Agenzia matrimoniale

parte prima

 

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Dove due intrepide e caritatevoli autrici si avventurano nell'arduo e periglioso cimento di un'impresa mai tentata prima: dare una risposta plausibile all'insoluto enigma dell'eremitaggio di Alain. E, spinte da pietosa misericordia nel constatare che il Nostro si ritrova alla fine inesorabilmente solo e sperduto ad onta dell'ipertrofia cardiaca e del metraggio pettorale, nell'impossibilità tecnica di procedere a un'adozione congiunta, si mettono d'impegno nella parimenti impossibile missione di trovargli una moglie.

La vicenda – per evitare sacrileghe profanazioni della storia originale e conservare un minimo di decenza - è ambientata ai giorni nostri, e si dipana lungo le pagine di diario vergate simultaneamente dai protagonisti ignari di quali trame si svolgano alle loro spalle. La responsabilità di quanto contenuto nel diario di Alain è da addebitare a Elisa, quella del diario della di lui presunta metà ricade invece in toto su Alessandra.

 

26/9/2002, giovedì.

Caro diario, io non ho mai scritto un diario però oggi ti incomincio perché sono proprio scazzato e non so più a chi dire le cose, visto che il mio migliore amico s'è inguaiato con una che è pure la mia migliore amica e oggi sono tornati dal viaggio di nozze. Veramente lui lo facevo più uomo ma a forza di stare anni dietro a quella matta, come un cagnolino, deve essersi completamente riconglionito. Oggi si sono ripresentati tutti e due in caserma e facevano veramente schifo tutti cicì ciociò ‘more ‘more ciccio ciccio tato tato tata tata smak smak pciù pciù. Tutta la giornata così! Un inferno, non se ne poteva più. Alla fine gliel'ho pure detto, ragazzi, datevi una calmata, siamo pur sempre dei carabinieri, poi c'ha ragione la gente che ci dice che siamo stupidi, eh, guardate un po' voi! E Andrea m'ha risposto felice che si vede che non sono stato innamorato e quella mi ha detto: “Alain, vedi di stare calmino e di farti gli affaracci tuoi, visto che lavoriamo lo stesso”. Ecco, mi fa girare le palle quando mi chiama Alain, lo fa apposta per farmi arrabbiare. La strangolerei anche se mi dispiacerebbe perdere un pezzo di figa come quello. Cazzo, mi chiamo Nicola, io! Non che il mio nome mi entusiasmi però mi scocciano i soprannomi. Solo che quella ne va matta: ha soprannominato tutta la caserma coi nomi del suo cartone animato preferito da bambina che era quello di quella tizia vestita da maschio che faceva il militare. Quando pure le femmine sono potute entrare nei carabinieri a lei non gli è parso vero, ha vinto il concorso e è pure diventata in un attimo maresciallo semplice. E io cazzo che ho fatto il carabiniere con la leva che sono appuntato per grazia ricevuta. E se Andrea non si dà una mossa finisce per farsi comandare dalla moglie. Vabbè, mi scoccia quando mi chiama Alain perché sembro quello del cartone. Poi lei è matta che si chiama Manuela ma si fa chiamare a tutti Oscar come quella del cartone, un po' c'assomiglia solo che è bionda tinta e c'ha le tette più grosse. Poi s'è trovata pure il marito che si chiama Andrea come lo sfigato del cartone e siamo a posto. A me quella storia fa schifo solo che quella fa una coccia così a tutti che alla fine la so pure io che non l'ho mai vista perché L’uomo tigre mi piaceva di più. Povero Andrea, mi fa una pena! E' per questo che io la donna non la voglio fissa, le donne fanno le palle, pure Manuela che in fondo è forte, sempre una femmina rimane. Se poi mi devo trovare una femmina per fare la fine del mio amico e far venire l'acetone alla gente meglio solo che male accompagnato. Anche se in effetti la donna fissa è comoda. Vabbè, non lo so però oggi quei due mi hanno dato proprio fastidio.

Siccome mi hanno detto che nel diario ci si scrivono le cose che sono successe nel giorno mo lo faccio, solo che oggi a parte quei due è sempre la solita solfa, a parte che oggi una, né bella né brutta, mora e pure con gli occhiali, quando sono passato davanti alle scuole elementari mi ha fissato in continuazione che mi sono pure sentito in imbarazzo. Non l'ho mai vista in giro da queste parti, deve essere una nuova di qui. Chissà che vuole.

 

 

26/9/2002, giovedì.

Caro diario, saranno vent’anni che non ti apro più (e infatti l’ultima cosa che ho scritto era su Simon Le Bon e su mia sorella che mi nascondeva le figurine di Lady Oscar) ma oggi mi è venuta improvvisamente voglia di riprenderti in mano da quel cassetto della scrivania da cui non ho mai avuto il coraggio di buttarti, non so perché. Sarà stato il colore di questa copertina celeste, che ha qualcosa d’incoraggiante, a prima vista.

Ne è passato davvero, di tempo, e io sono così diversa, a risfogliare queste pagine chiuse a chiave da un secolo: eppure su certe cose sono tale e quale a quando avevo otto anni, e constatarlo mi dà parecchio fastidio.

Non so perché ti scrivo adesso. In fondo di cose me ne sono successe tante in tutti questi anni, e non mi è mai venuto in mente di raccontartele, per tua fortuna. E quello che ti devo dire oggi non è nemmeno granché: di storie più interessanti, per lo meno a sentirle da fuori, ce ne sono state.

Oggi volevo solo raccontarti una cosa senza significato. Un incontro. Anzi, nemmeno quello, a voler essere proprio precisi. Uscivo da scuola con i bambini della terza elementare, impegnata come al solito a non farli finire sotto le ruote di qualche autobus prima dell’arrivo dei loro genitori. Era una gran confusione di voci e di auto parcheggiate sulle strisce pedonali, come sempre a quell’ora, e io avevo in mente tutt’altro che atmosfere romantiche. Al massimo avrò pensato a come mandar via dal golfino quella macchia di succo di frutta alla pera che Alessio mi ha rovesciato addosso a ricreazione, nel generoso tentativo di offrire la merenda alla maestra.

