Capitolo V: Verso una Deontologia 2.0
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Dominio Pubblico e Diritti d’Autore
Il blogger è un giornalista? Nella visione liberale americana “qualsiasi cosa espanda l’ecosistema dei media è una cosa salutare[1]”. Blogger e freelancer dovrebbero essere considerati giornalisti con gli stessi diritti legali dei redattori che sono impiegati nei tradizionali comparti dell’informazione. O almeno queste sono le tendenze che si riscontrano in America.
Alcune interpretazioni della “legge scudo” dello stato della California parlano in questo senso. Un caso che sta facendo storia è la sentenza della Corte d’Appello della California in merito ad una causa intentata dalla Apple contro gli autori di un sito internet, PowerPage, che avevano pubblicato delle anticipazioni sulla diffusione di nuovi modelli e programmi. I legali di Steve Jobs volevano costringere il webmaster e i redattori del sito a rivelare le fonti dei propri scoop, sostenendo che non si poteva equiparare i blogger in questione ai giornalisti.
Definire che cosa sia un giornalista è diventato più complicato con l’espansione della varietà dei media […] l’applicabilità dei privilegi riservati ai newsgatherer è determinata, non dallo stato formale del reporter come giornalista professionista, ma piuttosto dalla condotta funzionale del reporter nel portare le informazione più largamente possibile al pubblico.[2]
In America non esiste un ordine professionale che raggruppi i professionisti dell’informazione, ma la tradizionale definizione di giornalista è basata sulla consuetudine dell’esistenza di un contratto di lavoro dipendente o di collaborazione presso una testata. La sentenza della corte respinse le richieste della Apple, applicando la “legge scudo” della California:
un editore, reporter, o un’altra persona connessa con l’impiego presso un quotidiano, o altre pubblicazioni periodiche, o presso un’agenzia di stampa, non può essere giudicato per avere rifiutato di rivelare la sorgente di una qualsiasi informazione che si è procurato mentre era connesso o impiegato per una pubblicazione in una qualsiasi pubblicazione periodica, o per essersi rifiutato di rivelare una qualsiasi informazione non pubblicata ottenuta o preparata nella raccolta, ricezione o preparazione di una comunicazione diretta al pubblico[3].
Non è detto che gli stessi giudici, in un altro stato avrebbero concesso ai blogger di avvalersi degli stessi principi concernenti il segreto sulle fonti di informazione, ma si è creato un precedente molto importante nella equiparazione della funzione di un reporter on-line. Quindi, per essere considerato giornalismo, deve esserci, una storia, creata per essere pubblicata e diffusa ad un’audience per essere di pubblico beneficio. Definire un giornalista secondo la sua funzione, è un po’ come definire una papera: assomiglia a un giornalista, fa ciò che farebbe un giornalista, lavora come un giornalista, quindi è un giornalista e, ciò che fa, è giornalismo[4].
In Italia la definizione di giornalista è fissata dalla normativa. Infatti la legge 69 del 3 febbraio 1963 istitutiva dell’Ordine stabilisce che è Giornalista “colui che è iscritto all’albo fissato dalla legge”. Quindi in Italia un blogger può essere equiparato ad un giornalista soltanto se è già un giornalista, ossia iscritto all’albo.
In questo quadro normativo, ben lontano da essere
completo ed aggiornato,
o integrità editoriale, ovvero garantire una distinzione chiara tra contenuto informativo e promozionale;
o indipendenza redazionale, cioè mantenere i principi di imparzialità, precisione, obbiettività e cronaca;
o eccellenza giornalistica;
o piena libertà di espressione;
o libertà di accesso, in ordine ad una equiparazione tra le testate on-line e le altre organizzazioni giornalistiche tradizionali.[6]
Internet ha premuto dall’esterno sulle redazioni giornalistiche
con tre modalità complementari: ha reso disponibili informazioni anche su
documenti considerati non pubblicabili; ha reso possibile una maggiore
profondità di approfondimento grazie allo stoccaggio di grandi quantità di
materiali informativi; ha aumentato la possibilità di interazione tra la
redazione e la propria utenza (non più audience
passiva).
