Un'altra stagione

(dopo Autunno)

parte sesta

 

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Non era passata un’ora che già la notizia si era diffusa ovunque, nella caserma dei soldati della Guardia. Oscar sentì due colpi decisi, energici, alla porta del suo ufficio. “Vieni, Alain”, disse sorridendo, senza alzare gli occhi dal foglio.

Lui entrò, la carica un po’ smontata da quella risposta.

“Comandante...”. Aveva spalancato la porta con un braccio.

Oscar si girò verso di lui.

“L’ultima volta che sei entrato in questo modo mi hai sfidato a duello – disse con una compostezza divertita -. Devo prendere la spada?”

“Comandante, vi prego...”

“Siediti, Alain”.

Il tenente Soissons prese la sedia per la spalliera e la inforcò. Oscar scosse la testa: “Non imparerai mai a comportarti - commentò con un sospiro -. E sì che ora sei un ufficiale...”

Era stranamente allegra, date le circostanze. Anzi, ora che ci pensava era stranamente allegra da un po’ di tempo.

 

“Comandante Oscar, cos’è questa voce che ve ne volete andare?”. Come al solito andava al nocciolo della questione senza preliminari. Lo faceva sempre, era il solo a cui lei permetteva di farlo.

“Non è una voce, Alain, è la verità - rispose pacata -. Prenderò congedo tra una settimana”.

“Ma perché, comandante? Perché questa decisione improvvisa?”. Il suo tono tradiva dispiacere e sollecitudine. Era preoccupato per lei, Oscar se ne rese conto: Alain era forse l’unico, lì dentro, a comprendere quale fosse il suo stato d’animo dopo tutto ciò che era successo. Dopo la Rivoluzione, dopo il suo fallimento, dopo la perdita di André. Alain sapeva che lei non aveva nient’altro oltre alla sua vita tra i soldati della Guardia: per questo era così in ansia. Ora, seduto lì davanti, si stava chiedendo perché volesse lasciare l’unico punto di riferimento rimastole: probabilmente temeva che volesse fare qualche sciocchezza.

“Non devi preoccuparti, Alain – rispose allora, con una dolcezza che lo stupì -. Io sto bene, davvero”.

“Oscar... comandante Oscar, perdonatemi. Io non credo che stiate bene. Quello che volete fare non ha senso. Dopo tanti anni che siete con noi, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, perché ci lasciate all’improvviso? E per andare dove? Per fare cosa?”

“Già, per fare cosa... – disse lei, ripensando a com’era la sua vita prima di ritrovare André -. Posso capire perché mi stai dicendo questo, Alain, e te ne ringrazio, veramente. Significa che mi hai osservato bene, in questi anni. Potrei dire, forse, che hai vegliato su di me”.

Gli si strinse il cuore e, improvvisamente, non ebbe più parole da dire. Perché diventava così maledettamente femminile proprio nei momenti in cui le si rivolgeva con più durezza?

Aveva vegliato su di lei, sì. Lo aveva fatto da allora, da quando André non era stato più suo compagno tra i soldati, da quando era rimasto cieco per averla amata troppo e disperato per averla perduta. Gliel’aveva affidata quando, ferito da una pallottola, credeva di morire. Alain aveva ricevuto quella consegna e l’aveva presa su di sé.

“State facendo discorsi che non capisco, comandante”.

“Certo, non puoi capirli – gli rispose piano, le ciglia abbassate a guardarsi la mano -. Ma ti prometto che li capirai, davvero Alain. Solo, non adesso”.

 

Alain non disse niente. La guardava. Era così bella, così vera. E non sarebbe stata mai sua, questo lo aveva capito bene. Da molto tempo. C’era soltanto una persona nel cuore di Oscar, da sempre.

E c’era stato un tempo in cui lui, addolorato per il suo amico e per lei, aveva cercato di riavvicinarli. Ne aveva parlato ad André, gli aveva detto: “Posso portarla qui”. Gli aveva detto anche: “Lei ha bisogno di te”. Ma André non aveva voluto, mai.

Così a lui, Alain, non era rimasto che guardarli, separatamente, mentre si consumavano d’amore e disperazione, ognuno nella sua solitudine.

Coinvolto in quella trama di sofferenza. E consumarsi anche lui: d’amicizia e tristezza per André. E per Oscar, di cosa... non lo sapeva nemmeno bene, preferiva evitare di pensarci. Sapeva solo che adesso capiva il suo amico, la sua vita sacrificata per lei.

