Agenzia matrimoniale
parte seconda
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Dove
due intrepide e caritatevoli autrici si avventurano nell'arduo e periglioso
cimento di un'impresa mai tentata prima: dare una risposta plausibile
all'insoluto enigma dell'eremitaggio di Alain. E, spinte da pietosa misericordia
nel constatare che il Nostro si ritrova alla fine inesorabilmente solo e
sperduto ad onta dell'ipertrofia cardiaca e del metraggio pettorale,
nell'impossibilità tecnica di procedere a un'adozione congiunta, si mettono
d'impegno nella parimenti impossibile missione di trovargli una moglie.
La
vicenda – per evitare sacrileghe profanazioni della storia originale e
conservare un minimo di decenza - è ambientata ai giorni nostri, e si dipana
lungo le pagine di diario vergate simultaneamente dai protagonisti ignari di
quali trame si svolgano alle loro spalle. La responsabilità di quanto contenuto
nel diario di Alain è da addebitare a Elisa, quella del diario della di lui
presunta metà ricade invece in toto su Alessandra.
5
ottobre 2002 orario improprio della notte in cui dovrei essere a dormire perché
domani sono di turno. Insomma, non so se mi conviene incazzarmi, ringraziare,
fare l’indifferente o che. Francamente stavolta non so proprio che cosa
pensare. Di situazioni strambe me ne sono capitate tante in vita mia e di solito
me la cavo sempre alla grande. Con le donne poi vado da dio. Tanto di solito per
quello che me ne frega… Boh. Ho sonno e c’ho un casino in mente che non
basterebbe un esercito di massaie a mettere ordine. Provo a dormire.
A
dormire non ce la faccio. A ‘st’ora non posso manco chiamare nessuno per
uscire e in fondo non c’ho voglia di vedere nessuno. Di mettermi a fare la
ronda per strada non se ne parla: già sufficiente quella che faccio per lavoro.
Però ho pensato che non mi incazzo, tanto non ne vale la pena. E poi in fondo,
se proprio non volevo, sono abbastanza grande da dirlo o farlo capire: non
l’ho fatto e mo’ m’attacco.
A
pensarci bene neanche mi è dispiaciuto tanto. E così magari se la smettono
anche di dirmi che sto diventando un orso.
Non
è vero che sono un orso. Se ho 33 anni e ancora non ho mai avuto una storia
abbastanza seria da presentare in pubblico non è perché sono orso. E
un’altra questione.
Beh,
alla fine siamo anche stati bene. Io non ci avrei mai creduto. E’ incominciato
tutto così strambo che a me mi pareva tutto uno scherzo o una cazzata. E poi
quei due misà proprio che da quando si sono sposati si sono rotti i coglioni ad
avere il moccolo tra i piedi e cercano a tutti i costi di accompagnarlo. Ma non
sanno ancora quanto io sia un osso duro. Molto duro.
Ma
dico! Ma che cazzo hanno da impicciarsi! E io coglione che gli do retta. Anche
perché adesso lei chissà che si
crede, poverina. Non che non siamo stati bene assieme, anzi, alla fine eravamo
tutti e quattro rilassatissimi e sembrava che cenassimo assieme da una vita. E
anche Manuela è stata brava a chiudere l’argomento Lady Oscar dopo solo 20
minuti perché di solito, se attacca, è buona di andare avanti una serata
intera se c’ha qualcuno che gli dà corda. Quando Nadia è arrivata, e Manuela
dopo 10 minuti gli ha chiesto se gli piaceva Lady Oscar, e lei ha risposto di sì,
tanto addirittura, io ho pensato che eravamo proprio fritti. Già mi immaginavo
la fine serata: gli uomini a videogiocare e le donne a urlare e ridere come
scalmanate assatanate. Quando c’è anche mia sorella puntualmente succede così:
deve essere la mia persecuzione quella di circondarmi di femmine matte come
cavalli in calore per quello sfigato d’un orbo. Che poi Nadia ha detto che gli
piace di più Alain. E lì ho detto: alè, è finita: adesso gli spiattella la
questione dei soprannomi e io potevo anche andare ad annaffiare i gerani che
tanto non cambiava nulla. Andrea se la prende con più filosofia: a sentirsi
dire sempre le stesse cose si vede che non le ascolta più. O peggio ha finito
per divertirsi anche lui. Che merda. Per fortuna l’argomento è stato chiuso
subito, se no giuro che la prendevo a sberle. E me ne fotto se è una femmina. E
Andrea rilassato come un papa satollo.
Ma
tanto è inutile che m’incazzo: quei due stanno contenti assieme ed era anche
ora che ci stessero come si deve. Delle volte c’ho paura che la mia sia tutta
invidia. Ma mica mi posso incazzare se i miei amici stanno bene e sono contenti.
Anche perché alla fine ci siamo amalgamati. Nadia è una che sembra tutta
timidina ma anche lei viaggia in quarta. Solo che si nasconde. Comunque è stata
alla conversazione e non siamo stati mai zitti. Io e Manuela ci siamo beccati in
continuazione come al solito, Andrea lì pacifico e sereno, bello come il sole.
Che l’ho visto come Nadia lo guardava. E Nadia che faceva domande,
chiacchierava, raccontava della capitale. Vabbè che avevamo sbevacchiato un
po’ tutti ma alla fine siamo stati bene. Che non l’avrei mai detto quando mi
sono fatto convincere a chiamarla per invitarla a cena a casa loro. Un uomo che
invita una donna perché si è fatto convincere e la prima volta la porta a cena
a casa dei suoi amici. Un genio! La cosa più cretina che si potesse fare. O mi
sono rammollito o non so più come si combina con una donna. E io che neanche ci
volevo combinare nulla con lei. E
alla fine non c’ho combinato nulla. Ogni tanto mi viene il dubbio che mi si
siano smosciate le palle. L’ho riaccompagnata a casa e basta. Ci siamo
salutati e basta. Lei mi ha fatto: “ci sentiamo?”. Io gli ho riposto di sì,
ho ringraziato della serata e basta. Devo essere rincoglionito. E dire che si
era tolta quella montatura, aveva le lenti a contatto ed è davvero bella. Non
una di quelle che ti giri per strada a guardarle, tipo Manuela, ma una di quelle
che è bello guardare da vicino e a lungo. Bella, alla fine. E decisamente
simpatica. Ma sono io che sono strano. Forse sono un coglione. Ma proprio non me
la sono sentita di infilarmi in una storiella da sabato sera e domenica
pomeriggio.
Boh?
Devo essere invecchiato. O forse sono davvero un orso. Ma mo’ finalmente mi è
venuto sonno. Sono stracco.
5 ottobre 2002, ora tarda della notte ma tanto a
letto lo so che non ci vado senza i cazzeggiamenti regolamentari quindi tanto
vale che mi tolga il pensiero subito.
Sono a casa, mi ci ha appena riportato Nicola.
Mi ha telefonato e mi ha invitato a cena. Non da soli, ma a casa degli amici
sposati, quelli incontrati al supermarket. E’ stata una bella serata, non
credevo nemmeno. Eppure c’è qualcosa che non va, lo sento: ho gli anticorpi
in stato di preallerta, e ormai sono abbastanza esperta delle mie reazioni per
sapere che gli anticorpi non sbagliano.
Dunque, cerca di fare il punto, cara Nadia,
perché sennò ti ficchi in uno dei tuoi soliti casini e ne esci con le ossa
rotte, cosa vivamente sconsigliabile dati gli ultimi recenti disastri.
Punto primo: quest’uomo ti piace, e
tanto, anche. Quando hai sentito la sua voce al telefono e hai realizzato che
era lui ti è saltato il cuore in gola senza alcuna motivazione logica, e questo
ancora prima di domandarti come cavolo facesse ad avere il tuo numero e
soprattutto come gli venisse in mente di usarlo per invitarti a uscire. Potevi
pure denunciarlo per violazione della privacy o peggio, per quanto ne sapeva
lui: però ha chiamato lo stesso. Del resto andava abbastanza sul sicuro, visto
che gli fai le lastre dalla prima volta che l’hai visto, e tra parentesi
bell’idiota che sei.
Punto secondo: non è affatto chiaro se tu
piaci a lui, altra cosa abituale quando si tratta delle tue storie, quindi
vedi di restare bene ancorata al terreno perché un invito a cena con gli amici
non significa un accidenti di niente, e questo ficcatelo in testa una volta per
tutte che è molto meglio per la tua salute e per l’avvenire scolastico della
III B.
Punto terzo: è abbastanza chiaro che a
questi amici da cui ti ha portato tiene parecchio, sia a lui che a lei, e
che è proprio questo il problema. Per Andrea si farebbe tagliare un braccio, si
vede a un chilometro, e del resto è ricambiato. Ma pure a lei vuole bene, e
questo è un tantino più preoccupante, perché lei è femmina. Ergo, posto che
l’amicizia tra uomo e donna senza complicazioni sentimentali è un’utopia
alla quale se dio vuole hai smesso
di credere da un po’ di tempo a questa parte, ne consegue con tutta evidenza
che a Nicola Manuela piace. Gli piace ma sa benissimo: a)
di non avere alcuna speranza; b) di non doverci nemmeno pensare perché
sarebbe sbagliato. Infatti probabilmente non l’ha nemmeno ammesso con se
stesso, anche se non può fare a meno di scoprirsi beccandosi continuamente con
lei. Ricordati bene quest’ultima cosa, cara Nadia, che riesci a vedere
finché ne sei fuori, ma che non vedrai più quando e se, essendo più
coinvolta, ti caleranno le fette di prosciutto sugli occhi.
Punto quarto: quanto esposto sopra conduce
indiscutibilmente a una conclusione sicura, e cioè che se ti imbarchi in una
storia del genere a capofitto come il tuo solito stavolta ti rompi l’osso del
collo e pure di brutto, perché non sei abbastanza forte per reggere
un’altra mazzata e stavolta in piedi non ci caschi neanche se ti metti un
paracadute.