Il ruolo di selezionare le informazioni, inoltre, è attualmente condiviso da giornalisti e blogger. Il punto critico del dibattito sta proprio nella ridefinizione della professione.
Per istinto umano di conservazione, è difficile che un giornalista ammetta di essere divenuto inutile. Se è vero che Internet ha tolto sacralità alla figura del reporter come titolare esclusivo dell’informazione, non ne ha affatto minato la ragion d’essere: vivendo in una “economia dell’attenzione”, dove è il tempo, ciò che manca più di ogni altra cosa, il giornalista viene reinvestito della facoltà di ricercare, selezionare e rendere commestibili per il lettore, le notizie veramente interessanti che circolano nel mare magnum del flusso informazionale.
Il principio dell’obbiettività si è progressivamente trasformato in una prigione per i giornalisti anglosassoni e in uno strumento attraverso il quale istituzioni e gruppi di pressione condizionano i media.[7]
Brent Cunningham[8] confuta il dogma dell’obbiettività che sempre più spesso induce i giornalisti a riportare acriticamente ciò che viene propinato dagli uffici stampa.
Per vincere la battaglia contro l’ufficialità e l’omologazione occorre non rinunciare al repertorio di fonti che, nel mondo connesso, sono più che mai abbondanti. Ai cronisti basterebbe mantenere un sano atteggiamento di distacco di chi ricerca la verità e confronta i fatti, benché questo atteggiamento sia spesso ritenuto “scomodo”.
Attraverso la gestione e la citazione delle fonti si rendono operativi principi come l’imparzialità e il rispetto della veridicità della notizia. La regola generale è che le fonti devono essere sempre citate ed identificate chiaramente, consentendo all’ascoltatore di comprendere l’attendibilità e gli interessi in gioco nella notizia. Se questa è la grande forza dell’on-line, è anche un grande insegnamento per il giornalismo tradizionale. Omettere l’origine delle proprie informazioni, ora più di un tempo, abbassa la credibilità complessiva della notizia. Usare fonti anonime non può essere un alibi. La sola ragione che impone un limite preciso alla pubblicità delle fonti è la necessità di proteggerne l’anonimato, qualora ciò sia richiesto dalla natura riservata delle informazioni, o possa esporre a gravi conseguenze il confidente.
Il giornalismo anglosassone ha elaborato, per regolare il rapporto con la fonte, un codice divenuto uno standard internazionale: not for attribution, consentendo l’uso della citazione diretta senza identificare però la fonte specifica; background, usando solamente il senso generale senza citazioni; off the record, ovvero non utilizzabile né menzionabile, offerta solo ai giornalisti a registratori spenti per permettere la comprensione di un fatto.[9]
In base alla legge italiana, in merito alla segretezza delle fonti, il cronista che, interrogato da un magistrato, non riveli l’identità di chi gli ha fornito una notizia, può diventare penalmente responsabile, nonostante la legge 63 del 1963 all’articolo 2 imponga la riservatezza sulle fonti fiduciarie. Di fatto l’art. 200 del Codice di Procedura Penale riconosce il diritto di astenersi dal deporre ai giornalisti professionisti, ma provvede che “se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato […] il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni”.
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L’informazione via Internet, di fatto, ha vissuto un lungo periodo di vuoto normativo, a cui la legge 62 del 2001 sul prodotto editoriale, ha tentato di dar ordine, pur sollevando le critiche di coloro che vedono, in queste iniziative legislative, una pericolosa minaccia alla libertà di manifestazione del pensiero. La pratica seguita dalla giurisprudenza italiana è ferma nella equiparazione del ruolo del giornalista on-line a quello di editore di contenuti multimediali.
