In una lettera
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Una
lettera di André a Oscar.
E’
passata ormai quasi tutta la loro storia, siamo all’epilogo. L’ho immaginata
solo un poco diversa.
Oscar
ormai ha capito di amare André, ma non ha ancora trovato il coraggio di
dirglielo.
André
non lo sa, e, disperato, scambia il riserbo di lei per freddezza: si convince
che il suo amore non sarà mai ricambiato. Dopo lacerante tormento decide di
andare via per sempre.
Le
scrive questa lettera per dirle addio, perché non ha la forza di salutarla.
Oscar
ne sarà sconvolta, e si precipiterà a cercarlo, per fermarlo in ogni modo (ma
questa è un’altra storia...).
Se
qualcuno vuole mandarmi pareri o suggerimenti ne sarò contenta. Il mio
indirizzo e-mail è imperia4@virgilio.it
Non
chiedermi perché, Oscar, me ne vado così, dopo tanto tempo di vita insieme,
dopo tante cose condivise con te. Non chiedermelo. Io sono sicuro che tu conosci
già il motivo.
Ho
aspettato tanto, troppo, prima di prendere questa decisione. Ma fino ad ora
avevo sperato, lottando per scavalcare gli ostacoli o ignorarli, mettendo da
parte tutto quello che mi allontanava da te, che mi dimostrava che non eri mia,
che non lo saresti mai stata.
Adesso,
purtroppo, devo accettare la realtà. Tu non mi ami, non mi amerai mai.
Mi
fa male pensarlo, mi fa male scriverlo, ma devo farlo. Non mi resta che agire di
conseguenza. Potrei forse maledire il destino che mi ha fatto innamorare di te,
che mi ha fatto vedere sempre e solo la donna che è in te. Ma non voglio:
preferisco continuare ad amarti come da sempre ti amo, essere l’unico a non
aver accettato la follia di tuo padre che, avendo avuto una figlia, una donna, e
una donna come te, l’ha chiamata Oscar e l’ha costretta a vivere come un
uomo, a diventare un soldato. Col risultato, mio povero amore, che tu non sai più
cosa sei, perché hai passato la vita a cercare di rinnegare la tua natura,
senza riuscirci, e a renderti conto che non potevi – non volevi – cambiarla.
Ma
sono cose che non dovrei dirti. Tu sei la vittima, in tutto questo. E io adesso
non saprei chi sei, se non fosse accaduto.
Che
senso ha prendersela col destino? Il passato non si può riscrivere e, forse,
anche riscritto farebbe male.
Ti
ho amato da sempre, questa è l’unica cosa di cui sono sicuro. In un modo così
assoluto e definitivo che a me stesso sembra incredibile, a volte. La vita mi ha
insegnato a riconoscere abbastanza quali vuoti insensati copra il nostro bisogno
di certezze e quanto dolore possa dare camminare sui cocci delle proprie
speranze. Ma ho visto anche questo, e non è che questo cambi molto.
Proprio
così, da sempre, anche se mi fa uno strano effetto scriverti – scrivere –
una cosa del genere. Come di un assurdo che sembri perfettamente normale, e
contro il quale non si sia mai pensato seriamente di fare qualcosa.
Da
quando eravamo bambini, davvero: da quando giocavamo insieme, da quando giocavi
a essere un’altra da quella che eri, perché quello che eri non ti sembrava
abbastanza e ancora non sapevi – non sapevamo – che sarebbe stata una
condanna, per tutti e due.
Ti
amo da quando non lo capivo ancora, che ti amavo. E poi anche da dopo, quando ti
vedevo fuggire e avrei voluto fermarti, ma non potevo, e allora ti seguivo.