Punto quinto: ne hai le palle piene di andare
dietro a uomini ai quali magari piaci ma comunque non abbastanza o non quanto
gli piace qualcun’altra col pensiero della quale ti tocca sempre convivere
anche se è meno bella, simpatica e intelligente di te. Oltretutto poi questa è
sia bella sia intelligente sia simpatica e ti ha fatto un’ottima impressione
fin dall’inizio: anzi magari, hai visto mai, è l’amica che non hai mai
avuto e che potresti finalmente avere, e a conti fatti è molto meglio trovare
un’amica vera che buttarsi in un’altra sciocca storia da adolescente a
trent’anni suonati.
Questo è quanto, signora maestra, e tienilo
bene a mente, per favore.
Tutto il resto, il sorriso come gli è brillato
negli occhi quando ti è venuto a prendere, il profumo di dopobarba che stai
tuttora annusando perché il tuo soprabito era vicino alla sua giacca
sull’attaccapanni, la cortesia un po’ maschile e un po’ timida con cui ti
ha aperto la porta della sua macchina, il suo modo di guidare così tranquillo e
sicuro, la battuta che ha fatto al telefono quando ti ha invitato, che ha fatto
volare via l’imbarazzo e vi ha fatto ridere come se vi conosceste dalla
nascita; la corazza ruvida e disillusa sotto cui tu già hai visto una
sensibilità, un’anima, un desiderio di carezze e d’affetto che non ammetterà
mai neanche se lo minacci con una pistola, lo sguardo che ti ha rivolto prima di
salutarti mentre ti guardava negli occhi anche se ti diceva solo grazie per la
serata e basta, e a te è sembrato che in quello sguardo ci fosse tutta la
storia della tua vita e anche prima, il suo modo pieno di fascino e sobrio di
comportarsi da gentiluomo anche nei gesti più naturali, perché è uno di
quelli che gentiluomini sono dentro e non hanno avuto bisogno di prender lezioni
per diventarlo; il modo in cui ti ha fissato due o tre volte durante la cena,
mentre gli altri erano distratti o parlavano, un modo profondo e come staccato e
diverso da tutto quello che si deve esser di solito, ma vero e soltanto tuo, e
soltanto vostro, solo in quel momento; l’espressione di ammirazione che gli
hai visto sul viso quando sei scesa con quel vestito che non era niente di
sconvolgente, va bene, ma non era l’uniforme da maestra con cui ti aveva visto
fino a quel giorno; il fatto che non ci abbia provato alla prima sera, che
poteva magari anche essere che non gli piaci tanto da provarci, ma che tu non
puoi fare a meno di leggere e sentire come qualcosa di più, come rispetto,
magari, o attenzione, come se non ci avesse provato perché forse potresti
piacergli molto, invece; le sue mani grandi, e belle. I suoi gesti spontanei, e
così essenziali nel loro silenzioso controllo; la forma delle sue labbra, a cui
lui certo non ha mai pensato di dare il minimo peso; il colore dei suoi occhi,
che è rimasto impresso nella tua memoria perché è bellissimo, anche se non
sapresti proprio dire che colore è; tutto questo, Nadia, ricordatelo, non è
affatto ciò che è successo davvero. E’ solo, è soltanto, stasera, ciò che
hai creduto di vedere tu.
LETTERA DI MANUELA AD ANDREA CON
DATA IMPRECISATA
Eccellentissimo signor marito, mi
prendo la libertà di scrivervi questa missiva onde riferirvi un accadimento
avvenuto durante l’operazione di oggi alle scuole elementari. Come certamente
saprete dal verbale allegato, ci trovavamo, io e il mio carissimo commilitone
Lassalle Gerard, alle scuole elementari “Cesare Beccaria” site in via
Giuseppe Parini, 89. Svolto lì il compito per il quale eravamo stati chiamati
(vedi verbale allegato), incontro in sala insegnanti madamigella Nadia. Questo
avvenimento mi ha permesso di intavolare con la sunnominata madamigella un’argutissima
conversazione in materia degli esponenti del comunemente detto sesso forte e di
un individuo in particolare tra questi: trattasi del nostro comune amico
l’eccellentissimo cavaliere Alain de Soisson. Seppi dalla suddetta madamigella
che l’egregio cavaliere non l’ebbe più rivista né cercata dalla lontana
sera che desinarono con noi. Se uniamo questo fatto a quello che l’onorevole
personaggio in questione si è fatto ancora più orso, che non cerca più
neanche noi se non siamo noi a cercare lui, che questo suo atteggiamento dura da
quando gli abbiamo comunicato che ci sposavamo e che mi pare peggiorare sempre
più verso la chiusura totale, che è un bel po’ di tempo che non fa venire
neanche sua sorella a casa sua, ebbene, eccellentissimo marito mio, mi sono
presa la briga, in virtù dei suddetti motivi, di preoccuparmi per lui. Io e
Nadia ci siamo poi trovate a prendere un caffè. Lei mi sembra sinceramente
interessata al nostro eroe: io ho avuto piacere a parlagliene e lei ad
ascoltare. Mi ha fatto ridere che avesse il dubbio che il nostro Alain fosse
felicemente accoppiato! Poi alla fine abbiamo appurato che era la piccola Diana:
una volta li aveva visti insieme in piazza. E mi ha fatto tenerezza Nadia che
sembrava sollevata. Le ho raccontato un po’ di lui, del fatto che avrebbe
voluto studiare e invece gli è toccato mantenere la famiglia, di quanto ha
sofferto quando Diana si è ammalata e di quanto ha lottato per farla uscire, di
come l’ho conosciuto io quando la sorella si è sentita male prima di entrare
in cura, visto che è stato amico tuo prima che tornassimo a vivere nella stessa
città e ci ritrovassimo, che io potessi mettermi la divisa e prima ancora che
ci mettessimo assieme eccetera eccetera. Forse ho sbagliato però mi sono
lasciata prendere la mano e lo sai quante poche volte mi capiti di lasciarmi
andare a raccontare di me e delle persone che mi stanno a cuore, specie con
delle donne. Non so. Non che così si riesca a farlo uscire di casa se non vuole
ma almeno mi sono sfogata io. Però Nadia mi sembra una persona in gamba, una di
quelle che sembrano fatte apposta per ascoltare le persone e sostenerle con
discrezione. Se è riuscita a cavare fuori da me una valanga di parole dopo due
volte che la vedo, magari con un po’ di impegno forse può farcela anche con
lui. Comunque le ho dato il mio numero e le ho detto di chiamarmi, se vuole. Lei
mi ha dato il suo. Non ti dispiace, vero, se qualche volta ci vediamo io e lei?
E poi, accidenti, anche se ti dispiacesse, ti arrangi e ti attacchi: tanto hai
il tuo Urban Terror e il tuo Mac a tenerti compagnia! Te, le mele, e i computer
con la mela. Mi ritengo gelosa. Sappi che se non ci fossero le donne gli uomini
sarebbero schiavi del computer!
Eccellentissimo marito vi saluto
e vi bacio.
Oscar
RISPOSTA DI ANDREA A MANUELA
Eccellentissima signora moglie,
in seguito alla vostra missiva mi sono sorte alcune domande che mi accingo ad
esporvi:
1)Mi chiedo se vi divertite
ancora così tanto come ai bei tempi a lasciarmi lettere sulla scrivania o banco
scolastico che dir si voglia invece di lavorare o seguire lezioni. Non che mi
dispiacciano, intendiamoci, ma ho ancora gli incubi che un certo prof. di latino
sbuchi dall’alto della mia testa distratta per te e renda pubblica la
corrispondenza, in particolare le mie risposte, a tutta la classe. Tu hai riso
quando lo sei venuta a sapere, perché figuriamoci se ti sbilanciavi, ma per me
è stato un trauma.
2)Mi chiedo in effetti se, “per
errore”, tu non abbia visto troppe volte Lady Oscar tanto da confondere nomi e
luoghi. Nel caso, sono sempre a tua disposizione per ricordarti che siamo in
Italia nell’anno del Signore 2002, che Gerard Lassalle è stato registrato
all’anagrafe col nome proprio di Marcello e un mucchio di altri particolari
che possono in effetti sfuggire se si hanno più gravi pensieri. Ricorda: se non
ci fossimo noi uomini tu saresti schiava di Lady Oscar.
3)Sei sicura che Oscar, del cui
nome e personalità ti sei indebitamente appropriata, fosse una ruffiana esperta
in affari di cuore? No, perché, sai, a me certi particolari possono essere
sfuggiti ma tu indubbiamente conosci l’Opera molto meglio di me. Attendo
delucidazioni in merito.
Ti prego non arrabbiarti:
scherzo. Rinnovo la proposta di un led luminoso sulla mia fronte a grandezza
autostradale che ti indichi senza ombra di dubbio quando parlo sul serio e
quando no.
Ciò premesso, mio dolcissimo
amore, ritengo che riguardo a Nicola tu abbia pienamente ragione. Si è richiuso
troppo in questi ultimi tempi. Siamo d’accordo che gli orsi vanno in letargo
tutti gli inverni ma lui un orso non è. Si è praticamente congelato da quando
ci siamo sposati. Forse si sente di troppo. O meglio (anzi, peggio) si sente
solo. Sai che mi ha detto che la sorella per telefono gli parla sempre di un
ragazzo che vede a lavoro? Non ti dice nulla questo fatto? Una di queste sere
gli piombo in casa a controllare la situazione. Preoccupa anche me.
