The moonlighter - Crosscut

Destini incrociati

 

 

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Nota esplicativa. Questi due racconti gemelli nascono da una circostanza verificatasi nella stesura del primo. A un certo punto ho scritto una scena che - mi sono resa subito conto - se fosse stata lasciata lì avrebbe fatto prendere alla storia un indirizzo completamente diverso da quello che avevo in mente. Però quella scena mi piaceva, e non volevo toglierla. Sono stata per un po’ indecisa se continuare per quella via o tornare faticosamente indietro e realizzare il racconto secondo il progetto di massima, anzi, secondo il sentimento, che mi aveva ispirato inizialmente e che credevo potesse portare a un buon risultato. Le due cose non erano conciliabili. Mi sono risposta che, se proprio ci tenevo tanto, potevo provare a scriverli tutti e due. Ho lasciato quindi in sospeso quella che poi è diventata la seconda storia, sul cui esito avevo le maggiori incertezze, e ho rimesso mano alla prima eliminando il pezzo fuori sintonia. Mi è venuto il desiderio di tentare una sorta di gioco combinatorio (da qui il sottotitolo allusivo), di utilizzare lo stesso impianto di base ma, attraverso differenti “tagli di montaggio”, costruire due racconti molto diversi. Ho modificato quindi, dall’uno all’altro, anche le medesime scene riproposte, con cambiamenti piccoli o grandi, per dare coerenza all’insieme. Mi piaceva l'idea di far entrare, per così dire, il lettore nel “laboratorio” della scrittrice di fanfics. Avevo già capito che il primo racconto sarebbe stato più sobrio e realistico e il secondo molto più di genere “romance”. Devo ammettere che prediligo il primo, anche se scrivere il secondo mi ha divertito molto di più (il motivo fondamentale è che in questo le scene erotiche abbondano). A pensarci bene, credo di aver separato le qualità delle due storie un po’ allo stesso modo in cui nel film “Gemelli” (spero apprezzerete la coltissima citazione), Arnold Schwarzenegger e Danny De Vito nascevano da uno stesso esperimento di fecondazione in laboratorio: e in realtà non era vero che uno avesse tutte le virtù e l’altro tutti i difetti, ma si completavano a vicenda. Quello che spero è che anche i miei “gemelli” alla fine si completino a vicenda, e siano venuti bene ognuno per suo conto, se i lettori avranno la pazienza di leggere ciascuno integralmente, cominciando dal primo. Scrivere questi due testi è stato un po’ anche un “ritornare alle origini”, al “canto”, ai modi delle prime cose che ho pubblicato, ormai una quindicina di anni fa, secondo corde che non sentivo più vibrare da tempo. Non scrivo per dei fini particolarmente profondi, ma perché mi diverto a farlo. Mi piace immaginare delle situazioni, raccontare storie che il lettore possa divertirsi a leggere. Sostanzialmente è tutto qui, spero d’esserci riuscita.

Alessandra, 14 luglio 2016

 

 

 

Lo stridere secco delle lame che raschiavano le connessure tra i mattoni si propagava in sommessi colpi regolari nel perfetto silenzio della notte. L'ombra scalava la parete altissima con lenta agilità, coperta dal manto cupo delle nubi che velavano il cielo. Un sibilo vibrò nell'aria e si estinse nell'urto sordo del metallo sulla merlatura: la figura nera fissò il rampino tirando la corda con un movimento sicuro del braccio, poi vi si sospese e si dondolò due volte nel vuoto, prima di passare di slancio oltre la cinta muraria. Le guardie poste sugli spalti non l'avevano nemmeno sentito.

Anche quella notte il cavaliere nero avrebbe seminato il panico in una riunione di nobili.

 

Oscar lo aspettava nel folto della macchia poco distante, tenendo buoni i cavalli. Era stranamente inquieta. Più le loro spedizioni notturne erano coronate dal successo, meno quella storia le piaceva. Era stupita lei stessa di quanto la cosa la preoccupasse: non era certo la prima volta che correvano dei pericoli, ne avevano affrontati di ben peggiori. E lei non era solita risparmiarsi né darsi pensiero delle conseguenze, quando organizzava quelle imprese.

Ma stavolta sì. Per qualche strano motivo, ogni sera che uscivano con quella mascherata era in ansia. Forse perché non era lei ad agire in prima persona, ma André.

E André era eccezionalmente audace, quando si muoveva nei panni del cavaliere nero. Ne avvertiva l’efficienza in modo addirittura fisico: era aspro e fulmineo, si stentava a riconoscere in lui i gesti morbidi e rassicuranti, quasi pigri, che aveva nella vita normale. Tranne, forse, che nella scioltezza dei movimenti, che era la stessa. Decideva ed agiva in modo imprevedibile. Oscar, che lo accompagnava sempre, faceva fatica a coprirlo, a intuire le sue iniziative improvvise e ad assecondarle. Agiva come se la sua presenza non fosse nemmeno necessaria, come se volesse fare tutto da solo. Sembrava disprezzare il pericolo.

Sembrava, con quella maschera e quei vestiti neri addosso, che non fosse nemmeno lui.

 

***

 

Nel silenzio della notte fonda la cucina di palazzo Jarjayes era un luogo quasi fuori dallo spazio reale. Erano rientrati a un'ora da ladri, stando attenti a non farsi sentire, perché le loro spedizioni dovevano essere un segreto per tutti. Si distinguevano i contorni delle figure solo alla luce del focolare semispento, sulla cui brace morente tremolava una fiammella che Oscar aveva ravvivato col ferro.

“Ecco, ho trovato un po' di pollo nella dispensa”, gli disse sottovoce avvicinandosi con un piatto coperto e del pane in un involto di carta.

Tacque, percependo il respiro regolare di André. Ne distinse gli occhi chiusi al baluginio della fiamma, il viso piegato di lato sulla spalliera della sedia, l'alzarsi e l'abbassarsi silenzioso del petto. Dormiva col corpo allungato sul sedile, le gambe rilasciate sul pavimento, il braccio destro abbandonato da cui pendeva ancora, scivolando tra due dita, la maschera che si era tolto.

Era sfinito.

Le sfuggì un sorriso tirato, che subito lasciò il posto a uno sguardo serio. Non era giusto chiederglielo, lasciare che lo facesse per lei. Eppure lui l'aveva voluto, l'aveva addirittura preteso. Aveva usato buoni argomenti, che, valutati razionalmente, erano stati convincenti.

Solo che non c'era molto di razionale nel suo affetto per André. Quando si era tagliato di netto con il coltello i capelli che portava legati, sorridendo col viso chino, il cuore di Oscar aveva mancato un battito. Non era riuscita a spiegarsi quel turbamento, ma era qualcosa che in qualche modo aveva a che fare con la paura e col bene che gli voleva. Ciò che riguardava André, se per qualche motivo veniva a modificare la loro consuetudine, toccava un tasto molto profondo in lei, che la destabilizzava. Il ripetersi quasi abitudinario delle loro azioni quotidiane, il ritrovarlo sempre giù che la aspettava ogni giorno, i suoi stessi, soliti, abiti di servizio, il suo sorriso sempre contento di rivederla... tutto questo era come un solido basamento emotivo, per lei, un concreto punto d'appoggio e d'equilibrio. Scontato ma non banale. Le era semplicemente necessario darlo per scontato: Oscar non contemplava nemmeno l'eventualità che non ci fosse.

Se n'era resa conto da tempo. E, da quando se n'era resa conto, aveva cominciato a stare in ansia.

