Due

 

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Si erano ripresi senza dire una parola, nell’oscurità di quella stanza in cui si trovavano, ora, abbracciati, aggrappati l’uno all’altra, tremando. Qualcosa dentro i loro corpi si era innescato, appena erano stati vicini: un movimento già scritto, che aspettava solo di compiersi. Senza parole si sussurrava un dialogo, adesso, in quell’abbraccio che aveva forzato le frontiere del tempo, portando altrove le loro vite. Un discorso fatto di emozioni, di occhi chiusi e di gesti noti, di silenzi riempiti di memoria, di odori. Di sguardi intimi e mani premute, tenere, ansiose.

Insieme.

Quante volte avevano, tutti e due, immaginato questo momento, sognato le parole da dire, le cose da  fare, per ritrovare la strada perduta. Quante volte avevano costruito discorsi e frasi da pronunciare, chiarimenti e preghiere, per spiegarsi in un solo istante tutto quello che li aveva divisi.

E adesso invece si tenevano, muti, senza alfabeti da usare. E un fremito che vibrava assetato, di carezze e d’amore.

Era stato il tempo a prepararli, ed era il tempo, ora, che scivolava sopra di loro, in un silenzio  emozionato, proteso.

Due anni, una vita lontani. Un momento solo, un abbraccio.

I loro volti accostati, da non poterlo evitare, e un brivido comune, il primo, sulla pelle.

“Oscar...”, e la voce morì in un sussulto, mentre il viso si volgeva al suo, senza lasciarlo, senza scostarsi da quel richiamo. E le labbra di lei, vicine, da poterle trovare. Che si donavano, non come quella notte che il bisogno di stringerla si era fatto crudele, e il desiderio aveva bruciato un bacio feroce, cattivo, sul suo volto smarrito. Come a punirla.

No, era un’altra cosa, adesso, e quel tremare un invito, da non resistere. “Oscar...”

Senza scostarsi, la sua bocca percorse le lacrime amate, a cercarle e a cercarne l’aroma, sulle guance, e  poi più vicino, intorno, come indugiando, trattenendo il respiro per ascoltare il respiro trattenuto di lei. Non è mai stato, così, Oscar, mai come ora. Che sto facendo, che cosa..., e un tremito attraversò il suo corpo, trasfuso a lei, e su quel viso trovò la bocca che lo cercava, incontro alla sua, e la sfiorò quasi  ritraendosi, e la premette piano, perché lei voleva, e rispondeva, adesso. E la prese.

 

E la prese, la baciò a lungo, stretta contro il suo petto, cedendo al desiderio di lei, col sangue che si mescolava dentro in un grido silenzioso d’ebbrezza. La prese e mise in quei baci il tormento del suo amore insaziato, la forza dei suoi anni, e una gioia come di vittoria. Era una passione infinita che sentiva nascere in sé, un ardore che correva il suo corpo sconvolgendo la coscienza, il pensiero. La baciò rendendola sua mentre il fuoco nel camino bruciava, in silenzio, finché la legna morì piano in un bagliore di brace. La baciò dentro quella sala, in cui per anni non l’aveva baciata, come se volesse spiegarle tutto quell’amore perduto, quello che potevano darsi, riprendendosi in una volta sola una vita d’interminabile attesa. La baciò senza fare altro, finché non l’ebbe tra le sue braccia sconvolta, in suo completo potere: e ancora, oltre alle sue forze, oltre al suo dominio di sé, fermando le proprie mani, impedendosi di accarezzarla, di toccare il suo seno, il suo corpo, i suoi fianchi che sentiva addosso. La baciò perché fosse lei a chiedere quelle carezze, a implorarlo di andare avanti, a dirgli che lo voleva, lo voleva da sempre, da sempre. Voglio che tu mi ami. Amami, amami, Oscar. Voglio sentirtelo dire, che tu me lo dica adesso. Dimmelo ora...

 

Sembrava che le avesse parlato, perché fu allora che lei rispose, in un gemito stordito e tremante, sotto quei baci: “Ti amo, ti amo, oh... ti prego, ti prego, André...”. L’aveva bisbigliato in un soffio, in un’onda calda, sensuale, che investiva e scuoteva il suo corpo, ogni suo volere.

La sollevò d’impeto, la prese in braccio, e le mani di lei intrecciate, dietro al suo collo, e il suo viso reclinato, abbandonato sul petto, i suoi capelli e il profumo, il respiro ansante, arreso. La sollevò leggera e la portò fuori del salone, verso la scalinata, in quella casa che conosceva a memoria, al piano di sopra, senza un momento d’esitazione dentro quel buio, senza sbagliare un passo verso la stanza di lei. Varcò senza dire parola quei luoghi noti, entrò in quelle mura che un giorno aveva lasciato, la depose sul suo letto, fu su di lei.

Fuori, il temporale infuriava.

