Un'altra stagione
(dopo Autunno)
parte quarta
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La serata era trascorsa in una quiete un po’ emozionata, che vibrava ancora nell’aria, e con l’ultima luce si erano dissolte anche le apprensioni di quel giorno strano. Adesso era notte, una notte con una luna che risplendeva da lontano, in mezzo a una spolverata di stelle. Erano rimasti così, abbracciati a sentire il cielo, senza parlare.
Oscar era raggomitolata tra le sue braccia, e si era addormentata. Era scivolata in un sonno lieve e sommesso, stringendosi a lui, a poco a poco aveva sentito il suo corpo sciogliersi, e l’aveva avvolta sfiorando il suo viso con le labbra. Avvertiva il suo respiro regolare e leggero sulle guance.
Anche stasera non era tornata a casa: capitava da qualche giorno, si faceva tardi senza che lei accennasse ad andare via, e senza che lui dicesse nulla, perché gli si stringeva il cuore ogni volta che doveva lasciarla partire. Le ore scorrevano e loro le ignoravano insieme, in silenzio. Poi lei si addormentava. La portava sul suo letto, allora, e ritornava un po’ fuori a respirare il fresco, a pensare. Poi metteva dentro il divano e dormiva lì, a pochi passi da lei.
Quella giornata l’aveva turbata e resa inquieta, André lo aveva capito, e ora che si era rilassata sentiva in lei un sonno più fiducioso, sereno. Gli ricordò una notte di tanti anni prima, quando poteva ancora vederla, dimenticarsi di sé nel suo volto bellissimo: passando nel salone di palazzo Jarjayes l’aveva trovata così, abbandonata su una poltrona, la giacca dell’uniforme allentata, le braccia rilasciate che pendevano dai braccioli, con ancora in mano un bicchiere, in bilico tra le dita. Era stanchissima, quella notte, ed era stanco anche lui: stavano cercando da tempo Jeanne de La Motte e le ricerche non davano frutto. C’era Rosalie, in casa, che di Jeanne era la sorella, e anche il clima domestico era teso, per questo. André si era fermato a guardarla dormire per un tempo che gli era sembrato lunghissimo. Il suo cuore aveva iniziato a battere furiosamente, senza che potesse spiegarsi il perché. Era il cuore di un uomo giovane e pieno d’amore, di speranza. Anche se già soffriva, questo lo ricordava bene.
Le aveva tolto il bicchiere di mano delicatamente, senza svegliarla, e lo aveva posato sopra il ripiano del camino acceso. Poi l’aveva presa in braccio e aveva salito le scale, portandola in camera sua. Lei non si era svegliata. Al buio, sul candore del cuscino, la penombra disegnava il suo viso come in un chiaroscuro. Dio, che cos’era poter guardare il suo viso... André provò una fitta profonda al cuore ricordando quel giorno, e maledisse piangendo i suoi occhi che non la vedevano più.
Si era chinato su lei, il viso vicinissimo al suo: era rimasto così, indugiando, quasi sfiorandola, tanto era vicino. A lungo. Lei dormiva, e André aveva baciato le sue labbra pianissimo, trattenendo il respiro. Solo per un istante gli era sembrato che prendessero vita, e aveva finto che fosse vero, sentendo una gioia intensissima colmarlo solo per un istante. Poi si era sollevato, e aveva dovuto lasciarla.
Lo ricordava ancora.
Adesso era lì, la stava stringendo, ed era stata lei ad abbandonarsi al suo abbraccio. Ieri gli aveva detto che lo amava, e due ore fa aveva risposto tremando al suo bacio quasi improvviso. Era stato bellissimo. Dopo quel bacio non avevano parlato, a lungo, per non farlo passare.
L’avvolse di più, e le passò un braccio sotto le ginocchia, per sollevarla. Era così leggera, il capo reclinato sulla sua spalla, i capelli sciolti che ricadevano morbidi, su di lui. Si alzò tenendola in braccio e, come quella notte, come ormai tante notti da quella notte, la portò a letto.
L’aria era profumata e dolcissima, e lui pensò che non avrebbe mai potuto amarla più di quanto l’amava in quel momento. Si chinò su lei e accostò le labbra al suo viso, per ascoltare l’aroma della sua pelle e il suo respiro delicato. Poi la baciò.