Quanto al fatto che hai parlato
di lui e di Diana a Nadia non ci vedo nulla di male se il farlo ti ha
tranquillizzata. E poi udite udite! Manuela “il fiore di ghiaccio” (cito a
memoria l’Opera Eccelsa, scusa) che si lascia andare con una femmina. Questa sì
che è una novità! Novità che in effetti mi rende molto contento. Vi avrei
voluto vedere! Quanto poi al numero di telefono: certo che ho qualcosa in
contrario. Lo sai no, che tutte le tue relazioni umane devono passare al vaglio
del mio superiore cervello maschile.
Ok, lo so che adesso sarai su
tutte le furie ma ti prego, permettimi di sdrammatizzare: tanto so anche che
sarai lì a farti degli sturbi mentali su quale funesto presagio possa essere
questa tua falla nell’armatura d’acciaio, questo indizio di un animo
femminile pronto a passare serate intere a parlare fitto fitto vicine vicine di
quanto siano stronzi gli uomini, o quanto interessanti, a seconda del periodo
del ciclo.
Bene, a questo punto mi aspetto e
temo l’ascia di guerra dissotterrata. Spero di no in verità perché invece ho
molta voglia di stare da solo con te senza carte, cellulari, ricetrasmittenti e
testimoni vari di mezzo.
Ti amo e ti bacio mia dolcissima.
Andrea
P.S. E speriamo che queste
lettere non vengano mai rese pubbliche: ho una reputazione da difendere, anche
se sono un carabiniere.
P.P.S.S Ma perché mi scrivi col
tono di una gentildonna? Oscar non era un gentiluomo?
P.P.P.S.S.S. Ti amo tantissimo.
21 ottobre 2002, lunedì.
Alla fine è successo proprio questo: sono
diventata amica di Manuela, e lui, invece, non l’ho visto più. Non mi ha
chiamato da quella sera, né io ho chiamato lui, anche se diverse volte sono
stata sul punto di farlo e tutte le volte che ha squillato il mio, di telefono,
il primo pensiero è stato che fosse una telefonata sua. Ma ben mi sta, così
imparo a non tenere i piedi per terra e a partire in quarta al primo
appuntamento.
Manuela, invece, l’ho incontrata una settimana
dopo. Era di servizio, perché qualche buontempone si era introdotto nottetempo
a scuola, divertendosi a sigillare col mastice tutti i cassetti della
direttrice: così è stato inevitabile denunciare la cosa, ed è arrivata
proprio lei, insieme ad un collega, per i rilievi del caso. Ci siamo incontrate
in sala insegnanti, dove io facevo la pausa e lei passava per ispezionare i
locali. E’ stato bello vederla: non so, forse un po’ anche perché mi faceva
pensare a Nicola, è vero. Ma comunque, alla fine eravamo solo noi due e ci
siamo messe a parlare. Ha una conversazione piacevole e aperta, senza fronzoli
ma molto garbata: apprezzo questa sobrietà in una donna, questo non esser
minimamente sfiorata dalla diffidenza che di solito inquina e rende poco gentili
la maggior parte dei rapporti nel gentilsesso. Ma questa, vabbè, è una
fissazione mia.
Abbiamo parlato, guarda caso, di uomini. Di un
uomo in particolare, per l’esattezza, e non so dire se sia stato un bene o un
male. Perché senza saperne nulla era più facile archiviare la cosa come
“storia finita ancora prima di iniziare”, piccolo incidente di percorso
senza strascichi eccessivi scaturito come di consueto dalla mia esagerata
tendenza ad attribuire significati a cose che di significato non ne hanno.
Invece così è un po’ più dura, perché mi ha detto delle cose di lui. E mi
sa che era meglio se non le sapevo, perché sono cose che corrispondono in pieno
all’idea che me n’ero fatta, cose che me lo fanno apprezzare anche se da
quel giorno non mi ha chiamato più. Che ha dovuto arruolarsi giovane per
mantenere la famiglia, che avrebbe voluto studiare, ma non ha potuto. Che ha una
sorella minore cui è legatissimo e per la quale si è preoccupato tanto, in
passato, perché si era ammalata di anoressia a causa di una delusione
d’amore. Ed era proprio lei, Diana, la ragazza con cui camminava per il corso
quel giorno: sapere che era sua sorella e non la sua fidanzata mi ha sollevato
senza un perché, e non sono riuscita a evitare che lei lo vedesse.
E’ stato proprio per la malattia della sorella
che Manuela ha conosciuto Nicola, ancora prima di sposarsi e di indossare la
divisa: la ragazzina aveva avuto un collasso e stava in ospedale, e lui ha
chiamato Andrea agitatissimo. Ci ha trovato Manuela: lei si è precipitata lì,
poi ha anche aiutato Diana, l’ha convinta a entrare in un centro
specializzato. E’ così che è guarita, e che sono diventati amici.
Comunque tutto questo con me c’entra poco:
c’entra semmai col perché Nicola è legato a Manuela.
Siamo anche andate a prendere un caffè. Lei mi
ha detto che non devo farmi una cattiva idea di Nicola, nonostante come si
comporta: dice che è sempre più chiuso e solitario, da un po’ di tempo a
questa parte, e che questo riguarda tutti quelli che conosce, non solo me. Non
chiama più nemmeno loro, e questo dura più o meno da quando si sono sposati.
Lei dice che forse si sente di troppo, io mi chiedo se abbia capito perché.
Ci siamo sentite diverse volte da allora: è
simpatica e poi ho sempre la sensazione che con me si apra molto più di quanto
non si apra di solito con altre donne. Sembra una che ha iniziato a scoprire non
da tanto tempo i piccoli piaceri dell’appartenere a questo sesso, e li
apprezza con entusiasmo sincero. E’ un tipo un po’ come me, in effetti,
anche se io sono più scettica, ma la colpa è della situazione. Me l’ha
chiesto, cosa mi è successo, e io volevo anche dirglielo, ma non sono riuscita
a confidarmi lo stesso, fa ancora troppo male e non voglio ricordare quelle
cose. Sono cose che non ho risolto venendo via, me ne sto accorgendo adesso,
purtroppo, ed è troppo difficile parlarne. Sarebbe semplice, in effetti,
basterebbe dire: “gli uomini che ho creduto di amare non mi hanno amato, e
questo mi succede spesso, probabilmente per colpa mia, perché sono io che li
costruisco come vorrei che fossero e non come sono”. Tutto qui. Semplice. O
meglio, sarebbe semplice se fossi riuscita a capire dov’è che sbaglio e come
non fare ancora gli stessi errori. Invece non ci riesco, e anche Nicola che
praticamente è uno sconosciuto ne è la prova.
Lei mi ha detto che potrebbe parlargli di me, io
le ho detto di non provarci nemmeno.
22 ottobre saranno le quattro di
notte. Il 23 ottobre.
Sto ciucco. Sto proprio ciucco.
Sono ciucco, stronzo e testa di cazzo. Un imbecille di un metro e novanta che
non c’ha un cazzo di meglio da fare nella sua vita che andare a trovare degli
amici, che poi sono gli unici amici che c’ho, che non mi facevo vedere da un
fracco di tempo, e quando mi faccio rivedere tratto a pesci in faccia Manuela.
Che proprio Manuela è l’ultima persona al mondo che uno si può permettere di
trattare a pesci in faccia: come la peggio casalinga frustrata di ‘sto porco
mondo. Che proprio lei frustrata non è per niente e anche se c’ha avuto un
sacco di casini in vita sua non s’è fatta mai mettere i piedi addosso. Poi
arriva un coglione di un metro e novanta che va anche dicendo di essere suo
amico e la tratta come penso non s’è fatta mai trattare da nessuno. E tutto a
lei gli si può dire tranne che è impicciona, ruffiana, e che fa la serva al
marito o che è diventata una merda da quando si è sposata, che è caduta
proprio in basso. E’ diventata tanto più bella da quando si è sposata. Sta
tanto più tranquilla. E poi a lei nessuno gli ha mai regalato niente e se
gliel’ha fatta finalmente a stare un po’ tranquilla io dovrei essere solo
contento per lei. E invece le ho strillato in faccia che è scema due volte
perché è carabiniere e pure femmina, che mi deve passare lontano. Cretino.
Cretino che sono. Quindici sberle mi doveva dare, non una sola. E tutto ‘sto
casino solo perché gli è scappato di dire che era arrivato un messaggio di
Nadia, che manco a me diceva, ma a Andrea. Che Andrea è il marito e c’avrà
pure il diritto di digli quello che gli pare. Che cazzo, non sono fatti miei!
Non sono fatti miei quello che si dicono loro. Proprio no. E se Manuela sta
sparecchiando che cazzo starà facendo di male! E’ bella, è intelligente, sta
finalmente contenta, stanno contenti tutti e due, non sono fatti miei.
23 ottobre 2002 alla mattina
Allora, mo’ è mattina e spero
proprio di essermi ripigliato. Mi sono fatto una doccia fredda e mo’ provo a
pensare seriamente e no a matto come ‘sti giorni passati. Che poi mi conviene
ripigliare una cosa alla volta e cominciare dalle più semplici.
Che ieri sera ho scazzato, questo
si era capito. In termine tecnico si dice “cagare fuori dal buco”. Non fa
molto fine dirlo ma rende l’idea. E poi io non sono mica un fiorellino di
campo.
Se c’è una cosa che m’ha
sempre rotto le palle sono le seghe mentali. Quei bei pipponi da femmine che uno
dice ma vai a lavorare, vai a trombare, fai quello che cavolo ti pare, impiccati
se ti fa piacere, ma smetti di rompere l’anima al mondo intero. Che poi il più
delle volte sono benemerite cazzate. Che uno dice: ma dimmi tu se ‘sto qui si
deve mettere a ululare alla luna perché c’ha l’unghia incarnita! Un po’
di vanga non farebbe male.
