Love fiction
(Esperimento di metascrittura oscariana)
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“Sì, è proprio questo che volevo dire”.
C’è una nota di stanchezza nella sua voce. Ne percepisce l’intensità ma ancor
più la stanchezza. Qualcosa che viene dal profondo e che non le aveva mai
mostrato, fino a questo momento. Una ciocca di capelli, scomposta dallo schiaffo
che gli ha dato, gli copre parte del viso fino alle labbra, e lui non si
preoccupa di spostarla.
È rimasta con la mano a mezz’aria racchiusa nella sua, le dita di André intorno
al polso. Inaspettate, in un tremito lieve e paziente.
Non come la risposta che avrebbe potuto dare.
Come una risposta, invece, come se veramente lui ce l’avesse.
Avverte il calore del suo corpo. La sua presenza, come una cosa vera.
L’affanno silenzioso del suo respiro.
Chi sei, vorrebbe dirgli con un filo di voce mentre la sta guardando
apertamente, con un dolore con cui non si era mai permesso di guardarla prima.
Sente le lacrime salire agli occhi e bruciare, la bocca troppo arida per
riuscire a chiedergli scusa.
“Aiutami”, vorrebbe articolare disperatamente, ma neanche questo le riesce. Non
c’è più voce che possa tradurre questo bisogno.
Solo silenzio, e il tepore della sua mano intorno al polso gelato.
Non è vero che non abbiamo bisogno di parole.
Ce ne vorrebbero moltissime, invece, parole per raccontarci e spiegarci, per
sciogliere questo nodo che stringe il petto e lasciarlo scivolare via e
liberarcene, e poter finalmente ridere con il cuore sgombro e non doversi
portare dentro tutto questo dolore, scioglierlo nel calore di suoni fluidi e
gentili.
Ma tu non sei mai stato un tipo eloquente. E nemmeno io, del resto.
Smettila di tenermi i polsi e di stare zitto.
Lui, all'improvviso, l'attira a sé.
È soffocato il grido con cui gli si getta addosso, i pugni stretti sul
suo petto. Lo stesso tipo di moto che ha originato lo schiaffo di prima.
Ma stavolta non è un'aggressione, è una richiesta. È una preghiera, impellente.
André china il viso sul suo capo, accarezza la sua mano. È la prima volta che
osa abbracciarla così.
È proprio questo che volevo dire.
“Volevo dire che non ti fa meno forte questo dolore. Volevo dire che non cambia
chi sei”.
Volevo dire che se tu fossi minimamente riuscita in tutti questi anni a
nascondere la tua natura, io non sarei a questo punto, ora.
Intanto, c'è la questione della mia costante reazione fisica alla tua presenza.
Non posso farci niente, a parte allontanarmi quanto serve dal tuo corpo perché
non debba darti questa testimonianza fin troppo tangibile della mia stima per la
tua femminilità.
Poi ci sarebbe il fatto che ti amo disperatamente.
Ma è un dettaglio trascurabile, ora come ora.
“Volevo dire che Oscar è Oscar, e, a dispetto del nome che porta e di certi suoi
conoscenti quanto meno distratti, è una donna meravigliosa, e non deve
vergognarsi di questo”.
Poi Oscar è un nome da donna, per me.
L’avvolge con un braccio intorno alle spalle. “Vieni, sediamoci”, le dice piano.
E, come se fosse cosa molto normale, per loro - un tempo, in fondo, lo era -, si
siede sul bordo del letto accanto a lei, facendole posare il viso sulla sua
spalla. Poi, sul suo petto.
Percepisce fin dall’intenzione il suo lievissimo irrigidirsi, e subito,
obbediente, la lascia. Rimane seduto al suo fianco e con un sospiro incrocia le
mani davanti al viso, i gomiti posati sulle ginocchia, il capo chino. Pensa che
vorrebbe qualsiasi altra cosa, in questo momento, piuttosto che doverglielo
dire. Pensa che, se dipendesse da lui, non lo direbbe affatto. A che pro
scoprirsi, in questa situazione, e fare questa figura da poveraccio, e abbattere
la comoda e rassicurante parvenza di normalità che li univa, affidandosi a un
domani del tutto imprevedibile, ma verosimilmente peggiore? L’alibi
dell’amicizia poteva reggere ancora per molto, considerata la fermezza con cui
lei vuole crederci.
L’amicizia non è male, in fondo. L’amicizia è sempre meglio che niente.