 

Gli andò vicino. Quegli abiti neri gli donavano. La camicia slacciata sul petto svelava la pelle appena abbronzata. La sua espressione distesa, nel sonno, sembrava trasfigurare il suo viso, renderlo diverso. Quando si fosse svegliato, il suo sorriso di tutti i giorni avrebbe trasformato di nuovo quel giovane uomo in André: ma adesso, come sotto l'effetto di una specie di malia, quei lineamenti seri e sereni parevano rivelare qualcosa che normalmente stava nascosto. Oscar pensò  che non l'aveva mai visto dormire fino a quel momento.

Pensò anche che, molto probabilmente, la cosa non era reciproca.

 

“Scusa, mi ero assopito...”

Lo disse con un mormorio stanco, in cui solo la familiarità con la sua voce le fece riconoscere le parole. Si raddrizzò un poco sulla sedia. Il bagliore tenue del camino sottolineò le occhiaie profonde sul suo viso.

Si rese conto della presenza di lei a pochi centimetri. Che, probabilmente, lo aveva fatto svegliare. Istintivamente si allontanò un poco, e sorrise.

“Non hai più fame, vero?”

“No, meglio di no...”

“André...”

“Dimmi”, rispose piano.

“Pensavo...”

“Sì?”

“Pensavo che forse dovremmo smetterla con questa storia di cercare il cavaliere nero. Dovresti smetterla tu, di correre questi rischi”.

Lui si stirò prima di risponderle, e posò un piede sul ripiano del camino. Mise una mano sul ginocchio.

“Perché possa correrli tu? Ne abbiamo già parlato, Oscar, è fuori discussione”.

“Ma...”

“Ti ho già detto che i tuoi capelli sono troppo biondi, e la tua figura troppo esile per assomigliare al vero cavaliere nero”. Sbadigliò coprendosi la bocca con una mano, poi ravvivò ancora il fuoco. “Non saresti convincente. Ma, te l'ho detto, il tuo è un buon piano. È solo un ruolo che si addice più a me”.

“André, potrebbe essere pericoloso”.

Egli tacque alcuni secondi, fissandola. Poi si alzò di fronte a lei. Le pose piano le mani intorno alle spalle.

“Proprio per questo devo farlo io”, mormorò.

Oscar chinò il capo, e subito lo rialzò per ribattere, ma lui la prevenne.

“Non potrei sopportare che ti succedesse qualcosa”, disse in tutta semplicità, come fosse l'argomento definitivo.

La lasciò e voltò il viso, facendo per andarsene.

“Andiamo a dormire Oscar, è tardi”.

“André...”

“Cosa?”

“Ma... se fosse lo stesso per me?”

Lo aveva detto quasi precipitosamente, senza pensare a quel che diceva. E poi era rimasta in silenzio, stupita dalle sue stesse parole, incapace di finire.

André si bloccò. Tornò indietro, di fronte a lei. La fissò intensamente.

“Se fosse lo stesso cosa, Oscar?”

Sul suo volto provato gli occhi brillavano di una luce viva.

Lei ricambiò lo sguardo, allora: “Se anch'io non potessi sopportare che ti succedesse qualcosa?”

André ebbe come un sussulto muto. Parve aver trattenuto il respiro per un attimo. Rimase in silenzio alcuni secondi, guardando a terra, poi le prese entrambe le mani, tenendole nelle sue. Sollevò piano il viso e parlò a voce bassissima: “Questo è un altro buon motivo per farlo”.

 

 

***

 

Da quella sera avevano cominciato a guardarsi e a parlarsi in modo diverso, a esitare l’uno di fronte all’altra. A rivolgersi dei sorrisi timidi. A non toccarsi più, dopo una vita che si conoscevano. Era proprio il momento giusto, nel bel mezzo di una pericolosa caccia all’uomo. Avrebbero dovuto essere concentrati solo su quello ed entrambi lo sapevano.

Ma era successo, e nessuno dei due voleva veramente fermare la cosa. André sembrava aver raddoppiato le sue energie e si slanciava in quelle missioni quasi a cuor leggero. Come euforico. L’unica cosa cui stava sempre molto attento era che lei lo aspettasse a una distanza sicura. Non sentiva letteralmente ragioni, su questo.

Il che faceva infuriare Oscar, che aveva il cuore in subbuglio, combattuta tra quelle attenzioni, il legittimo amor proprio, e quel poco di lucidità che restava per capire che si stavano comportando in modo assurdamente imprudente. André tornava volando ai cavalli, con un sorriso guascone e il sacco della refurtiva in spalla. “Vai, vai, vai!”, la incitava ridendo, e fuggivano al galoppo dagli inseguitori divertendosi come dei ragazzi che avessero rubato in un frutteto. Si svegliavano tardi e passavano mattine intere a girovagare nei campi destati dalla primavera nascente, divagando in conversazioni senza un senso preciso, che si protraevano per ore. Erano ormai inseparabili, letteralmente, a tal punto che sembrava strano perfino per due come loro, che passavano la vita insieme.

 

“André, questa cosa deve finire, e subito”, gli disse lei una sera, finalmente.

 

Era molto tardi, ed erano saliti in silenzio nel salottino d'anticamera di Oscar. Lui si era appena tolto la maschera ma aveva ancora addosso il mantello, le dava le spalle guardando la sera oltre la finestra. Si voltò nella sua direzione.

“Cosa vuoi che finisca, esattamente?”

“Tutto... questo! Non è un gioco, è una cosa seria, André, ti prego! Stiamo cercando di stanare un criminale che potrebbe comparire da un momento all'altro. Ci sono pericoli reali, e per di più dobbiamo evitare anche le guardie dei nobili che non vedono l'ora di spararci una palla nella schiena. Ci vuole cautela, pianificazione. Dovevamo fare un po' di rumore, sì, attirare l'attenzione... ma non così tanto, non con questa leggerezza! In più tu vuoi fare tutto da solo, mi estrometti, e sai bene che è una cosa stupida, perché senza il mio aiuto corri molti più rischi. Sembra che tu ti diverta a fare il ladro imprendibile, e il peggio è che mi diverto anch'io, e ti lascio fare... È pazzesco! Stiamo... mescolando delle cose che non devono essere mescolate. Dobbiamo smetterla, André, smetterla subito. Non si scherza in queste situazioni e tu lo sai bene quanto me”.

 

Non le rispose subito. Rimase di spalle a guardare la notte, silenzioso. Tacque per minuti che sembrarono eterni.

“Hai ragione - disse infine serio, con un sospiro verso il buio -. Hai assolutamente ragione su tutto. Scusami, Oscar”.

“André, non scusarti, io... non l'ho detto per questo. È che sono preoccupata, davvero”.

“Non devi spiegarti. Hai completamente ragione, te l'ho detto. Lo penso davvero. E mi sento responsabile”.

“André...”

“È che... scusa... mi sono comportato come un ragazzo e ho messo in pericolo tutti e due. Sono imperdonabile. È che... Oscar... io... mi sono lasciato prendere dalla situazione”.

Lei chinò il volto, gli occhi bassi: “Quale situazione... ti prego, voltati, André...”

Lo vide girarsi piano, fare alcuni passi verso di lei.

“Oscar, hai detto che abbiamo mescolato delle cose... È vero, lo penso anch'io. Intendevi quello che penso io, quando hai detto quella frase? Di cosa stiamo parlando, davvero? Ti prego, dimmi che capisci quello che sto dicendo, altrimenti non avrò più la forza di andare avanti”.