A un certo punto la mia attenzione è stata attratta da un’auto dei Carabinieri, da cui scendevano tre persone in divisa. All’inizio dev’essere stato una specie di riflesso condizionato, la paura di prendere una multa, perché come al solito ho parcheggiato col grattino scaduto, nella fretta di entrare, al mattino presto, e la divisa mi ha allertato subito, facendomi pensare ai vigili famelici che girano da queste parti.

Invece poi, non lo so.

In effetti stavano guardando tutti lì, quelli intorno a me, compresa la III B al completo: me ne sono accorta subito dopo. Perché una di quelle tre persone era una carabiniera femmina, coi capelli biondi, che parlava con un suo collega, e per un attimo ha anche riso con naturalezza, e sembrava non fare minimamente caso al fatto di essere al centro dell’attenzione. Io non avevo mai visto una donna in uniforme da carabiniere, con tanto di pantaloni con la striscia rossa, e molti altri come me, credo. Così la cosa ha creato interesse, anche perché lei portava quella divisa con una tale tranquillità, come se ci fosse nata dentro.

Tutti guardavano lei. Anche il suo collega, che le sorrideva.

E anche lui. Sì, lui, l’altro collega, che stava più lontano e aveva una faccia un po’ meno contenta degli altri due, anche se a vederlo era quello più rassicurante. Insomma, quello che preferirei vedermi arrivare incontro se chiamassi il 112. Sembrava un po’ annoiato, in quel momento. Poi però gli hanno detto qualcosa, si è voltato verso di loro e ha riso grattandosi la testa con la mano. Ed è tornato al volante scuotendo il capo. Non so perché questo movimento mi abbia colpito così. Ma aveva un bel sorriso, e io ho cominciato a guardare solo lui, sperando che sorridesse ancora. Non so perché: di solito non mi fermo a fissare gli uomini per strada, e per giunta dev’essersene pure accorto, perché dopo che è entrato in macchina mi guardava dallo specchietto e mi è sembrato fosse persino a disagio. Bella idea dev’essersi fatto di me.

Mah… sarà che sono qui da poco e che in questa città non conosco nessuno. Non è come stare nella capitale, non si fa amicizia facilmente, sono tutti circoli chiusi e poco propensi ad accogliere persone nuove. Un mio amico, che mi è venuto a trovare tempo fa, questa città l’ha ribattezzata Burinia. Ma io non mi ci trovo male, e poi il trasferimento lo dovevo chiedere, dovevo proprio staccare. Cambiare vita… chissà. Per lo meno qui non rischio di ritrovarmi tutti i giorni davanti Roberto e la sua amata che danno la loro quotidiana rappresentazione della felicità in sala insegnanti, beati loro in fondo, e dovermi pure sforzare di trattarli con naturalezza – per fortuna ci riesco benissimo a fare l’indifferente, ci riesco così bene che lui non deve nemmeno aver capito del tutto che mazzata mi ha dato -, ma insomma, meglio così, e basta con questa storia. Non è nemmeno colpa di nessuno se sono la campionessa mondiale d’annegamento in bicchier d’acqua, e se volevo farglielo capire che lo sognavo la notte potevo pure essere un po’ più esplicita, in fondo non sono mica una verginella alle prime armi… Be’, alle seconde, se è per questo, ma non è questo il punto. Il fatto è che quando uno mi piace non ci capisco più niente, e poi non so giocare al gioco della conquista, degli sguardi e delle mezze parole col doppio senso. Io so fare solo la faccia corrispondente all’emozione che provo in quel momento, ormai lo so ed è meglio che mi metta il cuore in pace. Tanto non sarò mai una mantide, anche se ho più palle di tante mantidi che conosco. Forse è proprio questo il problema, a pensarci bene. Troppe palle. Ma lasciamo perdere, non son discorsi da maestra.

Vabbè, son passati vent’anni su questo diario, ma si vede solo dalla scrittura. Però lui aveva un bel sorriso. Chissà come si chiama.

 

 

27/9/2002

Oggi non mi è successo niente di speciale. Alla fine quei due sono sempre uguali. Cioè, alla fine sono uguali pure a prima che si sposassero. Prima c’avevano due case diverse, però tanto dormivano comunque sempre insieme, o da uno o da quell’altra. E pure al lavoro lavoravano e si facevano gli sguardini tutti core amore senza dare fastidio a nessuno e si rideva tutti assieme e si faceva il nostro dovere tranquilli lo stesso. Anche perché, alla fine, non è che si sbilanciano così tanto. Io penso che l’avrò visti sì e no due-tre volte mano nella mano. Però mo è diverso. Cioè a me mi pare diverso perché poi alla fine non lo so come è ‘sta storia. Non lo so davvero: sono sempre loro però a me mi paiono diversi. Alla fine stavamo bene tutti assieme prima che si sposassero. E io non mi sentivo mica di mezzo. Pure quando andavo a cena da loro due si stava bene assieme e basta. Il moccolo non me lo hanno mai fatto fare pure se c’avevano occasione. Però mo mi pare di essere di troppo. Anche se in pratica non è cambiato niente. Ma può essere che solo perché mo c’hanno l’anello al dito è cambiato tutto? A me non mi pare vero. Non mi pare proprio vero. Ma speriamo che rimaniamo amici lo stesso tutti e tre perché a me mi dispiacerebbe. Io a loro gli voglio bene: mi sono comprato pure la giacca con la cravatta per fargli il testimone.

