Un'altra stagione

(dopo Autunno)

parte nona

 

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Seguirono giorni e settimane e mesi. Intensi come mai li avevano vissuti.

Oscar era bellissima nel primo sbocciare della maternità, e aveva acquistato una dolcezza nuova nei gesti, nel viso. Sembrava incredibile come André lo sentisse, lo capisse.

Divenne delicatissimo, con lei, e pieno di attenzione, e davvero fu un sostegno, un rifugio sicuro per il suo cuore. Si prendeva cura di lei, come se avesse preso in mano la loro vita.

Oscar lo guardava, lo vedeva fare tantissimo, cercare il meno possibile di pesare su lei, e soffrire senza dire niente perché non poteva evitare, comunque, di dipendere dal suo aiuto, in tante cose; e ripagarla con un amore profondissimo, pieno di meraviglia e armonia. E di calore.

Lo guardava e sentiva il suo bambino crescere in lei, ed era felice.

Aveva un modo meraviglioso di toccarla, adesso. Sfiorandola leggeva ogni impercettibile cambiamento, nel suo corpo, anche se erano cambiamenti invisibili, quelli dei primi giorni. A volte, quando erano a letto, seduto dietro di lei, appoggiato ai cuscini, le faceva posare la schiena sul suo petto, accostava la guancia alla sua, e la carezzava: scioglieva le mani unite sul suo grembo e le faceva risalire lentamente, sfiorando le linee morbide del suo corpo. Si fermava sul ventre, e lo percorreva come a volerlo coprire piano, col palmo. “Sta crescendo”, diceva, emozionato e sereno.

Poi saliva ancora, fino al seno, che era cambiato più di tutto il resto, ne carezzava la pelle vellutata e tesa, e sensibilissima, e lo faceva così a lungo che Oscar doveva chiudere gli occhi, e mordersi il labbro per resistere, e poi comunque non resisteva mai, e finiva con l’implorarlo, ogni volta.

Allora lui le girava il viso e la baciava, intensamente, continuando a tenerla così, senza smettere di farle carezze.

La riempiva di dolcezza e passione, e si univa a lei piano, amandola con un ritmo lentissimo, che non finiva mai, e che André non cambiava alle sue suppliche, ai suoi gesti più ansiosi, trasmettendolo invece a lei,  e portandola poco a poco dentro quel tempo, che la invadeva. L’amava così, e le dava piacere una volta, e poi ancora. E ancora, finché lei continuava a muoversi, a chiederlo.

A volte invece non resisteva lui, e l’orgasmo lo trascinava incontrollabile, appena si sentiva nel suo corpo. In quei casi non si tratteneva, si lasciava andare con ardore totale, naturale, senza preoccuparsi di nulla. Lei era felice, e univa la sua bocca a quella di lui, per poter respirare il suo respiro nell’attimo del piacere.

 

 

Aspettavano, ed era inverno, oramai. Un inverno che sapeva di neve. Eppure uscivano spesso, perché Oscar amava camminare sentendo l’aria fredda sul viso, tutta avvolta nel mantello che era lui a posare sulle sue spalle e ad allacciare con cura, in silenzio. “Ecco”, diceva sempre dopo averlo fatto, a bassa voce.

Le passava un braccio attorno alla vita e la teneva così, mentre camminavano sotto gli alberi  spogli, lei gli raccontava quei luoghi e poggiava il capo sulla sua spalla, pensando al passato e al tempo che li aspettava.

“Ricordi - diceva André -, un giorno mi saltasti al collo, sotto questi alberi”.

Sì, se lo ricordava. L’aveva appena raggiunta, a piedi, portando i cavalli per le redini mentre lei guardava il cielo, la schiena contro il tronco d’un albero, le mani dietro a toccare la superficie scabra della corteccia. Le aveva fatto una sorpresa, e Oscar stava proprio pensando che aveva voglia di cavalcare.

Lì ad Arras era più spontanea, con lui, si dimenticava della forma che il suo ruolo imponeva a corte. Così appena l’aveva visto si era sentita felice, e senza pensarci lo aveva abbracciato in un impeto d’entusiasmo. André si era come bloccato, e non aveva saputo che fare, le braccia lungo il corpo. Il volto sorridente con cui l’aveva salutata era scolorato, e non aveva detto più nulla per tutto il pomeriggio.

E pensare che quando erano tornati a casa gli si era anche addormentata addosso, vicino al fuoco.