Stavolta però la vanga tocca
pigliarla a me, anche perché se calo ancora più in basso c’è rimasto solo
da scavare. Venti giorni di seghe mentali per una cena con i soliti noti e per
una donna che avrò visto tre volte in tutto, anche se sono state tre volte
interessanti (e già è strano), mi sembrano decisamente troppi. E questa è già
una delle cose che devo riassettare. Per ieri sera poi…
SMS
DI NICOLA A MANUELA 23/10/ 2002 h.10:57
Scusa.
Ho esagerato. Per SMS fa schifo dirlo. Posso passare dopo? Ciao. N.
23 ottobre 2002, mercoledì.
Oggi è mercoledì e sarebbe un giorno
qualunque, ma io mi sento strana perché è successa una cosa, e non so se
essere felice o scappare.
Uscivo da scuola a mezzogiorno e mezza, anzi,
qualche minuto dopo, perché mi ero attardata in classe a guardare i compiti dei
bambini. Avevo la borsa piena di quaderni e il soprabito su un braccio perché
era caldo quasi come una giornata estiva, e libri e cianfrusaglie di tutti i
tipi in una busta di plastica perché avevo fatto pulizia nel cassetto, ed ero
indaffaratissima ad arrivare alla macchina prima che mi cadesse tutto
sparpagliandosi a terra. Dovevo avere una faccia proprio cupa nonostante il bel
tempo, e avevo appena attraversato la strada, camminando senza guardarmi
intorno. Ma lui l’ho visto, perché era proprio davanti a me.
Nicola, proprio lui, dopo quasi venti giorni.
Fermo davanti a scuola, in borghese. Aveva un’espressione seria, ma quando mi
ha visto ha sorriso. “Ciao”, ha detto. Io mi sono fermata. Ho cercato di
recuperare dal repertorio una faccia il più possibile normale e serena, e non
è stato facile: “Ciao, cosa fai da queste parti?”, ho chiesto. “Aspettavo
te”, ha risposto semplicemente, e il sorriso che avevo stampato sulle labbra
l’ho sentito svanire poco a poco. “Me?” ho ripetuto incredula, e stavolta
l’espressione che ho fatto corrispondeva in pieno a quello che stavo provando.
Lui se n’è accorto: “Hai ragione a essere sorpresa, e me lo merito,
scusa”. Io non ho detto niente perché non sapevo proprio cosa dire. In
compenso mi è caduta a terra la borsa coi quaderni, e naturalmente tutto il
resto, subito dopo, in una reazione a catena: tanto per fare una figura
elegante, come al mio solito.
“Aspetta, faccio io”, ha detto Nicola
allora, e il sorriso che ha fatto mi ha messo quasi a mio agio. Ha raccolto
tutto in un batter d’occhio, poi la borsa me l’ha portata lui: “Ti
accompagno alla macchina”, ha detto.
Così abbiamo caricato il portabagagli di tutta
quella roba e io sono tornata ad essere una donna invece che un attaccapanni.
L’ho guardato per vedere se riprendeva il discorso, e l’ha fatto. “Non
sono in servizio, oggi - ha detto -. Verresti
a pranzo con me?”
Io allora non so cosa mi è preso, ma mi è
venuta un po’ di tristezza. Ho scosso appena la testa e ho detto quello che
stavo pensando: “Perché vuoi che venga a pranzo con te?”. Forse dovrei
farlo più spesso di dire quello che penso in quel momento, senza stare troppo a
cercare la frase e la faccia giusta, che tanto la faccia giusta non la trovo
mai, tanto vale che usi quella vera.
Adesso si pente e se ne va, ho pensato, e invece
lui ha abbassato gli occhi: “Avrei dovuto chiamarti, lo so, sono stato un
cafone – ha risposto -: ma non è
perché non volevo vederti”.
Era tanto che non mi dicevano una cosa così, e
lui era davvero dispiaciuto. Mi è venuta voglia di consolarlo. Ho sorriso:
“Dai, non devi mica spiegarmi – ho detto, e istintivamente gli ho sfiorato
il braccio -. Certo che pranzo con te, però se ti accontenti di pranzare con un
panino, perché alle due devo tornare a scuola”. Il suo viso si è illuminato,
allora, quel sorriso che ha solo certe volte, e questa volta era un sorriso per
me.
Così abbiamo comprato dei panini in un fast
food e due coche cole, e lui si è fatto incartare pure due fette di torta. Era
una bella giornata e io indossavo i jeans, così ho proposto di andare a
mangiare al parco. E’ stata una bella idea, a lui è piaciuta. Aveva in
macchina una coperta e l’abbiamo stesa sull’erba, sotto gli alberi.
Si stava proprio bene, sembrava quasi estate,
però eravamo soli perché a fare picnic di mercoledì a fine ottobre ci vanno
solo i matti. E abbiamo mangiato e parlato tranquillamente, senza dire cose
particolari, perché stavamo bene. E’ proprio bello, non c’è niente da
fare: mi piace come si muove, come ti guarda, mi piace quell’apparenza un
po’ ruvida che serve solo a coprire una sensibilità forse troppo profonda.
“Scusami se non ti ho chiamato, dopo quella
sera - ha detto -. E’ vero che in questo periodo sono più orso del solito, ma
davvero è stato solo per quello”.
Io ho sorriso e mi sono allungata sulla coperta,
cosa che gli ha fatto passare negli occhi uno sguardo decisamente sorpreso:
l’ho sempre detto che ho un’aria troppo perbene. “Non devi chiedermi scusa
– ho risposto -. Ma posso chiederti perché mi hai cercato oggi?”. Lui si è
girato dall’altra parte: “Era un po’ che volevo farlo – ha detto -. Poi
ieri sono passato da Andrea e Manuela, e lei mi ha detto che vi siete sentite,
in questi giorni…”
Oh, no, non farmi questo, ho pensato. Ti prego,
non mettermi in competizione con un’altra donna. Non con Manuela, per
favore… ci tenevo a diventare sua amica, e ora tu dici che mi hai cercato dopo
aver visto lei… no, per favore, no…
Ma forse non era poi così tragica come io
pensavo, perché lui era tranquillo, si divertiva. “Quanto tempo abbiamo,
ancora?”, ha chiesto. Mancava una mezz’ora abbondante. “E quando hai
mezz’ora di tempo che fai con i tuoi alunni, in classe?”. Gli ho detto che
di solito leggevo qualcosa. “Mi piacerebbe che leggessi qualcosa a me”, ha
detto inaspettatamente.
Avevo in borsa “Il piccolo principe”. L’ho
tirato fuori. “E’ un libro per bambini - ho spiegato, anche se non è mica
vero -. Se non ti annoia posso leggere da dove siamo arrivati in classe”.
“Meraviglioso”, ha detto.
Allora ho cominciato, e non è per dire ma
quando leggo sono proprio brava, merito anche della lunga pratica per tener viva
l’attenzione degli alunni. Ma lui mi ascoltava
con uno sguardo attento che raramente ho visto negli occhi di un bambino.
Era la storia della volpe, quella che si fa addomesticare dal piccolo principe.
Lui torna sempre alla stessa ora e lei impara ad aspettarlo, a scoprire il
prezzo della felicità. Il colore dorato dei campi di grano le ricorda i capelli
d’oro del suo amico. E quando il piccolo principe va via lei piange. “Cosa
ci hai guadagnato?” le chiede il piccolo principe. “Il colore del grano”,
risponde lei. E tutto il resto.
Quando ho finito e ho chiuso il libro ho alzato
gli occhi e gli ho visto uno sguardo che non avevo mai visto in un uomo. Come se
lo avessi toccato, come se stesse, non lo so… per un attimo mi è sembrato
quasi che gli fosse venuto da piangere… Ma è stato un attimo, un attimo
soltanto. Ha sorriso, ha scosso la testa con un mezzo sospiro: “Già… perché
ci si dovrebbe far addomesticare da qualcuno se poi se ne guadagna di starci
male?”
“Non lo so – ho detto io, e mi sentivo come
se tirare fuori quel libro non fosse stata una buona idea -. Però è così che
succede”.
Mi ha riportato a scuola in silenzio, e mi aveva
detto solo “Ciao”, mentre scendevo dalla macchina. Poi mi ha fermato: “Ti
dispiace se qualche altra volta vengo a prenderti quando esci per farmi leggere
un libro?”. “No… ne sarei felice…”, ho detto con un tono di voce che
era così basso che non so come abbia fatto a sentirmi. Poi ha fatto una
battuta: “Che può succederci di male? Al massimo faccio la fine della
volpe…”
Io sono scesa in fretta perché era venuto a me
da piangere, stavolta. E non gli ho detto quello che ho pensato, che non doveva
preoccuparsi, perché di solito quella che fa la fine della volpe sono io.
23 /10/2002 ancora
Sono appena tornato a casa e
qualcosa è successo. Ho visto Nadia e sono stato bene. Cioè, non che stia
allegrissimo adesso, però m’ha fatto bene vederla e per tanti motivi. Manuela
intanto però non m’ha risposto. M’avesse mandato quel paese sul serio sarei
stato più contento. Invece è passato Andrea. E’ passato che mi aspettava
davanti al portone con le braccia incrociate davanti. Io tornavo che ero stato
con Nadia. Tornavo allora allora. Che già c’avevo un magone addosso. Due
magoni addosso. Ho visto Andrea e m’è venuto il terzo. Anzi, m’è cascato
un mattone in coccia. E se devo essere sincero mi sono cagato in mano. Che se
m’avesse preso a pugni non c’avrei avuto niente da ridire. Ha fatto finta di
non vedermi finché non mi sono avvicinato e gli ho detto ciao. Lui m’ha
guardato per un po’, che io non capivo se era incazzato o no. M’ha guardato
per un casino di tempo e c’ero io che non riuscivo a spiccicare parola.