La stampa telematica deve avere una regolamentazione propria in ragione del fatto che possiede caratteristiche diverse da quella tradizionale, sia a livello di tecnologia che di distribuzione. In particolare la tecnologia di Internet si basa sulla trasmissione di dati in forma elettronica mediante reti informatiche, diversamente da quanto considerato “stampa” dall’art. 1 della legge 47 del 1948: “sono considerate stampe tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici e fisici”. Di seguito, all’art. 5, si afferma che “nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi”. La legge 416 del 1981, attuando una prima riforma della disciplina delle imprese editrici, ha introdotto l’obbligo di registrazione anche delle riviste telematiche, le quali devono avere nel proprio corpo redazionale giornalisti professionisti o pubblicisti, o come successivamente stabilito dalla legge 249 del 1997, iscritti al Registro degli Operatori della Comunicazione[10]. La legge 249 esplicitando l’esistenza del ROC, introduce uno specifico registro per gli editori che diffondono informazioni attraverso Internet. Quindi per i giornali telematici che hanno un supporto cartaceo e sono pertanto diffusi anche mediante la stampa tradizionale, la responsabilità sia penale che civile per i contenuti espressi, sarà in capo sia del direttore che dell’editore, mentre, se le due pubblicazioni sono diverse, il direttore risponderà solo per l’edizione cartacea.
L’estensione del regime legale di “prodotto editoriale” anche alle pubblicazioni telematiche, attuata dalla legge 7 marzo 2001, n. 62 [11] ha causato non poche proteste da parte del mondo “libero” di Internet. Semplificando, la legge intende come prodotto editoriale
il prodotto realizzato su supporto cartaceo o informatico, destinato alla pubblicazione, o comunque alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici.
Se uno qualsiasi di questi prodotti editoriali è diffuso “con periodicità regolare e contraddistinto da una testata”, scattano gli obblighi di registrazione imposti dall’art. 5 della legge sulla stampa n. 47 del 1948.
Alla luce di quanto dispongono queste norme, il giornale on-line va registrato nello stesso identico modo di quanto avviene nella carta stampata. Infatti, in quanto “prodotto editoriale”, le testate giornalistiche on-line devono essere obbligatoriamente registrate nei Tribunali e presso il Registro degli Operatori della Comunicazione, avere un direttore responsabile, un editore e uno stampatore, ad eccezione dei periodici che trattano tematiche professionali, tecniche e scientifiche, e dei portali e dei siti di informazione che non hanno una regolare periodicità. Proprio il discrimine della periodicità dimostrerebbe la natura professionale della pubblicazione, benché il sorgere del fenomeno del blogging abbia posto seri interrogativi in merito a questo assunto. Per la giurisdizione italiana chi offre un sito amatoriale, aggiornato saltuariamente, sarà solo tenuto a mostrare “alcuni elementi identificativi quali il luogo e la data della pubblicazione, il nome e il domicilio dello stampatore, del proprietario e del direttore responsabile”.
Il presupposto per tutte le formalità giuridiche di registrazione, sta nella necessità di identificare colui che pubblica informazioni false, potenzialmente lesive della personalità altrui, vista anche la forza di veicolazione che possiede il mezzo Internet. La diffamazione viene determinata, nell’ordinamento giuridico italiano, dal articolo 595 del Codice Penale:
chiunque comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a lire 2 milioni. […] se l’offesa è recata col mezzo della stampa (c.p. 57-58 bis) o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi, o dalla multa non inferiore a lire 1 milione (c.p. 596–599).
Ora inquadrare questo reato per il mezzo “Web” è motivo di discussione nelle aule di tribunale di tutto il mondo. Mike Godwin, avvocato specializzato in questioni cyber argomentava come
il concetto stesso di diffamazione non ha più senso in rete. In America, se a un personaggio pubblico viene attribuita una falsità, egli deve dimostrare il dolo da parte del diffamatore affinché esso sia punito come tale [a differenza di un privato cittadino che deve dimostrare solo la falsità della notizia]. Dal momento che le vittime di diffamazione sulla rete possono rispondere velocemente e facilmente dovrebbero essere considerate come personaggi pubblici.[12]
Punire un qualche blogger on-line per diffamazione significherebbe provare i suoi intenti più maliziosi. Ma nessun giudice potrebbe accogliere questa non-prova, ma solo punire per negligenza, qualora non ci fosse stato un controllo accurato delle fonti.
