Interludio

 

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Non dimenticherò mai il tono della tua voce. Non potrò mai. Non scorderò con quanto trasporto possa essere pronunciato il mio nome. C’era come una gioia tormentosa modulata nel tuo gridare  “André”. Sì, perché l’hai gridato. Non te ne sei accorta, ma l’hai gridato.

E ora sei qui, sul mio petto, piangi, e siamo avvolti dal buio. Le tue braccia mi circondano il collo, il tuo viso si strofina sul mio, il tuo corpo è materia dolce che s’insinua tra le mie mani.

Un minuto, solo un minuto fa, non ti stavo toccando. Un’ora prima di arrivare da te cavalcavo investito dal vento. E ieri... ieri non lo so più.

Che ti  è successo, Oscar? E’ mai possibile che sia vero, quello che sento nel tuo corpo che trema? E’ mai possibile che a questo abbandono io possa dare il nome di amore? Tutto mi sta dicendo di sì, tutto quest’attimo che non ha avuto un inizio, e che non ha fine, tutta l’intensità vibrante di questo abbraccio intorno alle forme conosciute del tuo respiro. Tutto.

Mi sta ubriacando il profumo della tua pelle, che si annoda inestricabile tra i miei sensi, mi ubriaca il tuo pianto sul viso e l’aroma fragrante della tua bocca, così vicina alla mia, che sembra offrirsi perché un mio sussulto arreso la riconosca. Mi sta invadendo il contatto vivo con il tuo seno, così avvertibile sotto la stoffa leggera di questa camicia, premuta su me. Sei tu, e non sei più tu, Oscar.

Non era questo che mi ero imposto, prima di entrare. Volevo esser forte, e più grande delle mie emozioni. Poter dominare, almeno per poco, questo demone che mi dà vita. E invece eccomi, ho già perso la testa, in un istante, con addosso te.

Dove sono stato, tutto questo tempo, che cosa ho fatto? Come ho fatto a non avere vicino la tua presenza, a non sentire come adesso sento il tuo essere in me... cosa mi ha dato la forza di non averti?

Forse il non averti mai avuto, il non sapere cosa fosse la bramosia incontrollata che sento nascere, adesso, dentro il tuo abbraccio, con il tuo corpo così affidato e proteso a me. Forse l’abitudine a questa luce, che da sempre tu avevi e che allora avevo imparato a guardare.

Ma ora non ho difese di fronte a te, questo ritorno è l’inizio o la fine della mia vita.

 

Oscar, la mia Oscar, sei tu... Quante volte ti ho chiamato nella mia notte, quante grida silenziose ho gettato, senza te, dal fondo del mio dolore senza parole. E adesso ti sento e ti  vedo, sei su di me, ricordo  tutto e non ricordo più nulla, e il fiume in piena della memoria si è scatenato, dentro il mio cuore, ha rotto gli argini con un’ondata furiosa, e non rientra più.

Ti ho lasciato due anni fa senza dirti addio, perché non ne avevo la forza. Perché se ti avessi parlato non sarei stato più capace di farlo. Ti ho lasciato con dei fogli straziati sopra i quali avevo inciso il mio amore, con tutto quello che in tutta la vita non ti avevo potuto dire. Ti ho lasciato e sono andato via, senza potermi voltare indietro, perché se solo lo avessi fatto tutto il coraggio non sarebbe bastato. Ho chiuso le porte e non ho voluto seguire alcuna idea che portasse a te, ti ho strappato dalle mie mani che si stringevano per stringerti ancora.

Non l’ho fatto per dimenticarti, sapevo già che non avrei potuto. Avrei potuto più facilmente dimenticarmi, allora, di me. E non l’ho fatto per rifarmi una vita, che non aveva più senso, ormai, e c’era solo un abisso profondo davanti ai passi lontano da te.

L’ho fatto perché ti amavo, perché il mio cuore me lo stava ordinando. Perché non credevo più nell’arrivo di un domani felice, che fosse sconfinato premio per il nostro immane soffrire. L’ho fatto perché avevo perduto anche la disperazione, che un tempo mi lacerava dimostrandomi che ero vivo.

L’ho fatto per te, per lasciarti un’occasione di esistere, un mondo in cui io non c’ero e potessi vivere tu.

Eravamo troppo vicini, allora. Forse anche per amarci.