Dirglielo ora è, garantito, un salto nel vuoto. Anzi, un suicidio, perché
perderla sarebbe come morire. L’istinto di conservazione sconsiglia vivamente di
farlo.
Ma il suo istinto di conservazione è sempre stato mandato al diavolo con una
rapidità drastica, di fronte al rischio che succedesse qualcosa a lei, anche
questo è un fatto.
E il silenzio di Oscar è abissale, in questo momento. Quasi privo di vita. Se
lascerà passare un altro minuto sarà perduta, e non ci sarà più modo di
afferrarla per un braccio e tirarla su. André lo sente con una chiarezza
incredibile.
Scuote piano la testa, con una mano sulla fronte.
“Adesso ascoltami -, mormora, e lei non l’ha mai sentito così provato -.
Ascoltami, e non muoverti, non dire niente finché non ho finito”.
André ha uno strano modo di dare ordini. Piegato in due dal dolore, quasi
distante, come se parlasse all’oscurità, non a lei.
E mentre parla piano, con voce profonda e triste, dicendo parole che Oscar non
aveva mai sentito, parole dolcissime e reali, che non aveva mai neanche
immaginato potessero essere combinate insieme, men che meno che qualcuno potesse
rivolgerle a lei, mentre parla i minuti scorrono lenti, implacabili, portando a
ogni suono un’emozione diversa, un tremare nuovo. Non è solo quello che dice,
che è fatto di carne e sangue, non di poesia: è il suo tono arreso e sincero,
l’amarezza trattenuta del suo esserle accanto, senza quasi sfiorarla, la sua
voce che sta toccando corde così intime, nel cuore di lei, che Oscar non può
fare a meno di mettersi a piangere silenziosamente, a dirotto, fino quasi a non
vedere più. Sono le profondità a cui la sta turbando, è come la ferisce e la
cura, come dimostra di sapere esattamente ogni cosa, mentre scioglie poco a poco
con attenzione quel grumo inestricabile di male che la soffoca, prestandogli una
voce per lei, straziando accuratamente se stesso, con coscienzioso dolore. È la
passione sconvolgente che c’è in ogni sillaba, l’amore scoperto e ferito nella
sua nudità, l’amore assurdo e senza speranza, devastante e oltraggioso che
brucia il suo essere senza che lui abbia mai voluto porvi alcun argine. L’amore
che fa sacrificio di sé sapendo che col rivelarsi si farà uccidere, ma potrà
salvare ciò per cui vive. André mormora pianissimo al suo fianco, senza ritrarsi
fino a che ha finito, fino al fondo del pozzo. Con limpidezza spietata, con
tenerezza feroce. Come chi non abbia più nulla da perdere, o sia stato costretto
a perdere tutto, per cui nulla gli può far male di più.
Sta dicendo che se ne andrà, se lei vuole, o che rimarrà, senza mai più parlare.
Non lo dice, ma sta intendendo che accetterà di non contare niente, di non
contare più, come non ha mai contato. Che si tratta, soltanto, di continuare a
morire.
Ma che lei deve vivere. Deve vivere.
Infine tace, esausto, e rimane seduto accanto a lei, con le mani intrecciate sul
viso. Immobile, perduto, come il loro rapporto cui ha appena dato una mazzata
letale. Ne è così conscio che non ha la forza di dire e fare più nulla. Sa che
tra poco dovrà alzarsi ed andarsene, ma al solo pensiero gli viene da piangere.
Non si muove per risparmiarle la scena.
Il silenzio che cade su di loro dopo la confessione di André dura molto tempo,
fino a smorzare anche i suoni fuori
e trasformarli in calma totale. Non si sentono più neanche i piccioni che volano
in alto per trascorrere la notte.
È un silenzio sobrio e doloroso, pieno di rispetto.
Di sentimento, anche. Non è arido come quello che separa due persone divise, che
non sentono il cuore l'una dell'altra. È un tacere straziato, senza imbarazzo.
È un silenzio bagnato di lacrime, e a un certo punto Oscar prende a singhiozzare
senza vergognarsi, il viso tra le mani, vicino a lui.
Sa Dio se vorrebbe farlo anche André.
È riuscito nel suo intento, sospira sommessamente. E ora vorrebbe soltanto
piangere.
Ma sa che non può permettersi di piangere, adesso.
Sa anche che dovrebbe alzarsi, scuotersi discretamente la polvere dai calzoni,
assumere un tono neutro e dire: “Non è colpa tua, non devi fare proprio niente.