Diametralmente opposto il parere di Robert O’Neil, professore di diritto all’Università della Virginia:
i giornalisti on-line dovrebbero essere ancora più attenti perché la loro diffamazione potrà raggiungere più persone, più in fretta, di quanto succederebbe sulla carta.
In Italia si sono sostenute tesi discordanti, dapprima equiparando Internet alla Stampa, poi riconoscendo ai contenuti espressi in Rete una disciplina diversa vista la “peculiarità del mezzo”:
nell’ipotesi di dichiarazioni diffamatorie contenute in un
sito web non si applica né l’art.
Inoltre Cesare Parodi sottolinea[14] come bisogna distinguere tra le “nature” specifiche dei vari siti Internet, che non rendono possibile, in molti casi, l’equiparazione del mezzo alla stampa periodica.
A tentare di regolamentare la materia è intervenuta la già citata legge 62 del 2001 sull’editoria, prevedendo in molti casi l’obbligo di registrazione delle testate telematiche, estendendo di fatto la normativa della stampa all’on-line.
Totalmente nuove per la giurisprudenza, e di fatto connesse alla specificità del medium Internet, sono le pratiche illecite del deep linking. Infatti, se la presunzione di “favore” vale per i cosiddetti surface links, i collegamenti che rimandano alla home page di un sito che contiene un materiale giudicato interessante, non altrettanto può esserlo considerato il deep link, ovvero il collegamento al contenuto di specifico interesse, bypassando l’home page. Il danno consiste nella perdita di visibilità per quei banner che qui trovavano spazio. I contenziosi non mancano. Nel 1999 Richard Gruner, docente di una scuola di legge di Los Angeles, argomentava come “i siti web sono fatti per essere visitati da tutti: i loro creatori hanno implicitamente concesso a chiunque un limitato permesso di copiarli”, e da qui, se la copia era legittima, ancora di più lo sarebbe il link. Nel marzo 2000 il giudice Harry Hupp ha spiegato come “l’hyperlinking non contiene una violazione del Copyright Act, perché non produce nessun atto di copia [ergo] neppure il deep linking esprime una competizione sleale[15]”.
Oltre la perdita di spazi pubblicitari, sussiste l’ulteriore rischio che un deep link crei confusione tra marchi diversi: come disciplinato dall’art. 2598 del Codice Civile per le pratiche di concorrenza sleale, è fatto divieto al commerciante di sopprimere il marchio del produttore, così può essere considerato illegale l’omissione del riferimento al realizzatore di un “prodotto” che viene linkato da un sito, a meno ché non sia presente una particolare forma di informazione circa la titolarità del sito oggetto del link. Per quanto riguarda il surface link, tale pratica è da definirsi lecita sulla base del principio generalmente accettato di una “implicita licenza al link”, ovvero della predisposizione di ogni sito ad essere linkato dagli altri partecipanti al Network[16].
Per quanto riguarda la tematica dei link a “contenuti sconvenienti”, ovvero il riamando verso un sito contenente materiale illegale, è prassi considerare il titolare del sito come responsabile. Se un link è essenzialmente una citazione e non necessariamente può assumere un valore di voto positivo o negativo, di fatto i giornali on-line statunitensi prevedono un dislaimer che avverte i lettori che, seguendo il collegamento “lasceranno la loro giurisdizione territoriale”.
