteva bussare alla sua porta e dirle di scendere, per stare un po’ insieme. Adesso lei non avrebbe più detto di sì, e si sarebbe stupita, forse seccata, della sua presenza.
Cosa stai facendo, Oscar… Perché non riesci più a dormire?
La porta era socchiusa, e lui aveva sorriso. La lasciava sempre aperta, chissà perché. Conosceva questa sua abitudine, e forse era proprio il motivo per cui era salito: sperava che fosse ancora così, almeno quello.
Era andato per spiare, era vero. E aveva spiato. Non senza disprezzarsi, mentre lo faceva. E Oscar era lì, proprio davanti a lui, seduta allo scrittoio, ancora vestita.
Ma non stava scrivendo.
C’era una bottiglia, davanti a lei. Beveva. Anzi, aveva bevuto fino a poco prima, a giudicare dal livello del liquore arrivato quasi al fondo e dalle sue spalle curve, mentre fissava il bicchiere.
André aveva spalancato gli occhi, quando l’aveva vista alzarsi con lentezza, e appoggiarsi vacillando alla sedia. Non aveva semplicemente bevuto, era completamente ubriaca. Gli si era stretto il cuore: lei non faceva mai cose come quella. Non deliberatamente, non da sola in camera sua.
Aveva sentito l’impulso di entrare, e aveva stretto i pugni per non farlo.
Ma lei era caduta a terra, muovendo il primo passo, e allora i pugni stretti non erano più bastati, e senza pensare a nulla aveva aperto la porta ed era andato a rialzarla.
“Oscar…”
Le aveva passato un braccio dietro la schiena, sollevandola, chino su lei, in ginocchio vicino al suo corpo disteso. E le aveva girato il viso dolcemente. “Oscar… che cosa hai fatto…”
Lo aveva guardato. Senza riconoscerlo, all’inizio. Poi invece sì, lo aveva riconosciuto. E gli aveva sorriso: “Sei tu, André…”
“Oscar, perché l’hai fatto?”
Una domanda inutile: non era in condizioni di capire, e comunque non avrebbe risposto. E lui lo conosceva, il perché.
“Non devi permettere che ti faccia questo, Oscar”, aveva detto. E si era accorto che gli era venuta voglia di piangere.
L’aveva presa in braccio, e l’aveva portata a letto.
“André…” aveva sussurrato mentre l’adagiava sui cuscini, stringendogli la mano sul braccio in un modo che gli aveva fatto passare un brivido in tutto il corpo.
“Dimmi… Oscar…”
Non aveva risposto, ma lo aveva fissato a lungo, con uno sguardo strano. “Com’è che ti trovo sempre a tirarmi su, quando ho la schiena a terra?”, aveva detto in una risata roca.
“Non lo so”, aveva risposto serio, mentre le toglieva gli stivali.
Poi aveva sentito quella mano stringerlo ancora, e l’aveva vista sollevarsi a sedere aggrappandosi al suo braccio. “Voglio il bacio della buonanotte”, gli aveva detto.
“Sei ubriaca, Oscar”.
Lei aveva riso di nuovo. “E tu che ne sai?”
L’aveva fissata lui, stavolta, a pochi centimetri dal suo viso. Perché altrimenti non avresti dovuto chiedermelo, il bacio della buonanotte, aveva pensato.
Ma lei non si era data per vinta, era completamente priva di controllo, quella notte. Gli aveva passato la mano sul petto, insinuandosi nella camicia, sulla pelle nuda, in una carezza che gli aveva mozzato il fiato. Gli era sfuggito un sussulto, e aveva chiuso gli occhi. Si era lasciato attrarre da lei, respingendo ogni pensiero cosciente, e aveva sentito quelle labbra che si posavano sulle sue. Lo aveva baciato piano, in un modo languido che gli aveva fatto perder la testa per un istante, mentre sentiva la sua voce piena d’ardore ignoto, in uno strano tono leggero. Quasi frivolo, non fosse stato per l’alcol: “Dammi un bacio, André… guarda che sono una donna, anche se non sembra… Non ti piaccio, André?”
Poi si era staccata un poco: “Perché non resti con me, stanotte?”, aveva aggiunto provocandolo ancora.