Ammutolì, quando vide una lacrima scenderle lungo il viso. Oscar lo fissava. Le sue labbra tremavano impercettibilmente. Allora pensò che non gli importava nulla se aveva capito male o si era sognato tutto, perché lei era tutto quello che aveva sempre cercato nella vita, e non c'era niente che volesse di più, in quel momento.

L’abbracciò quasi con disperazione, con un singhiozzo, il viso tra i suoi capelli. La tenne stretta pregando Dio che lei lo volesse, perché tutto sarebbe stato perduto, in caso contrario, e quando sentì che Oscar si volgeva verso di lui, rispondendo con trasporto a quell'abbraccio folle e dolcissimo, trovò la sua bocca e con un gemito le diede il primo dei baci di quella notte.

 

***

 

Era bellissimo andare a letto con lei. André era travolto da quell'improvvisa, completa felicità. Era sorpreso, anche, di quanto Oscar fosse stata appassionata fin dal primo incontro. Si erano quasi divorati di baci, in un abbraccio che era stato tanto desiderato quanto impellente e che si era immediatamente concluso sul letto di Oscar, in un frenetico spogliarsi. Erano trasaliti insieme, all'incontro della pelle nuda, e lui aveva perso la cognizione del tempo, di tutto quello che c'era intorno. Era stato come se, in quella che era la prima volta per tutti e due, avessero una fretta assoluta di unirsi, di diventare l'uno dell'altra. Lei lo aveva attratto tra le sue gambe e lo aveva chiamato, e lui l'aveva penetrata subito, con dolcezza e passione. Senza nemmeno sapere come si facesse, aveva perso la testa e seguito solo l'istinto. Oscar non aveva fatto neanche un lamento, lo aveva stretto ancora di più. Erano rimasti fermi, l'uno nell'altra, poi avevano iniziato a baciarsi insaziabilmente, e lui a muoversi, fremendo. Oscar era impazzita, osservando il suo viso sconvolto dal piacere, i suoi gemiti ardenti, sentendo le sue mani che la stringevano, la sua voce disfatta, e gli era venuta tra le braccia all'improvviso, respirando forte nella sua bocca. Del tutto fuori di sé, André l'aveva seguita immediatamente. Aveva goduto dentro di lei con un grido profondo che aveva soffocato sulla sua spalla nuda.

Si erano addormentati come sassi subito dopo, e avevano dormito fino al mattino nel letto di Oscar, coi vestiti neri di lui e l'uniforme da colonnello sparpagliati a terra. Quando si erano svegliati, a giorno fatto, avevano chiuso a chiave la porta e si erano di nuovo presi voracemente, senza una parola di commento. Oscar gli era salita sopra e si era incollata a lui, assaporando a occhi chiusi le sensazioni che le dava il sentirlo scivolare a lungo dentro di sé con quel ritmo lento e crescente. André le aveva tenuto le mani strette addosso e ne aveva assecondato i movimenti lasciando che cercasse il suo piacere. C'era voluto molto tempo e aveva resistito fino alla fine, quando lei gli si era abbandonata contro sudata, ansimando. Quando aveva sentito la saliva che il suo piccolo grido gli aveva lasciato sul collo, era venuto ancora afferrandola forsennatamente, con più spinte convulse.

 

Questo era successo quel giorno, che avevano chiamato il giorno di follia. Quando, come disse poi Oscar sfiorandogli il petto con le labbra, in una successiva occasione, si erano comportati prima come ragazzi, poi come animali. André aveva sorriso e ammesso, ed era tornato a baciarla promettendo maggiore cautela per il futuro. Del resto l'imprudenza era stata di tutti e due, e, anche se non c'era niente da ridere, sembrava che ad entrambi non importasse poi molto. Era stata una cosa nata dall’amore, dall'inesperienza e dal lungo desiderio represso, che non erano riusciti o non avevano voluto controllare, in un momento come quello.

 

Ne seguì un periodo intensamente felice, in cui l’unico elemento di reale prudenza fu che sospesero la caccia al cavaliere nero. Per qualche settimana, anche grazie a una pausa nelle feste da ballo dei nobili che coincideva col periodo pasquale, le loro spedizioni notturne subirono una battuta d’arresto. Non fu lo stesso per le loro attività notturne, che invece diventarono travolgenti. Fu come se volessero recuperare tutto in una volta il tempo che avevano perduto, come se volessero imparare a conoscersi sotto ogni aspetto, completamente. Nei loro incontri appassionati, dopo aver fatto l’amore fino a sfinirsi, si raccontavano da capo le loro vite dal primo giorno, non lasciando nulla d’inesplorato tra quelli che erano stati i pensieri segreti di ogni circostanza, le parole che avrebbero voluto e non avevano potuto dire. “Cos’hai pensato quando sono fuggita al galoppo e tu volevi che diventassi una donna?” “Cosa avresti fatto se quella notte, dopo la rissa nella taverna, ti avessi preso tra le braccia e baciato, come volevo?” “Cosa sarebbe successo se, quando ti lanciai quella mela, non fosse arrivato Fersen a farla esplodere con una fucilata?”

Fersen era un argomento che pesava moltissimo ad André. Anche adesso che era riuscito a conquistare il cuore di Oscar, che aveva la conferma di averlo avuto da sempre. Le fece solo una volta una domanda su di lui, pentendosi subito, affermando risoluto e turbato che Oscar non doveva dargli alcuna spiegazione, giustificarsi di nulla. Ma lei era così coinvolta dal sentimento che provava per André, dall’amore che sentiva crescere in sé ogni giorno di più, dalla realtà meravigliosamente appagante della loro relazione, che era una cosa vera e non un sogno unilaterale fondato sul nulla, che volle spazzare via ogni dolore dal suo cuore e dalla sua mente. Lo circondò di attenzioni e lo rese ebbro di gioia, fu un’amante infuocata e una compagna fedele, mise quasi a rischio la segretezza del loro rapporto per dargli la prova che non c’era niente che le facesse paura. Era come se, chiarito finalmente in sé ciò che provava e voleva, avesse immediatamente compreso chi era, e da questo le venisse una forza immensa, che aveva il potere di scardinare ogni convenzione, di sfidare qualunque legge. Lo lasciò esterrefatto e incredulo quando, durante una visita pomeridiana del conte, si comportò per tutto il tempo, con parole e con gesti, in modo da non lasciare dubbi sul grado d’intimità che esisteva tra loro due. E quando Fersen, al termine del duello d’allenamento in cui era stato strapazzato a dovere, ripescò ansando la vecchia battuta sul perché Dio l’avesse fatta nascere donna, gli occhi di Oscar cercarono sorridendo quelli di André, che le sorrise di rimando, per un lunghissimo istante, isolandosi dal mondo con lei, davanti allo sguardo confuso del loro ospite. Mise un braccio intorno alla vita di André, quando Fersen prese congedo, e sorrise rilassata al suo fianco, osservando il conte che andava via.

Fecero l’amore subito dopo, in piedi contro un albero del parco, nell’oscurità crescente della notte agli inizi. Contro i pantaloni semisfilati di Oscar, dopo averla presa a lungo tenendola stretta contro il tronco, lui venne con un gemito forte, implorandola di continuare a toccarlo, di non smettere mai.

 

Successe in modo molto facile e naturale, come se fosse cosa del tutto ovvia tra loro, nonostante avessero ripreso la vita avventurosa di prima, in un clima affettivo completamente diverso.