“Io credo d’averti sempre amato, André”, gli disse trattenendo un sospiro.

“Sì”, rispose lui.

 

Ma l’amore di adesso non aveva confini.

Ora lei vestiva sempre in abiti femminili, i pantaloni avvolti intorno alla vita le davano noia. Il seno era cresciuto proprio, e la notte André non si stancava mai di sfiorarlo, mentre la spogliava, quasi a riempirsene le mani, e sospirava con gli occhi chiusi, e sorrideva, a volte.

“Ho sempre voglia di te – mormorava -, non mi stancherò mai, mai...”

Oscar si accorse che anche lui era cambiato, nell’abbandono. Si lasciava andare a gemiti profondi, quando era in lei, quando godeva di lei, che prima invece tratteneva, forse per pudore. Era completamente suo, adesso, e la rendeva più appassionata, nell’amarlo, diventando quasi più indifeso di lei.

 

Era inverno, ed era piena estate, nei loro cuori. Oscar a volte si chiedeva stupita se questo incanto sarebbe durato per sempre. E scacciava con timore l’idea che potesse finire.

 

 

Poi finalmente quel documento arrivò.

 

Lo portò Bernard, insieme al loro avvocato, e di nuovo si portò dietro Alain, a cui Arras era piaciuta davvero, e che davvero aveva voglia di rivedere tutti e due.

Ma nessuno sapeva del bambino di Oscar.

Quando la vide accanto al fuoco, in piedi, con André dietro le sue spalle che le cingeva la vita, Alain non seppe spiegare perché ne fosse improvvisamente così certo: ma non ebbe dubbi.

Non si vedeva, non si vedeva quasi, eppure lei era in attesa di un figlio. Un figlio di André.

Uscì per pochi minuti, con una scusa, per farsi investire il viso dal vento che soffiava gelato. Inspirò in silenzio, conficcandosi le unghie nel palmo delle mani, e chinando il capo sotto il peso di quell’emozione.

Perché era dovuto succedergli così, con la donna di un amico per il quale avrebbe dato la vita?

Perché la gioia sincera che provava per loro doveva abitare insieme a un dolore che mozzava il respiro?

Per un attimo Alain pensò che non sarebbe stato capace di rientrare in quella casa. Si disse che sarebbe dovuto restare a Parigi, e andarsi a ubriacare in qualche taverna, come faceva André il giorno che lo conobbe.

Ma lei era un desiderio proibito. Proibito da tutto. Non ne perse mai, nemmeno per un istante, la consapevolezza.

 

Allora rientrò.

 

 

L’avvocato si ritirò in disparte con Oscar, poi lei chiamò André vicino a sé, e lo ascoltarono insieme. Quando finì, e diede loro quel foglio, chiedendo a lei di firmare, tacquero in un silenzio turbato. Oscar obbedì, con la mano che tremava. Poi posò la penna, e si voltò verso André: lo guardò senza dire e senza fare niente, perché c’erano gli altri a guardarli, ed ebbe pudore a mostrare quanto fosse felice. Ma gli prese le mani, e gliele strinse con le sue. Fortissimo.

 

 

 

“Non mi sembra vero – mormorò André, seduto davanti al fuoco -. Ma doveva succedere. Doveva andare così”. Versò del cognac, glielo offrì, riempì il suo bicchiere.

Gli altri erano andati a dormire, era tardi. Erano rimasti solo loro due, a parlare.

“Ora cosa farai?”

“Ora la sposerò”.

Alain sollevò il calice in un brindisi silenzioso.

“Aspetta un bambino”, disse piano André, semplicemente così.

Alain sorrise. “Davvero?”, rispose poi. “E’ una notizia meravigliosa...”

Lo pensava, nel dirlo.

“Sì, lo è. Era quello che mancava”.

 

“Alain”.

“Dimmi, André”.

“Quando la sposerò mi farai da testimone?”

“... Certo... certo André, ne sarò felice”.

“Non so come ringraziarti per tutto quello che hai fatto per noi”. Il suo tono era divenuto basso, profondo.

“Ma cosa dici, André...”

Poi André si girò verso di lui, e nella penombra illuminata solo dal fuoco gli sembrò quasi che lo stesse guardando, mentre lo diceva.

“Non devi pensarci – mormorò serio -. Non devi”.

“Cosa vuoi dire, André...”. Il respiro gli mancò in gola.