Allora aveva perso il controllo anche lui: “Tu non sai quanto vorrei restare - le aveva detto fissandola, vicinissimo a lei -. Tu non lo sai”. E prendendola tra le braccia aveva risposto a quel bacio in un impeto di desiderio, come di follia. L’aveva baciata appassionatamente, senza lasciarla, con tutto se stesso. L’aveva spinta sui cuscini, cercando la sua bocca ancora e ancora. Con tanto ardore che nemmeno si era accorto che le stava percorrendo il corpo con le mani, in carezze disperate ed ansiose.
Poi però si era reso conto, perché lei aveva smesso di scherzare, e sollevando il viso a guardarla aveva incontrato i suoi occhi pieni di stupore.
E di dolore. E quasi di paura. Anche se era troppo ubriaca per reagire. Per tentare anche solo di rifiutarsi.
Non gli avrebbe opposto alcuna resistenza, se fosse andato avanti. Lo aveva sentito chiaramente. In quel momento dipendeva tutto da lui.
Ma c’era stupore, e dolore, e quasi paura, dentro i suoi occhi.
“Oscar…”
Si era sollevato, ansante, ed era rimasto a fissarla, come fuori di sé, per un lunghissimo momento. Poi aveva ritrovato il controllo, e aveva detto scusa.
“Scusa, Oscar… Scusa. Adesso andrò via… andrò via…”
Lei era rimasta in silenzio, con gli occhi aperti.
Si era alzato, e poi ancora aveva detto mi dispiace. Senza poter ragionare, senza riuscire a pensare, sentendo solo che era eccitato ancora, che la desiderava follemente, e che andarsene era l’ultima cosa che voleva.
Era uscito, e aveva chiuso la porta, lasciandola lì.
*
Quel ricordo lo aveva assorbito totalmente, e ora fissava attraverso i vetri, oltre l’orizzonte. Ora sapeva che non poteva fare a meno di averla. Non poteva proprio.
Avrebbe preferito non dover vivere, piuttosto.
Chissà se lei si ricordava. Probabilmente no. Non aveva mai ricordato, il giorno dopo, tutte le volte che avevano bevuto troppo insieme.
Per fortuna. O purtroppo.
L’avrebbe trovata giù, a far colazione.
Indossò la giacca e fece forza sul suo cuore, per decidere di scendere.
*
Percorse in silenzio le poche scale e il corridoio scuro che dall’ala in cui era la sua stanza conducevano al salone. Entrò, e nell’allargarsi improvviso e noto di quello spazio lo ferì la luminosità ostinata che dalle vetrate si riversava in casa. Oscar era proprio lì, seduta al tavolo inondato di luce. All’inizio non riuscì a percepire che i contorni sfumati del suo profilo, le sue gambe accavallate e lunghe, la massa sciolta dei capelli incendiati dal sole, la mano elegante che teneva la tazza di cioccolata, per portarla alle labbra.
Sembrava più che tranquilla, e perfettamente padrona di se stessa, come ogni mattina.
“Buongiorno, André”, gli disse con un tono gentile, senza sorridere.
Ciao,
Oscar.
Guardò le dita che stringevano il manico della tazza, e le ripensò sul suo petto, quella notte. Vide le labbra che posava sul bordo per sorseggiare, e le sentì sulle sue labbra, piene d’ardore. Il suo corpo, che era lo stesso di ieri, lo riconobbe sulla sua carne.
“Buongiorno, Oscar”.
“Ti sei svegliato tardi, stamattina - gli disse -. Cos’è, hai fatto le ore piccole?”
Impallidì. No, non ricordava. Non era possibile. Non avrebbe scherzato così, se avesse ricordato quei baci, quelle carezze che le aveva fatto, che l’avevano travolta. Spaventata, quasi.
“Credo proprio di sì – rispose -. Devo aver bevuto un po’ troppo. E tu?”
La vide arrossire e bere un sorso di cioccolata, senza dir nulla. Oscar non arrossiva mai, e ne fu quasi intenerito, in quel momento. Di quei baci non ricordava, ma che si era ubriacata sì. E ne stava provando vergogna.