 

Ritrovarono, col venire dei giorni, un equilibrio e una prudenza nuova, più matura e cosciente. Sapevano cosa andava fatto e agivano in modo sensato e accorto. Quando decisero di rimettersi al lavoro, di dar seguito all'impresa di cercare il cavaliere nero, il sentimento che li univa era più intenso che mai, ma loro due erano molto più maturi e consapevoli di quanto fossero mai stati prima, nei tanti anni che avevano trascorso insieme senza appartenersi. Misero a segno brillantemente una quantità di imprese nelle dimore aristocratiche, collaborando con intelligenza, senza mai correre veri rischi.

 

***

 

Infine, il piano funzionò, e il vero cavaliere nero si fece attirare nella trappola. Oscar gli comparve alle spalle e gli puntò contro la pistola, pronta a sparare.

Ma quel farabutto fece una piroetta da acrobata piombando con la spada sguainata contro André, e se André non avesse parato al volo, d'esperienza, sarebbe stato trapassato dalla violenza del colpo e ammazzato lì. Il duello fu furibondo e talmente veloce che Oscar, nell'oscurità della notte, non riuscì a distinguere le due figure e a prender la mira su quella giusta. Come un animale intrappolato,  il bandito si batté con la ferocia della disperazione, vibrando fendenti letali quasi alla cieca. E trovò una falla nella difesa di André, che voleva catturarlo e non ucciderlo. All'incrocio delle spade la leva dall'alto lo disarmò, e la lama sfilò repentina lungo il suo corpo arrivando a colpirlo proprio sul viso: il taglio fu leggero ma netto e recise la maschera, ferendolo all'occhio sinistro.

 

Quando André cadde in ginocchio e Oscar vide la sua mano insanguinata premuta sul viso, quando lo vide a terra, la mano destra contratta in uno spasmo di dolore, levata in aria quasi a cercarla, si sentì morire. Non contò più nulla fare quella cattura, sfruttare il vantaggio della pistola, arrestare il cavaliere nero: lo lasciò fuggire e si gettò su André avvolgendolo in un abbraccio disperato, prendendogli la mano nella sua, rispondendo alla sua voce che la chiamava e stringendolo a sé nella notte, come se esistesse soltanto lui.

 

***

 

L’alba sarebbe spuntata presto e lei lo aveva riportato a casa. Stava disteso sul letto, quasi assopito dal dolore, un’ampia fasciatura che gli copriva l’occhio ferito. Il dottore, fatto chiamare nel cuore della notte, non aveva fatto una diagnosi infausta: André avrebbe dovuto riposarsi, medicarsi regolarmente, e non sbendarsi alla luce per nessun motivo. In questo modo c’erano buone possibilità che recuperasse senza subire danni permanenti.

Oscar lo vegliava senza parlare, senza cercare di parlargli. Sentiva su se stessa ogni fitta che interrompeva il suo sonno, segnalata da un impercettibile lamento. Semplicemente non riusciva a staccarsi da lì.

Era incredula, come era rimasta incredula poche ore prima, quando lo avevano ferito. Alcuni secondi inebetita, incapace di dominare la situazione. Si era precipitata su André disarmata per abbracciarlo proprio davanti a quell’uomo, e aveva reso tutti e due un bel bersaglio, se solo avesse voluto ucciderli. Per fortuna all’altro la cosa non interessava, e si era accontentato di allontanarsi da lì, dopo essersi preso qualche secondo per contemplare la scena.

Era sprofondata nella costernazione, rimase per delle ore completamente smarrita. A tal punto che, quando André si destò e, come prima cosa, le chiese chi era il cavaliere nero e se l’avesse preso, non capì la domanda. Dovette fare mente locale per rispondere che l’aveva lasciato fuggire. E, quando André protestò che aveva fatto male, che dopo tutta quella fatica non doveva perdere un’occasione d’oro, quasi si ribellò. “Ma cosa stai dicendo - disse con un tono accorato -, come credi che avrei potuto? Tu sei la cosa più importante di tutte. Come potevo abbandonarti ferito?”

André si voltò verso di lei, che gli sedeva accanto, e tacque. Osservarono in silenzio attraverso la finestra la prima luce del sole nascente che rischiarava tenue il cielo. “Sono contento che non sia stato il tuo occhio, davvero - mormorò -. Non avrei potuto sopportare che succedesse qualcosa ai tuoi occhi”. Oscar si girò a guardarlo senza parole, sentendo le lacrime salire. Riuscì a dire soltanto “André...”, posando il capo sul letto, vicino al suo petto, avvertendo le mani di lui infilarsi tra i suoi capelli.

 

***

 

Fu una cosa che travolse l'equilibrio che avevano trovato e riaccese nella loro relazione una passione frenetica e disperata. Nei giorni venuti in seguito Oscar curò il suo cuore e il suo corpo. Quando André si sentì meglio, e fu in grado di fare tutto ciò che faceva prima, seppur con l'occhio coperto dalla benda, lei lo volle costantemente accanto a sé e lo amò con tutta la dolcezza di cui era capace. Nel dolore per ciò che era accaduto trovarono una nuova, tenerissima ragione per donarsi completamente l'uno all'altra. Lo rassicurò mille volte, dicendogli che sarebbe tornato tutto a posto, rispondendogli che lo avrebbe amato per sempre se, come a volte lui ipotizzava, ciò non fosse successo. La paura che aveva avuto di perderlo le fece comprendere ancora di più quanto le fosse indispensabile. Si diede a lui, in quelle notti, con languida arrendevolezza, con calma fremente e intensa. Gli portò via ogni lucidità coi baci della sua bocca, facendogli perdere ogni cognizione e controllo, sorprendendolo con carezze e con gesti che lui non aveva mai neanche pensato potessero compiere insieme. André dimenticò la sua ferita e impazzì d'amore, insieme a lei. Non riuscì più a opporre alcuna obiezione sensata, divenne una cosa completamente sua. “Tu mi togli la ragione, Oscar...”, le disse più volte, ansimando, mentre lo stringeva, lo tratteneva, lo spingeva a rimanere in lei, mentre lo facevano e sentiva che André stava per arrivare al culmine, e questo le dava un languore e un'eccitazione profondissimi, e perdeva la cognizione del tempo e di qualsiasi altra cosa, mentre il letto diventava un nido soltanto loro, un rifugio separato dal mondo, e cominciava a gemere e a godere anche lei, e implorava e accelerava il suo piacere, e lo stringeva con le mani e con le gambe senza lasciarlo andare, fino a farlo venire, lungamente, in lei.

Fu un'ubriacatura d'amore, condita di tristezza e di frenesia. Quello che era successo non spense ma infiammò e rinsaldò ancor di più ciò che provavano reciprocamente, rendendoli pronti a qualsiasi conseguenza. Anche a ciò che quel comportamento implicava.

Successe in modo molto facile e naturale, come se fosse cosa già scritta, tra loro.

 

***

 

Eppure, nonostante l'intensità di ciò che provava per lui, c'era ancora rabbia nel suo cuore. Una rabbia che la faceva fremere se assisteva alle visite del dottore, mentre guardava André disinfettarsi la ferita, in disparte ma attenta a ogni minima parola, a ogni particolare.

E un pensiero, come un chiodo fisso.

Ha quasi accecato André, non può cavarsela così.

 

Forse non avrebbe fatto nulla, davvero, ma vi fu portata da una richiesta del padre.

Dopo il furto di duemila fucili agli uomini del generale, egli le chiese di partecipare alle indagini per arrestare il colpevole. Oscar non aveva mai rifiutato, in campo militare, di fare qualcosa che le ordinava suo padre. Fu l'antica consuetudine familiare e il mestiere delle armi a spingerla, quasi in modo normale, a comportarsi in termini puramente operativi.

In più desiderava prendere il feritore di André

Fu questa l'occasione. E fu questo l'errore.