Gli sembrò che lo stesse fissando, mentre lo diceva. Non avrebbe voluto continuare a sentirlo.

“Oscar è bellissima”.

“Sì... è vero...”

“Si può morire per lei, ma non si può vivere senza”.

Alain deglutì: “Lei non può vivere senza te – disse serissimo e trattenuto -. Non ha mai potuto farlo”.

“Lo so. E’ sempre stato così”.

Avvertì la mano di André che si posava sulla sua spalla, e si sentì improvvisamente debole, quasi incapace di trattenere le lacrime. Riuscì a dominarsi, chinando il capo.

“Sei stato un amico leale, Alain”.

Non c’era niente di più importante.

 

 

*

 

 

In primavera il pancione di Oscar si vedeva bene, e lei si muoveva come se ne andasse fiera. Quell’aspettare carico di dolcezza creava un’intimità nuova, tra loro due.

Non ci aveva pensato, quando desiderava un bambino e nell’amore supplicava André di restare in lei. Era l’idea del bambino che la spingeva, allora.

E invece scoprì che anche quell’attesa era bella, che le occupava il cuore, nei piccoli gesti quotidiani che la legavano ad André, che cambiavano le loro abitudini nell’abbracciarsi, nel dormire, nel fare l’amore, seguendo i cambiamenti di quella vita che cresceva in lei, e del suo corpo che l’accoglieva.

Scoprì che quei mesi servivano al bambino per venire al mondo, ma anche a loro per prepararsi a lui.

André dormiva sempre avvolgendola, adesso, da dietro, con la mano posata delicatamente sul suo grembo. Quando Oscar si svegliava, al mattino, avvertiva il contatto del braccio che le teneva sul fianco, del suo palmo abbandonato che sfiorava quella rotondità senza pesarle, e si sentiva protetta. Non riusciva più ad addormentarsi se lui non l’abbracciava così.

Poco tempo prima il bambino aveva iniziato a muoversi. E l’aveva sentito André, per primo, che passava ore con il viso accostato alla sua pancia, quando erano a letto, l’orecchio poggiato su di lei. E gli parlava, era tenero e buffo quando gli parlava, con un tono di voce che non aveva mai usato nemmeno con lei, tutto preso da quei discorsi. Poi posava le labbra sulla sua pelle, e senza avvertire cambiava interlocutore, e le diceva ti amo.

Un giorno il pancione aveva risposto a una di quelle domande: lei lo aveva sentito in sé per la prima volta e aveva trattenuto il respiro per l’emozione, guardando lui.

André aveva sollevato la guancia avvertendo all’improvviso quel movimento nuovo, ed era rimasto quasi interdetto, come se non riuscisse a credere che davvero si trattasse di quello. “Si è mosso...” aveva detto sconcertato, rivolgendosi a lei con un’espressione che l’aveva fatta ridere, anche se era piena di commozione, in quel momento.

“Sono mesi che lo chiami, André...”, non aveva potuto evitare di rispondere, carezzandogli con dolcezza i capelli.

Ma capiva lo stupore di lui, perché era anche il suo. Quel palpito isolato, che poi per giorni non si era ripetuto più, era come se avesse fatto toccare la realtà a tutti e due, per la prima volta da quando avevano saputo. Non era una fantasia del loro amore. Era un figlio, un figlio.

 

Lei stava bene, non era mai stata così bene.

 

 

*

 

Si sposarono in un giorno di sole, davanti al sindaco di Arras, e fu una cerimonia semplice e toccante, con loro due che si tenevano le mani e pochi, pochissimi amici silenziosi e commossi.

C’era da commuoversi, a vedere Oscar con la sua pancia e quella gioia negli occhi, che brillarono di pianto quando André le prese la mano e le infilò al dito il suo anello.

Ripensò a tutti quegli anni, a tutta la vita che avevano fatto insieme, a tutto il dolore, le paure i silenzi che avevano superato, per arrivare lì. E quando il sindaco lesse la formula di rito e li dichiarò sposati, quelle lacrime uscirono piano dai suoi occhi. Lui le asciugò.

 

*

 

 

Poi arrivò agosto, e nella luce del giorno che le tende addolcivano l’ultimo grido di Oscar fece nascere quel figlio. C’era anche André, che le teneva la mano in un silenzio innamorato e impotente, come se desiderasse sopra ogni cosa fare suo quel dolore e liberarne lei. Baciò il suo volto sudato e stanco, quando il bambino pianse, e le pettinò in una carezza dolcissima i capelli sulla fronte bagnata.