La baciò come quella notte lontana, in camera sua, trattenendo come allora il respiro, per non svegliarla. Poi gli sembrò che le sue labbra prendessero vita, e immaginò che fosse vero accogliendone in cuore la gioia. Ma non se ne andò.
La baciò sfiorandola tra le labbra socchiuse, e tremò su quella bocca che aspettava il suo bacio, e vibrava piano, e cercava piano la sua. Come quella notte lontana, che aveva risposto senza che lui lo capisse, e lo aveva fatto andar via, ma era rimasta sveglia a desiderarlo. Ora sì, ora sapeva tutto, di quella notte.
Era una notte piena di stelle, e André sentì quelle stelle illuminare il suo cuore. Lo posò sul letto, accanto a lei, e glielo donò.
“Oscar...”
Lei l’attrasse dolcemente a sé, e volle che continuasse quel bacio. Dischiuse le sue labbra e le aprì in un’offerta completa e pura, lasciando che prendesse tutti i loro segreti.
“Vieni, André”. La sua voce era dolcissima e commossa, piena di desiderio e fiducia.
“Oscar, ti amo Oscar”.
“Anch’io ti amo, André”. Lo baciò, sul suo letto, allacciata al suo corpo, e mentre lui annegava in quei baci e in quelle carezze, sospirò piena d’emozione accogliendo i suoi brividi sulla pelle.
“Vieni amore, non andare via...”
Era la notte dei loro cuori, era arrivata a passo leggero, e spazzò via il passato in un soffio, raccontando alla memoria una storia nuova.
Furono baci e carezze, e mani ansiose e frementi, e incerte, e quelle mani spogliarono i loro corpi e li fecero incontrare, sfiorarsi, sentirsi, con pudore e desiderio struggente.
“Oh, André...”. Io non ho mai provato tutto questo, voleva dire, io non ho mai provato cosa fosse sentirti così, nudo, vicino a me, sentire i tuoi baci, i tuoi sospiri. “Ti prego amore, prendimi, prendimi adesso...”, disse.
“Ti amo, Oscar”, le sussurrò pianissimo, ancora. Emozionato, mentre il suo corpo si lasciava guidare in lei, mentre la cercava e si abbandonava a lei, per la prima volta si perse, con un gemito, nel suo amore.
Una notte d’autunno.
Il respiro tremante dell’aria.
La finestra lasciata aperta, la luce del cielo stellato sul muro vicino al letto.
I vestiti sparsi e confusi sul pavimento.
Le mani intrecciate.
La quiete silenziosa della città che dormiva e due voci sommesse che gemevano insieme, all’ultimo piano, due corpi che si muovevano, appassionati, nella notte immobile attorno a loro. Come un segreto che nessuno avrebbe toccato. Come un incontro dopo un cercare infinito.
E lei pensò che era stato per questo che la vita l’aveva tenuta in piedi, non permettendo che la sua anima si estinguesse nella fredda agonia delle scelte sbagliate, pronte a punirla a ogni respiro, ogni istante. Era per questo, perché potesse capire che vivere era André nel suo corpo, era André che baciava il suo viso, era la sua pelle che la sfiorava e i suoi gesti esitanti e appassionati e le sue braccia forti che l’avvolgevano, e l’emozione e la fiducia completa con cui si stava donando a lei, come se lei fosse l’unica cosa esistente, in tutto il creato. E la sicurezza che aveva nel farlo, nel prenderla e ascoltare i suoi gemiti come se sempre, fin dal principio, lo avesse fatto.
E pensò che avrebbe potuto accettare mille volte il dolore avuto fino ad allora, se era André la ricompensa per quel dolore, la cura per gli errori, la sua risposta. Se per la prima volta un uomo, il suo uomo, era capace di sostenere il mondo per lei.
Si parlarono così, nel linguaggio che era da sempre loro, e che solo quella notte appresero, naufragati nella marea della vita, in una casa sperduta sul tetto e cicatrici da portare sul cuore.
*
Fu André il primo a svegliarsi, la mattina dopo. Si svegliò con la sensazione della pelle di lei, della sua pelle delicata e nuda che lo copriva. Del respiro tiepido, addormentato, dalle sue labbra, che gli sfiorava silenzioso il petto in aliti regolari e leggeri. Lo abbracciava, distesa sopra il suo corpo, e sembrava in quell’abbandono aver preso forma su lui, come se ogni curva e ogni linea della sua persona si fossero disegnate, plasmate sui suoi contorni. Lo stringeva ancora, e André, che la conosceva, in quella stretta abbandonata ed intensa la sentì felice.