C’aveva la faccia da interrogatorio, ma pareva non c’avesse intenzione di
fare delle domande. E a un certo punto m’ha messo soggezione. Non mi ha detto
tanto. E alla fine mi è andata pure grassa. Mi ha detto che è meglio se per un
po’ non mi faccio vedere a casa loro, che Manuela non è incazzata perché lui
dice che mi vuole bene, che però è meglio se faccio passare un po’ di tempo
e la faccio sbollire: tanto le passa se non faccio altre cazzate. A me non lo so
che mi è pigliato, che boh, quasi mi sentivo male. E allora gli ho chiesto
scusa. Non è che poi abbia fatto chissà che, e poi manco l’ho guardato in
faccia, perché se no mi sentivo un verme ancora di più, mentre gli chiedevo
scusa. Poi lui ha fatto una cosa che non mi aspettavo e cioè m’ha dato un
po’ di pacche energiche, dei mezzi schiaffi praticamente, sulla faccia, che
forse voleva pareggiare il conto di quelli che mi avrebbe dovuto dare in più
Manuela, e mi ha detto che sono peggio di un bambino in ‘sto periodo, ma che
visto che ha fatto tanto il frignone lui quando non c’aveva Manuela vicino,
mo’ è la volta mia, e che il momento di frignare arriva per tutti. E che
quindi, siccome chi non frigna in compagnia o è un ladro o una spia (e ha detto
proprio così), lo posso chiamare per qualche frignata comunitaria, che tanto
lui ormai è un esperto risolutore di seghe mentali sia maschili che femminili,
visto, dico io, che gliel’ha fatta a risolvere le sue e sbatte tutti i giorni
con quelle altalenanti di Manuela. Che a me mi ha fatto sorridere perché una
volta ‘ste scene imbecilli con lui, ero io che le facevo. Poi mi ha detto pure
un’altra cosa: che Nadia e Manuela hanno cominciato a sentirsi e che se la
cosa mi disturbava era un mio problema. Non se lo aspettava che gli dicessi che
l’avevo vista da poco. C’è rimasto male. Però poi ha sorriso e mi ha detto
buona fortuna. Mi ha fatto piacere vederlo. Davvero tanto.
Adesso sto un po’ più
tranquillo. Domani rivedo Manuela e se ce la faccio a starci dentro con la pausa
pranzo pure Nadia. E’ bella Nadia, più la guardo più mi pare bella. E poi è
una scafata che non si fa dei problemi manco per allungarsi sull’erba. Non
l’avrei pensato visto che pare una tutta precisina precisina. Mi piace. Ma mi
sono rotto le scatole di storie tutte a mezzo. E di donne che mi scoccia
presentare in giro o perché sono troppo fighette o perché sono delle buzzurre.
E che puntualmente sia Manuela che mia sorella sarebbero capaci di demolirmi in
quattro battute. Le donne sono delle carogne tra di loro. A parte il fatto che
se mi trovo una donna come si deve, deve piacere a me e no a loro.
Però Nadia mi piace. Oggi mi ha
fatto tenerezza. Non lo so perché, anche perché c’avevo anche i casi miei
per la testa. Però me l’ha fatta. Tanta. Pure troppa. Ma con me, poverina,
sbatte proprio male. Visto che c’ho messo venti giorni e una sfuriata penosa
prima di farmi tornare a comportarmi in modo civile e cercarla. Che poi in
‘sti giorni c’ho pensato quasi sempre a lei. Parecchio c’ho pensato a lei.
Non che ne pensassi chissà cosa, però ci pensavo spesso.
Mi ha fatto tornare voglia di
leggere. E’ da tanto che non mi ripigliava. Quando ero ragazzo leggevo furia,
pure se facevo le professionali. Poi ho smesso, perché a pigliare un libro in
mano mi veniva male. Ogni tanto me li regalano perché ce lo sanno che mi
piacciono. Poi però non li leggo. Mi piglia nostalgia. E oggi quando lei mi si
è messa a leggere sul serio per me, e solo per me, mi sono quasi commosso. Mica
tanto per la storia perché la conoscevo, visto che Sorma mi fa una testa così
con ‘sta storia del piccolo principe e della volpe, però proprio per lei, per
come la leggeva lei, che era tutta concentrata e pareva che ci credesse sul
serio, che si era riaccoccolata tutta come se stringesse un cuscino, che era
tutto più bello. Che lì per lì mi sono pure commosso. Ma mo’, se ci ripenso
a freddo, lì per lì credevo di essermi commosso per la volpe, Sorma, Manuela
ecc… e invece misà proprio che mi sono commosso per Nadia.
giovedì 24 ottobre 2002
Mi ha chiamato Sorma e mi ha
detto che viene giovedì prossimo e si sta per tutto il ponte dei morti. Pareva
tutta allegra… Però non ce l’ho fatta a vedere Nadia.
26 ottobre 2002
Oggi sono riuscito a passare da
Nadia visto che mi scocciava non esserci riuscito prima. Manco oggi se lo
aspettava che andavo, però c’avevo voglia. Alla fine siamo stati assieme più
di quell’altra volta perché era sabato pomeriggio e abbiamo fatto pranzo in
pizzeria. Lei stavolta non mi ha letto niente però abbiamo parlato di un po’
di tutto. Anche perché lei è una che secondo me c’ha bisogno di qualcuno che
la stia un po’ a sentire, e invece le tocca sempre stare a sentire qualcun
altro. Cioè, a me mi pare così. Forse è troppo poco prepotente. E allora la
sono stato a sentire.
Manuela mi saluta una volta sì e
una no e mo’ non c’ho voglia di parlare di lei.
31/10/ 2002 venerdì
Sorma è arrivata oggi. E tanto
per fare una cosa diversa ha subito incominciato a fare un sacco di casino per
casa. Per fortuna mo dorme e ha smesso di chiacchierare. Ha attaccato certe
pezze da quando è arrivata che ogni tanto mi veniva da dargli una botta in
testa per farla stare zitta. Sto un
po’ rintronato. Comunque sono contento perché se sta così allegra lei, a me
mi mette più allegria del solito. Poi si vede che aveva bisogno di sfogarsi:
ogni tanto ci vuole. Comunque per fortuna mo s’è addormentata. Penso che
domani rimarrà a dormire fino a pranzo. Misà che c’ha un arretrato di
sonno... a me ancora non me l’ha raccontata giusta. Ma tanto figuriamoci se
non mi arriva una voce dal solito qualcuno.
Vabbé, da oggi pomeriggio me ne
sono successe così tante che ci voglio proprio provare a raccontare tutto di
fila dall’inizio fino ad adesso, sempre se non me ne capita un’altra, che
tanto una di più o un a di meno non si nota.
Oggi pomeriggio sono andato a
pigliare Diana in stazione. Non ha fatto in tempo a arrivare che già pareva che
si era mangiata una radio. A me mi faceva ridere. Me ne ha raccontate di tutti i
colori, e della tesi, e degli amici e del lavoro. Che a me lì già mi era
saltata la mosca al naso, però misà che non è per quello giusto, perché,
invece del figone proprietario della palestra di cui mi ha parlato una volta,
oggi m’ha fatto una testa tanto su un ragazzo che vede sempre quando lei
finisce la lezione alle piccole e lui invece va a portare la sorella in
palestra, sempre a fare ritmica ma al turno dopo. Io comunque posso pure
annusare qualcosa ma tanto a me non mi ha detto niente e mi toccherà aspettare.
E questa è già una. La seconda
mi capita quando Sorma dopo cena mi chiede quando andiamo da Andrea e Oscar.
Mica mi chiede se c’andiamo, ma quando. Vatti a fidare delle ragazze con la
faccetta tranquilla. Solo che mica gli potevo dire che io a casa loro non
c’andavo più da un po’ e che a lavoro Manuela mi saluta appena. Con Andrea
alla fine è tutto tranquillo e pure a lei un po’ gli è passata. Comunque
alla fine a Diana gli ho detto che se voleva andare chiamava lei. E lei mi dice
che si era già messa d’accordo. Vatti a fidare.
Giusto giusto per continuare
quando andiamo a casa loro indovina un po’ chi ci stava? Nadia. Che
l’avevano invitata a cena. E tu dici che qualcuno m’ha detto qualcosa? Ma và!
Figuriamoci. E vabbé. Che pure Nadia me lo poteva dire. Oppure Andrea. Mica
sono geloso io. Cioè mica me ne frega niente però me lo potevano dire. Che poi
anche lì, subito subito, mia sorella m’ha rimediato una bella figura di merda,
perché vede Nadia, vabbè presentazioni ciao ciao, e gli fa: “Ah, ma tu sei
quella che ci fissava quella volta in centro! Ciao!” Tutta allegra che
sembrava l’oca giuliva. E poi manco gli dà tempo di rispondere che gli dice
pure: “E che ci fai di bello qui?” Cioé, sensibilità e tatto saltatele
addosso e uccidetela. Lì per lì l’avrei presa a sberle. Che gliel’ho anche
detto ad alta voce: “Sensibilità e tatto saltami addosso e uccidimi!” Lei
ovviamente ha fatto l’innocente e si è messa a ridere tipo: eh, ma chissà
che avrò detto di male! Niente cara, niente. E’ una ragazza tanto dolce,
Sorma, solo che ogni tanto sbarella, o in su o in giù. Avrà il suo ciclo anche
lei. E per fortuna che Nadia è una sportiva e si è messa a ridere! Che poi
come si fa a non ridere con Sorma: quella è matta!
E poi ci stava Manuela che stava
tutta stravaccata sulla sedia e mi stava a guardare come se mi volesse sfottere,
e quindi mi fa: “Oh! Chi abbiamo l’onore di ricevere! Nicola!” Che già a
me m’ha fatto strano, perché col nome mio non mi ci chiama mai, ma mi chiama
sempre Alain. E vabbé che a me mi fanno schifo i soprannomi, questo poi... Però
m’è dispiaciuto e allora sono stato zitto e le ho sorriso. E che potevo fare?