Lei era una donna per cui valeva la pena sacrificare la vita. Anche senza che lo sapesse.

 

“Me ne andrò, Alain, ma non devi stare in pena. Io starò bene, e sono sicura di questa scelta”. Tacque, un istante. “Ormai non ha più senso per me rimanere qui”. Si accorse che lo stava preoccupando di più. “Ci sono altre cose che voglio – aggiunse allora -. Altre cose che devo fare, che devo fare adesso. Alain, so che questo discorso ti sembrerà strano, in questo momento. Ma io non sono mai stata più sicura di qualcosa in vita mia”.

“Oscar...”

“Non preoccuparti, continueremo a vederci”. Sorrise. “Ci vedremo più di quanto tu immagini. E ne sarai contento, credimi”.

Voleva rispondere qualcosa, ma lei aveva un’espressione così profonda ed intensa che s’impose di tacere: qualsiasi cosa avesse detto in quel momento non sarebbe stata quella giusta.

 

 

 

Era quasi il tramonto, sulle vie di Parigi, e le finestre delle case iniziavano a illuminarsi. Svoltò l’angolo, girò a destra, conosceva quella strada a memoria. Ecco, la casa era là. Era un po’ di tempo che non ci andava. Erano stati tanto impegnati, in quei giorni, senza il comandante. Ma oggi, dopo aver parlato con Oscar, aveva sentito il bisogno di andare a trovare lui, a vedere come stava. Non avrebbe saputo spiegare perché.

Salì le scale, bussò.

“Alain!”. Il sorriso con cui l’accolse e l’abbraccio che ne ricevette gli scaldarono il cuore: quanto tempo era che André non sorrideva così? Sembrava sereno. Di più: l’avrebbe detto addirittura felice.

“Come stai, André?”

“Bene, molto bene Alain”.

Si guardò intorno. C’era qualcosa di diverso in quella casa, anche se non avrebbe saputo dire cosa. C’era più colore, più chiasso.

André lo fece sedere prendendo una sedia accostata al tavolo. Anche lui si era seduto, il gomito appoggiato al ripiano. Sorrideva.

“André, tu non me la conti giusta... che succede?”. Erano un po’ troppe le cose che non tornavano, quel giorno.

L’amico sorrise, e non disse niente.

 

Poi la vide.

 

“André, che vino vuoi per cenare?”

Era spuntata da dietro l’angolo della cucina, con due bicchieri in mano. Si fermò di colpo, quando si accorse di lui.

Era bellissima. Indossava un abito femminile, i capelli raccolti sulla nuca che scendevano sulle spalle con un po’ di disordine. Un’espressione che non le aveva mai visto, in tanti anni. Un’espressione felice.

“Alain...”

Non rispose. Non ci riusciva.

Ci fu qualche istante d’imbarazzo. Oscar, vestita così, non sapeva bene cosa dire. Si avvicinò ad André che stava seduto, si fermò dietro di lui. Gli posò una mano sulla spalla, lui girò il viso, e la coprì con la sua. Sorrise.

“Ecco cosa succede”, rispose infine André.

“Io... non so cosa dire...”

Ed era vero. Vederli insieme troncava le parole in gola. Soprattutto a chi li aveva conosciuti prima, pensò. A chi aveva visto la loro lunghissima solitudine, il loro dolore che sembrava non dovesse finire mai. Insieme erano ciò che doveva essere.

Ma la loro unione, realizzata, non sembrava vera.

“Comandante...”

André rise.

“Non hai più ragione di chiamarmi così, Alain”, rispose Oscar abbassando il viso, un istante.

 

Lo avevano invitato a cena. Semplicemente. E lui aveva accettato.

Era stato un pasto strano, diverso da quelli che tante volte avevano consumato insieme, sia con André che con Oscar. Si percepiva un’armonia silenziosa, nei gesti di loro due. Anche se non facevano niente di particolare, davanti a lui. Notò le mille premure di Oscar. Delicatissime. Non era la sobrietà asciutta dei suoi comportamenti in caserma, ma c’era la stessa silenziosa attenzione. Notò il fremito leggero delle loro mani, quando si sfioravano. E il pallore un po’ emozionato sul volto di lei.

 

In terrazza Oscar li lasciò soli, dopo cena, con la scusa della cucina da sistemare.