“No, sono solo andata a dormire tardi - gli rispose -, e stamattina me la sono presa comoda anch’io”.
Certo,
sì… Una buona maschera, Oscar. Ma io ero con te, stanotte.
Si sedette, e versò della cioccolata anche per sé. Era un suo privilegio, quello di poter fare colazione insieme a Oscar, allo stesso tavolo. I domestici mangiavano nelle cucine, lui no: pranzava e cenava con lei, da sempre. Era stata lei a volerlo. André non era un servitore come gli altri: in casa lo sapevano tutti.
Era un privilegio, di cui aveva bisogno come dell’aria, dal giorno che aveva capito di amarla. E che a volte gli pesava, perché lo aveva messo in una specie di limbo, che lo rendeva estraneo agli altri e non gli concedeva, però, di arrivare a lei.
“Qual è il programma, oggi?” le chiese osservando la sua mano che si era posata sul tavolo in un tremito come stanco.
Oscar non disse nulla, si portò quella mano alla fronte e scosse impercettibilmente il capo.
“Non so, ho un po’ di mal di testa, stamattina. Forse dovremmo riposarci un po’, tutto qui…”.
Dovremmo. Sì, Oscar, dovremmo. André sorrise, e sentì un fremito di gioia carezzargli il cuore, solo un istante. Lei lo includeva sempre nelle sue azioni, anche quando quelle azioni partivano da una sua sensazione, da un suo stato d’animo del tutto personale. Io ho mal di testa, quindi noi dovremmo riposarci. Quel “noi” che lei usava così spesso, senza neanche farci caso, era diventato una ragione di vita, per lui.
Sì, c’era qualcosa di ingiusto, anche. Ma André non aveva che questo, e vi si aggrappò.
“Hai in mente qualcosa di particolare, Oscar?”
“Non lo so… starcene qui… Oppure fare un giro a cavallo… ma da soli, però… senza dover avvertire tutta la casa… senza due ore di preparativi…”
“Ci penso io, Oscar”. Bevve un altro sorso di cioccolata, e pensò che era buona.
*
Non ci aveva messo molto a preparare i cavalli. Ed era passato anche in cucina, di sua iniziativa, a prendere qualcosa da mangiare, per quando avessero avuto fame.
“Possiamo andare, se vuoi: è tutto pronto”. Le aveva detto questo, raggiungendola nel salone. Lei stava guardando fuori, dalla vetrata. Si era girata, e gli aveva sorriso con una gioia silenziosa, quasi timida.
Allora aveva pensato che l’amava, con una tale intensità da voler chiudere gli occhi.
Solo
io e te, amore. Questa giornata è nostra.
Erano montati in sella, e avevano varcato il cancello del palazzo, quasi inosservati.
“Dove andiamo, André?”, gli aveva chiesto.
“Conosco un posto molto bello - aveva detto lui -, che tu non hai mai visto”.
“Oh…”, era stata la sua reazione. Quasi di disappunto, si sarebbe detto. E d’improvviso interesse.
André aveva sorriso.
Era un luogo che aveva scoperto da poco, infatti. Da quando lei si era allontanata, lasciandolo sempre più spesso solo, senza sapere che risposta dare a quella mancanza che gli toglieva il respiro. Allora a volte aveva preso il cavallo e lo aveva spronato senza una meta precisa. Come la notte prima.
Si era ritrovato là, e subito aveva pensato che sarebbe stato meraviglioso andarci con lei.
“Vieni – le aveva detto -. Ora sarà un segreto anche tuo”.
“André… ma… è bellissimo…”
Lui l’aveva guardata scendere da cavallo, in silenzio. Poi l’aveva imitata.
Era una radura, una radura nel bosco, e vicino il fiume scorreva, balzando in piccole cascate che gorgogliavano. Ma senza fragore, con una musica come di ruscello. Non c’era nessuno.