Andrea tranquillo. Manco a dirlo. Però poi non lo so che è successo ma Manuela
mi fa: “Visto che sei un uomo e quindi stai senza fare niente e sei anche di
casa, che ne diresti di farci da cameriere preparare il caffè per tutti?” A
me mi veniva un po’ da sorridere e n’altro po’ mi scappava di dirgli
“Hai voglia di giocare, eh?”. Poi però mi sono stato zitto, per fortuna, e
sono andato a fare i caffè per tutti. Così impara che so fare certe cose anche
se sono un uomo e le faccio meglio di lei. Che lì per lì non lo capivo proprio
bene se faceva così perché era ancora incazzata o se invece gli era passata me
non me la voleva dare vinta. Comunque, fatto sta che sono andato a fare ‘sti
caffè, e quegli altri hanno attaccato a chiacchierare. Che Sorma con loro
c’aveva un po’ di cose da raccontare.
Che poi tra l’altro ancora mica
lo so se Manuela gli ha raccontato qualcosa a Nadia della mia stronzaggine di
quella sera. Anche perché già pareva che fossero furia amiche. Valle a capire
le femmine. Che io di sicuro a Nadia non gli ho detto niente de la storia di
‘sto litigio, e manco glielo voglio dire. Al che, niente, ho fatto ‘sti caffè
e pure da cameriere. E stavano tutti zitti a sghignazzare mentre lo servivo.
Manco non l’avessero visto mai un uomo che serve il caffè a tavola! Pure
Manuela rideva, ma non si voleva fare scoprire e si nascondeva la faccia. Al che
sono sbottato: “oh, ma che c’avete tanto da ridere?” E quindi se prima
ridevano da zitti poi hanno riso sul serio. Della serie stasera il destino era
contro di me. E Nadia mi fa: “E’ che sei ingombrante...”. Al che ho
pensato, ecco, ci si mette pure lei a sfottere stasera e siamo a posto. Tanto
Diana le sue belle figuracce me le ha rimediate, Manuela sfotte, ci si mette
pure Nadia che, tutta carina carina, tira certe mazzate se gli vengono...
E niente, alla fine hanno
cominciato tutti a chiacchierare fitto fitto e non m’hanno più cagato. Specie
le femmine. Cioè Manuela e Diana erano lì tutte impegnate, Nadia ascoltava e
pareva pure interessata. Che tu la vedevi, sembrava la persona più seria della
situazione, il che è tutto un dire, però poi pareva talmente interessata alla
discussione che allora ti vengono i dubbi. Anche perché stavano esaltatissime a
parlare di un argomento a caso: e cioè di Lady Oscar. Che vabbè che Nadia
l’aveva già detto che piaceva pure a lei, però pensavo in un modo più
civile. E invece misà di no. E’ la mia croce sta Lady Oscar. Andrea stava a
sentire perché, secondo me, pure se non si vede, lui si spancia dal ridere a
sentirle parlare. Anche perché, se nessuno le interrompe, sono capaci di andare
avanti tutta la sera, e poveri chi ci capita. E quindi a un certo punto ad
Andrea gli ho fatto cenno se andavamo a giocare a Urban Terror. Lui ha detto di
no e ha fatto un cenno a me. E allora io gli ho rifatto cenno di no, che era
matto. E lui m’ha fatto che sono un coglione e poi la faccia da “Poche pippe,
appuntato!” e allora mi sono alzato e ho detto che mi ero stufato di Lady
Oscar, e che se non si cambiava argomento, uscivo. Che tanto lo sapevo che le
due folli manco mi cagavano se non per guardarmi come per dire che sono un
povero sfigato. Al che ho chiesto a Nadia se c’aveva voglia di andare a fare
una passeggiata. E lei m’ha detto di sì. Figuriamoci!
E allora siamo usciti di casa. E
siccome Manuela e Andrea stanno in una mansarda furia bella che c’aveva lei
prima di sposarsi, che sta un po’ fuori città sulle colline, in giro c’era
poca luce e si vedeva bene la falce di luna calante. Perché faceva un freddo
assassino però era bel tempo. Solo che Nadia si vedeva che c’aveva un po’
freddo e allora le ho detto che, se voleva, rientravamo, ma lei ha detto che
invece aveva voglia di uscire. E allora abbiamo incominciato a passeggiare. Non
girava nessuno per la strada. Anche perché vorrei sapere a chi gli viene in
mente di andare a passeggiare di notte a novembre, praticamente. Che io non
sapevo cosa dire di preciso, perché alla fine stavo bene così. E allora
attacca bottone lei, e dice che Andrea e Manuela sono proprio simpatici, che si
trova bene con loro. E si è messa un po’ a raccontare di queste cose. E io
non è che c’avessi molto da dire anche perché, se ci pensavo, c’avevo
ancora il malloppo in gola per quella storia del litigio. Però la ascoltavo,
perché mi piace sentirla parlare, perché c’ha una voce che è un po’ dolce
e un po’ malinconica. Che secondo me Nadia è una che le spalle se le è fatte
a forza di portare i pesi. Però non le ho chiesto niente. Poi mi dice che mia
sorella è proprio simpatica. E allora ho detto che la prima volta è vero, la
seconda ti può pigliare la voglia di infilarle un calzino in bocca per farla
placare, ma se uno ce la fa a reggere quando invece è giù, allora è fatta e
sarai suo amico per sempre e sarà la ragazza
più tranquilla della terra. E allora lei si è messa a ridere e poi non
lo so che mi è pigliato, ma ho preso e le ho messo un braccio sulle spalle. Lei
di sicuro non se lo aspettava, e in verità io manco io l’avevo pensato prima,
però m’è venuto di farlo e l’ho fatto. Che subito ho pensato che magari
gli scocciava, poi però che è abbastanza grande per dire se una cosa gli va o
no. E siccome non ha protestato io ho lasciato il braccio dove stava. E allora
poi non è che ci siamo detti più un granché. Però è stata una bella serata.
Poi però abbiamo incominciato a
sentire troppo freddo e siamo ritornati su in mansarda. E allora, visto che
quando siamo usciti Andrea mi ha dato la chiave, siamo entrati che ci stava una
situazione strana che però mi ha fatto piacere. Perché ci stava Diana tutta
presa a raccontare qualcosa che a me non m’ha voluto dire (e che prima o poi
caverò di bocca a qualcuno), e quei due tutti concentrati a sentire. Che fino a
qui non ci sta niente di strano, ma la cosa strana era che Manuela stava seduta
sulle ginocchia di Andrea, e lui se la abbracciava tutta e stava a sentire con
la testa appoggiata sulla sua spalla. Che uno dice che sono sposati ed è
normale. Però loro no! Cioè, (infatti glielo dico sempre a Andrea che non ci
sa fare con le donne) loro due si vede lontano tre chilometri che starebbero
sempre appiccicati a dirsi tenerezze, ma è davvero tanto se si stringono la
mano. E pure quando stanno in casa si toccano appena. Cioè, toccare si
dovrebbero toccare, spero, però in pubblico non si sfiorano mai. E allora
pareva una mezza rivoluzione. Sono stato proprio contento di vederli così. E
sono stato ancora più contento di vedere che non si vergognavano più. O meglio
che Manuela non si vergognava più. E’ stato proprio bello. Poi noi ci siamo
avvicinati e la serata è finita a partite a chiacchiere. Mia sorella si era
calmata, era tutta rilassata e le brillavano gli occhi. E Manuela mi ha pure
perdonato, perché a un certo punto lei è andata nello studio e io l’ho
seguita un attimo, perché se non le chiedevo scusa quella sera non lo facevo più.
E lei mi ha sorriso e mi ha detto che va bene e che però è ora che mi trovi
una donna come si deve e che la finisca di fare la vecchia zitella col ciclo
sballato. E poi io ho fatto un’altra cosa che non lo so come mi è venuta, però
le ho chiesto se era contenta e lei ha fatto un sorriso bellissimo e mi ha
detto: “Sì, non si vede?” E io gli ho risposto che si vedeva e che ero
contento pure io. E allora lei ha fatto una cosa che mi ha commosso perché tre
mesi fa non l’avrebbe fatta mai: cioè mi ha abbracciato, mi ha detto che mi
vuole bene, che mi ringrazia perché se non ci fossi stato anche io lei adesso
non sarebbe cosi, e che però mi devo decidere a fare il bravo. Proprio così ha
detto. E allora ho pensato che finalmente eravamo pari.
E poi niente, poi siamo tornati a
casa e mo’ ho finalmente finito a scrivere. Che se continua così il sonno
arretrato che c’ha mia sorella passa tutto a me. Vabbè, sono diventato un
grafomane
5 novembre 2002, martedì.
Stamattina mi sono svegliata alle sette
sorridendo: brutto, bruttissimo segno. Ma è che mi sono successe tante cose in
questi giorni, io non credevo nemmeno. E lui è diverso dagli altri, per lo meno
mi pare che a questo non gli faccio paura, non tanto.
Pochi giorni fa l’ho incontrato a casa di
Manuela e Andrea. Mi avevano invitato e dopo un po’ è arrivato anche lui con
la sorella. Io non lo sapevo che arrivava anche lui. La sorella è simpatica, è
un po’ matta e parla sempre, ma si vede che è sensibile. E’ diversa ma è
uguale a lui: sono tutti e due sensibili ma reagiscono diversamente, lui si
chiude a riccio e lei invece si apre, è molto estroversa. Nicola le vuole molto
bene, anche se sta sempre a sgridarla. La chiama Sorma, che strano, me l’ha
pure dovuto spiegare cosa voleva dire, perché non c’ero arrivata.