Non si sarebbe frenato, non più. Era quello che doveva accadere, fino da allora. La poggiò sul cuscino con baci ardenti, con la bocca a seguire la linea del viso, del collo, a cercarne, sopra le pieghe della camicia, le forme, stringendole, tra le labbra, sopra la seta.

“André, il mio André...”. Non diceva altro, non esistevano altre parole da dire: si erano visti e poi ripresi in silenzio, due anni ed un incontro, un bacio, su quel letto, adesso, accesi, travolti, pronti, senza avere parlato.

Sei viva, siamo vivi, amore. E il viso che affondava su lei, sul suo seno profumato, a scoprirlo, a slacciare in un tremito le sue vesti con le labbra, le dita impazienti. E la mano scivolata sul corpo, a scoprire la pelle nuda, a sfiorarla morbida, tiepida, dolcemente. E le mani a circondarla, a spogliarla, frementi, poi, senza più la camicia - sfilata, gettata via -, a stringerla, risvegliando di desiderio i suoi sensi. In quel letto, su quel letto che un tempo li aveva visti già insieme, ma separati da un abisso di dolore sfinito, André posava il viso e le labbra sul suo seno, adesso, e le dita sottili di lei s’infilavano tra i suoi capelli. La sfiorava in un tremito che lambiva la carne e la carezzava, ne assorbiva con delicata passione il profumo, il sapore. Lascia che ti baci ovunque, lascia che lo faccia finché la mia bocca non ti strappi gemiti di piacere, lascia che ti carezzi e ti avvolga...

Il suo corpo la copriva come perduto, la sua sete bruciava non più frenata. “Ti ho aspettato tanto, Oscar, tanto...”. Lascia che ti accarezzi, voglio sentirti, sapere com’è il tuo corpo, com’è la tua pelle, lascia che ti tocchi, ti prego. Ti prego, fallo anche tu. Lascia che mi abbandoni al tocco delle tue mani, vieni, ecco...

“André, André, io... io non...”

“Lo so, Oscar”.

Si fermò. Nel suo sguardo acceso brillava una tenerezza profonda. “Anch’io. Tu sei la prima, amore. Eri solo tu”.

La baciò di nuovo, con tanta passione che un languore la strinse dentro, e si sentì portata da un fiume, una corrente calda. La fissò ancora, ed era serio, stavolta, le sue labbra erano morbide, erano vicine. “Tu lo vuoi, lo vuoi quanto me?”

C’era un’eco trattenuta di ansia in quella domanda. Una delicatezza, nel desiderio, che la infiammò.

“Sì -, disse soltanto, inarcando il corpo tra le sue braccia -. Sì...”

“Sarà bellissimo, non temere, amore. Dimmelo ancora che mi ami, ti prego...”

“Ti amo”, mormorò sfiorandolo, adesso, come chiedeva, e percorse il suo corpo con mani lievi, e fu lei a toglier via la camicia che lui portava, per sentire il suo petto nudo contro di lei.

E disse: “Prendimi, adesso, fai l’amore con me. Questa notte per tutte le notti che non ti ho avuto”. E un brivido la percorse, e la sua pelle si tese e il suo respiro si fermò un istante infinito mentre la mano di lui s’insinuava lungo il suo ventre, sotto la stoffa dei pantaloni, in una carezza languida, delicata, esitante. Glieli sfilò in un unico gesto di desiderio. Le accarezzò, le gambe, la pelle, risalendo piano, con gesti intimi, lievi, da farla sciogliere. “Sei bellissima, sei bellissima, amore...”

Era questo, era solo questo, un incontro per toccarsi e trovarsi, per ascoltare il linguaggio dei corpi che vibravano insieme. Un appuntamento fissato tanti anni prima. E’ come se già lo sapessi, André...

Scese con la mano esile, su di lui, e non aveva più timore, adesso. Fu bloccata da una stretta dolce, ma ferma, prima che arrivasse a sfiorarlo. Resisté, si  girò tremante: “Voglio farlo, voglio toccarti anch’io, come tocchi me. Voglio imparare a farti felice, lasciami...”. E lui cedette, allora, e lei lo sentì, e sentì il suo desiderio sul corpo ancora vestito, e la mano di lui premuta, sopra la sua, ora, e il suo capo rovesciato indietro, fremente, con gli occhi chiusi, mentre guidava quel suo gesto tremando, ascoltando i battiti del suo petto. E in un gemito le fu sopra, di nuovo.

Furono baci appassionati e profondi, i vestiti scivolarono via, ed era bello sentirsi nudi entrambi, adesso, sotto il lenzuolo leggero. La pelle a carezzare la pelle, in una febbre bruciante, intimità nuova e meravigliosa, colma di gioia. L’unica frase che mai si erano detti, ripetuta adesso, fino allo spasimo, in un torrente di baci, sussulti. “Ti amo”, e più nessuna paura, nessun dolore nel dirlo, mentre le mani s’intrecciavano ansiose, in una smania struggente. E André con quello sguardo così felice, e i suoi capelli che scendevano su di lei, e c’era un fuoco liquido nel suo grembo, e pensava vieni, voglio sentirti in me...