 

Ma ora sono qui con te, in questa casa che ci ha visti bambini, dove ogni oggetto e ogni prospettiva mi raccontano qualcosa di noi. Sono qui, e sono tornato perché dovevo ritrovare la fede, perché lo sgomento immobile non riusciva a dare fondo al mio cuore.

Sono tornato perché ti ho sentito chiamare, e non saprò spiegartelo mai, ma la tua voce mi urlava dentro, giorno e notte, mi esigeva qui.

Le ho obbedito, come ho sempre fatto.

 

E ti amo.

 

Ti amo sempre, anche più di allora, non ho mai smesso di portarti in me, la stanza è buia ma io riconosco ogni riposto particolare di te. E mi travolge il poterti toccare, senza frenarmi, come tu chiedi, in questo morbido, appassionato abbandono che non ha limiti, nell’offrirsi al mio corpo. Mi sto accendendo, ho sete di te, e tu rispondi in una febbre tremante, e ti stai dando, non ti sciogli da me. Fallo ora, Oscar, o non mi fermerò.

 

No, non farlo, non voglio, non lo fare mai più, non potrei sostenere in nessun modo questo rifiuto. Potevo fino a un attimo fa, quando ti ho visto in piedi nel buio, e ho riconosciuto la tua immagine dentro l’anima, e mi è parso di averti lasciato solo da un’ora. Adesso no, non sono più in grado, non so più nemmeno parlare, dire quello che dovrei. Ora ti ho qui, addosso al mio cuore, marchiata a fuoco sulla mia volontà. Non riesco a fare altro che stringerti, e ogni tuo fremito mi porta più gioia. Oscar, davvero mi ami, Oscar?

Davvero questo tempo perduto ti ha portato a me?

 

Mi sei mancata, non esiste un modo per dire quanto. Mi sei mancata in ogni attimo cosciente di attesa, mentre viaggiavo per allontanarmi per sempre e con la mente restavo ancora da te. Ho cercato di immaginare il tuo volto, per ogni riga e ogni parola e ogni pausa di quella lettera che ti avevo lasciato. Il pensiero mi ha tormentato per tutto il tempo del fuggire da te. E non sapevo se immaginarti soffrire, per consolarmi di essere amato così, o sperare che ti adattassi, ricominciando senza di me. Ma nessuna soluzione era giusta: l’unica giusta eravamo noi.

 

Si può ancora dire noi, adesso?

 

Posso dirlo, perché il mio cuore non è cambiato. Posso dirlo perché ora riesco a sentire il tuo. Sta battendo come impazzito sopra il mio petto, mentre ti aggrappi alle mie spalle con una forza muta, indifesa. Oscar, non farmi piangere, Oscar...

 

Sei sempre tu, sempre la stessa e sei un’altra, che conoscevo e che non avevo mai visto, in questo tenero aderire al mio corpo, ai miei pensieri. Sei la donna che in una vita ho cercato senza trovarla. Mai. Fino a questa notte, che ci scende addosso.

 

Quanto dolore nell’averti perso, lasciato. Quale angoscia i giorni senza di te. Ho lottato con una piaga che sanguinava, ho camminato per mille strade cercando solo di perdermi. Ho combattuto, lontano, con i ribelli, col terrore che tra i soldati ci fossi tu. E mille volte ho voluto tornare a prenderti.

 

 

Il buio.

 

E’ accaduto presto. Quasi subito. Come sapevo. All’improvviso non ho visto più. Ricordo che nello smarrimento ho avuto un attimo di sollievo, perché così, lontano com’ero, non avrei pesato su te.

Era una strada solitaria, in campagna. Mi sedetti, immobile, solo. Rimasi là, per ore, fino a sera.

Poi passò un contadino, mi portò via. C’era entusiasmo e fratellanza, in quei giorni: lo commosse la mia quieta disperazione.

Mi tenne nella sua casa, senza chiedere nulla, per mesi. Avevo un letto, da mangiare. Sua moglie cucinava per me. Mi accolsero senza mai dirmi di andare via.

Una vita da passare al buio, senza sapere dove mi trovavo, con persone sconosciute, senza te. Per sempre.

Non so cosa mi abbia dato la forza.