Nessuno di noi due può farci niente, è la vita”. Cose così.
Però non può. Non può fare neanche questo. È come svuotato.
A volte certe cose costano troppo.
“André, io...”
Si gira verso di lei, attonito. Cielo, si è prodotta in un altro dei suoi
celebri: “André io” che riserva per le grandi occasioni, quelli seguiti da un
oceano di niente.
Mi rifiuto di risponderti. André io cosa? Io non pensavo, non sapevo, non
immaginavo, io ti consideravo come un fratello, o in alternativa tu non ne hai
il diritto perché sei solo il mio scudiero fedele? André io cosa? Io non sono
una persona migliore, solo diversa? Io non vorrei che mio padre ti sparasse ma
non è educato interromperlo, io sono lieta che non ti abbiano impiccato e di
aver scoperto all'improvviso che conti qualcosa per me ma te lo dirò in un altro
momento, tanto, con tutto il tempo che abbiamo perso, un anno in più o due che
differenza vuoi che faccia? Non è ancora successo ma di sicuro succederà, se
continui così. André io che? Io non mi sento adatta, non mi sento donna, non mi
sento degna, sento che mi può partire la brocca solo per degli amori
impossibili, irraggiungibili, indefinibili e innamorati di un'altra, così almeno
starò sempre al sicuro a macerarmi nel mio dolore senza mai dovermi mettere in
gioco sul serio? Cosa succede dopo quei tuoi “André io”, nella realtà in cui ci
siamo davvero, qui, adesso, io e te? Te lo dico io cosa dovrebbe succedere, che
ti sbatto sul letto e ti divoro di
baci e ti strappo tutti i vestiti e ti faccio felice e mia, mia per sempre, per
sempre, per sempre come so che sei sempre stata e sarai, perché solo se stai con
me puoi essere felice, e sei tanto cieca da non vederlo mentre io lo vedo, lo
vedo, lo vedo, non vedo più niente ma vedo solo questo e lo so come se fossi
Mosè e Dio in persona, anzi in spirito, mi avesse appena dettato i comandamenti,
e al primo posto ci fosse scritto che tu sei mia, tu sei mia, sei soltanto mia e
non sarai mai di un altro, per nessuna ragione, giammai.
Naturalmente si guarda bene dal dire tutto ciò, e riserva il delirio mistico a
eventuali successive occasioni.
Viene buono per un eventuale suicidio, ad esempio.
“André. Perdonami, André. So di averti fatto soffrire. Ma hai ragione, avevo
paura, tanta paura”.
Lo ha detto con un tono serio e quasi sereno, dopo tanto pianto. Un tono che gli
fa alzare lo sguardo, incredulo, a osservare i suoi occhi limpidi e azzurri.
“Tu lo sapevi?”, mormora stupito.
“Certo che lo sapevo, André. Come potevo non saperlo? Perdonami perché ti ho
fatto del male, ma non volevo farne a te, solo a me”.
Ha pronunciato questa frase in un sussurro carezzevole, con una voce che nemmeno
lui le aveva sentito mai usare.
“Perché?”, le chiede in un tremito.
“Perché non riuscivo a essere come mi avevano voluto, perché la mia vita non
aveva alcun senso logico. Perché era più facile fare quello che gli altri si
aspettavano, che farsi delle domande e rispondere. Perché la scena era allestita
e il sipario aperto, e bastava solo che recitassi la mia parte per accontentare
tutti e poi sparire, dimenticata o magari morta. Perché lui era lì,
perfettamente integrato e in sintonia col copione e con la partitura. E tu
invece eri fuori dal coro e fuori dagli schemi, mi provocavi con battute di cui
non sapevo mai la risposta, perché erano frasi vere, cui la risposta avrei
dovuto trovarla io. Perché avevano assegnato un ruolo anche a te, ma tu
palesemente non lo rispettavi”.
“Non lo rispettavo perché c'eri tu. Forse l'avrei rispettato se non ti avessi
conosciuta, credo proprio di sì. Ma da quando ti ho incontrato non ho potuto
fare altro che volerti, e tutto il resto non ha contato più nulla, per me”.
È il momento della verità, dunque. Il cielo di carta si è strappato, l'ho
strappato io, e adesso lei è lì, con la sua ferita, davanti a me, e io dovrei
saperle proporre una via d'uscita. Una soluzione. Un seguito.
“E adesso, cosa dovrebbe succedere, André?”