Ho
amato i tuoi sguardi e il tuo bisogno di carezze, la tua forza e la fragilità
che ti brillava negli occhi, quando io sapevo che avresti pianto, se non avessi
dovuto far finta di trovare il coraggio, e avevi bisogno di due braccia forti
per nasconderti. Erano le mie, quelle braccia, quelle che potevano avvolgerti e
consolarti e spiegarti, e che avrebbero cancellato ogni dolore dal tuo viso, dal
tuo cuore, io lo sapevo e non so perché lo sapessi con tanta certezza. Però
erano le mie, il fatto era questo, fino da allora. E fino da allora ero pronto
ad aprirle, anche se non potevo. Perché eri tu a non volere. A non averci mai
nemmeno pensato, e questo era il peggio. Ma adesso non voglio pensarci.
Non
è colpa di nessuno, quello che è stato, amore mio. Non era possibile che fosse
diverso ed è inutile, ora, cercare una spiegazione. Io ricordo ogni attimo di
te, ogni parola, ogni abbassarsi delle tue ciglia nel silenzio che sapevo
parlare. Ricordo le risa e le confidenze mai del tutto aperte, ricordo ogni
bacio che non ti ho dato e quella notte che abbiamo passato abbracciati, prima
del duello... Ricordo la tua confusione e il desiderio di te e la paura per te e
l’amore, che mi fermava. E ricordo come ti strinsi e quel pianto che ricacciai
dentro e come finsi di sentirmi felice e che desiderai di morire, allora, perché
ero riuscito a convincermi.
Non
è che si possa spiegare tutto, lo sappiamo bene tutti e due. Ed è per questo
che non cercherò di trovare delle ragioni per farti comprendere il mio amore,
per farti capire perché sia così certo che è l’unico giusto e possibile,
per noi. L’unico che ci renderebbe felici. Renderebbe felice anche te.
E’
così, e io lo so, ma non posso spiegartelo. Ti spiegherò, invece, perché me
ne vado anche se ti amo, anche se so che lasciarti mi ucciderà. E ti spiegherò
come ti amo e ti ho amato, come continuerò ad amarti ogni istante, come proprio
per questo debba andare via, perché non potrei accettare da te nulla di meno.
Ti dirò quello che so di noi, con dolore ma anche sollievo, perché non ti
avevo mai chiamato amore, prima d’ora, ed è così dolce poterlo fare. Un
po’ anche forse per dirti addio: e per parlarne con te, amore mio, un’ultima
volta, la prima davvero, senza che tu debba sentire il peso e la necessità di
una risposta che non puoi dare.
E
perché, mentre non ti chiede nulla e si allontana, il mio amore possa vestirsi
di tutto l’orgoglio e la gioia infinita che la sua forza gli dà, sottraendosi
a ogni giudizio, persino il tuo.
So
quanto hai sofferto, Oscar. Io ti vedevo combattere e morire dentro, ti vedevo
piangere da sola. Io ho avuto la fortuna di ascoltare le tue confidenze e di
soffrirne con te, di provare le stesse tue ansie, le tue paure. Ed è stato a
poco a poco che mi sono accorto che non soffrivo soltanto per te: stavo male
anche per me stesso, perché la tua infelicità significava la mia. Perché
avrei dato la vita pur di vederti serena, purché tu non ti angosciassi più a
quel modo. Ma come potevo aiutarti? Il tuo dolore veniva da un tormento segreto,
che neppure a me confidavi mai: sapere che la tua vita era iniziata con un
rifiuto – il rifiuto di un padre per una figlia femmina – e proseguiva
grazie a una menzogna, quella di fingerti un maschio, per tutti. Io ti guardavo
e volevo abbracciarti e pensavo che forse starti vicino poteva alleviare questa
pena.
Non
potevo non amarti, Oscar. E ti ho amato.
Ti
ho amato, sì, di un amore così forte, così totale, così disperato, che ho
creduto di impazzire. Non avrei mai pensato che il sentimento provato per te
potesse portarmi alle soglie del rinunciare a me stesso. Potesse portarmi a
venire con te ovunque, a morire quando non c’eri.