Oscar andò da sola al Palais Royal, residenza del duca d'Orléans, nei pressi del quale aveva perso le tracce del cavaliere nero in uno dei primi inseguimenti. Fu catturata dai ribelli e rinchiusa in una stanza all'ultimo piano. Al terzo giorno che mancava da casa, quando la nonna lo informò del motivo, André si tolse le bende dall'occhio ferito, indossò di nuovo i panni del cavaliere nero, e andò a cercarla.

 

***

 

Dal momento in cui fu rinchiusa in quella prigione e sentì la chiave girare nella serratura, ebbe la certezza angosciosa che André sarebbe venuto a prenderla, e che per farlo avrebbe messo a rischio l'occhio. Passò tre giorni, minuto dopo minuto, a cercare disperatamente un piano per liberarsi da sola prima che succedesse. Ma era difficile, le finestre erano alte e il balcone pericolante, e in più le avevano fatto consegnare l'uniforme, lasciandole solo una camicia da notte. I suoi carcerieri non si facevano vedere: le passavano dei pasti che quasi non toccava attraverso un'apertura nella parete. Una sola volta il cavaliere nero in persona, di cui ora conosceva l'odiata voce, le aveva chiesto di scrivere a suo padre per chiedergli uno scambio, la sua liberazione contro armi e munizioni. Era stata perfino sul punto di accettare, nell'ansia di prevenire un'iniziativa di André, ma sapeva che sarebbe stato inutile, perché l'esercito non trattava certo con i ribelli.

Così si mise a costruire una corda con le lenzuola e con tutto ciò che trovava. Ma era troppo corta, non sarebbe mai bastata a calarsi fino a terra: si sarebbe ammazzata al primo tentativo, e quel che aveva capito da poco di sé le impediva di correre questo rischio.

 

Una sera, all'improvviso, sentì dei colpi leggerissimi a quella finestra. Capì subito che era lui, e che aveva scalato l'edificio appena fattasi sera, usando gli attrezzi da ladro che avevano accompagnato le sue razzie notturne. Gli aprì subito, facendo meno rumore possibile, e lo fece entrare, notando i pantaloni laceri, la camicia strappata. “Ho dovuto neutralizzare una guardia - disse ansante per la scalata -, sta dormendo dentro un cespuglio qui sotto”.

Non si rese nemmeno conto di come si fosse trovata fra le sue braccia. Le lacrime le solcarono il viso.

“Oh, André, sei tu... ma cosa hai fatto... perché sei venuto qui...”

Gli sfiorò il viso con la mano sopra la maschera nera, scostando delicatamente i capelli che coprivano l'occhio sinistro, sbendato.

“Oh, no... ma cosa hai fatto... cosa hai fatto...”

Lo abbracciò disperata, la guancia premuta contro la sua, un dolore e un rimorso insopportabili nel cuore, incurante del pericolo, dei carcerieri che potevano scoprirli: “Non dovevi farlo, non dovevi, perché...”, ripeteva, sentendo affiorare le lacrime, le dita intrecciate dietro la sua nuca, fuori di sé.

André la prese tra le braccia con tutto il cuore, la tenne stretta. Portò a sé il suo capo con una mano e la baciò più volte tra i capelli, febbrilmente. Le sue labbra accostate all'orecchio mormorarono tremando: “Io non vivo senza di te, Oscar, non vivo senza di te...”

 

La osservò, in camicia da notte com'era, sconvolta e piena d'amore e di preoccupazione per lui. Il suo cuore s'intenerì, la sua mente riacquistò il controllo della situazione necessario per portarla a casa. “Non possiamo muoverci subito, Oscar, è troppo presto: c'è ancora troppa gente in questo momento. E non possiamo calarci dal balcone in due, è troppo alto. Dobbiamo aspettare che sia notte fonda e poi forzare la serratura, ho l'occorrente. Nel corridoio non c'è nessuno, l'ho visto dalla finestra. Io mi farò passare per il cavaliere nero e ti porterò fuori in qualche modo. E, se abbiamo fortuna, prenderemo anche il nostro amico”.

La baciò, poi la prese in braccio e la portò al letto: “Ti ho trovato proprio abbigliata come speravo - bisbigliò sorridendo -. Ma non preoccuparti, ho portato dei vestiti per te, e anche la pistola, per dopo. Ora però è meglio che tu riposi, nell'attesa, e devo riposare un po' anch'io”.

“Non penserai che possa dormire, André”.

Lui la baciò, chiudendo gli occhi in un sospiro: “Oh, se potessi non ti farei certo dormire, ma non possiamo essere pazzi fino a questo punto... Sì, devi dormire, adesso, è meglio. Ci sono io”.

Oscar fu scossa da un tremito e rispose con trasporto al bacio appassionato che le diede, abbandonandosi, facendosi baciare ancora, come se non trovasse altro modo per dirglielo. Lui le si posò accanto, con ancora la maschera sul viso, l'avvolse tra le braccia ricambiando con la stessa passione, le sorrise commosso e ansante, quasi stupito.

“Oscar, cosa c'è...”

“Oh, André, è meglio che tu lo sappia ora... che te lo dica...”

“Cosa devi dirmi, Oscar...”

Pronunciò le parole senza guardarlo in viso, direttamente contro il suo cuore, che prese a battere forte.

“Io credo di essere incinta, André”.

“Oscar...”

La sollevò, palpitante, portando il suo volto a sé. La fissò con uno sguardo pieno di commozione e di sorpresa: “Oscar... è vero? È vero?”

“Sì, André, io... credo proprio di sì”.

“Oh, amore... sei incinta... sei incinta...”. Lo ripeteva con tenerezza incredula, come se usando la parola potesse dare forma all’idea, comprenderla veramente. “Sei incinta... amore mio...”

Posò ancora le labbra sulle sue e le diede un bacio che non finiva mai, dolce e intenso, tremante, stringendola tra le braccia. Così, con ancora addosso tutti quegli abiti neri, dimentico per lunghi minuti di dov’erano, dei pericoli che correvano, nel silenzio del palazzo si abbandonò con lei a baci e carezze piene d’emozione. Oscar l’attrasse a sé, offrì alle sue mani ansiose il suo corpo avvolto dalla camicia leggera, che scivolava, in quel trasporto appassionato, salendole alla vita. Gli offrì  il suo ventre nudo cercando ansiosamente con le mani di spogliarlo, di aprirgli i pantaloni perché la prendesse così, senza aspettare un istante.

“Oscar, cosa fai... oh... sei pazza... siamo pazzi... ti amo, Oscar, ti amo...”

Con un gemito soffocato la portò a sé e la prese come se non potesse rimandare un istante, con irruenza travolgente la tenne stretta e l’amò, ancora completamente vestito, stringendosi ai suoi fianchi nudi sotto la stoffa leggera, con urgenza profonda. La fece impazzire d’amore quando, senza trattenersi, le donò il suo piacere lasciandole capire che stava per arrivare all’orgasmo, e con passione incredibile la baciò e venne tremando forte, sussultando sconvolto tra le sue labbra, restando in lei ancora con altre spinte, che si esaurirono lentamente mentre si abbandonava. Oscar colse d’istinto quel ritmo afferrandosi ancora a lui, continuò a muoversi sotto il suo corpo stremato dal piacere fino a trovare il suo piacere, s’inarcò all’improvviso rovesciando il capo all’indietro, con un gemito roco che soffocò sul cuscino.