“Non ne ho idea, Oscar. Immagino che debba essere qualcosa di graduale. Che
dovremmo cominciare a muovere i nostri passi poco a poco, ogni volta cercando di
capire se la direzione è quella giusta. Immagino che saranno molti a volerlo
impedire, soprattutto a te. E non è detto che tu faccia bene a darmi retta,
tienilo presente”.
“Non sarà peggio di com'è andata finora”.
Be', non c'è dubbio. Non è che innamorarti di Fersen ti abbia dato grandi
soddisfazioni. Però nel caso di Fersen avevi un motivo valido, eri appunto
innamorata di lui. Ma io? Cosa mai potrei prometterti io se tu non mi ami?
“Io sposterei una montagna per te, amore mio (mi piace chiamarti amore ora
che non puoi opporti, perché sai che sono pronto a rinunciare a te). Ma
avrebbe senso solo se tu lo volessi. E tu non puoi certo volerlo adesso, siamo
onesti. Lo vedo bene e lo capisci anche tu”.
“Sì, è vero, non potrei volerlo adesso”.
Lo sapevo, ma fa malissimo che tu lo dica. Non lo dire, ti prego. Non lo dire
più.
“Scusa, André”.
“Non importa, è solo la verità”
“Ma io ti voglio bene. Ti ho sempre voluto bene anch'io”.
Sì, lo so che mi vuoi bene, lo so. Potrebbe essere un abbozzo di soluzione.
Potremmo andare a letto in amicizia per un certo periodo, e alla fine magari ti
affezioneresti e potresti accontentarti di me. Il problema è che non mi
accontenterei io, temo.
Oppure potremmo separarci e cercare di vivere ognuno la sua vita, ricominciando
da zero. Sarebbe la soluzione più logica, se non fosse che probabilmente ne
morirei.
E poi cosa intendi esattamente con: “Ti voglio bene”, Oscar? Che non sei
innamorata ma potresti innamorarti di me? Che in fondo sei sulla buona strada,
ora che ti ho aperto gli occhi, e hai solo bisogno di tempo? Fosse vero potrei
aspettarti una vita ancora. Ma tu come potresti mai dire una cosa simile, e fare
profezie sul tuo amore, a meno che non lo provassi già?
“Forse dovremmo ricominciare tutto da capo, Oscar. Tu dovresti schiaffeggiarmi e
io dirti qualche frase botanica, poi potrei baciarti con rabbia e spingerti sul
letto, strapparti la camicia e in conclusione andarmene piangendo e chiedendo
scusa, perché tanto finirebbe allo stesso modo, visto che comunque non ti
importa di me”.
“E poi cosa succederebbe, André?”
“Che ci separeremmo, io soffrirei le pene dell'inferno e probabilmente anche tu.
Poi chissà, fra qualche anno, prima di morire, potremmo far pace e scoprire che
ci amiamo da sempre, meglio tardi
che mai”.
“Non sembra molto allettante, raccontata così”.
“Già, però forse così tu mi ameresti, e poi avrei visto cosa c'è sotto la tua
camicia”.
Oscar si mette a ridere: “Ed è tanto importante, per te?”
Lui sorride: “Direi di sì. Tutte e due le cose”.
“Oh, André...”
“Vieni qui”.
La cinge per la vita e la porta sé, lentamente. Lei china il capo commossa e
sospira, gli posa la fronte sul petto, nell'incavo tra il collo e la spalla,
languidamente. Sembra un gesto perfettamente naturale ad entrambi.
André sente la sua vita esile tra le mani e chiude gli occhi. Non potrà
trattenersi, se restano così. Tutti i suoi buoni e civili propositi andranno a
farsi benedire entro pochi secondi, se continuerà a starle attaccato e a ad
avere nelle narici il profumo delicato della sua pelle, ad essere così
consapevole che la sua bocca è tanto vicina da poterla cogliere solo voltando il
viso, in una carezza.