Anche lui era felice, come non aveva mai creduto, sperato, che potesse essere un uomo.
Ma l’aveva lì, sopra di lui, addormentata, e quella notte avevano fatto l’amore. L’aveva amata ancora e poi ancora, in una febbre assetata, in quelle ore che non finivano come sembrava non finire mai il desiderio di lei, appagato per la prima volta, non frenato più. E Oscar l’aveva accolto con tenerezza e passione, con una felicità quasi incredula che l’aveva fatta anche piangere, a un certo punto. Ripensarci diede un tremito di gioia profonda al suo cuore. Così profonda da fargli quasi male.
Era disteso su quel letto con lei, la mattina dopo. E lei era lì, ancora, a dimostrargli col calore del suo corpo che averla amata quella notte significava essere dentro di lei per sempre. Non aveva mai provato un’emozione come quella. Una gioia completa. In quel momento gli venne addirittura il pensiero che poterla vedere non era così importante.
Sospirò piano, per non destarla, e lei, avvertendolo muoversi, sembrò reagire e aggrapparsi appena a lui, nel sonno, quasi con timore.
Pioveva, lo sentì dall’odore d’umidità che veniva da fuori, dal suono leggero delle gocce cadute in punta di piedi, in un motivo antico.
Ebbe voglia di rimanere con lei, al caldo del loro letto, ad abbracciarla ed amarla tutto il giorno ascoltando la pioggia. Sentì l’aria entrare più fresca dalla finestra, e tirò su la coperta, per scaldarla meglio.
“André...”
La sua voce appena uscita dal sonno era tenera e arruffata. Si era mossa ma senza staccarsi da lui, lo aveva stretto di più. La abbracciò senza dire nulla, assaporando sulla pelle i movimenti del suo corpo che si destava. Aspettò.
“André...”, ripeté appena in un mugolio appagato, che lo fece sorridere, e sospirare piano.
Non rispose, e neanche lei parlava. Carezzare con le mani le sue braccia, la sua schiena delicata e flessuosa era un contatto intenso, cui non sapeva abituarsi. La sentiva sul petto, adesso, e stava fermo, come in ascolto. Lo baciava. Aveva iniziato sfiorandolo appena con le labbra, senza volerlo quasi, e ora invece una frenesia dolce la possedeva: il respiro del suo corpo accelerava, lo avvertiva alzarsi e abbassarsi in un silenzio trattenuto, sotto la pressione morbida del seno. La lasciò fare, e con gli occhi chiusi abbandonò il capo all’indietro, sul cuscino. La volle ancora.
E la sentì salire su di sé e con le labbra percorrergli il collo e le labbra, e baciarlo appassionata gemendo piano alla sua risposta. Le posò le mani sui fianchi quando fu in lei, delicatamente prima, e poi tenendola stretta, con un trasporto pieno di bramosia.
Com’era bello e appagante, e quanto lo coinvolgeva, sentire il suo piacere. Non trattenne i gemiti che nascevano dal suo corpo, glieli donò, mescolandoli ai suoi.
Nella voluttà dell’amore Oscar era una cosa che non riusciva quasi a descriversi. Era come se in quegli abbracci tutta la sua natura femminile uscisse allo scoperto, con una forza travolgente, naturale, che rapiva anche lei. Non c’era nessun controllo nel suo modo di abbandonarsi: era totale, partecipe e arreso, intensissimo. La sua voce diventava quasi roca e il suo corpo era come cera tiepida. Passavano brividi su di lei, in onde calde che poteva avvertire, che avvolgevano in un istante anche lui che la stava amando, e gli facevano scordare ogni cosa. Gli sembrava di sapere già tutto, di quei ritmi, delle pause che anticipavano appena lo scatenarsi dei suoi sussulti. Perché erano anche i suoi ritmi, pensò, perché erano quelli che lui le dava. Era Oscar che seguiva lui: lo capì, finalmente, quando sentì di stare arrivando al piacere, e sul gemito più forte che sfuggì alle sue labbra lei modellò i gemiti suoi, e la sentì godere.