“André, ma allora... è proprio vero?”

Lui aveva abbassato appena il capo. Sorrideva.

“Sì, è vero”.

“Ma... sta qui? Sta qui con te?”

Fece cenno di sì.

“E da quanto? E come...”

“Da un po’ di tempo”. Usò un tono di voce basso, quasi interiore, nel dirlo: “E’... con me. Vive qui con me, cena con me... dorme con me”. Sembrava non ci fossero parole per spiegarlo. Anche a un amico.

“André, ma è meraviglioso...”. Lo disse sinceramente: era contento davvero.

“E’ meraviglioso, sì”.

 

Non era tardi, quando se ne andò. Aveva sentito il bisogno di lasciarli soli. Uscì in strada, ed era una bella serata. Il suo cuore era commosso, di una commozione malinconica e serena. “E’ così che doveva andare”, disse ad alta voce. Poi sorrise, e diede un calcio a un ciottolo lungo la via. Si voltò verso quella casa: due sagome, all’ultimo piano, si tenevano strette.

 

 

 

 

I bagagli erano quasi pronti, e il vetturino aspettava per caricarli sulla carrozza. Era mattina, e si erano svegliati presto, per la giornata che li attendeva.

“Allora ci andiamo davvero?”, aveva detto lui tenendola tra le braccia, sfiorando la sua spalla nuda, durante quei pochi minuti che erano rimasti a crogiolarsi a letto, prima di alzarsi.

Lei si era girata un poco e gli aveva sfiorato con le labbra il collo, risalendo la guancia. “Come punge, questa barba...”, aveva bisbigliato al suo orecchio, stirandosi contro di lui.

Un viaggio ad Arras. Ne parlavano da tempo, ma c’era voluto un po’ per decidere di farlo. L’idea era stata di Oscar, che voleva allontanarsi per qualche settimana da Parigi, con lui. Ritrovare, forse, quei luoghi dove erano stati ragazzi insieme. Ed era lo stesso motivo per cui André, inizialmente, era stato perplesso.

“Non lo so, Oscar”, aveva detto lasciando la frase in sospeso.

Lei non aveva insistito, all’inizio, però gli aveva chiesto perché.

“Siamo stati troppo felici, là – aveva risposto André, quasi cercando le parole -. Stavamo sempre fuori, cavalcavamo insieme... passavamo tanto tempo all’aperto. Eravamo diversi da ora. Io ero diverso, Oscar”.

Poi si era passato una mano sugli occhi, in un gesto che non gli aveva mai visto fare, così apertamente. Era diventato serio.

“Io ti vedevo, allora”.

E Oscar si era odiata, per un attimo, perché non aveva saputo prevenire quel dispiacere. Lo amava così tanto, era così felice con lui, che a volte dimenticava quanto dovesse soffrire André per la sua condizione. Che ora non vedesse non cambiava nulla nei suoi sentimenti per lui: non avrebbe mai potuto amarlo più di così. Ma André?

Per André non era lo stesso.

Aveva imparato a convivere con la cecità, fino al punto di non farla sentire agli altri. Lui però la sentiva.

Era rimasta in silenzio, senza sapere cosa dire. Poi gli era andata vicino e si era affidata al suo abbraccio.

“Scusami, Oscar”. Era stato lui a dirlo.

E poi aveva percorso il suo corpo con le mani, con tenerezza e malinconia, e aveva detto tante cose.

“Per esempio ricordo il colore dei tuoi capelli al mattino, quando li illuminava il sole. E nel rosso del tramonto. E i tuoi occhi quando ridevi, perché ad Arras tu ridevi sempre, sempre. E il verde della campagna e il giallo del grano, e i nostri cavalli legati che pascolavano vicini. Io sono andato avanti per anni perché potevo vedere tutto questo”.

“André...”

“Non so se sarà la stessa cosa. E non so che effetto mi farà ricordarlo”.

Oscar aveva sollevato il viso verso il suo, allora. E lo aveva baciato, chiudendo gli occhi, pensando a quel ragazzo con gli occhi verdi che sapeva cogliere ogni sguardo, sul suo viso. Baciò quel ragazzo, come a risarcirlo di tutto ciò che non gli aveva mai dato.

“Fanno bene i tuoi baci, Oscar”.