 

 

***

 

Il cavaliere nero, al secolo Bernard Châtelet, giornalista, si rigirava nel letto con un buco nella spalla fattogli da una pistolettata di Oscar. Lo avevano messo in una stanza appartata di palazzo Jarjayes e fatto medicare su richiesta di André, che lo aveva anche salvato dall’essere consegnato subito alle autorità. Oscar non era per niente d’accordo, ma in quel momento non avrebbe rifiutato nulla ad André, così aveva chiamato il dottore e aveva anche voluto parlare a quel farabutto, quando si era ripreso, per capire come mai la persona che le era più cara al mondo tenesse tanto a quell’uomo che l’aveva quasi accecata.

Quanto a lei, non aveva esitato un istante a sparargli, quando aveva tentato di sfuggire alla cattura: doveva ammettere, anzi, che lo aveva fatto con una certa soddisfazione. E si era anche moderata, perché aveva mantenuto il controllo e mirato a un punto non vitale: rispetto alla rabbia e al dolore che aveva in corpo quella notte, gli aveva fatto una carezza.

Giornalista, amico di filosofi e propugnatore di nuove idee. Faceva dono del bottino delle sue razzie ai poveri di Parigi, che per questo avevano iniziato ad amarlo e a parlarne con entusiasmo come del loro nuovo eroe. Indubbiamente tutta la faccenda era un’operazione politica orchestrata da altre menti, ma lui pareva convinto delle sue ragioni: aveva detto con un certo orgoglio di essere qualcosa di più che un ladro, di aver agito per dei motivi nobili, e di non essere pentito delle sue imprese. Non aveva, infatti, l’atteggiamento del delinquente colto con le mani nel sacco: parlava da pari a pari con lei, non abbassava gli occhi chiedendo clemenza, si richiamava a principi di libertà e di uguaglianza e sembrava pronto a morire per sostenerli. In effetti non si era mostrato granché preoccupato che Oscar lo facesse arrestare, cosa che gli sarebbe costata il patibolo. Dava anzi la cosa per scontata, ma manteneva il suo atteggiamento fiero e convinto. E sosteneva idee che, a grandi linee, potevano anche risultare condivisibili.

Tutte cose che avrebbero potuto farlo apprezzare a Oscar, in condizioni normali. Ma lui era quello che aveva ferito all’occhio André, e questo glielo faceva detestare a prescindere. Nonostante, conoscendolo, Oscar fosse sempre più convinta che si trattava di un caso particolare, e che le istanze di cui Châtelet si faceva portatore andavano quanto meno ascoltate - e che questo, dunque, dava ragione ad André -, nutriva nei suoi confronti un’avversione personale che le era difficilissimo reprimere. Portare in grembo il figlio di André aveva fatto nascere in lei un amore, un senso di protezione infinito, e un odio profondo, mai provato prima, verso tutto ciò che poteva fargli del male e rischiare di separarli.

Sentimento che crebbe e degenerò fino a esplodere quando, pochi giorni dopo, André si sentì mancare l’equilibrio scendendo le scale dietro di lei, e, appoggiandosi al muro per non cadere, disse pallidissimo che aveva un po’ male alla testa. Quando, al termine della visita fatta il pomeriggio stesso, il dottor Lassonne decretò severo che li aveva avvertiti, che André non avrebbe dovuto sbendarsi, e che aveva perso per sempre l’uso dell’occhio sinistro, Oscar perse il controllo.

Andò a prendere la spada e si precipitò furente in camera di quell’uomo che dormiva, la sguainò e l’alzò su di lui furiosa, per farlo a pezzi. Rimase con l'arma levata in aria, ansante, per un interminabile momento, pensando a tutto quello che era successo, alla paura sincera che si era dipinta sul viso di André nell'istante in cui il dottore aveva emesso la sua diagnosi, prima che riuscisse a reprimersi per non turbarla. Stette tesa e pronta a sferrare il colpo sentendo in sé una violenza che non aveva mai avuto, quasi atterrita dal comprendere che stava per farlo davvero.

E poi abbassò lentamente il braccio, ritrovando sufficiente lucidità. Rinfoderò la lama, fremendo, e fece qualche passo fuori, fino al balcone. Le uscì un grido nero e dirotto di gola, che nacque nelle profondità del suo cuore e si sparse sulla campagna illuminata dal tramonto.

Bernard Châtelet non si rese conto di nulla.

 

***

 

“Sapevo che ti saresti fermata”.

Glielo sussurrò alle spalle, inaspettatamente, come se si fosse materializzato dietro di lei senza far rumore. Le avvolse le braccia intorno alla vita, su quel balcone, poi raggiunse le mani che tremavano ancora, e intrecciò le dita alle sue. Le posò il mento sulla spalla, rivolto verso la sera nascente, col viso accostato al suo viso, e osò sfiorarle il ventre magrissimo, timidamente, avvolgerlo con le mani in una carezza. Oscar tacque, e lo lasciò fare, chiudendo gli occhi, ascoltando quell'abbraccio tremante. Poi si voltò smarrita, e vide che André aveva coperto l’occhio ferito con una ciocca di capelli.

Gli si gettò addosso in un singulto, le braccia contro il suo petto, e pianse silenziosamente.

 

***

 

E gli chiese scusa, perché sapeva di essere responsabile anche lei. Gli chiese scusa ancora molte volte, anche quando lui la pregò di lasciar andare il prigioniero, con pacata determinazione. Lo fece la sera stessa, nonostante avesse appena saputo di aver perso l'occhio. Oscar era stupefatta che in un momento simile sapesse andare oltre se stesso, argomentare con tanta equilibrata ragionevolezza, spiegarle i motivi per cui pensava che farlo fosse la cosa giusta con la pazienza con cui lo fece. Con un'obiettività davvero superiore, che la portò a comprendere fino a che punto André fosse convinto delle idee per le quali andava a quelle riunioni notturne, facendo lunghe cavalcate, per sentir parlare di fraternità e di un mondo dove gli uomini fossero uguali tra loro.

Ammirata e tristissima, si fece vincere da quelle ragioni e lo fece. Nonostante tutto, non si era mai resa conto così nel profondo, fino ad allora, di quanto fosse nobile e grande l'animo di André.

 

Nel momento più teso di quella discussione, di fronte alle sue proteste che si trattava di un criminale e che quello era l'uomo che lo aveva privato di un occhio, André aveva sospirato e aveva cercato di spiegare: “Oscar, è proprio perché forse non è solo un criminale. Non è solo per lui, è per quello che rappresenta, per quello che c'è tra noi... perché vorrei che molte delle cose che dice fossero vere, e anch'io mi batterei perché lo fossero”.

“André, io potrei capire in un'altra situazione, ma adesso non credo di farcela, è troppo difficile. È per te... è per te... io... non sopporto che ti abbia fatto questo”.

Lui l'aveva cinta con le braccia, allora, e mai come in quel momento Oscar aveva percepito l'immensità di ciò che provava per lei: “Oscar, lo so... sapessi cosa significa per me saperlo, anche se non vorrei causarti questo dolore”. L'aveva stretta in un brivido struggente, scuotendo il capo con un gemito lieve: “So che voglio troppe cose da te, che ho fatto troppe cose con te che non avevo alcun diritto di fare e di volere, che ho tante responsabilità anch'io... ma io credo che sia giusto averle e volerle, sarei disposto a morire per averle... io ti amo, Oscar, amo te e questo bambino che abbiamo fatto insieme e che è mio figlio... Dio, non riesco quasi a crederci... e da quando so che c'è è come se sentissi che non posso tirarmi indietro, che è necessario fare di tutto per rendere il mondo un posto migliore. Io ti amo e voglio difendervi, e fare tutto quello che serve per renderti felice, per stare con te per sempre, se tu mi vuoi...”