Non aveva mai provato un’emozione come quella. Ma neanche lei: all’improvviso ne fu sicuro.
“Oscar...”
Gli rispose con un sospiro, nella quiete della stanza, riaprendo gli occhi dopo alcuni minuti. Nell’aria resa più calda dal loro abbraccio aspirò l’odore del suo corpo.
“Che c’è, amore?”
“Oscar, io... tu...”. Si accorse che non trovava le parole, eppure che aveva bisogno di sentire la sua risposta, anche se la sapeva. “Dimmi che è stato bello fare l’amore con me”, mormorò alla fine, semplicemente.
“Oh, André...”
La sentì tremare, stringersi a lui con tutte le forze. E poi sentì la sua mente cercare, come se frasi non ce ne fossero, per dire quello che voleva dirgli. Non era qualcosa che si potesse esprimere parlando. Poi udì la sua voce, ed era dolce e seria, con un’eco vagamente triste: “E’ stato meraviglioso. Io non sapevo tutto questo, André... non... io non sono mai stata così...”
“Come, Oscar...”
Non rispose subito. “Viva...”, mormorò, infine, posando il viso su di lui. C’erano lacrime, sulla sua guancia.
“E dimmi che mi ami”.
Sorrise di sé, ma non poteva evitarlo: era troppo felice. “Dimmi che mi ami, Oscar”.
“Ti amo”.
“Ancora”.
“Ti amo”.
“Ancora”.
“Ti amo, ti amo – ripeté strofinando il capo sulla sua spalla, sorridendo anche lei -. Ti ho sempre amato, André”.
“Lo so”.
“E allora perché me lo chiedi?”, mormorò, giocando.
“Voglio sentirtelo dire”, rispose girandosi su di lei, imprigionandola tra le braccia. “Voglio sentirtelo dire...”
Passarono la mattina così, a letto. Oscar si alzò per prendere qualcosa da mangiare. Era una sensazione strana, piacevole, camminare nuda per quella casa mentre lui, nudo e adagiato sui cuscini, l’aspettava a letto. Posò il vassoio con la colazione sul comodino e chiuse la finestra.
“Sta piovendo”, disse, l’aria fresca sulla pelle.
Si buttò di nuovo su lui, e starnutì.
Il contatto del suo corpo la confortò subito. Com’era caldo. Per quanti anni aveva avuto quel corpo accanto, sotto i vestiti che gli vedeva indossare, e non l’aveva toccato?
“Quanto tempo ci è voluto, Oscar...”, sospirò lui con gli occhi chiusi, avvolgendola tra le braccia. Da quando leggi nel pensiero..., chiese mentalmente.
“Apri la bocca...”
“Cos’è?”
“Tu apri... ecco, bravo...”
Un chicco d’uva, dolcissimo. Un altro.
Un bacio.
“Ne voglio un altro”.
“Di cosa, André?”
La pioggia scrosciava, adesso. La prima pioggia vera. Erano avvolti tra le coperte, in un vegliare pieno di baci.
Soltanto baci.
“Amore...”
“No, non parlare... voglio sapere tutto di te...”
La baciò, e lei rispose. Per ore.
Poi la prese ancora una volta.
Oscar pensò che il suo modo d’amare era un misto travolgente di passione e di gioia: quello d’un uomo che ha sofferto molto, e che tuttavia non ha perso la capacità di donarsi.
Si dava a lei completamente, ogni volta, con fiducia assoluta. Non aveva mai avuto una donna e si era donato a lei. L’aveva aspettata tutta la vita, era stato spezzato dal dolore, eppure adesso si metteva nelle sue mani, pieno di fede e di slancio.
Pensò che non avrebbe mai potuto fare abbastanza per ricambiare quel dono. Giurò che avrebbe dedicato tutta la sua vita a provarci.
“André”.
“Che c’è, amore...”
Erano abbracciati, ad ascoltare la pioggia, stanchi.
“Voglio stare sempre con te”.
“Anch’io, Oscar”.
“No, sempre... sempre. Non voglio più passare un’ora lontana da te”.
“Che vuoi dire...”, chiese col viso sul suo seno.
“Voglio lasciare l’uniforme, per sempre. Voglio che stiamo insieme, voglio dividere la mia vita con te. Dimmi che mi vuoi, ti prego, André...”
Continua
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