Era un po’ in imbarazzo, quella sera, forse
perché ha trovato lì me, ma forse anche perché è successo qualcosa con
Manuela, qualcosa che non so. Non si parlavano tanto, all’inizio, anche se poi
mi pare che abbiano fatto pace. Lei comunque sta proprio bene con Andrea, sono
davvero innamorati, sono felici. E’ bello essere innamorati e felici, è
proprio bello… almeno credo, spero… E poi mi pare che pure loro la loro
parte di casini devono averla avuta, perché si vede che dietro questo
equilibrio c’è stato del dolore.
Comunque non è questo che mi ha fatto sorridere
alle sette del mattino… non è questo.
E’ che quella sera siamo usciti, poi, soli io
e lui a fare una passeggiata. Era molto freddo, ma io non son voluta rientrare
perché mi piaceva stare da sola con Nicola, e parlavamo, ridevamo… lui fa
delle battute che a volte ti fanno sentire proprio bene, ti fanno dimenticare
tutto. Io non mi sentivo nemmeno tanto triste. Anzi, in verità avevo tutti i
sensi all’erta, perché stavamo insieme, ma cercavo di controllarmi perché
avevo paura. Ho così tanta paura adesso, non sono nemmeno più quella di
prima… ho paura di sbilanciarmi troppo, di credere troppo nelle cose, di
stancarmi ancora inutilmente a fare la conta degli indizi secondo cui dovrei
aver motivo di pensare che a uno che mi piace piaccio, e poi comunque non
arrivare mai alla soluzione, ma solo a credere che forse sì, è vero, posso
fantasticarci un po’ su… e come al solito alla fine ritrovarmici dentro fino
al collo, e annegare.
Sono tanto stanca di questo, così stanca…No,
davvero non sono più quella di prima. Prima non ero
così, avevo più fiducia, ero più forte. Se con la vita privata
riuscissi a cavarmela allo stesso modo che col lavoro, con la vita pubblica, non
starei così. Sono andata sempre come un treno a scuola, e anche all’università.
Ho fatto un concorso al volo e l’ho vinto e sono anche brava nel mio mestiere,
i bambini imparano, mi vogliono bene, io voglio bene a loro…
Ma quando si tratta dei miei sentimenti sono una
vera incapace, non mi rendo mai conto davvero di come stanno le cose. Perché
per certi sentimenti bisogna essere in due, non è come fare un concorso che se
studi e hai grinta lo passi. Io la grinta ce l’ho e le idee chiare pure, ma
credo che agli uomini questa cosa faccia più paura che altro, non lo so… Non
lo so, mi fa rabbia che io avrei tante cose da dire, da dare, ma non riesco mai
a trovare il modo per farlo desiderare davvero a chi mi piace. Più mi piace e
meno trovo il modo. A farlo desiderare abbastanza, dico, perché basti a fare il
primo passo. Invece niente, di solito. O forse sono io che mi blocco, e blocco
pure lui. Non so.
Ma con Nicola non è così: non sembra, almeno.
Lui sente di fare una cosa e la fa e questo mi fa sentire bene. Non è uno che
si fa tanti problemi o seghe mentali, che poi se ci mettiamo in due a farci le
seghe mentali non se ne viene più fuori. Lui se mi vuole invitare m’invita,
se mi vuole dire una cosa che gli è venuta in mente la dice, e sono spesso cose
così belle che neanche lui si accorge di quanto sono belle. L’altra sera mi
ha detto che gli piace la mia voce, perché è dolce e un po’ malinconica, e a
me è sembrato che stesse parlando non solo della mia voce ma anche di me, come
se mi avesse visto dentro. E secondo me non se n’è nemmeno accorto davvero
che mi aveva fatto un complimento così: l’ha detto perché lo sentiva, e
io… beh, io… non ho saputo proprio cosa rispondere, tanto ero contenta.
Poi mi ha messo un braccio intorno alle spalle,
all’improvviso, così d’impulso mentre passeggiavamo da soli, e io non me
l’aspettavo… non me l’aspettavo davvero. Mi ha cominciato a battere il
cuore così forte che non lo sentivo nemmeno più, e non avevo più voce in
gola, che se mi diceva qualcosa in quel momento e provavo a rispondere avrebbe
pensato che mi ero presa una faringite fulminante per il troppo freddo. Ma non
mi ha detto niente, è stato bello anche questo, mi ha abbracciato e non mi ha
detto niente e io non ho detto niente e l’ho lasciato fare. E’ passata una
macchina, vicino a noi, illuminandoci con i fari mentre camminavamo, e io
ricordo che sono stata felice perché ho pensato che quelli della macchina
avrebbero pensato di noi che eravamo due innamorati… e quest’idea mi ha
riempito il cuore di gioia. Ancora mi viene da sorridere come una scema, se ci
penso. Non lo so, mi ha fatto sentire protetta, forse… mi ha fatto sentire
come se non dovessi portarli proprio tutti sulle spalle io certi pesi… O forse
solo mi ha fatto sentire come qualcuna che può piacere abbastanza da metterle
un braccio intorno alle spalle e passeggiarci abbracciati… e anche se fosse
solo questo è davvero tanto, tanto. Molto più di quanto mi sia successo in
questi ultimi anni.
Davvero, perché dopo che con Stefano ci eravamo
lasciati perché era finita, ormai, dopo che c’eravamo messi insieme a
diciassette anni ed eravamo troppo diversi, troppo cambiati dopo cinque anni,
dopo di Stefano non c’è stata più una volta che mi sia andata una cosa per
il verso giusto. E mi sono innamorata due volte sul serio senza contare svariate
altre storie morte prima ancora di cominciare ma non abbastanza presto per non
farmi male… e ogni volta finivo col pensare che come donna mi mancava
qualcosa, perché, tutti quelli che mi piacevano, all’inizio m’invitavano a
uscire o sembrava proprio che gli piacessi anch’io, e invece poi non si
decidevano mai e sembrava che gli bastasse essere sicuri che erano loro che
piacevano a me. E come si fa a governare una situazione del genere, avessero
solo voluto portarmi a letto non sarebbe stato poi tanto grave, potevo almeno
pensare: “Be’, quello era uno stronzo come tanti” e alla fine
dimenticarlo. Ma così, quando uno sta con te tutti i giorni nelle pause di
lavoro a parlare con te, e ti paga il pranzo e andate anche al cinema qualche
volta e ti racconta tutti i fatti suoi e poi alla fine non prova nemmeno a darti
un bacio, e quando ti sbilanci tu ci fai pure la figura di quella che si è
messa in testa un sacco di idee fuori luogo, e lui ci rimane male… no, così
è peggio, è molto peggio che finirci a letto una volta e farsi una scopata
senza conseguenze. Per lo meno quello che è venuto a letto con te ti ha fatto
capire che eri bella abbastanza da voler venire a letto con te, ed è già
qualcosa. Ma Roberto, che cosa ha fatto Roberto? No, io l’ho odiato e l’odio
ancora, forse. Perché mi ha disprezzato come donna e come persona, mi ha fatto
sentire come se non valessi niente, proprio niente. E si è pure voluto
mantenere l’alibi, per la serie “scusami, a me non era neanche venuto in
mente che potevo interessarti in quel senso”. Non me l’ha detto ma me l’ha
fatto capire. Sì, figurati, soprattutto quando uno non è coinvolto è il
momento che capisce al volo se l’altro è interessato a lui. Quando uno mi fa
la corte e non mi piace io lo capisco un mese prima, che gli interesso: solo che
poi con questi, se non mi dicono niente, non c’è proprio verso. Li scoraggio
alla prima battuta, perché mi mettono troppo in imbarazzo. Ma per lo meno io
gli altri non li faccio soffrire, non mi tiro indietro all’ultimo secondo
quando loro ci sono dentro fino al collo e non sanno più uscire.
Ma forse è anche colpa mia, perché non so
proprio come comportarmi, come quando avevo quindici anni e quel ragazzo di cui
ero innamorata persa al cinema ha iniziato a carezzarmi i capelli e io lì come
una statua, paralizzata, non sapevo come reagire. Mi sento come se fossi tornata
vergine, e forse farei proprio bene a dar retta a Francesco che è l’unico
amico che mi è rimasto, che ogni volta che mi viene a trovare ci prova e mi
dice che se dormissimo qualche volta insieme staremmo molto meglio tutti e due.
Sì, ha ragione lui, mi sa, e mi sa che faccio male a dirgli sempre di no, solo
perché io non lo amo e lui non ama me, ma in fondo cosa conta, cosa vado
cercando, cos’è che aspetto tanto spasmodicamente, come se non potesse farmi
bene un po’ di sesso senza pensieri con tutti gli arretrati che ho che non mi
ricordo neanche più come si fa. E una volta che Francesco mi ha dato un bacio
che eravamo mezzi ubriachi ci siamo scaldati così tanto sul divano di casa mia
che non prendevamo nemmeno fiato, e a momenti gli monto sopra sui cuscini coi
vestiti e tutto. Invece poi niente, sono tornata in me e l’ho mandato via,
l’ho chiuso in camera sua così non poteva più uscire. E lui è stato lì per
un’ora a chiamarmi mezzo ubriaco e a dire ti prego apri che mi sa che era
meglio se lo chiudevo nel bagno così almeno si faceva una doccia fredda e gli
passava subito. Ma che stupida però, chissà perché poi non gli ho aperto, lui
me lo rinfaccia da allora e dice sempre che sono un talento sprecato.
Però insomma non stavo parlando di questo, è
successo tanto tempo fa. Di uno come Francesco non m’innamorerò mai, lo so. E
pure lui di me. E’ per questo che siamo amici.
Nicola, invece, con lui è tutto diverso. Tutto.