Quelle parole gli avevano strappato un gemito, e a Oscar era scoppiato il cuore d'emozione e di tenerezza. Aveva assecondato il moto del suo viso che le sfiorava la guancia e si era volta a lui, e lo aveva interrotto con un bacio che aveva mozzato il respiro a entrambi, che era durato infinitamente, nel confondersi delle lacrime, nella gioia delle mani che si erano cercate in un abbraccio istintivo, febbrile, dolce.

 

***

 

Quando Bernard Châtelet si fu rimesso, Oscar invece che denunciarlo lo liberò. Lo scortò per un buon tratto di strada e gli diede l'indirizzo di Rosalie. Quello non poteva credere che lo facesse, e aveva iniziato a ringraziarla, a dire che non si sarebbe mai aspettato da un nobile un tale gesto.

“Senti - lo aveva interrotto lei -, non devi ringraziare me. Io non potrò mai perdonarti per quel che hai fatto. Se fosse dipeso solo da me, probabilmente saresti già in una cella ad aspettare la condanna a morte”.

“Chi devo ringraziare, allora?”, aveva chiesto Châtelet.

“André. Soltanto lui. Per qualche strano motivo, nonostante quello che è successo, non ce l'ha con te, e pensa che la tua vita serva a qualcosa”.

“Sei molto aspra, colonnello. E il tuo attendente plebeo ha una singolare influenza su di te”.

“Questi non sono affari tuoi - disse Oscar -, e non permetterti di chiamare in quel modo André, o ci ripenso”.

“Per carità, non volevo intromettermi nelle vostre faccende private - sorrise l'altro -. Anzi, ti prego di ringraziare di cuore il mio benefattore, dico davvero. Riflettevo solo sul fatto che, se tieni così tanto a uno come André, forse sei meno lontana di quanto credi dal capire la nostra lotta”.

“Può darsi - rispose Oscar -, ma André non è mai andato in giro a fare del male agli altri in nome di un ideale. Per quante nobili ragioni tu possa addurre per ammantare di dignità quel che hai fatto, credo che quanto è successo dimostri che è stato molto più uomo lui del cavaliere nero”.

Voltò il cavallo senza dire più nulla e partì al galoppo, per tornare a casa.

 

***

 

La giornata era trascorsa in una serie interminabile di adempimenti burocratici che l'avevano trattenuta in caserma. Cominciava a essere caldo e il clima di Parigi in quel periodo dell'anno era decisamente poco salutare. Oscar terminò il suo lavoro alla scrivania, poi si stirò sulla sedia e decise che per quel giorno poteva bastare. Si alzò, e andò nel piccolo alloggio privato attiguo al suo ufficio a darsi una rinfrescata. Si ravviò i capelli e mise in perfetto ordine l'uniforme blu da colonnello della guardia metropolitana, fino a ottenere l'effetto impeccabile che, come sempre, la faceva ammirare indistintamente da soldati e ufficiali. Il palazzo del corpo di guardia era molto silenzioso, a quell'ora del venerdì. Ma era normale: salvo quelli comandati di servizio nel fine settimana, per la maggior parte i soldati tornavano dalle loro famiglie in città, ed erano affaccendati e tranquilli, in attesa del segnale del trombettiere che annunciava la fine del turno. Oscar sorrise e sistemò le sue cose. Anche lei tornava a casa, e non vedeva l'ora di rivederli.

Si erano da poco ritrasferiti in zona, per avere la possibilità di stare più tempo insieme. Dopo un anno di comando nel nuovo incarico, lei aveva deciso che la situazione si era sufficientemente consolidata per consentire un avvicinamento. Non era stato così all'inizio, quando aveva dovuto intraprendere un lungo viaggio, insieme ad André, per andare ad aspettare quel figlio in un posto quieto e tranquillo dove nessuno li conoscesse. Aveva ottenuto un congedo speciale dalla regina, che al suo ritorno si era anche occupata di assegnarla, come aveva chiesto, a un comando più defilato e lontano dalla corte. Ricordava ancora la faccia stupita di Maria Antonietta quando le aveva domandato un'udienza privata urgente per presentarle la sua supplica.

 

“Dovete dirmi perché, Oscar. Io sono pronta ad aderire a qualsiasi vostra richiesta, ma voglio sapere per quale motivo, dopo tutto questo tempo, volete lasciare la guardia reale”.

“Perdonatemi, Maestà. Il motivo appartiene alla mia sfera privata, e vi assicuro che se vi chiedo di allontanarmi adesso c'è una ragione seria. Non c'è altra soluzione, almeno per il momento: se voi doveste dirmi di no, io sarei costretta comunque a prendere congedo dal mio incarico. Solo che la cosa farebbe molto più rumore”.

La regina si era alzata dal trono che occupava nella sala delle udienze e le si era avvicinata affettuosamente. L'aveva fatta sollevare dalla posizione inchinata conforme all'uso e le aveva preso le mani, parlando con il tono che usava anni prima, quando, fidandosi solo di lei, le chiedeva di portare a Fersen i suoi messaggi d'amore: “Oscar, so che i nostri ruoli reciproci vi impongono una rispettosa distanza, e vedo anche che avete qualcosa di molto importante da proteggere. Ma vi assicuro che potete fidarvi di me come la più discreta delle amiche. Dimenticate che sono una regina, in questo momento. Voi siete stata fidata e leale con me quando una sola vostra parola poteva rovinarmi. Vi assicuro che non ho dimenticato e che sono in grado di contraccambiare. Farò tutto quello che occorre per aiutarvi e proteggervi, credo che adesso voi ne abbiate bisogno”.

“Maestà, temo che quello che dovrei dirvi vada al di là di qualsiasi immaginazione”.

“Ditemelo lo stesso, Oscar, vi prego”.

 

Oscar sorrise al ricordo dello sguardo di Sua Maestà quando le aveva messo nelle mani la sua vita e le aveva rivelato, con un accento semplice e in fondo sereno, che aspettava un figlio: Maria Antonietta si era portata le mani al viso sussurrando un: “O mio Dio!” totalmente genuino che l'aveva colpita, perché, nell'assoluta sorpresa che si leggeva nei suoi occhi, c'era anche un sorriso pieno d'affetto. Quasi lieto, si sarebbe detto.

Era immediatamente cambiato tutto. La regina l'aveva perfino fatta sedere e le aveva versato dell'acqua.

“Maestà, vi prego, vi assicuro che...”

“Sono io che vi prego, Oscar. Come vi sentite? Siete stata dieci minuti in ginocchio, santo cielo. Non sarete venuta qui a cavallo!”

“Maestà, io sto benissimo, ve lo giuro...”

“Mio Dio, Oscar... è una cosa... meravigliosa...”

Lei aveva sospirato: “Sì, Maestà, lo è veramente. Ma è anche molto difficile”.

Sull'identità del padre, però, Oscar aveva voluto mantenere un assoluto riserbo. La regina non aveva indagato, si era solo premurata di capire se avessero un progetto insieme, se intendessero sposarsi. Oscar aveva risposto che niente al mondo li avrebbe resi più felici entrambi, che si trattava di un uomo che amava più della vita, ma che le sarebbe stato assolutamente proibito, date le circostanze, unirsi in matrimonio con lui alla luce del sole, che sarebbe stato uno scandalo che avrebbe potuto imbarazzare anche la corte, e che per questo doveva immediatamente andarsene.

“Non voglio sapere altro” aveva detto Maria Antonietta, e nel giro di un'ora le aveva fatto avere un permesso matrimoniale in bianco col sigillo del Re.