Forse, Oscar, stiamo parlando troppo, mentre tu hai bisogno solo che qualcuno ti
tenga stretta e ti consoli, e chi potrebbe farlo meglio di me? Forse hai bisogno
solo di essere baciata, e di sicuro anch'io, tanto per cominciare. Forse avrei
dovuto da tempo smetterla di rispettarti e di farti da cagnolino fedele e
lasciarti condurre il gioco, che se aspettiamo te qui fa in tempo a crollare
tutto mentre noi stiamo ancora a ululare alla luna e chiederci perché. Forse
dovrei solo mostrarti quello che sono e che voglio, perché non l'ho mai fatto
per paura anch'io, e in questo ho sbagliato, e se lo avessi fatto tu mi avresti
visto e mi avresti non dico amato, ma ritenuto possibile. Mi avresti guardato
come si guarda un uomo e rispettato, forse più da lontano ma ci avrei pensato io
ad avvicinarti, in quel caso. Forse dovevo solo baciarti, tanto tempo fa.
Ma puoi sempre farlo adesso, André.
Perché credi che stia appoggiata a te in questo modo? Mi credi così ingenua da
non avere la minima idea di cosa potrebbe passarti per la testa, dopo quello che
mi hai detto, poi, o così fredda da non sentire anch'io il calore del tuo
abbraccio e il tuo odore e il piacere di stare così addosso a te? Non sono mica
di ferro né di ghiaccio, nonostante quello che sembrate pensare tutti. Arrivata
a questo punto e dopo che ne ho viste tante nella mia vita sarò anche vergine
per cause di forza maggiore ma non sono affatto verginale né pura, puoi starne
certo. Non è vero che non ti ho mai visto come un uomo, cosa credi, intanto ti
ho visto nudo più di una volta, se vuoi saperlo, e non solo quand'eri piccolo:
se c'è un'idea platonica di maschio nel mio immaginario è modellata senza dubbio
su te, la qual cosa tra l'altro mi ha reso impossibile modellarla su me stessa.
E poi sì, non voglio pensarci adesso perché pensare non mi ha mai portato
fortuna in amore, ma tante, tante volte ho pensato a te. E mi sono resa conto da
tempo che mi eri necessario come il respiro, che se non c'eri tu era come se mi
mancasse un braccio o una gamba o un pezzo di cuore. Ma tu c'eri sempre, e
grazie a Dio almeno la paura di perderti mi è sempre stata risparmiata, non
cominciare a farmela venire adesso, per favore. Non voglio dire che questo
significhi per forza qualcosa, io non lo so, ma la mia non è stata una vita
tanto normale, sono stata allevata come un uomo e mi chiamano signor Oscar, per
mestiere tiro di scherma e puoi ben concedermi che abbia avuto a lungo le idee
confuse. Fersen mi ha fatto battere il cuore perché ha cercato di sedurmi appena
ha saputo che ero una donna. Ho trovato il coraggio di provare a essere donna
per lui e lui come donna mi ha distrutto, e non importa che mi abbia scopato o
no, sarebbe stata addirittura meglio la prima, almeno mi avrebbe dimostrato che
qualcuno poteva desiderare di farlo solo per il gusto. Ma rifiutandomi lui ha
disprezzato ciò che di più fragile e intimo c'era in me, nascosto con ogni cura
sotto l'uniforme e portato fiduciosamente alla luce perché potesse meglio farlo
a pezzi. Ha colpito in profondità, purtroppo. Non lo ha fatto con intenzione, ma
questo non cambia i fatti. E ora sono qui.
Spezzata delusa ferita e probabilmente me lo merito pure.
Cosa puoi fare di me?
Cosa vuoi fare di me, adesso, André?
Non le ci vuole molto per scoprirlo, perché è come se, a ogni pensiero che ha
formulato, il cuore di André si fosse accostato al suo un po' di più. Volge il
viso verso il suo viso, in un lieve movimento che lui intercetta, come fosse un
segnale in codice o come se anche lui lo avesse voluto fare nello stesso
momento. Le tiene la mano nella sua e si china a baciarla, sfiorandole la
guancia in una carezza.
“Voglio baciarti, amore”.
Lo ha detto lui, in un ansito cupo e dolce mentre coglie il sapore delle sue
labbra. Le sfiora le tempie con le dita intrecciandole ai suoi capelli e ha gli
occhi chiusi e perduti, sospira piano. È un bacio tenerissimo e illogico, senza
passato e futuro, senza spiegazioni. Le labbra di André sono morbide e il suo
sapore è buono mentre le prende per la prima volta la bocca con la sua, e a
Oscar balza il cuore in un battito pieno d'emozione e stupore quando sente la
sua lingua toccarla, in un gesto intimo e audace, dolce e inaudito, che la
sconvolge come il fatto che lui si stia permettendo di farlo così, così a lungo
e con tanto ardore, con desiderio e appassionata naturalezza, perché è la cosa
che più ha voluto fare in tutta la vita, trattandola come fosse da sempre sua.
