Un'altra stagione

(dopo Autunno)

parte decima

 

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La luce del pomeriggio filtrava quieta dalla vetrata. Ne sentiva il tepore leggero sul viso.

Oscar era in giardino coi bambini: li sentiva giocare, ridere. Gli aveva chiesto di venire con loro, uscendo. Gli aveva dato un bacio dolcissimo sulle labbra.

“Resto un po’ qui, vi raggiungo dopo”, aveva risposto ricambiando quel bacio.

Teneva gli occhi chiusi, allungato su una poltrona accanto alla finestra, le mani dietro la nuca.

Li ascoltava.

Riconosceva le loro voci diverse, le parole che arrivavano da fuori in un’eco sfumata. Ecco, cominciavano a rincorrersi. Oscar li chiamava.

Non si sarebbe mai abituato al suono della sua voce.

Qualcosa gli tremò dentro.

Sorrise.

 

 

Che bello sentirti ridere, amore.

Starei ore ad ascoltarti.

Starei ore qui, poco lontano da te, ad assaporare i tuoi accenti che si modulano, i tuoi toni che conosco a memoria.

Ad accoglierli nel cuore, a scoprirli sempre diversi, ogni volta.

“André! Vieni, André!”

Mi chiami così fin da quand’eri bambina.

Se tengo gli occhi chiusi riesco a vederti, nei giorni della nostra prima giovinezza, quei giorni che ti amavo pazzamente, disperato di tutto, pieno di desiderio, e ogni volta che mi passavi vicino il mio respiro tremava.

Quante volte ho desiderato far l’amore con te, in quei giorni. Ti sognavo sempre, e tu ti davi sempre a me piena di passione, in quei sogni. Piena di dolcezza. E mi dicevi ti amo, mentre i nostri corpi si  univano. Mi dicevi ti amo.

Quante volte ti ho seguito senza lasciarti di un passo, perché nessuno ti facesse male. Quante volte ti ho stretto tra le braccia portandoti via dal mondo, per proteggere me stesso e te dal dolore che si stendeva su noi.

Quante volte in quegli abbracci ho accostato il viso alla tua guancia, a colmare i miei sensi col tuo profumo. Fuori di me dalla voglia di baciarti, di amarti senza aspettare un istante.

Anche tu mi volevi, ti facevi piccola dentro il mio cuore: io lo sentivo dal tuo respiro, dalle tue mani. Come quel giorno, proprio in questa casa di Arras, che ti addormentasti addosso a me, davanti al fuoco, scivolando lentamente sulla mia spalla, sulle mie ginocchia.

Il comandante della Guardia Reale, silenziosa e irraggiungibile. Davanti al fuoco con me.

 

La figlia del generale Jarjayes, madre dei miei due figli.

Sei dolcissima quando ti siedi vicino a me, e mi guardi giocare con loro, e ascolti le cose che dico, le storie che gli racconto, come se fossi una bambina anche tu. Ma senza interrompere mai. Io credevo che non sarei riuscito a essere un padre completo, per loro, a essere abbastanza. E invece non è vero, io posso. Anche questo posso, con te. Loro mi amano come mi ami tu.

 

Quanta vita abbiamo vissuto insieme, Oscar.

 

Quanto amore hai fatto nascere in me.

 

Quanto amore mi hai dato, tu, quando io avevo consumato il mio, quando la mia fede si era esaurita e credevo che niente esistesse oltre, che quell’abisso fosse il fondo estremo e al di là nulla ci fosse più.

Allora è stato il tuo amore a salvarmi, Oscar.

 

Mi ha salvato dalla paura, dall’oscurità, dalla solitudine di averti perso senza averti avuto.

Dal dolore e dal coraggio privo di forze, da tutto il tempo che mi è servito per ritrovarti e per riconoscerti e per credere, ancora, che davvero fosse possibile una vita per noi.

Io non avevo più domani, Oscar. Sei stata tu a creare un domani per me.

 

Con la tua voce, che non ha mai smesso di vibrare nel mio cuore, che non è mancata mai al mio fianco, che mi ha risposto sempre quando domandavo, quando ti chiamavo. Quando ti respingevo io, perché preferivo non sperare piuttosto che risvegliarmi senza di te.