 

29/9/2002 domenica

Ieri non ho scritto niente perché, visto che sto in licenza due giorni, mi è venuta a trovare Sorma. Sorma si chiama Diana ma a me piace chiamarla “Sorma” perché è buffo ed è come se le dicessi sempre che è mia sorella: oh sorella mia! Sorma, appunto. Fa l’università e se tutto va bene dice che tra poco finisce. Allora, siccome sta lontana e ci vediamo poco e siccome siamo tutti e due molto affezionati, ogni tanto mi viene a trovare e dorme a casa mia. Casa mia è piccola ma la cameretta piccola per lei ce l’ho voluta perché viene spesso, pure se c’ha 24 anni e c’avrà le sue cose da pensare e da fare. Però a me mi piace quando viene perché, a parte il fatto che è mia sorella e mi fa piacere vederla, è pure simpatica. Tu la vedi che pare una tranquilla tranquilla, tutta dolce, ma se ci si mette capace che ti fa un casino del ‘48. E allora a me mi fa ridere. Ieri sera mi ha portato fuori perché mi ha detto che voleva uscire e che pure io secondo lei ce ne avevo bisogno. Dice che non posso stare sempre chiuso in casa quando non lavoro. Io non sapevo dove portarla perché non è che sono abituato ad andare chissà dove, a parte quando mi invitano Andrea e Manuela. Però lei mi ha detto “basta che usciamo” e allora siamo usciti e abbiamo fatto pure tardi a forza di chiacchiere. E siccome è domenica mattina e sono pure le nove lei ancora dorme. E io che sono abituato a dormire poco mi sono messo a scrivere ‘sto diario perché non c’ho niente di meglio da fare e la televisione non la voglio appicciare. Alla fine a me mi pareva una cavolata scrivere il diario ma è pure divertente perché pare di parlare con qualcun altro. Anche se poi non è vero niente. Comunque ieri sera abbiamo fatto tardi e io mi sono divertito perché Diana mi ha raccontato di quello che fa lei e dei suoi amici.

A me i suoi amici piacciono parecchio. Li ho conosciuti una volta che lei li ha portati tutti quanti a casa mia. Non ci stavamo più dentro casa, però loro sono tutti giovani e hanno dormito anche sul pavimento. Ma tanto era estate. Sono stati qui solo un fine settimana ma mi sono troppo divertito perché sono dei ragazzi simpatici e allegri. Non ho capito poi come faccia mia sorella ad avere tutti quegli amici maschi rispetto a quelle poche femmine, ma non lo voglio sapere e in fondo non credo che ci sia nulla di male. Erano in otto e non si sono mica annoiati, sono stati sempre in movimento, a cantare, giocare, suonare, anche perché fanno tutti più o meno finta di essere grandi artisti e magari lo sono pure ma io non me ne intendo. Poi parlavano in continuazione, scherzavano e si facevano battute, parlavano dei cavoli loro. E a cosa bella è che mi facevano stare lì in mezzo a loro senza problemi e io potevo ascoltare o parlare e scherzare quando ne avevo voglia, anche se non mi conoscevano bene o sono più vecchio di loro. La cosa brutta invece è che sono dei ragazzi strani: mica che facciano o dicano chissà che, però quando se ne sono andati via e io ci ho ripensato, mi hanno fatto strano. Mi è rivenuto in mente il modo con cui facevano i discorsi ed è molto triste. Cioè, alla fine, non lo so. Io a 23-24 anni il lusso di fare casino come loro non me lo sono potuto pigliare visto che mio padre era morto proprio da qualche anno e Sorma doveva pur fare le superiori: c’era bisogno di un altro stipendio. Però a quell’età chissà che mi pareva avrei fatto nella mia vita e chissà che dicevo che avrei fatto. Poi niente, vabbè: di tutto quello che dicevo e speravo non si è visto niente. Però mo c’ho 33 anni e lo so da solo oramai che di quello che uno pensa a quella età non si vede praticamente niente, alla fine. Però io questo lo so perché sono più vecchio di loro. Questi invece pare che lo sappiano già che non c’è proprio niente da fare. E pure loro dicono di chissà che fanno, faranno, diranno, e quello che va bene e quello che va male, perché è l’età. Ma alla fine se guardi bene si vede che non ci credono manco loro. Pare che già sanno che non ci sta niente da fare. Ma proprio niente di niente. Solo che io lo so, e con mia sorella mi sbaglio nove anni d’età, quella invece mi pare che l’ha già capito benissimo, come gli amici suoi, che non ci sta niente da fare.

Io spero che Diana stia contenta. Ma alla fine mi pare di sì perché da quando sta all’università mi pare tanto rifiorita rispetto a come stava quando faceva le superiori. Ho scritto proprio furia però non c’ho proprio niente di meglio da fare stamattina che è pure domenica. Però mi pare che Sorma si è svegliata e quindi vado a preparare colazione. Mi sa che la vizio.

 