Un cybernauta connesso alla Rete è sottoposto alla
acquisizione di informazioni personali da parte di aziende che violano la privacy per compiere ricerche di
mercato. La tutela dei dati e delle informazioni riservate sono un diritto
disciplinato della legge n. 675 del
Per pubblicare una rivista on-line, è buona regola inserire una pagina dedicata alla politica adottata dal sito riguardo alla privacy, specificando lo scopo della raccolta dei dati e le modalità per cancellarli o modificarli, evitare qualsiasi forma di spamming e utilizzare cookies solo se indispensabili per il funzionamento del sito. Occorre inoltre pubblicare all’interno del sito l’informativa “ai sensi della legge 675/1996 sulla tutela dei dati personali” specificando l’accettazione della richiesta del trattamento dei dati (art. 10) e i diritti dell’interessato (art. 13).
Tutt’altra cosa è disporre di una tutela per quanto
riguarda i contenuti. La sottile linea che differenzia una “notizia”
dall’intrusione nella privacy di un privato cittadino, grazie ad Internet e
alle tecnologie di riproduzione digitale, si è fatta sempre più labile. I
giornalisti, in seguito all’introduzione del Garante della privacy e agli obblighi delle legge
del 1996[18], si sono dati un codice
di autoregolamentazione, il “Codice
Deontologico del
In conclusione, benché un blogger non sia ritenuto dall’ordinamento giuridico italiano un giornalista, è una buona regola, etica e morale, il rispetto dei principi “del perseguimento dell’essenzialità dell’informazione” e del “rispetto della dignità della persona se questa riveste una posizione di particolare rilevanza pubblica e sociale”.
Tra Dominio Pubblico e Diritti d’Autore
Riguardo la protezione del diritto d’autore, istituito in Italia dalla legge 633 del 1941, non esiste su Internet una normativa precisa. In Rete si può riprodurre qualsiasi tipo di risorsa in copie uguali all’originale, in poco tempo e ad un costo irrisorio.
L’utente sceglie cosa e quando leggere. Ogni informazione è accessibile da uno o più lettori e sparisce il concetto di diritto d’autore. Non è possibile infatti distinguere un testo originale da una sua copia, come non è possibile applicare un marchio di garanzia che ne dimostri l’autenticità. Ogni risorsa può essere manipolata all’infinito e poi riproposta.[19]
L’editore deve tutelarsi da solo e inserire il diritto di copyright (©) se il materiale è coperto dai diritti d’autore, il simbolo ® per un marchio depositato e il simbolo ™ per un marchio registrato.
Il diritto d’autore fu creato nel
Il copyright di matrice anglosassone, ovvero nei sistemi giurisprudenziali di common law, è nato con lo scopo di promuovere l’industria culturale: esso si rivolge al diritto di copiare, riprodurre e distribuire sul mercato copie di un’opera. Il copyright non è un diritto personale e inalienabile, ma può essere venduto a terzi ed ereditato, nonché può essere oggetto di un esproprio per fini di pubblica utilità.
Il diritto d’autore italiano si sposta verso la sfera dell’autore, il quale, anche dopo la cessione dei diritti patrimoniali dell’opera, può conservare un certo controllo sulla stessa, aggiungendo i cosiddetti diritti morali, irrinunciabili, incedibili e perpetui. Il diritto di autore è automatico: l’autore acquisisce il complesso dei diritti sull’opera con la semplice creazione della stessa come cristallizzato nell’art. 2576 del codice civile “il titolo originario dell’acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale”. La legge prescrive l’onere di depositare una copia dell’opera, ma l’omissione di tale formalità non pregiudica l’esercizio del diritto d’autore. La questione è solo di tipo probatorio, allo scopo di difendersi da eventuali pretese di paternità dell’opera, ma, di fatto, la legge italiana reputa autore dell’opera “salvo prova contraria, chi in essa è indicato come tale, nelle forme dell’uso, ovvero è annunciato come tale nella recitazione, esecuzione, rappresentazione o radiodiffusione, dell’opera stessa”.