Non
è stato un amore normale. E’ nato diverso dagli altri, e si è rafforzato
nutrendosi di questa diversità. Sapevo che sarebbe stato un amore impossibile,
un amore infelice, sapevo che forse non ti avrei mai avuto, sentivo che mi
avrebbe distrutto. Ma l’ho accettato, perché, ormai, non potevo farne a meno.
Dovevo fuggire subito, se volevo salvarmi: ma fu troppo tardi quando il tuo
sorriso mi entrò nell’anima. Dovevo fuggire quando non ero ancora impazzito.
Quando
compresi cosa mi stava accadendo, non c’era più niente da fare.
E
poi non ti avrei lasciato, comunque.
La
mia vita è iniziata qui, Oscar, ed è iniziata con te: sono cresciuto con te,
in questa casa. Eri la mia amica bambina, sei diventata un’adolescente
bellissima e poi una donna stupenda. Io ti osservavo e ti vedevo cambiare,
diventare sempre più bella, e non capivo come mai nessuno si accorgesse del tuo
passo armonioso, femminile, del tuo corpo così desiderabile, dei tuoi capelli
così morbidi, profumati, in cui così tanto avrei voluto affondare il viso.
Della tua bocca così dolce, che non potevo sfiorare. Dei tuoi occhi azzurri,
profondi come il mare, chiari come il cielo, che specchiavano tutta la gioia e
tutto il dolore del mondo.
Io
ti osservavo e non capivo come mai a tutti sembrasse normale che tu facessi il
soldato, che gridassi ordini tutto il giorno, che combattessi, che ti negassi
all’amore. Eppure era così. A nessuno interessava davvero sapere perché
vivevi in quel modo. Nessuno si chiedeva se stavi male, se ti sentivi donna, se
a volte eri triste. Soltanto a me venivano queste domande. E tante volte mi sono
sentito uno sciocco, perché pensavo a problemi che neanche tu sembravi porti.
Sembravi contenta, così fiera nella tua uniforme fiammante, così sicura di
quello che andava fatto.
E
lottavamo, ci sfidavamo con la spada, ci cadevamo addosso negli assalti. Tu mi
toccavi sempre come un compagno d’armi. Io non ti toccavo più. E quando per
caso ti passavo accanto e ci sfioravamo, le mani indugiavano un po’, prima di
scostarsi, e la tua vicinanza, allora, sembrava un brivido.
Sembravi
sicura, ma io sapevo che non era così. Ho sempre saputo che non eri felice, e
ti ho sempre amato, per questo.
In
tutti i tuoi gesti, in tutte le tue parole, io ho sempre visto la donna
meravigliosa che eri, la stupenda e fragile creatura che ingenuamente si
rifugiava da me quando aveva paura. Il tuo cuore era forte, tu sei sempre stata
forte, lo so: ma c’erano lacrime, nei tuoi occhi, anche se non piangevi.
E
mi chiedevo se tu, in quei momenti, non ti accorgessi di quanto ti amavo: mi
sembrava di essere così trasparente, di dover svelare da un momento all’altro
cosa provavo, e baciarti, e gridarti ti amo. Mi sembrava di morire quando tu eri
con me.
Ma
allora non sapevo ancora cosa ci sarebbe accaduto. Non conoscevo il dolore di
rimanerti vicino, non conoscevo il silenzio delle nostre due vite trascorse
accanto senza incontrarsi.
Ho
dovuto imparare a controllarmi, a dissimulare i miei sentimenti, a trattenere il
mio amore per te. E questo amore, per punirmi, diventava sempre più forte
quanto più io lo tenevo a freno. Mi rubava il sonno, mi torturava. E c’eri
anche tu a torturarmi: così dolce, così triste, così meravigliosamente bella.