Oggi pomeriggio sono successe un po’ di cose e mo le racconto però vorrei fare in fretta: domattina mi devo svegliare presto che devo accompagnare Sorma in stazione e poi mi tocca stare di pattuglia per la strada a fermare le macchine che è il lavoro più palloso che uno può fare il lunedì mattina. Comunque oggi a pranzo Diana mi ha chiesto che fine avevano fatto Andrea e Oscar (pure lei ha pigliato il vizio di chiamarla Oscar pure se si chiama Manuela. A me mi paiono tutte matte.) e allora gli ho detto che erano tornati e stavano a casa loro nella mansarda. E lei mi ha fatto una coccia così finché non l’ho portata a casa di quei due, pure se io c’avevo paura di disturbare. Alla fine ci siamo andati e sono stati tranquillissimi come sempre e c’hanno offerto il caffè. Abbiamo chiacchierato del più e del meno come sempre però a me continua a farmi troppo strano. Poi a un certo punto Manuela ha preso Sorma e sono andate a fare e a dire le loro cose da donne. Perché Manuela, anche se è forte e fa il maschiaccio, sempre una femmina rimane. E a me mi hanno lasciato solo con Andrea. E allora ci siamo scafati mezza torta senza parlare quasi di niente. Andrea è uno che parla proprio poco ma quando lo fa va a botta sicura e infatti, a un certo punto, mi ha chiesto se stavo bene e se andava tutto bene perché era un po’ che mi vedeva scuro in volto. E io mica gli potevo dire che mi sentivo in imbarazzo con lui e con Manuela, che sono gli unici miei amici, dopo che si erano sposati mentre prima che convivevano a mezzo era tutto tranquillo. Mica gli potevo dire che non mi piaceva sentirmi da solo. E allora gli ho detto che andava tutto bene e che era proprio scemo a pensare una puttanata del genere. L’ho pigliata sul ridere come se fosse un’idea proprio stramba delle sue. Secondo me non c’ha creduto per niente per niente però non ha commentato. Solo che mi ha guardato strano per un po’ e poi mi ha proposto di andare un po’ a giocare col computer a Urban Terror. Poi le donne sono ricomparse, abbiamo salutato e siamo andati via. E io ci sono rimasto furia male per quello che mi ha chiesto Andrea perché non me lo aspettavo.

Poi con Sorma ci siamo fatti a piedi il giro della piazza e un po’ di vasche per il corso e c’era lei che mi teneva a braccetto. Stavamo spesso a ridere perché mia sorella c’ha un carattere che mi mette allegria e ogni tanto mi chiedeva un sacco di cose su di me e sui miei amici che poi sarebbero Andrea e Manuela. Poi a un certo punto mentre ci eravamo fermati davanti a una vetrina mi sono sentito proprio fissato. Ma proprio puntato fisso. E non capivo chi mi puntava in quel modo. E se ne è accorta pure Sorma di essere guardata solo che con tutta la gente che passeggiava non si capiva chi era. Poi ho visto che era quella ragazza che mi guardava l’altro giorno davanti alla scuola. E io mi sono sentito ancora di più in imbarazzo. Mi sarei sotterrato anche perché mi sa che quando ce ne siamo accorti, pure lei se ne è accorta, poverina, e si è sentita in imbarazzo perché si è visto dalla faccia che ha fatto quando ha ripigliato a passeggiare perché la trascinava una sua amica. Mi guardava come se avesse incontrato una persona famosa e veramente io ero troppo in imbarazzo perché è la seconda volta che la vedevo e non gli ho fatto praticamente nulla. Manco una multa posso avergli fatto. Non lo so proprio perché mi guardi in quel modo. Sorma ha detto che secondo lei è una mia ammiratrice che c’è rimasta male a vedermi girare a braccetto con lei. In effetti Sorma è una ragazza carina però non penso proprio che qualcuna possa stare dietro a me alla mia età e con la faccia che mi ritrovo. Mi pare tanto strano. Però di solito le donne su ‘ste cose ci azzeccano e magari Sorma c’ha pure ragione ma a me mi pare sempre più strano.

Vabbè, ho scritto proprio furia oggi e fortuna che il diario non l’ho mai scritto e che mi volevo spicciare. Comunque è domenica di licenza e di cose me ne sono successe rispetto al solito.

 

 

29/9/2002, domenica.

Sono le undici di sera e non ho niente da fare, ma non ho neanche sonno. Oggi ho passato una giornata noiosa con un finale deprimente, e non ho nessuna voglia di mettermi a letto. Sono anche arrabbiata come me stessa, e stanca di dover trovare delle spiegazioni per non essere più arrabbiata. Passavo il pomeriggio da sola mangiando patatine davanti alla TV, e tutto sommato non stavo neanche male perché c’erano i cartoni animati su Italia 1 e mi sono sempre rilassata a guardarli, fin da piccola. Anche se poi io questi cartoni di ora non li capisco più, mi sembrano fatti per bambini scemi. Però insomma, tra un canale e l’altro passavo il tempo.

Poi invece mi ha suonato la mia collega Patrizia, che da quando l’ho conosciuta, un mese fa, mi s’è attaccata come un’ostrica allo scoglio. Non sa mai come passare la domenica ma non ha nessuna intenzione di ammetterlo, e così ha fatto irruzione in casa mia assalendomi con un diluvio entusiastico di progetti, e alla fine mi ha trascinato per il corso di questa città a fare le vasche. Forse mi ha scambiato per una come lei. Forse ha ragione.

Caro diario, ma si può fare le vasche per il corso a trent’anni?

Insomma, ci sono andata, e ho dovuto pure salutare qualche mamma della III B a spasso col marito. Una si è pure fermata. Cavolo, pure di domenica, e voleva sapere se il figlio faceva progressi nel dettato, che lei lo aiutava sempre a fare i compiti. E’ per questo che non fa progressi, volevo dire.

Vabbè, lasciamo perdere, è ancora domenica.

Non vedevo l’ora di andarmene, e stavo cercando una scusa per evitare la pizza tête a tête che di sicuro Patrizia avrebbe proposto, con inevitabile strascico al cinema a guardare qualsiasi cosa, quando invece che trovare le parole adatte ho trovato lui, e mi è venuta improvvisamente voglia di una birra grande, con Patrizia davanti.

Anche lui va per il corso, quindi. E magari tutti i giorni. Stava con una ragazza, e ridevano. Già, ma perché mi stupisco? E poi lui chi? Una persona con cui, udite udite, questa volta non ho neanche mai parlato: è già dico “lui”, e mi stupisco che abbia una donna. Anzi, diciamola tutta: ci rimango male. Il trasferimento è proprio servito, vedo… Complimenti vivissimi, signora maestra. Ma già, dimenticavo che sono anche primatista assoluta di masturbazione mentale, oltre che detentrice del titolo d’annegamento in bicchier d’acqua.

Quale autore ha detto che non serve cambiare il luogo se non cambi l’animo? L’ho letto da qualche parte. Sui Baci Perugina, probabilmente.