Lo baciò ancora, e iniziò a tremare quando lui rispose. Fece l’amore con quel ragazzo, tenendo gli occhi chiusi.

 

Poi avevano deciso di andare. André sembrava aver trovato il coraggio perdendosi in lei, e pian piano era  stato coinvolto dal progetto. Aveva chiesto a Oscar com’era Arras, dopo tutti quegli anni: se era uguale a un tempo. Voleva che gli raccontasse ogni cosa. E lei lo aveva fatto, per tante sere di seguito.

Perché ad Arras ci era stata spesso, da sola. Era il suo rifugio. E quando aveva dovuto scegliere, tra le proprietà di famiglia, quella di cui entrare in possesso dopo il cambiamento di tutto, non aveva avuto dubbi. Arras era ancora sua. Era soltanto sua, adesso. La casa, certo, e parte della terra: il grosso era stato redistribuito tra i contadini, e Oscar non aveva fatto difficoltà. Per questo le erano tutti affezionati, da quelle parti.

“Sarà bello ritornarci insieme – gli aveva detto -. E ci farà bene”. Lui aveva annuito.

Aveva capito che Oscar sentiva l’esigenza di staccare dal resto. Dal suo incarico di comandante appena lasciato, da Parigi, dalla città. E anche dai pensieri legati a quel divorzio. Si erano affidati a un avvocato amico di Bernard, che stava seguendo le pratiche e aveva cercato Girodel in Inghilterra per chiederne il consenso. Oscar aveva dovuto scrivere a suo marito, e le era pesato. Non per il messaggio: una pagina breve e serena in cui spiegava la situazione e lo pregava di acconsentire. E nemmeno per il timore che lui potesse creare qualche problema, o rifiutare: questo non la preoccupava davvero. Ma perché era stata costretta a realizzare, a prendere atto emotivamente, che era ancora sposata con Victor. Ed era una cosa che faceva male, nella casa di André.

Arras invece era soltanto loro. Arras apparteneva al prima, a quando tutto era possibile ancora. Per questo Oscar l’amava tanto, di una dolcezza piena di malinconia.

 

 

Il viaggio fu lungo, ma nella carrozza erano soli, e ne approfittarono. “Di solito ci andavamo a cavallo”, aveva detto André all’inizio, facendosi sfuggire un sospiro. Oscar gli aveva sfiorato la guancia: “Sì, ma allora non avevamo tutti questi diversivi...”, aveva risposto attraendolo in un bacio che era durato fino alla fine della città.

“Oscar... - aveva detto in un ansito, le labbra sulle sue -. Se fai così non aspetterò che arriviamo...”

“E chi dice che devi aspettare, André...”

Poi, mentre si abbracciavano con sempre più passione, lei era scivolata sul suo corpo con labbra irrequiete, e lo aveva percorso tutto, allontanando i vestiti. Si era inginocchiata davanti a lui. “Oscar, cosa fai...”, lo aveva sentito dire, in un gemito sorpreso e infiammato. Non si era fermata.

“Oscar... fermati...”, aveva detto senza muoversi, la mano che si chiudeva sui suoi capelli. Aveva continuato fino a che non l’aveva avuto in suo potere, capace solo di soffocare i gemiti in un silenzio febbrile. Non si era fermata fino alla fine, finché non era stato lui a fermarsi, stravolto e felice.

“Oscar...” aveva mormorato dopo, alzando appena una mano, che era ricaduta subito giù.

“Zitto...”, gli aveva imposto, chiudendo gli occhi in un sorriso.

 

Poi si erano ricomposti. Ascoltavano la strada, abbracciati, la schiena abbandonata sul sedile. “Certo... – aveva detto lui dopo un po’, interrompendo il silenzio che durava da allora -, certo che se avevo qualche dubbio su questo viaggio tu me li hai fatti sparire tutti...”

Avevano iniziato a ridere, e avevano riso di cuore, abbracciati, col finestrino aperto.

 

 

La campagna di Arras era come Oscar la ricordava. Dolce e piena di colori, di suoni. André non le aveva chiesto dove fossero, ma era divenuto sempre più silenzioso. E ascoltava, respirava l’odore dell’aria. “Siamo arrivati”, disse a un certo punto. Pochi minuti dopo la carrozza si fermò.

La casa era stata aperta, perché Oscar aveva fatto avvisare che sarebbero arrivati, e a preparare le cose era andata l’anziana moglie di uno dei contadini del villaggio. La vide sulla porta, quando arrivarono.