Con Nicola mi sento come se avessi le farfalle nello stomaco ogni volta che lo
vedo. E l’ho visto tutti i giorni, in questi giorni. Anche se poi non so mai
quando compare, perché è un tipo strano, che non è facile prevedere. C’è
stato il ponte dei morti e io invece che tornare dai miei sono rimasta qui,
perché volevo stare con lui. Infatti mi ha chiamato e siamo stati insieme,
venerdì sabato e domenica sempre da soli. Un’ora, due ore, sabato tutto il
pomeriggio, sempre quando lui mi ha cercato, mi ha telefonato.
Non è successo mai niente di sconvolgente, ma
è stato bello sempre, perché si vede che gli fa piacere stare con me e in casa
mia ormai è come se ci venisse da una vita, tanto si muove a suo agio. Chissà
come sta per quella storia di Manuela. Secondo me ora va un po’ meglio, ma è
ancora confuso, lo vedo. Viene da me e stiamo qui senza dire niente. Oppure a
guadare la TV, a parlare, a mangiare patatine. E’ venuto anche oggi pomeriggio
che non era di servizio, perché aveva fatto il turno la festa del 4 novembre. E
oggi pomeriggio mi ha chiesto se gli leggevo un libro, un altro po’. Ci siamo
messi sul tappeto. Ho un grande tappeto di peluche che mi è costato un occhio
della testa ma che mi era piaciuto così tanto perché è morbidissimo e bianco
panna che l’ho comprato lo stesso anche se ci ho speso mezzo stipendio, uno
dei primi giorni che sono venuta qui. Gli ho detto: “Vabbè, dai, mettiamoci lì
sopra che è come stare sul prato del parco”, e lui ha riso perché ormai si
rilassa con me, è successo in pochi giorni: si è messo lì ad ascoltarmi,
e alla fine si è sdraiato pure su un fianco con la testa appoggiata alla
mano, mentre io leggevo vicino a lui. Stavolta gli ho letto una cosa di Calvino,
dagli “Amori difficili”, che quando lui ha visto quel titolo ha fatto una
faccia strana e io ho pensato che forse me la potevo risparmiare questa, era un
po’ troppo in argomento, sia per la storia tra noi, sia per quella di Manuela
e Andrea, e per lui che ancora non sa bene che gli è successo con Manuela… ma
insomma ormai c’ero e gli ho letto l’avventura di uno sciatore. E alla fine,
quando lo sciatore guardava incantato la ragazza celeste-cielo che si muoveva
con eleganza sulla pista, quando si chiedeva del miracolo di lei di scegliere
ogni istante nel caos dei mille movimenti possibili quello e quello solo che era
giusto e limpido e lieve e necessario, quel gesto e quello solo, tra mille gesti
perduti, che contasse… ecco, quando sono arrivata lì e la storia è finita,
noi siamo rimasti a guardarci per un momento e a pensare quale fosse davvero il
gesto che in quel momento contasse, e io allora non so cosa mi è preso ma ero
vicino a lui e gli ho sfiorato la guancia in una carezza, e lui ha piegato il
viso verso la mia mano e siamo rimasti così, per un tempo che mi sembrava fuori
dal tempo, lui con il viso appoggiato sulla mia carezza e io ho pensato che sì,
era proprio quello il gesto che contava e che allora forse a volte è possibile
trovarlo, questo gesto, la linea segreta di cui parlava il libro nell’informe
pasticcio della vita.
5/11/2002
Allora, Diana è ripartita oggi
dopo pranzo. E’ rimasta un po’ di più del solito. Lei mi ha detto che tanto
i programmi non si scombinavano. E io ho fatto finta di crederci, tanto ormai la
mia pollastrella la conosco. Ci posso mettere la mano sul fuoco che la prossima
volta che torna porta novità. Mo se saranno belle o brutte non lo so. Spero
belle: sarebbe ora che quella bambina si pigliasse delle soddisfazioni vere e
non solo i premi della ginnastica e gli esami all’università. Di preciso a me
non mi ha detto niente e penso che ha detto qualcosa solo a Manuela e Andrea,
anzi, forse più a lei che a lui. In fondo non è che una ragazza giovane le
cose sue le a dire al fratello o un familiare: agli amici, magari. Comunque è
stata qui e ha parlato tanto. Ma non come la prima sera che è arrivata; dopo si
è calmata e si è messa a raccontare, a dire, che era un piacere starla a
sentire. Anche perché mi pareva emozionata ma tranquilla. E ci siamo detti
tante cose, ed è venuto fuori anche l’argomento di quando stava male, che è
una cosa che praticamente non era venuta fuori mai sul serio anche se sono
passati tanti anni. Al massimo si facevano le battute per scherzarci un po’
su, però sul serio non ne avevamo mai parlato. E allora sono stato contento di
sentire che adesso sta bene e che non è più triste. Per tutto il resto alla
fine ormai credo che è capace di arrangiarsi da sola, anche se non mi dice
niente a me. Che poi è stata sempre praticamente in giro in questi giorni. O
stava con me o con Manuela o con Andrea oppure qualcosa sotto mano da fare ce
l’aveva sempre. Tanto che sabato pomeriggio piglia e mi dice che andava in
centro che Oscar si voleva pigliare qualcosa di nuovo. Che io subito ho pensato
che tra un po’ viene il terremoto se Manuela piglia pure lei il vizio di
guardare le vetrine. Poi però a Sorma gli ho detto: “Fa’ un po’ come ti
pare. Allora io chiamo Nadia.” E lei m’ha fatto una coccia così finché non
è uscita, che voleva sapere che ci facevo io con Nadia. E io che gli dicevo che
se lei non mi diceva niente a me di quello che andava combinando lei, io non
dicevo niente e a lei di quello che combinavo io. E lei rideva, e mi saltava
attorno, e io le dicevo che è il mio folletto, e diceva che lei è una femmina
e che quindi deve fare le cose più nascoste. E siamo stati a ridere di ‘sta
cosa finché non l’è venuta a pigliare Manuela.
Che poi pure con Manuela alla
fine la cosa va pure un po’ meglio. Perché io c’ho un po’ paura che se mi
rimetto a fare il camerata lei se la piglia. Però ci sorridiamo tranquilli e
sabato m’ha pure ricominciato a scherzare come al solito, quando ha detto che
voleva chiamare pure Nadia e io gli ho detto di no perché l’avevo chiamata
prima io. E allora lei si è messa a ridere forte e mi ha sfottuto fino alla
morte. Però era tranquilla.
A me queste donne mi faranno
uscire matto. Anche perché mo’ ci sta pure Nadia. Che ‘sti giorni l’ho
vista sempre quando ho potuto, ossia quando non lavoravo e mia sorella mi
lasciava libero.
E visto che oggi pomeriggio ce
l’avevo libero, dopo che ho accompagnato Sorma al treno sono passato da lei.
Che ‘sti altri giorni che ci siamo visti siamo sempre stati a casa sua. C’ha
una bella casa, piccola piccola ma c’ha tutto quello che serve. Che la prima
volta che per telefono gli ho detto se ci vedevamo, e lei mi ha invitato a casa
sua visto che c’aveva un po’ di raffreddore, io ho pensato che chissà che
voleva fare. Poi però siamo stati tranquilli tutti e due. Solo oggi è successa
una cosa strana. Che a un certo punto io le ho chiesto se mi leggeva qualcosa. E
lei ha pigliato gli “Amori difficili” di Calvino. E io subito ho fatto una
faccia strana perché di quel libro quando l’ho letto non c’ho capito
niente. Anche perché non capivo dove stavano imbucati gli amori in tutte quelle
storie. Ma forse ero ragazzo e ero più stupido. Fatto sta che non l’ho
finito, e è difficile che io non finivo un libro. Che poi a me Calvino mi
piaceva un sacco e ho letto di lui sei o sette libri da giovane perché mi
piace. Però di quello mi ricordavo solo che a un certo punto c’era un
racconto di una tizia vecchia che perdeva il costume al bagno al mare, e che
rimaneva in ammollo per un sacco di ore e si faceva un sacco di paturnie; e a me
mi faceva ridere. Il resto l’ho rimosso. Per quello ho fatto una faccia
strana, però misà che lei ha capito chissà che. E’ forte Nadia, però penso
che c’abbia il vizio di fare i problemi più grossi di quello che sono. E
comunque m’ha letto sto racconto dello sciatore. A parte che quella a me mi può
leggere pure la lista della spesa che a me mi pare un capolavoro, comunque quel
racconto m’ha pigliato da morire e ha finito che a me m’è dispiaciuto un
sacco. E poi mi ha fatto una carezza. Ma no una carezza di quelle che prima ti
accarezzo poi ti salto addosso, ma proprio una carezza vera. Di quelle carezze e
basta. Che io una così non me la ricordo da una vita. Che se non si spicciava a
staccarsi gliene chiedevo ancora e ci facevo la figura del paperotto. Oppure
gliene facevo una io e allora andava a finire male, perché se fa una carezza
una donna significa una cosa ma se la fa un uomo significa un’altra. E allora
ho pensato che era meglio evitare. Che poi se una cosa così mi fosse capitata
un po’ di tempo fa, minimo che succedeva era che ci provavo a baciarla. E
invece stavolta non l’ho fatto. Ma mica perché non c’avevo voglia, anzi,
però non mi pareva il momento. Mi sono davvero rincoglionito perché ‘ste
pippe del “momento adatto” le faceva Andrea quando gli dicevo che si doveva
fare avanti, e lui invece diceva che per Manuela non era il momento. E io lo
sfottevo e gli dicevo che a furia di aspettare il momento giusto si ritrovava
con la dentiera in bocca invece che la lingua della sua donna. Poi però alla
fine il momento l’ha trovato. E mo’ mi ci sono messo pure io a fare ‘sti
giochini. Però penso che se deve succedere qualcosa succede senza che lo faccio
succedere io, tanto in tutta ‘sta storia, tra posti di blocco, supermercati,
inviti a cena, sta andando avanti che pare qualcuno lo faccia apposta.
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