Insomma, lui era là, davanti a una vetrina, e rideva. Che sorriso bellissimo che ha. E io a fissarlo come un’idiota. E nemmeno mi son resa conto che lo stavo fissando, finché non si è girato insieme alla sua ragazza perché pure lei si sentiva osservata. Niente da fare, non mi ero resa conto. Stavo lì e lo fissavo, dalla vetrina accanto. Patrizia che parlava e parlava senza accorgersi di niente e io che fissavo e fissavo dall’altra parte.

Ha un sorriso bellissimo, e anche stavolta l’ho messo in imbarazzo. Ci credo, e stavolta non era nemmeno solo… la fidanzata come minimo gli ha fatto il terzo grado, stasera. Poveretto, tutto per colpa mia… Mi viene quasi da ridere, a pensarci.

Roba da pazzi. Da pazzi.

E più da pazzi ancora che tutta ‘sta scena mi ha fatto venir voglia di piangere, e che la pizza l’ho proposta io a Patrizia, e poi ho bevuto tutta la birra e ho cominciato a parlare che non finivo più, e lei quasi non ci credeva che aveva davanti me, e le ho raccontato tutto, ma proprio tutto di Roberto, e pure di Stefano e di quand’ero piccola e del perché sono venuta qui, e lei mi guardava e non sapeva come fermarmi e ogni tanto cercava di raccontare qualcosa lei ma niente da fare, non gliel’ho permesso. Ho fatto la storia della mia vita. Le ho detto tutto, tranne che di lui.

Per fortuna che tra i tanti difetti non è pettegola, sennò era la fine. Ha detto che ero ubriaca, ed era preoccupata davvero, e non se n’è andata da davanti al portone finché non mi sono affacciata alla finestra di casa per farle segno che ero entrata.

Non è cattiva.

Ma non ero ubriaca, e non lo sono adesso.

Sono solo triste, e arrabbiata con me stessa, e forse sono ancora troppo ferita e me ne accorgo davvero soltanto ora. E non so perché tutte le volte, invece che reagire con una sana depressione e prendere a calci tutto il resto del mondo, mi viene spontaneo alzare la testa e sorridere come se non fosse vero, e continuare a inventarmi delle storie e poi crederci come se fossero vere senza che la cosa mi stanchi, come quest’uomo con questo sorriso tenero e gli occhi sperduti che nemmeno  conosco, ed è la seconda volta che lo incontro senza nemmeno parlarci, ed è la seconda volta che scrivo il diario su di lui. E anche stavolta non ho capito, ovviamente, perché non è affatto solo e non sono sperduti, i suoi occhi, come io credevo, ed ha una donna e ride con lei, naturalmente, e non si può pensare di aver capito qualcuno che si è intravisto appena, davanti a scuola, e poi rimanerci anche male se si scopre che non è così.

Ma finora non avevo mai fatto una cosa del genere con uno che non conoscevo nemmeno.

Basta, domani c’è scuola, per fortuna.

 

 

30 settembre 2002 lunedì

Della serie quando una cosa capita, allora capita proprio. Stamattina stavo con Andrea a fermare le macchine sull’incrocio per la stazione e c’ero io che leggevo i documenti e lui che scriveva i verbali. Tutta la mattina una palla clamorosa. Era passata la mezza e ne avevamo le scatole piene. Fatto sta che avevamo detto che fermavamo l’ultima, e allora a me mi è venuto lo sghiribizzo di fermare un pandino scassato che, a parte l’essere davvero scassato, non faceva niente di male. E anche se avesse voluto andare un po’ più forte gli sarebbero volati i pistoni per aria. E chi ci stava dentro? Quella che mi fissa quando la incontro. Io ci sono rimasto proprio di merda: della serie quando arriva arriva. Mo se arriva la sfiga o la fortuna non lo so dire. Lei però non è brutta e è pure simpatica. C’ha anche dei begli occhi sotto gli occhiali. Secondo me le basterebbe cambiare montatura. Una brunetta graziosa mo che l’ho vista da vicino.

Lei quando mi ha visto c’ha avuto un momento che si sarebbe voluta sotterrare però è stata forte perché si è ripigliata subito e mi ha fatto un sorriso un po’ furbo e simpatico che mi faceva ridere. Allora gli ho chiesto patente e libretto. Lei ha cercato un po’ la patente in un portafoglio stragonfio. Io mi chiedo che ci mettono le femmine nei loro portafogli. E infatti anche questa qui ha cercato in una marea di fogli e fogliettini e poi ha rovesciato di tutto prima di trovare la patente. A me mi veniva un ridere! Allora le ho fatto: “Signora, stia tranquilla”. Mi sa che si vedeva troppo che mi divertivo perché lei mi si rigira tutta impettita e mi fa: “Signorina, prego”. A me mi è venuto troppo da ridere tanto che mi è scappato da dire: “Interessante”. Che forse quando mi vengono in mente queste battute è meglio che mi stia zitto. Non lo so. Comunque poi sono andato da Andrea e abbiamo fatto quello che dovevamo fare. Non c’era niente di particolare: portava pure la cintura. E allora le ho riportato i documenti. Lei si era appoggiata con la testa sulla mano e quando ha sentito che mi riavvicinavo si è rialzata e mi ha sorriso tutta dolce. Pareva che si volesse scusare. C’ha pure un bel sorriso: peccato quella montatura. E poi a me quella situazione mi pareva troppo assurda: cioè, non sta né in cielo né in terra che una mi fissa in quel modo, io che mi ci imbarazzo pure, (io che c’ho una faccia di bronzo che suona meglio di un gong) e poi me la rincontro per caso in servizio. Comunque le ridò i documenti e le dico sul serio arrivederci. A lei pare che gli avessi detto chissà che. Le donne sono tutte matte. Questa mi sa più di altre perché piglia, ingrana la prima, pare che deve fare Sciumacker col pandino, ma non fa a tempo a partire che mi si rigira e mi chiede come mi chiamo. Io casco dalle nuvole: non me lo aspettavo e mi sa che ci ho fatto una figuraccia. Però lei mi sa che si voleva vendicare della battuta di prima, o che ne so che gli è passato per la testa. Comunque insiste e mi fa:”Ma lo sai che lei, in quanto pubblico ufficiale, è tenuto a dichiarare il suo nome al cittadino che ne facesse richiesta?” Allora le ho detto come mi chiamo. Però non gliela poteva mica dare vinta del tutto e allora, siccome non mi posso stare zitto e c’ho una linguaccia terribile, le ho detto che se era per sporgere delle lamentele ai miei superiori poteva dirle benissimo a me direttamente e che se voleva le davo il mio numero di telefono. Lei subito ha fatto una faccia strana poi si è ripigliata e mi ha detto che se avesse avuto bisogno di dirmi qualcosa sarebbe stata in grado di rintracciarmi da sola. Forte: è stata al gioco e a me mi piacciono le femmine che sanno rispondere a tono: mi divertono un mondo. Comunque si chiama Nadia e c’ha 30 anni. Viene dalla capitale. Chissà che c’è venuta a fare da lì a qui.