Fu lei che glielo mise in braccio. “E’ proprio uguale a te - gli disse -. Io lo sapevo, sai?”

Aveva i capelli castani, e si vedeva già che gli occhi sarebbero stati come quelli di André. A Oscar si strinse il cuore quando lo scoprì, e pensò solo per un istante che quegli occhi erano proprio gli stessi, cui André aveva rinunciato per donarli a suo figlio, perché potesse guardare il mondo con lo stesso cuore che aveva avuto lui.

Sarebbe diventato un uomo meraviglioso, come suo padre.

 

E in quei primi mesi felici e faticosissimi, di notti cancellate e di risvegli teneri e stravolti, fu sempre André che prese suo figlio dalla culla per portarlo a lei, nel loro letto, perché sempre lo sentiva per primo, e si muoveva con dedizione sicura nel buio della loro stanza, come se vegliare su loro non potesse pesargli mai.

Lo metteva tra le braccia di Oscar che lo allattava in silenzio, e sfiorava con dita delicatissime il seno di sua moglie e il viso minuscolo di suo figlio, che si attaccava con avidità indifesa e con manine chiuse, nell’idea di una ricerca d’abbraccio che chiamava la protezione di lei.

A volte lo allattava distesa, e si addormentava di nuovo, col bambino al suo fianco che poppava ancora, in mezzo a loro. André aspettava che la piccola bocca si staccasse in silenzio, rimanendo socchiusa, e lo prendeva in braccio, tenendolo per un po’ sulla spalla, mentre lo accarezzava. Rideva sempre un po’, chinando il volto a proteggerlo, quando avvertiva quel tremito che odorava di latte.

 

Il pomeriggio, quando il bimbo si addormentava, Oscar lo metteva a letto e si allontanava leggera, per raggiungere André.

 

*

 

Poco dopo gli fece una sorpresa, e un giorno, nella casa di Arras, arrivò una carrozza che lui non aspettava.

Fu Oscar che andò ad aprire, e aiutò a scendere il passeggero.

“André”, lo chiamò una voce piena d’affetto e di materna emozione.

“...Nonna...”, disse lui meravigliato, mentre un sorriso pieno di contentezza si dipingeva sul suo volto. “Nonna, sei proprio tu?”

Marie si avvicinò e lo abbracciò commossa, come si abbraccia qualcuno che si era creduto perduto. Lui non aveva mai voluto che si trasferisse a casa sua, a Parigi, per assisterlo, anche se aveva bisogno di tutto. Non aveva voluto perché non gli importava più di niente. Di vivere, di morire. Voleva restare solo col suo dolore incurabile, e la nonna che lo aveva cresciuto lo aveva dovuto lasciar andare con la morte nel cuore, leggendo sul suo viso l’espressione di un uomo che ha rinunciato alla vita.

Così si mise a piangere quando ritrovò su di lui il sorriso che ricordava bambino, la tenerezza e la speranza intatta con cui allora affrontava la vita. Non aveva più scherzato con suo nipote da quando Oscar aveva sposato Girodel, non gli aveva più rivolto i rimproveri bonari che lui accettava sempre ridendo. Perché André non era stato più lo stesso, da quel giorno.

Ora lo ritrovava lì, un uomo rinato, sposato con Oscar e padre: quando lei le aveva inviato la lettera nel villaggio dove era tornata, per raccontarle tutto e chiederle di andare da loro, aveva pianto di felicità. Aveva sempre saputo nel suo cuore, meglio di ogni altro, che i suoi due ragazzi dovevano stare insieme. E aveva sempre saputo che avrebbero sofferto enormemente per questo. Era stato il motivo che l’aveva spinta a cercare di proteggerli da se stessi, di evitare che si accorgessero di quell’amore.

Era stato un tentativo stupido, certo.

“Nonna, che bello averti qui...”

Oscar gli andò vicino, per porgergli la mano che lui cercava: “L’ho chiamata io” disse.

Poi, mentre Marie cullava il bambino che le avevano fatto appena vedere, mentre si era appartata con lui tenendolo in braccio con le lacrime agli occhi, e dicendo che, sì, era proprio come André da piccolo, come l’André che aveva cresciuto con amore, quando era rimasto solo al mondo; mentre ascoltavano le sue parole commosse e la ninna nanna che gli cantò, la stessa che ricordavano loro, che aveva cantato per tanti anni a loro, bastò una frase pronunciata piano per decidere insieme, e le chiesero di restare ad Arras.