La legge riconosce il diritto d’autore laddove vi sia un’opera originale e creativa, frutto dell’ingegno. Il giornalista che lavora in Rete deve considerare questi aspetti: anche un semplice collegamento, se utilizzato in una pagina con frame, può nascondere la fonte della pagina sottostante. L’unica maniera per non infrangere la norma è utilizzare link che aprano la pagina di destinazione in una finestra indipendente[20]. L’utilizzo di contenuti altrui, caricati sul proprio server, è disciplinato diversamente a seconda dell’utilizzo commerciale o no del materiale: in caso di un sito di natura no profit è sufficiente la richiesta di autorizzazione e la citazione della fonte; in caso di un sito commerciale la giurisprudenza parla di concorrenza sleale a danno dell’autore a cui spetta il diritto di utilizzo economico dell’opera. In particolare, la legge rileva in merito al diritto d’autore per i giornali on-line, la protezione del singolo articolo e della singola fotografia, del titolo, delle rubriche e dell’aspetto esterno dell’opera.
In relazione alle libere utilizzazioni, l’art. 65 della legge 633/1941 dichiara che:
gli articoli di attualità, di carattere economico, politico, religioso, pubblicati nelle riviste e nei giornali, possono essere liberamente riprodotti da altre riviste e giornali […] se la riproduzione non è stata espressamente riservata, purché si indichino la rivista o il giornale da cui sono tratti, la data e il numero di detta rivista o giornale e il nome dell’autore, se l’articolo è firmato.
Con l’avvento di Internet e delle nuove tecnologie,
la tendenza è di considerare legittima la copia di un opera coperta da diritto
d’autore, se non ne viene fatto un uso pubblico o a scopo di lucro. Nel 1984
Richard Stallman e
Figura 1: rappresentazione grafica dello spirito del copyleft tratta dal sito ww.creativecommons.org.
Il simbolo CC di Creative Commons è in una posizione mediana fra il copyright e il public domain.
Il progetto Creative Commons nasce nel 2001 su iniziativa di alcuni giuristi californiani, per dar voce alla necessità di creare un nuovo paradigma di diritto d’autore sul modello Open Source. Il progetto si articola in un ente associativo centrale con sede legale a San Francisco, titolare del dominio Internet www.creativecommons.org, e da una rete di affiliate che fungono da referenti per i vari progetti di iCommons internazionali che hanno il compito di adattare le CCPL (Creative Commons Pubblic Licenses) ai vari sistemi giuridici[21].
Queste licenze, di fatto una forma di contratto, rappresentano lo strumento giuridico per definire le modalità di distribuzione di un opera protetta dal diritto d’autore che, come ricordato prima, sorge non appena un opera viene creata.
Figura 2: i visual per le quattro clausole varianti.
Una licenza è composta da un legal code, in cui sono contenute tutte le clausole del contratto, che, per chiarezza, è tradotto e riassunto in poche righe di testo nel commons deed. La licenza non è revocabile, è valida in tutto il mondo per tutta la durata del diritto d’autore connesso all’opera (solitamente 70 anni).
Figura 3: un esempio di commons deed.
La licenza “attribuzione” è la più permissiva, imponendo come unica condizione il riconoscimento del contributo dell’autore originario. La clausola “non opere derivate” vieta la modifica dell’opera, mentre la clausola “non commerciale” riserva al solo autore il diritto di sfruttare commercialmente l’opera. In pieno spirito Open Software la clausola “condividi allo stesso modo” che concede la possibilità di apportare modifiche all’opera a patto che, gli autori delle eventuali modifiche, rilascino a loro volta tali nuovi contenuti in un regime di copyleft identico[22].
Le Creative Commons Pubblic Licenses non sono le uniche licenze open content che gestiscono il diritto d’autore in Rete.
Il permesso di “copia letterale”, verbatim copy, è la prima modalità usata per condividere i testi dal movimento Free Software. Consiste nell’apporre una nota in calce ai testi, subito dopo l’identificazione del detentore del copyright: “la copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che questa nota sia riprodotta”. È concesso l’uso commerciale, ma non è permessa la modifica dell’opera.