Comunque se ci ripenso mi viene da ridere per questa situazione. Mi veniva tanto da ridere che se ne è accorto pure Andrea e mi ha chiesto di far ridere anche lui. E allora gli ho raccontato un po’ di ‘sta storia. Lui sorrideva. Poi se sorride così ci credo che le femmine gli cascano ai piedi. Poi alla fine rideva anche lui tutto allegro e un po’ mi pigliava per culo: hai capito il rubacuori, sciupafemmine, ti ci voglio proprio vedere ecc… E io ahivoglia a dirgli che a questa non gli ho proprio fatto niente prima di stamattina, però lui rideva lo stesso. Siamo stati bene a parlare di questa storia. Mentre stavamo a parlare di questo non ci pensavo mica che lui era sposato. Forse non è cambiato davvero niente. E poi non ce la faccio mica a stare incazzato con lui: è uno troppo buono. Però gli ho detto che se lo diceva a Manuela gli facevo un culo così. Ma tanto lo so che glielo dice.

 

 

2 ottobre 2002, mercoledì.

Insomma, questa davvero non me l’aspettavo né immaginavo, e sì che di fantasia ne ho anche troppa, ma certe cose ti fanno proprio dire che è destino… io non lo so. E non so più cosa pensare. So solo che sono molto più di buonumore di qualche giorno fa, sebbene razionalmente non ne abbia grandi motivi. Insomma, non è successo granché…

L’ho incontrato. Sul serio, stavolta. Un incontro vero, di quelli che ti guardi in faccia e ti parli, e l’altro ti risponde e tu rispondi a lui. L’ho incontrato. Due volte. Tutt’e due per caso.

La prima volta più che un incontro è stato uno scontro, a dire il vero. Ieri. Era di pattuglia e mi ha fermato mentre tornavo a casa in macchina. Ti vedo questa paletta rossa e subito penso e adesso che avrò fatto di male, per fortuna che ho la cintura allacciata. Metto la freccia e accosto, abbasso il finestrino e chi ti vedo? Lui, proprio lui, il mio carabiniere misterioso che da quando l’ho visto la prima volta non faccio altro che fissarlo indecorosamente e metterlo in imbarazzo senza volerlo. Stavolta però la sorpresa me l’ha fatta lui, e quando ho visto che era lui credo di essere diventata di tutti i colori nel giro di due secondi, per fortuna che non avevo davanti uno specchio. Mi ha riconosciuto, non c’è dubbio. Mi ha chiesto patente e libretto, e mi son sentita a disagio come se mi avesse chiesto il numero di telefono. Ma lasciamo perdere i numeri di telefono… se penso a quello che è successo dopo…

Cercando i documenti ho cominciato ad armeggiare col portafoglio, che è più fondo del pozzo di San Patrizio perché per pigrizia e disordine non butto mai via niente, neanche gli scontrini del bar. Alzo gli occhi e lui ride: è divertito dal mio imbarazzo, mi dice: “Signora, stia tranquilla”. Io rispondo come risponderebbe mia zia Clotilde: “Signorina, prego”, e con lo stesso tono che userebbe lei. Da vecchia zitella. Poi mi mordo la lingua: che idiota, penso. E lui che dice? “Interessante”. Non credo alle mie orecchie, mi giro. Lui ride ancora, e io nonostante tutto mi rilasso, allora: è simpatico. Mi piacciono gli uomini che sanno sdrammatizzare. Ma sono ancora un po’ scioccata, e quando mi riporta i documenti non mi ricordo più come si fa a far partire la macchina, mi ci metto d’impegno. Lui guarda, e ride appena con un’aria un po’ incredula.

Allora non so perché me ne vengo fuori con una delle mie uscite che non lo so da dove mi vengono ma di sicuro non passano per il cervello prima di uscire dalla bocca. Così, d’impulso: “Come si chiama?”. Poi mi viene voglia di sparire sotto il sedile, mi aspetto che risponda quanto meno: “Qui le domande le faccio io”. Invece lo metto in imbarazzo di nuovo, rimane di stucco.

Cerco di uscire dalla situazione facendo la distaccata, gli dico che un pubblico ufficiale deve dire il suo nome (sempre come zia Clotilde). Lui me lo dice, si chiama Nicola, e aggiunge con una faccia di culo incredibile che se è per fare delle lamentele mi dà anche il suo numero di telefono, così gliele faccio direttamente. A me da una parte mi è venuto un colpo e dall’altra mi è venuto da ridere. Ma non mi andava di dargliela vinta, ormai ero in ballo: allora gli dico che se ho bisogno di dirgli qualcosa lo rintraccio da me. E parto.