È un bacio intenso che la cattura e la porta a lui, al suo corpo tremante
nell'abbraccio che la racchiude, che l'accoglie e che la protegge e le fa
sentire un fuoco struggente e languido invaderle il ventre, mentre la sfiora,
mentre le dice che non può fare a meno di lei, quando sono vicini, anche se
questa è la prima e forse l'ultima volta che lo può fare. Anche se dopo si
dovranno lasciare, anche se dopo dovranno ancor più soffrire, per questo. Anche
se la cosa, forse, non ha alcun senso.
***
E adesso, cos'è rimasto di noi, ora che sei steso su questo letto da campo e io
sto piangendo perché ti perdo, ed i tuoi occhi non possono più vedermi e cerco
parole per riempire questi tuoi ultimi istanti con le cose più dolci, amore mio
che sei la mia vita e la mia ragione e sei sempre stato la risposta e il
rifugio, e ora mi dicono che stai morendo, invece, e che te ne vai? Come farò
adesso, senza di te? Cosa farai, senza me, da solo, se te ne vai?
Amore, che non mi hai mai ascoltato, se si trattava di rimanere al sicuro, che
hai fatto tutto pur di restare con me. Una volta che avevo avuto un'idea sensata
io, di non farti venire a Parigi e rimanere a casa, perché potesse curarti tua
nonna, tu, naturalmente, hai detto di no. Se mi avessi dato ascolto, almeno
questa volta, ora staresti bene e non avresti una palla in petto, e io non sarei
qui, ad assistere incredula alla tua morte, in mezzo alla strada, in una piazza
di questa schifosa città.
Non ho potuto nemmeno portarti a casa, nel tuo letto.
Non ho nemmeno potuto dirti fino in fondo quanto ti amo.
Che quella notte, quella notte, amore, quando mi hai dato il nostro primo bacio
nel silenzio commosso della mia stanza, quando mi hai sciolto le ginocchia
tenendomi nel tuo abbraccio e ho sentito tutto il tuo essere trasferirsi in me;
quella notte, quando hai fatto uno sforzo immenso e mi hai lasciato lì sola,
seduta sul mio letto, a vibrare di passione e di desiderio e a pensare che ti
avrei dato immediatamente quello che volevi se tu solo l'avessi chiesto, e che
avrei dovuto piuttosto chiederlo io per non farti andare, supplicarti di restare
con me; quella notte io ho capito davvero cosa potesse voler dire per me
l'amore, ed è stato definitivo ed irreversibile, fin da allora. Te ne sei andato
per lasciarmi libera, perché volevi che avessi tempo, perché non sopportavi che
non ti amassi come mi amavi, perché non ti bastava che ti concedessi il mio
corpo, volevi anche il mio cuore. Ma io quella notte, fin da quella notte, ho
saputo con certezza che mi appartenevi, che ti appartenevo da sempre.
Ho cercato di dirtelo, nei giorni e nei mesi che sono venuti dopo. Ho sempre
cercato di superare la barriera che avevi eretto per proteggermi da me stessa e
da te, perché eri troppo puro, troppo sicuro della grandezza dei tuoi sentimenti
per accettare in cambio qualcosa in meno. Per accettare che mi accontentassi di
te.
E solo con fatica, dopo molto tempo, sono riuscita a convincerti.
Solo ieri notte, che è stata la nostra prima notte d'amore, in mezzo a un bosco,
vicino a un fiume, in una danza di lucciole.
Ho pagato un prezzo altissimo, e lo hai pagato anche tu.
Solo ieri notte, quando ho avuto di nuovo i tuoi gemiti, le tue mani che mi
accarezzavano il viso, il tuo abbraccio forte, e caldo, e fiducioso e fedele, il
tuo corpo dentro al mio e l'abbandono completo del tuo piacere, quando mi hai
sorriso ansimando e mi hai stretto a te, e mi hai baciato di nuovo come quel
primo giorno, ma con un sospiro felice, quando mi hai riempito di carezze e mi
hai premuto sull'erba incalzandomi, potente e languido, e con un grido che hai
spento sulle mie labbra sei venuto in me, solo allora, amore mio, solo allora,
sono stata certa che lo avevi sempre saputo. E che, finalmente, ci credevi anche
tu.
FINE
pubblicazione sul sito Little Corner giugno 2016
mail to: alessandra1755@yahoo.it