Avevano cavalcato a lungo, per arrivarci, ed erano un po’ accaldati. Oscar era andata verso l’acqua e si era bagnata i polsi, il viso, legandosi i capelli con un nastro. Poi si era voltata con un sorriso felice. “E da quando sai di questo posto senza dirmi niente?” “Da un po’…”, aveva risposto guardandola. Era bella, e sembrava quasi ritornata quella di prima. Dimenticalo,
Oscar. Non pensare a lui, ti prego. Quando stavano insieme, Oscar pareva tornare indietro di anni. Sembrava persino bambina, a volte. Era un contrasto che lo faceva quasi star male, anche se adorava quei momenti. Tutta la sua serietà, la gravità che usava davanti agli altri sparivano, e lei scherzava, rideva sempre, aveva gesti di una confidenza che lo turbava. Era la confidenza di chi è cresciuto insieme. Ma adesso non era più come prima. |
Si era tolta le scarpe, sorridendogli, e arrotolandosi i calzoni fino alle ginocchia aveva camminato piano sulla ghiaia fino alla piccola cascata. Poi si era bagnata ancora. “Vieni!”, aveva gridato da lì.
“No… meglio di no”, le aveva risposto dalla riva. Con uno sguardo allegro, per nascondere l’emozione. Allora lei era tornata indietro, e lo aveva schizzato.
Come al solito, aveva pensato abbassando il volto in un sorriso, e si era tolto le scarpe anche lui, lasciandosi coinvolgere in quel gioco. Era tantissimo tempo che non accadeva più.
Ma quando inseguendola nell’acqua l’aveva presa, e l’aveva sentita divincolarsi tra le sue braccia, e l’aveva sentita ridere e aveva avuto l’impulso improvviso di girarla a sé e di stringerla, e spingerla sull’erba, a riva, e darle tutti i baci che aveva dentro senza lasciarla andare, e aveva desiderato che fosse sua, lì, in quel momento, e coprirla col suo corpo e prenderla, e scoprire finalmente com’era entrare dentro di lei, allora aveva dovuto staccarsi, perché se non lo avesse fatto subito avrebbe rovinato tutto, per sempre, tra loro.
Poi si erano seduti vicini, all’ombra.
La sentì sospirare, e si voltò verso di lei.
“Lo so, André. Sono stata strana in questi giorni, lo so”.
Non disse niente, per non rovinare il momento.
“Sai, ieri mi sono anche ubriacata, da sola. Che stupida, eh?”. Ebbe uno sguardo lontano, triste.
Non eri sola, Oscar.
“Ti ho trascurato, vero?”
Rimase un istante in silenzio. Solo in un rapporto come il loro si poteva usare la parola trascurare in quel modo.
Rispose con semplicità, chinando il capo: “Mi sei mancata”.
Lei alzò il viso colpita, e una lacrima le velò lo sguardo. “Sono fortunata che ci sia tu – mormorò -. A volte penso che non importi a nessuno, se esisto o no…”
“A me importa. Moltissimo”.
“Sì, è vero…”, ammise lei accennando un sorriso. “Perdonami – disse sfiorando la sua mano con la mano -. Tu eri l’unico che non dovevo dimenticare”.
Rimase in silenzio, mordendosi impercettibilmente il labbro.
“Era tanto più facile quando eravamo solo noi due, vero?”
Dovette fare uno sforzo terribile, per resistere a quella frase.
“Potrebbe essere ancora facile, Oscar…”, rispose.
“No, non più”, disse lei, in un moto doloroso, sofferto.
Già,
non più. Non più.
Perché,
Oscar?Perché?
“André…”
“Sì…”
“A te è mai successo, André?”
No, ti prego, non farlo. Non farlo, Oscar. Non confidarti con me.
“Cosa, Oscar?”
“Ti sei mai…”
Lo guardò un istante. Poi chinò il capo di nuovo. “Lo sai… lo sai cosa voglio dire…”
No,
non lo so. Non voglio saperlo.
Non rispose. Lei non continuava. Triste.
“Sì, forse lo so, Oscar…”
Furono quelle parole a darle di nuovo coraggio: “Ti sei mai innamorato, André?”
Non puoi chiedermi questo, non è giusto. Non siamo più due ragazzini. Non posso risponderti, Oscar.
“André…”
“Cosa
c’è, Oscar? Cosa devo dirti?”, mormorò, improvvisamente serio. Nella sua
voce vibrò un tono di dolore. Di risentimento, quasi.
“Io…”.