Con le tue mani che mi hanno accarezzato, che hanno toccato il mio corpo, che hanno preso le mie mani per guidare i nostri passi. E mi sembrava quasi di essere io a guidarti, quando mi tenevi così.

Con la tua pelle. Che ho conosciuto quando credevo che non l’avrei mai conosciuta. Che fosse troppo tardi, anche per morire di dolore.

Con i tuoi baci, che sono il sentiero delle mie giornate, sui quali oriento la mia vita di ora. Una vita nuova. La vita vera. Questa.

 

Un’altra stagione si è aggiunta a quelle che abbiamo vissuto, da quel giorno che ti ritrovai camminando per una strada di Parigi, e senza vederti ti riconobbi dal profumo, prima che dalla voce, e ti portai nella mia casa e parlammo insieme tutta la sera e poi tu facesti per andar via, ma risalisti le scale e non te ne andasti mai più.

Un altro tempo, che fosse tutto per noi, in cui niente potesse più dividere le nostre mani, impedire alle nostre menti di pensarsi, ai nostri cuori di amarsi. Un altro tempo, per intrecciare le nostre vite.

E ora che tu sei con me, che sei mia moglie e viviamo qui, e ogni giorno ringrazio il mattino che ci risveglia insieme e aspetto la notte perché di notte ritrovo il tuo corpo accanto al mio, i tuoi baci tenerissimi e appassionati, la tua fiducia, la dedizione completa con cui hai deciso di proseguire questo cammino e di donarti a me; ora che mi basta tendere la mano nel gesto che tu riconosci in un attimo e che volando ti riporta da me, ora che ti ritrovo sempre ogni volta che pronuncio il tuo nome e tra le tue braccia non ci sono pensieri abbastanza grandi per contenere ciò che provo per te; ora che posso stare seduto qui, davanti a questa finestra per sentirti giocare con i figli che abbiamo fatto insieme, come ti sentivo e t’immaginavo giocare col nostro primo figlio, quando il tono della tua voce dipingeva nella mia mente il tuo viso mentre gli parlavi e ridevi, ed era lo stesso viso di quand’eri una ragazza fresca e innocente, gli stessi occhi vivaci e pieni di dolcezza, ma non più tristi come erano tristi allora; ora che so cosa vuol dire dividere un’esistenza con te e non aver più paura che qualcosa o qualcuno possa separarci mai più, io ripenso a tutta la strada che abbiamo fatto, Oscar, alle emozioni che ha avuto dentro e alla grandezza dei doni che ci siamo scambiati, all’alba della nostra vita che è cominciata di nuovo in un giorno d’autunno con te tra le braccia e un bisogno assoluto di te e una paura disperata di averti. 

E mi dico che per averti anche una volta sola tra le mie braccia tutto il dolore di tutto il mondo valeva la pena di esser sofferto, perché la prima volta che ti ho stretto tra le braccia mentre mi dicevi ti amo, io ho capito cosa volesse dire essere un uomo, Oscar, e non l’ho dimenticato mai più.

 

 

Ecco, stai rientrando in casa per chiamarmi, riconosco la porta che si apre e i tuoi passi che si avvicinano a me. Potrei dire il momento esatto in cui mi toccherai, in cui le tue labbra sfioreranno il mio viso, e il suono della tua voce quando mi dirai “André”, e il calore delle tue mani che s’intrecceranno alle mie. Vieni, amore, sono già tanti minuti che ti aspetto.

 

 

 

“André...”

“Sì...”

“Stavi riposando, André?”

“No, ascoltavo le vostre voci da qui”.

“E cosa pensavi, amore?”

“Che se non fossi venuta a baciarmi al più presto, sarei venuto io”.

“Allora fallo subito... ora sono qui...”

 

“No... ancora... baciami ancora, André...”

“Cosa fanno i bambini...”

“Giocano, c’è tua nonna con loro.”

“Bene...”

“Non vuoi raggiungerli... oh... non vuoi raggiungerli, André...”

“... Sì... ma aspetta un momento... aspetta...”

“André...”

“Resta qui, Oscar... Resta qui...” 

 

 

Fine

mail to: imperia4@virgilio.it

 

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