E’
andata avanti così per tanti anni, tra esaltazione e disperazione, quando
speravo di poterti trovare e quando sentivo che non era così. Sei diventata la
mia malattia, il mio tormento, ma anche la mia unica ragione di vita. Avrei
voluto abbracciarti, accarezzarti, soffiare via la tristezza dal tuo cuore,
insegnarti il mio amore ed impararlo con te. Ma non potevo. Non potevo, perché
tu non mi amavi, perché tu neanche mi vedevi.
Che
atroce ironia della sorte... Perché ti amavo così se per te non esistevo?
Perché il mio cuore traboccava, accanto alla tua indifferenza? Quante volte me
lo sono chiesto, e quante volte ho dovuto constatare, con amarezza, che non ci
sono risposte per domande come questa. E’ un terribile vuoto che ti pervade,
allora: ti viene voglia di ucciderti, e forse non ti uccidi solo perché ti
accorgi che sei già morto.
Ma
non potevo evitarlo.
Come
non potevo evitare, assurdamente, di continuare a sperare che un giorno mi
avresti amato.
E’
questo che mi ha aiutato e mi ha spinto per tanti anni. Nonostante tutto,
soprattutto nonostante te.
E’
questo che non mi ha fatto morire anche quando ho capito – e l’ho capito
prima di te – che ti innamoravi di un altro.
Non
ti racconto cosa ho provato in quei giorni perché non sono capace: non ho
parole abbastanza per descrivere questo.
Posso
solo raccontarti la sera che ti vestisti da donna, per andare al ballo da lui.
Mi fece paura, quella tua iniziativa: aspettavo di vederti e tremavo, non avevo
pace camminando nervoso nel salone. Cercai di premunirmi dal colpo e mi dissi
che saresti stata ridicola, con un abito lungo. Cercai di riportare tutto alla
normalità, la nostra quotidianità fatta di scherzi fraterni. Ma sapevo che
saresti stata bellissima, e temevo quello che poi mi facesti.
Oh,
Oscar, se la mia vita non avesse avuto un senso fino a quel momento, quel
momento sarebbe stato da solo una ragione bastante. Io ti venni incontro ridendo
e alzai lo sguardo e poi... se ci penso il cuore rallenta ancora... Mi morì,
quel sorriso, sul viso, e poi tu.
E
poi tu, e quel bianco, e tutto intorno sparire, e c’eri solo tu in cima a
quelle scale e io sotto, ed ogni tuo passo era un movimento nel cielo, e le tue
ciglia un battito d’ali sul mare.
E
c’eri tu, e a me mancava il respiro. Sapevo solo farti entrare in me,
lasciarti invadere di stupore la mente.
Io
lo sapevo da sempre, sì: ma vederlo fu diverso, fu altro.
Nessuno
ti ha detto, quel giorno, Oscar, le parole d’ammirazione incantata che
meritavi di udire. Lasciale dire a me, adesso, e lascia che, dopo tanto tempo,
quel momento trovi giustizia per quello che fu. Tu eri una luce che trapassava
l’anima.
E
andavi da lui, così.
Non
ti accompagnai, quella sera, ricordi? Ti lasciai partire con la morte nel cuore,
poi presi il cavallo e lo spronai al galoppo, nel buio. Dove volessi andare non
so, forse a ubriacarmi, all’inizio: ma non lo feci, perché non volevo
dimenticarti. Volevo continuare ad averti in mente, così com’eri in
quell’istante sospeso. Volevo continuare a pensarti, e bere fino in fondo solo
l’emozione che mi davi, la gioia e il dolore, lo strazio. Volevo essere
sveglio, sopportare il pugnale affilato che mi premeva addosso, fino a che fosse
entrato, tutto, nel mio petto.
Lo
feci. Poi, la notte, ti aspettai in segreto, al ritorno. Scendesti dalla
carrozza in silenzio, quasi di corsa, con il velo sul viso. Mi bastò quello per
capire. Tu sparisti nel palazzo buio, la tua finestra si accese. E restò
accesa, fino al mattino.
Io
ti vegliai da laggiù, fino a che non dormisti.