La vide tacere, chiudersi di nuovo in se stessa. “Scusami”, gli disse.
Ma
quel silenzio era ancora più insopportabile. Lei che si scusava faceva più
male di tutto. Sapere di rifiutarle quel conforto era un dolore che non poteva
affrontare.
Sospirò
senza far rumore, e accettò la condanna.
“Sì,
Oscar”.
Lei
si voltò di nuovo, rincuorata e stupita, un’espressione interrogativa negli
occhi.
“Cosa…”
“Sì,
mi è successo”.
“Non me n’ero mai accorta…”
Questo lo so.
“E quando…”
“Tanto tempo fa”.
Continuava a guardarlo, e voleva sapere, e non osava chiedere, quasi.
“E cosa è successo, André?”
“Niente”.
“Niente…”. Tacque per un po’, mentre l’acqua del fiume scorreva, e sentivano il suono leggero delle cascate. “Perché…” chiese infine.
“Perché anche lei non se n’è mai accorta”, rispose in un sospiro forzato, quasi ad alta voce, guardando lontano. Poi cercò un sorriso, per far finire quella conversazione.
Ma lei non ci credette. Posò di nuovo la mano sulla sua, e lo fissò. “E tu non glielo hai detto?”, chiese.
Non ricevette risposta.
“E perché André? Perché?”
Aveva distolto il viso, e Oscar gli passò l’altra mano, leggera, sul mento, per girarlo verso di sé, per guardarlo. Lo fece cedere, infine, e vide un tale dolore nei suoi occhi che le mancò il respiro.
“Scusami, Oscar, non voglio parlarne più”, disse, inspirando in silenzio.
“Dio mio, André…”, mormorò stupita. Nello sguardo che gli rivolse c’era una domanda, e la sua risposta, e un dispiacere evidente, che cercava di nascondere. Tu l’ami ancora, André…
La fissò, allora, e avrebbe voluto afferrare le sue mani, e stenderla sull’erba, e farla tacere baciandola fino a farle male, perché pagasse anche lei il prezzo di quel dolore, e la smettesse di insistere, di comportarsi come una bambina. Avrebbe voluto baciarla come l’aveva baciata proprio quella notte. Ma senza fermarsi, senza fermarsi, no… Perché ricordasse, questa volta, e lo odiasse anche lei.
“Basta Oscar, ti prego…”, disse, invece.
“Sì… sì… scusa, André…”, gli rispose, ma non lasciò la sua mano. La strinse di più, invece, e poi gli si fece vicino, e in uno slancio affettuoso lo abbracciò, un abbraccio che avrebbe voluto respingere, e che gli fece gridare il cuore.
Ma non ci riuscì, e la strinse piano anche lui, ignorando il suo cuore con tutte le forze.
“Dev’essere una pazza”, gli sussurrò.
In quella voce piena d’affetto sentì vibrare appena un tono di sollievo.
Poi si erano staccati, e lei l’aveva guardato di sotto in su, con un’espressione dolce e timorosa: ma non era riuscito a darle il buffetto che la rassicurava sempre, quando aveva bisogno di sapere che c’era. Non era in condizione di farlo. Non ancora.
Avevano steso sull’erba una coperta e avevano mangiato, e poco a poco l’atmosfera era tornata serena, lieve. Si erano detti tante cose senza importanza, sorridendo nel dire, e Oscar si era distesa, con le mani dietro la testa, a guardare le chiome degli alberi.
“Mi porterai ancora, qui?”
Lui non aveva risposto, e si era steso vicino, su un fianco, il gomito a terra e la mano a reggere il capo. Aveva preso un filo d’erba, e ci aveva soffiato sopra, tenendolo tra le dita. Poi glielo aveva passato sul viso, lentamente, mentre lei chiudeva gli occhi e sorrideva.
“Vuol dire sì?”, gli chiese.
“Vuol dire che ti porterò dove vorrai”.
Lei tenne gli occhi chiusi, e sospirò.
“Cosa stai pensando, André?”
“Che
vorrei che questo giorno non finisse”. Che non esistesse tutto il resto, la
tua casa, tuo padre, mia nonna, le nostre stanze separate, questo mondo, la
regina e i minuti.