Ho iniziato a sorridere dopo dieci metri, guardando nel finestrino, e ho continuato a sorridere fino a casa. Strano effetto, mi ha fatto.

E’ simpatico. Ha un bel sorriso ed è simpatico. Ma di flirtare come una liceale sbronza con un carabiniere a un posto di blocco non mi era successo mai.

 

E non è mica finita qui. Stasera l’ho rivisto di nuovo, al supermercato. Facevo la spesa da sola, e davanti al banco dei biscotti giro intorno a un mezzo armadio col carrello che di spalle guarda lo scaffale alla ricerca di non so che. Perché gli uomini quando fanno la spesa sembrano Alice nel Paese delle meraviglie? “Permesso!” dico, visto che come al solito ho una fretta del diavolo. Lui si sposta, gli vado davanti e lo guardo con la coda dell’occhio. Poi mi giro e lo guardo meglio, quasi non ci credo: è lui, in borghese. E’ altissimo… cioè, insomma, è un normale uomo alto… è che io sono un metro e sessanta senza tacchi, e così vicino, in piedi davanti a me, non l’avevo mai visto. Indossava una giacca sportiva che gli stava benissimo, con quel modo un po’ trascurato ma bello che hanno certi uomini di vestire. Ha due spalle che sembrano fatte a mano. Ma mi lascio trasportare…

“Prego…”, mi risponde con quel sorriso da presa in giro del giorno prima. “Che sorpresa…”, aggiunge.

Che sorpresa??? Io a momenti cado per terra dalla meraviglia.

Poi però mi riprendo, e cerco di darmi un tono: “Buonasera, che ci fa da queste parti?”. Domanda intelligente… uno se va al supermercato è per fare la spesa, no? Infatti lui risponde: “La spesa, non si vede?”. Si vedeva eccome: una spesa da uomo. Aveva nel carrello una quantità industriale di scatolette: tonno, carne Simmenthal, sughi già pronti, pizza precotta, perfino l’insalata mista già lavata e tagliata in un sacchetto di cellophane. “Questo non ce l’ha in casa una donna che cucina”, ho pensato subito. E subito dopo: “Non siamo ottimisti, forse la sua donna è fuori per qualche giorno”. Scatolette. Ma parlo io, che se sto in casa da sola e devo preparare per me, me la cavo con una mozzarella e un po’ di prosciutto, o al massimo un piatto di pasta al burro. Però se ho ospiti cucino, almeno.

“Sto cercando i Pan di stelle - mi fa -. Lei non sa mica dove sono?”. “Di solito stanno lì – rispondo io -, ma ora non li vedo. Prenda quelli di quell’altra marca, che sono molto simili”. “Eh no! Sennò come faccio a fare i punti del Mulino Bianco?”, dice, e mi guarda ridendo in un modo che mi fa venir da ridere. Poi si gratta appena la testa con quel gesto buffo che gli ho visto fare la prima volta da lontano, e fa un sospiro scettico: “Ma tanto non la finirò mai quella raccolta – dice -. Da solo non mangio abbastanza biscotti”. A me non so cosa mi è preso, ma mi è venuta voglia di rendergli la pariglia per la battuta del giorno prima, e quando mi viene una risposta buona non so mai resistere: “Interessante…”, ho commentato rivolta verso lo scaffale, cercando le merendine. Così siamo uno pari.

Non l’ho guardato subito, perché facevo l’indifferente, ma quando mi sono girata verso di lui era ancora lì a bocca aperta. Allora ho infierito: “Guardi, nel caso possiamo unire le forze: io ci metto i punti dei Tegolini, lei quelli dei Pan di stelle, così il Coccio con le rondini riusciamo a vincerlo, se ci impegniamo a fondo”. Lui era ancora più sbalordito, ma si vedeva benissimo che non me la voleva dar vinta, e senza pensarci due volte ha detto: “Come no, così poi facciamo colazione insieme…”. Aveva una faccia soddisfatta, perché si vedeva che io ero rimasta come una scema. Anche se, sì, me l’ero voluta.

Poi però il suo sorriso è diventato impercettibilmente più dolce: “Scusi – mi ha detto -. Ho un po’ esagerato. Che ne dice se mi limito a offrirle un aperitivo, per ora?”

A quel punto non potevo più dire di no. Per la verità non avrei detto di no per niente al mondo.

Ci siamo seduti a uno di quei tavolini del bar che sta nel centro commerciale, e abbiamo preso un analcolico. Non mi ricordo bene quello che ci siamo detti, perché erano cose un po’ a caso, col denominatore comune della simpatia reciproca. Si vedeva dagli occhi. Anche dai miei, credo. Abbiamo iniziato a darci del tu. Ha detto che il mio nome è un bel nome.

Poi a un certo punto è successa una cosa un po’ strana, che non so perché ha rovinato tutto. Gli ho visto cambiare espressione, e girandomi ho visto arrivare il suo collega dell’altro giorno insieme a quella donna carabiniere che era con loro la prima volta. Erano in borghese anche loro, e lei portava una minigonna cortissima, col risultato che anche quella sera la guardavano tutti, anche se non era vestita in uniforme. “Sono due miei amici – mi ha spiegato Nicola prima che arrivassero -. Sono sposati da poco”. Io ho trovato abbastanza strano che avesse detto così. Me li ha presentati, e si sono seduti con noi. Erano simpatici, e cordiali. Lui di poche parole ma gentile, lei apparentemente molto sicura di sé, ma si vedeva benissimo che pendeva dalle labbra del marito, perché ogni volta che lui apriva bocca s’interrompeva e lo guardava ammirata come se dicesse chissà quale verità. Bello però essere innamorati così.