 

Sono esili le tue mani. Le stai posando, adesso, sopra il mio viso. I tuoi occhi mi fissano intensi e c’è un pianto trattenuto, in questo azzurro che è lo stesso di un tempo ma è più profondo, più difficile, ora. Forse è la notte, che ci nasconde le cose e ce le rivela. Come diventa su di te ogni cosa calda e femminea... come questi vestiti che porti, vestiti da uomo, così semplici nel descriverti sul mio corpo. Quanta gioia c’è in questo tuo dono fiducioso e puro, c’è uno slancio appassionato cui non resisto nel tuo ripetere all’infinito il mio nome. Smettila di sfiorarmi così.

 

Sette mesi, senza vedere, senza di te. Con i miei trentaquattro anni in mano, e un futuro lungo, senza luce, davanti. Pensai di uccidermi. Avevo ancora il mio fucile, accanto. Sarebbe stato facile.

Sette mesi, pensando che fosse per sempre.

Ho rimpianto ogni cosa del mio passato, anche i giorni più stanchi, più disperati, anche i pomeriggi passati da solo, con la paura come compagna sulla torre di questa casa, ad aspettare che il mondo intorno non ci fosse più. Ho rimpianto la tua voce e il sorriso, i silenzi che vivevamo vicino, i contrasti che ci allontanavano, i pericoli affrontati insieme. Se ti avessi avuto accanto in quei momenti, non avrei resistito a tanto dolore: ti avrei invocato, supplicato di restare con me, avrei accettato anche il conforto della tua pietà. Nel buio, da quel buio, senza niente al mondo, ho attraversato un inferno per tornare da te.

 

Un giorno vidi un’ombra, davanti, e le immagini, poco a poco. Sfocate, prima. Poi i colori, le luci.

Troppa fatica per un solo occhio, sentenziò il dottore. Ne avete abusato, il vostro organismo ha reagito. Non fatelo più.

Potevo vedere di nuovo. Potevo vivere. Ricominciare.

 

Mai come in quel momento ho desiderato averti vicino, farti parte della mia gioia. Mai in tutta la mia vita, amore.

 

Ho costruito una casa, Oscar, con le mie mani, ho realizzato attrezzi e mobilio da me. Ho fatto debiti e ho comprato una terra, di quelle che il nuovo stato assegna ai suoi figli. E’ una campagna dolce, coltivo grano. La sera vengono i ragazzi del villaggio: gli racconto le nostre avventure come se fossero storie inventate. Mi portano i libri che trovano, talvolta, tra le rovine dei palazzi dati alle fiamme. I giornali che ormai si pubblicano dovunque.

 

C’eri tu, in uno di quei giornali.

 

Eri bellissima in quel ritratto, lo sguardo che ricordavo, e il corpo esile, la spada alzata. E la scelta che avevi compiuto: l’eroina della libertà...

Io lo sapevo, lo sapevo, pensai.

Ti ritrovai intatta, protetta, dentro il mio cuore, e capii cosa dovevo fare.

 

Sono venuto a prenderti, Oscar. Ti porto con me.

 

Adesso basta, è davvero finito tutto il dolore che ci ha diviso per anni... E’ finito lo strazio atroce di tutti i giorni vissuti insieme, trascinati con le lacrime agli occhi con te dentro e senza di te. E’ un giorno nuovo, questo, per noi, possiamo amarci e dircelo, ora. E questa notte che ci ha riunito, amore mio, questa notte è nostra.

Sì, tu mi ami, adesso lo so, in ogni piega del tuo essere donna, lo sento in questo fremito che accende i palpiti del tuo corpo. Lo sento sopra il tuo viso, tra le tue ciglia bagnate di pianto, nel tuo protenderti appassionato, sulle tue labbra che si volgono a me. Sulla tua bocca che è troppo vicina, e non si ritrae se le accosto la mia... piano, pianissimo, senza parole, non c’è bisogno di usarne più. Con le mie mani ti sto avvolgendo, ti prendo come non ho mai fatto: vieni da me, non temere, amore, io so rispondere a questo muto sì, a questa conferma ripetuta che trema sulle tue labbra, a questo sentirti morbido e intenso tra le mie braccia, a questo fuoco che non devo domare più, all’impulso improvviso che mi afferra, s’impossessa di me, e non posso contenerlo, ti voglio, io ti voglio adesso... è questo, allora, il tuo sapore, è questo.

 

 

Continua (come sempre, forse)...

mail to: imperia4@virgilio.it

 

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