Sapevo
che non potevo far altro, allora. Sapevo che qualunque cosa sarebbe stata
inutile. Che solo tu dovevi decidere, e io potevo soltanto aspettarti guarire.
Per questo mi sono fatto da parte ed ho guardato il tuo amore, ti ho guardato
soffrire. Ho sofferto la tua sofferenza, pazzesco, perché ti sentivo come me,
ti vedevo amare senza essere amata, ti vedevo disperata come io ero.
E
poi anche questo è passato, e forse anch’io ti ho aiutato a uscirne, standoti
vicino.
La
speranza è l’ultima cosa che ti abbandona.
Ma
non resistevo più.
Quando
dicesti che non mi volevi vicino, che non avevi più bisogno di me; quando
tentasti di abbandonarmi e di restare sola, sempre di più, inutilmente; quando
mi accorsi che non ti sarebbe servito fuggire, come tu facevi, allora non
resistei. Non puoi fuggire dall’essere donna, Oscar, perché vuoi fuggire
dall’amore: era questo che volevo dirti, quel giorno.
E
invece ti ho stretto i polsi e ti ho baciato e ti ho spinto sul letto... Non so,
forse le tue parole, forse lo schiaffo che mi avevi dato. Forse la rabbia, la
delusione, l’amore: io avrei voluto carezzarti, e le mie mani invece ti
stringevano. Ti facevano male.
Non
ero più in me, perdonami amore. Io non so cosa avrei fatto se tu avessi
resistito. Non lo so davvero, non ero io a decidere in quegli istanti.
Ma
tu diventasti inerte e girasti il capo e piangesti, e quella passività mi ferì
più di mille rifiuti. Ti rividi donna, fragile, disperata: ritrovai la mia
donna e mi vidi in piedi, di fronte a lei, coi suoi vestiti strappati in mano e
il suo pianto nel cuore, e mi risvegliai, solo allora, da un sogno in cui la
parte del mostro era mia.
Perdonami
Oscar, se puoi. Era dolore, solo dolore, il mio.
Successe
questo, e poi altro. E poi tutto, col tempo, tornò normale. Alla normale follia
di viverti accanto così. Poco a poco dimenticasti, mi perdonasti. Io ti seguii
tra i soldati della guardia e tu lo accettasti, alla fine. Adesso tutto è come
prima, tu vivi come hai sempre vissuto, non mi odi, non mi ami.
Non
posso più vivere così, Oscar. Anche la speranza, alla fine, si è stancata di
me. Ora so che non ti avrò mai, che non potrò mai essere felice con te,
renderti felice. Non posso più accendermi inutilmente a un tuo sorriso,
coltivare per giorni e per mesi il ricordo di una tua frase sfumata. Non posso,
non devo più illudermi.
Me
ne vado per sempre, amore mio. Ti do un’ultima prova di quanto ti amo
lasciandoti libera, e spero che senza di me tu possa essere felice. Lo spero
veramente.
Non
ti faccio colpe di tutto questo, non accusarti di niente. Io ti conosco e so
quanto sei buona e generosa. E’ stata la vita, purtroppo, a non volere che ci
incontrassimo. Non ci sono spiegazioni da dare, è solo questo.
Ma
devo andarmene, perché quello che provo è troppo forte per fare a meno di te:
non potrei vivere un altro giorno con te sapendo che non sarai mai mia. Non
potrei vivere neanche aspettando che prima o poi cada una briciola del tuo
cuore, tra le mie mani: io ti amo troppo, e lo voglio tutto.
Oppure
bisogna che non abbia niente. Cerca di comprendermi, non lo decido io: è quello
che sento, che devo fare. Non posso evitarlo.
Perché
io ti amo, Oscar. E’ dicendoti questo, un’altra volta ancora, che voglio
salutarti, perché tu ricordi che le mie ultime parole rivolte a te erano parole
d’amore, e che il mio dolore nel lasciarti è immenso e inguaribile.
Addio.
André
Continua...
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