 

 

*

 

 

“Buongiorno, Oscar”.

Lei sollevò il viso, e passò la mano in una carezza lievissima sul capo del bambino, che le si era addormentato in braccio. Gli sorrise.

“Ciao, Alain. Sono felice di vederti”.

Accennò con lo sguardo perché si avvicinasse, e lui poté vederlo, così piccolo e affidato a sua madre. Non osava toccarlo.

“Grazie di essere venuto – gli disse dolcemente -. André arriverà tra poco”.

Il sole del pomeriggio illuminava la sala, e lui sedette, come Oscar gli chiese, accanto a lei sul divano. Aveva portato il bambino nella sua culla e lo aveva coperto con un gesto pieno di tenerezza.

Chissà perché, guardandola fare quel gesto, ripensò a quando entrava nel suo ufficio, nel palazzo del Corpo di guardia, e lei gli sorrideva pacata, seduta alla scrivania.

“Hai visto? Chi l’avrebbe mai detto?”, sussurrò.

Alain non seppe cosa rispondere e rimase seduto accanto a lei, un po’ intimidito. Non aveva mai sperimentato quella vicinanza. E non gli era mai sembrata così irraggiungibile.

“Alain, senti... io vorrei chiederti una cosa”.

“Dite... dimmi pure, Oscar”. Non ci riusciva mai, la prima volta.

“E’ un po’ che ci penso, Alain, ci penso da diversi mesi, e vorrei tanto che dicessi di sì”.

Rimase in silenzio, sorridendo dentro di sé. Come potrei rifiutarti qualcosa, Oscar?

“Fra poco battezziamo il bambino, lo sai”.

“Sì...”

“Vorrei che tu gli facessi da padrino”.

“... Certo, sì... certo Oscar, ne sono onorato”.

“Vorrei dargli come secondo nome il tuo nome. E’ stata un’idea mia”.

Un’idea sua.

La guardò, e non fu capace di sorridere, confuso e triste.

E come faccio a dimenticarti, comandante, se dici cose come questa?

La fissò, con uno sguardo che diceva sì, ma che aveva una pena profonda, dentro.

“Farò tutto quello che mi chiedi, Oscar”. Poi, non seppe neppure come, aggiunse: “Lo sai”.

Lei guardò il suo viso, a riconoscere quella pena. Lo aveva capito da tempo. La vita le aveva insegnato a capire.

Posò una mano sulla mano di Alain, che lui teneva sul ginocchio. Lo sentì trasalire.

“Non voglio che tu soffra – mormorò con gli occhi nei suoi, e in quell’azzurro lui si sentì con le spalle al muro -. Non voglio, Alain”.

Rimase in silenzio un istante, prima di rispondere: “Non posso evitarlo, mi dispiace”.

Sentì la mano di Oscar stringere la sua e all’improvviso, come quel giorno insieme ad André, ebbe voglia di piangere. Ma nessuna forza per trattenersi, stavolta. Tremò disperato, alla stretta di lei, e voltò il capo lasciando uscire le lacrime in silenzio.

“Perdonami, Oscar. Perdonatemi tutti e due”.

Lei gli posò la mano sul viso, in una carezza triste.

“Non c’è niente da perdonare, Alain”.

Allora non riuscì più a frenare quel pianto, e prese quella mano tra le sue, come si stringe una cosa rara. Se la premette sul viso in un singhiozzo: “Oscar, Oscar...”

Perdonami se ti amo, Oscar.

Lei non parlò, lo lasciò sfogare, lasciò che quella carezza confortasse il suo viso.

Poi Alain si riprese, e trovò la forza.

“Grazie, comandante”. E sorrideva, dentro quel dolore infinito. Alain diceva comandante come se dicesse amore.

 

Da quel giorno, da quando glielo poté dire e lei l’ascoltò in silenzio, carezzandogli il viso, non provò più quella pena crudele nel suo cuore straziato.

Chiuse gli occhi quando fu fuori, incontrando il sole.

 

 

Il bambino dormiva beato nella sua culla. Oscar lo vegliava in silenzio, malinconica e serena.

 

 

Continua

mail to: imperia4@virgilio.it

 

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