Poi le aveva assegnato un incarico biennale fittizio in una remota contea della Francia, facendo figurare che si allontanava da corte per ordini di servizio. E, dimostrando molto senso pratico, le aveva aperto un credito personale presso una banca di sua fiducia.

“Maestà, questo non serve, ho mezzi a sufficienza per affrontare la cosa”.

“Vostro padre lo sa, Oscar?”

“No, lui non lo sa ancora”.

“Allora questo potrebbe servirvi, credetemi. Consideratelo un prestito, se proprio volete. Può darsi che, quando le cose si sistemeranno, abbiate un motivo in più per tornare”.

 

Erano partiti poco dopo, avvolgendo nel più fitto segreto la loro vera destinazione. E, anche se il generale non si capacitava di questo trasferimento e si era recato in udienza dalla sovrana per chiederne umilmente le ragioni, Maria Antonietta l'aveva rassicurato che si trattava di una cosa di assoluto rilievo e molto riservata, che proprio per questo aveva dovuto affidarla a una persona come Oscar, che era un incarico temporaneo seppur necessario, e che al suo ritorno Oscar avrebbe ritrovato intatta la posizione di cui godeva a corte. Gli aveva suggerito inoltre che, data la durezza dei tempi, forse avrebbe potuto approfittare dell'occasione per riconsiderare i suoi progetti sulla figlia, consentendole la possibilità di scegliere una vita meno rischiosa.

Il generale era tornato a casa frastornato, ma aveva dovuto farsene una ragione. E loro due avevano guadagnato del tempo.

 

Oscar aveva passato quei mesi d'attesa in uno stato relativamente sereno, date le circostanze. André era sempre al suo fianco e aveva voluto sposarla subito, ancora prima di arrivare a destinazione. Si erano fermati lungo il cammino per una sosta di alcuni giorni, ed erano stati uniti in matrimonio da un prete gioviale e con esperienza del mondo, che aveva constatato la regolarità dei documenti e non aveva fatto domande sulla stranezza dei nomi, dando loro appuntamento per qualche giorno dopo in una piccola chiesa, dove si era tenuta una semplice cerimonia.

Avevano alloggiato in modo più che confortevole in un villaggio di campagna, in una casa in affitto linda e graziosa, come una coppia di sposi provenienti da Parigi. André aveva fatto presto amicizia con la gente del luogo, e si erano ben integrati nella comunità. Poi, in un giorno d'inverno, Oscar aveva partorito un maschietto vispo e vorace, e aveva passato l'anno successivo a nutrirlo e a preoccuparsi di ogni suo strillo.

Quando il piccolo Guillaume Grandier aveva iniziato a camminare di giorno e a dormire regolarmente di notte, i suoi genitori, in una sera d'estate piena di lucciole, avevano deciso che era arrivato il momento di tornare a casa.

 

Oscar era ritornata alle sue mansioni da colonnello con un sospiro di sollievo, lo ammetteva ridendo  anche con André, quando, rientrando nella casetta che condividevano, parecchio fuori Parigi, prendeva in braccio il piccolo che le correva incontro e lo alzava fino al soffitto, riempiendolo di baci. Adorava stare con Guillaume e le veniva naturale fare la mamma, però doveva ammettere che a un certo punto della giornata aveva assolutamente bisogno di staccare e dedicarsi ad altro -  confrontarsi con persone al di sopra dei tre anni, ad esempio -, e che questo la rendeva felice. Comandare soldati, tirare di spada e prendere decisioni erano cose che faceva in modo eccellente, e si era resa conto che non era affatto necessario scegliere, che nessuno glielo imponeva. I primi tempi, quando ancora molte cose erano da sistemare, tornava a casa solo nel fine settimana, e trovava i suoi due uomini lì, ad aspettarla ansiosi. Aveva assunto il comando della guardia parigina con molti sensi di colpa, all'inizio, perché le sembrava di abbandonarli, ma era stato André a incoraggiarla e ad assicurarle che lui e Guillaume potevano cavarsela benissimo qualche giorno a settimana senza di lei, e che lui l'aveva fin troppo costretta a cambiare la sua vita e sottratta a quello in cui si realizzava di più. “E poi diventi insopportabile quando fai le faccende - aveva aggiunto con un tono che pareva persino serio -. Rivoglio la mia Oscar libera ed efficiente, se avessi desiderato una casalinga non ti avrei aspettato vent'anni”.

Messa così, sembrava piuttosto logica. Oscar aveva convenuto che era la cosa migliore, visto che invece André adorava fare lavoretti in casa e aveva la straordinaria capacità di entrare subito in sintonia con tutti, cosa che gli aveva procurato una quantità di amicizie e proposte di occupazione di vario genere, dalla falegnameria alla redazione di  lettere e atti legali per i molti analfabeti che ne avevano bisogno. Alla fine, visto che quanto a doppi lavori ne aveva avuto abbastanza ai tempi del cavaliere nero, e che la cosa che gli riusciva meglio era appunto scrivere, aveva inviato un paio di articoli a un giornale di Parigi e aveva iniziato una collaborazione a distanza che col tempo si era trasformata in un'occupazione vera e propria. Proprio per questo avevano deciso di ritrasferirsi in città. In una zona appena fuori della città, dove poter tornare ogni sera tutti insieme. Lui non aveva più avuto difficoltà con la vista.

Quanto alla nobile famiglia di Oscar, il tempo aveva risolto le cose. Il generale era svenuto alla notizia, ma si era dovuto rendere conto che i fatti erano quelli, oramai, e che dopo due anni il problema gli era stato presentato insieme alla soluzione. Una soluzione, peraltro, che non si sarebbe potuta immaginare migliore: Oscar svolgeva le sue mansioni lontano dalla corte, tutti i pettegoli di professione si erano scordati di lei - se pure a corte ci andavano ancora -, e il Paese aveva cose più importanti di cui occuparsi. Il povero Jarjayes, traumatizzato, invece di fare fuoco e fiamme si era chiuso in un silenzio incompreso. Non aveva voluto più aver niente a che fare con Oscar e tanto meno conoscere il suo nipotino plebeo, ma in compenso Madame Jarjayes e la nonna di André andavano regolarmente a trovarli e lui lo sapeva.

 

I tempi non erano affatto facili, e Oscar sapeva che prima o poi, nella sua posizione, avrebbe dovuto decidere da che parte stare. Li attendevano giorni terribili, la cosa era veramente nell'aria e tutti erano preoccupati di quel che sarebbe successo.

Ma i tempi erano veramente cambiati, e, dopo aver vissuto così a lungo fuori dalle ovattate mura della corte, dopo una storia personale così straordinaria, Oscar se ne rendeva conto in modo chiarissimo. In un certo senso, rassicurante. In un certo senso anche pieno di speranza. André e il bambino, la sua famiglia - una cosa che mai, in tutta la sua vita, si era sognata di poter avere - erano la prova concreta, il volto vero di quella speranza. Erano qualcosa per cui valeva la pena di sostenere qualsiasi prova, perché li amava al di là di ogni comprensione. Come si può amare l'uomo della propria vita. Come si può amare un figlio.

Perché erano il motivo per cui lei viveva.

 

Chiuse il registro dei verbali e lo ripose in un cassetto del suo scrittoio. Aprì la porta del suo ufficio, rispondendo al saluto del piantone che si mise sull'attenti. Uscì nel piazzale e montò sul suo cavallo sellato, per tornare a casa.

 

FINE

 

 

pubblicazione sul sito Little Corner settembre 2016

 

mail to: alessandra1755@yahoo.it

 

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