Ma insomma, loro erano tranquilli. Invece Nicola è stato sulle spine per tutto il tempo, era a disagio. Strano, perché non pare nemmeno il tipo: sembrava uno che si sente troppo osservato. E quando i suoi amici sono andati via non è stato più come prima, non sapevamo quasi cosa dire. Allora mi sono alzata, anche se un po’ controvoglia, e ho fatto per salutarlo. Si vedeva che voleva chiedermi se ci rivedevamo, ma… non lo so… sembrava che il momento giusto fosse passato… e anch’io non ero certa che lo volesse, così non ho parlato.  Alla fine mi ha detto solo: “Ciao, allora ci rivediamo davanti allo scaffale dei biscotti” e mi ha dato la mano. Io ho tirato fuori il mio sorriso migliore anche se ero delusa, e l’ho salutato, ma mentre uscivo dal centro commerciale mi sono girata verso di lui un attimo, e ho visto che era ancora lì a guardarmi con una faccia indecifrabile. E’ successo due ore fa. Ora sono a casa, e non so cosa pensare.

 

 

2 ottobre 2002

Vabbè, stasera ho rincontrato la tipa, quella che mi guardava… eccetera eccetera. L’ho incontrata al supermercato e insomma, tra una battuta e un’altra, l’ho pure invitata a prendere un aperitivo. In pubblico. Tanto in pubblico che mi incontro proprio i due piccioncini. Ieri sera poi Manuela era di un figo… ma di un figo… che mannaggia è sposata con un mio amico. E a questo punto è meglio che mi censuri. E, di tutti i momenti in cui me li potevo incontrare, proprio mentre ero con una donna, che sono mesi che non mi piglia l’improvvisazione di abbordarne una neanche per scherzo. Sarò invecchiato. Beh, mi è preso uno scazzo, ma uno scazzo… Quella poverina ci sarà pure rimasta male, visto che sono stato io ad invitarla e poi niente. Non si può pensare per tutti. Peccato, mi dispiace perché è molto simpatica: mi sono messo a chiacchierare con lei che era una bellezza. Mi pare un sacco di tempo che non parlo così tranquillamente con qualcuno. Con mia sorella non è che mi posso lasciare andare a ruota libera. Prima che i due si fidanzassero parlavo un sacco bene con Manuela anche perché, se sei fortunato a trovare una donna in gamba, ci si parla meglio che con un uomo di cose personali. Non lo so perché. Solo che poi alla fine Andrea ce l’ha fatta a farla fermare (e pure lui ce ne ha messo di tempo) e allora un po’è cambiato, perché a me mi faceva strano chiacchierare dei casi miei con la donna del mio amico. Poi mo è pure sua moglie. E alla fine con quella, che poi si chiama Nadia, ho rovinato quel poco che c’era da rovinare. Peccato: è forte lei. Sarebbe anche carina se si togliesse quella montatura. Di fisico non è male.

 

3 ottobre 2002 giovedì

Non ne se ne infila una giusta. Stamattina in caserma li avrei fucilati tutti: evidentemente “qualcuno” deve aver spifferato l’incontro. Uno a caso. Tutta la caserma che rideva sotto i baffi. Anche perché io i cavoli miei me li faccio per conto mio. Ecco perché magari li vado a raccontare a Manuela piuttosto che a Andrea. E ho detto tutto. Se la ridevano tutti anche perché io di donne se ne voglio ne ho. Solo che per avere quella fissa non c’ho mai avuto testa, né tempo né voglia. E quindi quelle che per un po’ mi trovo me le tengo per me. E ieri sera m’hanno sgamato per la prima volta. E mo chissà che si credono. Mica che me ne freghi qualcosa di quello che pensano però mi scoccia che mi si prenda per culo dietro le spalle. Neanche avessi fatto qualche cosa di male! E allora ho tirato fuori lo stronzo che è in me e ho sparato a zero su tutti. E se ho qualcosa da dire non lo faccio certo per corriere. Insomma: è stato tutto un becca becca oggi in caserma, e si faceva a chi era più cattivo. Poi per fortuna si è messa di mezzo Manuela, che è stata l’unica a non dire nulla, sennò finiva a scazzottate: e mi sono anche contenuto. Quella è una forte perché sa tenere l’ordine che è una meraviglia: sa sempre quello che dire per evitare che si esageri. Ma delle volte se c’è da esagerare neanche lei scherza. Vabbè. Poi, prima di andare via, mi ha chiamato nel suo ufficio e mi ha dato da riordinare i verbali di questi giorni e di cercare informazioni sulle persone che aveva evidenziato in quelli. E ‘sta matta indovina chi ha evidenziato? Neanche a dirlo. Ruffiana anche lei ma con stile e discrezione, almeno. Perché Andrea è si un tipo riservato, ma soprattutto per i cavoli suoi: per quelli degli altri un po’ di meno. E io l’altro giorno gli ho raccontato di Nadia, poi ci ha visto insieme, chissà che viaggi si è fatto e gli è scappata la parola di troppo. Non posso mica ammazzarlo.

Comunque adesso ho il suo numero di telefono. Non so che farci ma ce l’ho.

Mi ha chiamato mia sorella e mi ha detto che forse ha trovato un lavoro part-time come istruttrice di ginnastica ritmica per le bambine. Meno male che almeno tutti quegli anni di sacrifici per la palestra, con tutto quello che c’è stata ammalata, sono serviti a qualcosa. Non dovrebbe essere somara: in fondo qualche premio l’ha vinto. Mi ha detto anche che il proprietario della palestra è un ragazzo giovane e simpatico. E poi per farmi arrabbiare mi ha detto che è uno splendido ragazzo da far perdere la testa. Ma tanto orami cosa vuoi che mi arrabbi: ha 24 anni e sarebbe anche ora e passata che si trovasse un ragazzo come Dio comanda e non uno stronzo come quello che l’ha fatta ammalare. Ma adesso non ci voglio ripensare.

 

5 ottobre 2002, sabato, ore 18.

Santoddio, è appena squillato il telefono e sono andata a rispondere: era lui.

 

 

Continua

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