“Benvenuti”, disse semplicemente, accogliendoli con un sorriso affettuoso.

Li conosceva da tanti anni, quei due ragazzi: li aveva sempre visti insieme, quando arrivavano da Parigi e passavano le giornate a divertirsi, senza pensare a niente. La figlia del generale e il suo attendente, cresciuti insieme. Lui era innamorato di lei, si vedeva a un miglio. Ma era una cosa impossibile. Li ricordava quando venivano alla sua casa e a volte si facevano offrire la merenda, nell’aia. E André che si stirava rilassato, e rideva: ma c’erano lampi nei suoi occhi, a ogni gesto, ogni parola di lei. Che non si accorgeva di nulla. Era una coppia ben strana, pensava sempre allora, con un po’ di tristezza.

Adesso erano ancora davanti a lei, un uomo e una donna. All’improvviso gli stessi e diversi, dopo tanto tempo. Lui cieco – sapeva cosa gli era accaduto – camminava al braccio di Oscar. Non parlava quasi, sembrava immerso nei ricordi. Lei attenta a ogni minima cosa, piena di premura, sembrava pendesse dalle sue labbra. Lo amava, si vedeva bene. Di più, viveva per lui. Quante cose dovevano essere successe a quella giovane acerba, per averla fatta cambiare così.

Entrarono, lei gli tolse il mantello, lo fece sedere vicino al camino appena acceso, gli portò da bere. Lui sorrise, non si dissero nulla.

Era una cosa consolante vederli insieme.

Aveva preparato due stanze separate, non sapendo bene: si assentò con una scusa e andò a disfare uno dei letti.

 

 

“Che ore sono, Oscar?”

Erano state le prime parole dopo il risveglio, ma non erano assonnate: era da un po’ che la teneva stretta in silenzio.

“E’ l’alba”, rispose, con lo stesso tono di lui.

“Usciamo”.

 

L’aria era fresca e pallida, si strinsero nelle giacche quando furono fuori.

“Ti ricordi – le disse -, ci svegliavamo presto e partivamo a cavallo”.

“Sì. Stavamo fuori fino a sera”.

Era dietro di lei, le cinse la vita senza dire niente, la guancia contro la sua. Sarebbe bello farlo ancora, pensò.

“Facciamolo”, disse lei.

“Oscar...”

“Facciamolo, André”.

 

Dentro, li accolse il tepore delle scuderie. “Aspetta”, gli disse piano. Andò a prendere il suo cavallo: era un animale nuovo, i loro non li avevano più. Lo sellò, lo portò fuori.

“Cosa vuoi fare, Oscar...”

Gli prese la mano, lo portò vicino, guidandolo a carezzarne il muso. Poi lei montò, in un movimento agile. Gli tese la mano: “Vieni”.

Andrè allungò la sua, e la prese. Si avvicinò. Lo aveva fatto mille volte, e trovò la staffa. Salì, reggendosi alla stretta di lei.

Il corpo di Oscar era esile, contro il suo: dietro di lei l’abbracciò, commosso. “Avevo sempre desiderato sapere come fosse”, disse tenendola a sé.

Poi lei spronò il cavallo.

Il sole saliva nel cielo e l’aria tra i capelli si scaldava piano, consolando il viso. E i canti degli uccelli riempivano il mattino, col profumo della rugiada sulla terra bagnata. Le sue mani la stringevano, la cercavano con le dita. Il suo corpo seguiva i suoi movimenti, assecondando l’andatura. Oscar spinse il cavallo al galoppo, e lui si aggrappò a lei, il viso chinato e stretto contro il suo. Respirava.

Ancora, non fermarti, pensò con tutte le forze.

E lei corse su quei campi come non aveva mai corso, incitando l’animale senza parlare, fino a stancarlo, e ancora di più. In silenzio, cavalcarono lungo il mattino, mentre il cielo si faceva azzurro.

 

Alla fine si fermarono al fiume.

 

Quando lei fece arrestare il cavallo stava tremando: André sentì il suo respiro veloce tra le braccia. Rimasero così, in sella, per un momento interminato. Poi la strinse in un impeto improvviso e forte, fino alle spalle. Con gli occhi chiusi.

“Ti amo Oscar”, disse piangendo.

 

 

Continua

mail to: imperia4@virgilio.it

 

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