Lei si voltò a guardarlo, e disse anch’io.
Poi gli chiese: “È molto bella, André?”
E lui, che non era preparato, stava quasi per rispondere: “Chi?”
Si riebbe un istante prima, e strinse le labbra. Non gli piaceva quel gioco, faceva male. Era troppo scoperto, e troppo ambiguo. Ma non seppe resistere all’occasione di dirle che era bella.
“Sì, è bellissima”, mormorò, senza guardarla.
Lei rimase in silenzio, con gli occhi tristi.
“E come deve essere una donna, per far dire a un uomo che è bellissima?”
Questa volta fu lui che non seppe cosa dire. Ma la fissò, e si sentì come se nei suoi occhi fosse compresa tutta la risposta.
Forse fu quello che le diede coraggio: “André…”
“Sì…”
“Tu trovi che io sia bella, André?”
“Sì”.
Lei tacque un attimo: “Soltanto… sì?”
L’accarezzò con un sorriso: “Che vuol dire ‘soltanto sì’?”
“Be’… - rispose lei guardando il cielo e buttandola sullo scherzo, mentre arrossiva per la seconda volta, quel giorno -. Be’… mi aspettavo almeno un ‘sei splendida’…”
La guardò, e sorrise ancora. Poi ridivenne serio: “Sei splendida”.
Vide i suoi occhi azzurri, e pensò che non gli importava nulla se adesso lo capiva: “Sei tutto lo splendore”, disse.
Lei gli rivolse uno sguardo che non gli aveva mai rivolto. E non staccò gli occhi dai suoi, stavolta, e c’era un bagliore colpito e grato, in quel fissarlo, e un richiamo dolcissimo, di cui non era cosciente, ma che lui sentì. Si avvicinò piano, allora, quasi senza rendersi conto di quello che faceva, si avvicinò al suo viso che lei non distolse, come sotto un incanto cui non sapeva sottrarsi: un attimo raro e prezioso, che li prendeva senza dir loro perché. Tenne gli occhi aperti, mentre si accostava alla sua bocca, come se non credesse a ciò che stava facendo, e sentì il profumo della sua pelle e del suo respiro e le sue ciglia che si chiudevano, e sulle labbra posò le sue labbra, pianissimo, avvertendola trasalire e non andare via. Chiuse gli occhi quando sentì quel contatto, e le diede un bacio lieve, fermandosi un istante, quasi sospeso, e poi un altro, trovando coraggio, e poi ancora, pianissimo, mentre lei respirava tremando, in silenzio. E quando la sentì abbandonare indietro il capo e avvertì quelle labbra socchiudersi tra le sue, l’avvolse tra le braccia in un impeto di gioia e fu sopra di lei, per baciarla ancora. Lo fece con tenerezza e passione, senza dire una parola, in un silenzio che nessuno interruppe, per attimi e minuti infiniti, sul morbido della coperta, col cuore che batteva impazzito nel petto e la sensazione del corpo di lei contro il suo e la certezza che anche lei provava le stesse cose, ed era felice.
La baciò ancora, e ancora, per imprimere dentro di sé quei suoi baci e le mani che adesso si erano posate sulle sue spalle, chiudendosi piano, e quel sospiro che le era sfuggito, mentre lo faceva. Per ricordare di lei e di quell’attimo, perché erano bellissimi, quei baci: perché erano davvero insieme, adesso, non come la notte prima, e anche lei voleva baciarlo, adesso, e non poteva dimenticare, non più… La baciò con tutto se stesso, con un ardore pieno di tenerezza, un desiderio di una dolcezza struggente, senza quasi respirare mentre lo faceva, come per saziarsi e per non sprecare quel tempo, che era come un regalo che sarebbe volato via. La baciò finché non poté più resistere all’emozione che gli riempiva il cuore, finché quell’emozione traboccò nel suo petto e lo costrinse a staccarsi, e a guardarla ansante, ansare anche lei, tra le sue braccia, travolta e incredula, com’era incredulo lui. Posò il viso sulla sua spalla, sospirando piano. Tra le fibre dei suoi vestiti era rimasto l’odore del vento, ed ebbe la sensazione che il cielo gli si spalancasse di fronte.
Continua...
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