Allora lui ebbe uno sguardo che non gli aveva mai visto: “Ti voglio”, le disse, e poi “mi vuoi davvero”, le chiese, “davvero...” “Sì”, rispose, “sì, ti amo”, e André sfiorò le sue gambe e le socchiuse piano, e le aprì cercando il suo sesso, ed era come se lo avesse fatto da sempre, non per la prima volta, e si appoggiò a lei, si spinse dentro lentamente, e la prese.

 

Due, erano due, finalmente. Era questo che aveva atteso da sempre. Era per questo che era nata quel giorno, che le era stato dato il nome di Oscar, che aveva lottato contro il destino, spezzata senza pietà dalla vita. Era per questo, per averlo dentro, per avvolgersi intorno a lui, per gemere senza potersi frenare, per sentirlo tremare, morire in lei. Era questo che significava, due. Due anime nate per amarsi. Essersi persi per un tempo eterno e ritrovarsi in un istante infinito. E’ così bello, così bello, André. Sei così attento, e dolce, con me, la tua passione m’invade, adesso, mi stai portando dove vuoi tu. Non fermarti, non fermare il tuo respiro che si è fatto più forte, ora, e trascina anche il mio... non fermarti, non fuggire il mio bacio che ti trattiene, voglio che tu mi dia il tuo piacere, col mio, e sentirti dentro di me quando ti abbandoni, perché anch’io mi sto abbandonando a te, ai fremiti che mi doni, a questa corrente che travolge il mio corpo e ai sussulti che lo stanno scuotendo, a questo grido che mi nasce dentro... oh, André, André...

Come tremano le tue mani sul mio corpo irrigidito, adesso, quanti gemiti silenziosi e felici stai versando nel mio silenzio, ho aperto gli occhi e sto guardando i tuoi occhi chiusi, raccolti, e la tua bocca che freme ed il tuo viso che è così bello, in questo momento... ti prego, fallo, godi di me, restami dentro, rimani adesso... ecco, ora, amore... dammi la gioia di sentirti mio, di accoglierti e custodirti tra le mie braccia, dentro il mio cuore...

Com’è indifeso, perduto, adesso, il tuo corpo abbandonato sul mio, scosso da brividi appena avvertibili. Le ciglia abbassate, sul tuo volto muto, e la tua bocca che è socchiusa e immobile, ora, sulla mia spalla, e il tuo respiro sommesso e caldo, e le tue mani che si sono allentate, dentro le mie. E stai piangendo, piano, sulla mia pelle... difeso, cullato, ancora, dentro di me.

 

Ti amo, lo dico al cielo, alle stelle. A te.

 Proteggerò il tuo riposo, stanotte. Tu sarai il mio.

 

 

***

 

 

Il mattino li  trovò addormentati.

 

Il sole, attraverso le imposte, filtrò nella stanza una luce appena soffusa, mostrando i contorni degli oggetti noti in un’atmosfera di quiete irreale. Oscar si svegliò lentamente, fissando per alcuni minuti i giochi d’ombra disegnati sulla parete. Era una bella giornata.

Girò piano la testa. André giaceva addormentato accanto a lei, il viso abbandonato sul cuscino, i capelli lunghi, intorno, il corpo giovane e asciutto appena coperto dal lenzuolo. Era così bello, André. Non l’aveva quasi guardato, nell’oscurità di quella notte d’amore. Era anche più bello di quando l’aveva perduto. I due anni trascorsi l’avevano reso più profondo, più intenso: bastava vederlo sospirare nel sonno, per capirlo.

Provò una stretta al cuore osservandolo, pensando alle ore appena passate. Era stato tutto così improvviso e meraviglioso, quasi non riusciva a credere che fosse accaduto davvero.

Era tornato, era il suo uomo, adesso. Aveva fatto l’amore con lei con una passione infinita, travolgente, e così naturale, come qualcosa che attendeva di compiersi da una vita, ma che fosse già scritto, disposto, da allora.

Era tornato da lei e ora l’avrebbe portata con sé. Dovunque fosse andato, lei l’avrebbe seguito. Dovunque.

 

André si girò nel sonno, si mosse, si destò poco a poco incontrando lo sguardo silenzioso di lei. Sorrise. “Allora non è stato un sogno”, disse attirandola a sé, tenero, affondando il viso tra i suoi capelli.

Era sempre lui. E lei lo amava, come da sempre.

Oscar si chinò sul suo viso, lo sfiorò con le labbra.

“Non lasciarmi mai più – mormorò carezzandolo col suo corpo, lentamente -. Non potrei sopportarlo ancora, adesso”.

 

I raggi delle ore più tarde li scoprirono a fare l’amore.

 

 

Fine

mail to: imperia4@virgilio.it

 

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