La licenza Art Libre[26], o anche Free Art License, è realizzata dal progetto francese Copyleft Attitude. Prima nata in un contesto tutto europeo denota alcune caratteristiche tipiche dell’impostazione di diritto d’autore continentale rispetto a quella del copyright americano. Snella e chiara, ricalca i principi del copyleft ed è consigliata sul sito della Free Sofware Foundation[27] per le opere che non siano di software o documentazione.
La licenza Copyzero X[28] è realizzata e promossa dal Movimento Costozero, associazione che si occupa anche di un servizio di firma digitale e marca temporale on-line per opere d’ingegno. Richiamando un po’ lo stile “più europeo” della licenza Art Libre, segue l’impostazione italiana del diritto d’autore, toccando tutti gli aspetti regolati dalla legge 633 del 1941: parla infatti di prestito, noleggio, SIAE e altri concetti tipicamente italiani. Tutta la licenza è basata su un layout base che, a seconda che le singole voci riportino a fianco una lettera X, prescrive come “licenziato”, ovvero concesso dall’autore, il diritto ivi citato.
In ambito web l’applicazione delle licenze copyleft appare più semplice, trovando proprio nella rete telematica e nella multimedialità, il suo habitat naturale. Valgono le stesse regole generali, con la differenza che la possibilità di effettuare link a documenti ipertestuali o ad altri siti web, permette di alleggerire un po’ il lavoro.
Ad esempio, nel caso di licenze CC, il disclaimer che ne esce è molto semplice.
Basta apporre alla proprio opera, pubblicata su un sito web, lo script che si trova sulla pagina www.creativecommons.org. Il bottone “Some Rights Reserved” pone un collegamento alla pagina in cui si trova il Commons deed che a sua volta rimanda al Legal Code della licenza selezionata[29].
[1] LASICA, J.D. In Professione giornalista, di PAPUZZI, A.
[2] KLEINBERG, J. P. Giudice della corte suprema della contea di Santa Clara nel 2004. Causa “Apple contro Does”.
[3] California shield law.
[4] La battuta non è totalmente mia, ma di William Woo, direttore del programma di laurea in giornalismo alla Stanford University, e contenuta in Nieman Reports N°4, Winter 2005. http://www.nieman.harvard.edu/.
[5] “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
[6] PAPUZZI, A. 2003. Professione giornalista. Manuali Donzelli, Roma.
[7] PETRONE, S. 2004. Il linguaggio delle news. Etas Libri, Milano. p. 208.
[8] CUNNINGHAM, B. 2003. Rethinking objectivity. Columbia Journalism
Review.
[9] PETRONE, S. 2004. Il linguaggio delle news. Etas Libri, Milano. p. 226.
[10] Al ROC sono iscritti tutti gli editori che prevedono di conseguire ricavi dalle loro attività e che puntano ad ottenere dallo Stato benefici, agevolazioni e provvidenze. Ciò comporta che vi si leggono i nomi di gruppi editoriali come RAI, RCS, Il Sole 24 Ore, Mondadori, mentre è ben più difficile che vi si trovi un singolo editore on-line, quale ad esempio potrebbe essere il titolare di un blog di informazione.
[11] Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416.
[12] GODWIN, M. Blumenthal,
in The Wall Street Journal, 4 maggio
2001.
[13] Tribunale di Oristano, sentenza 25 maggio 2000.
[14] PARODI, C. 2000. Diritto penale e processo.
[15] KAPLAN, C. S. 7 aprile 2000. Legality of Deep Linking. The New York
Times on the Web.
[16] TOSI, E. 1999. I Problemi Giuridici di Internet.
[17] VISCONTI, G. 2002.
[18] Varata dal parlamento italiano in recepimento del trattato di Schenghen.
[19] VISCONTI, G. 2002.
[20] Utilizzando il codice target nella pagina HTML: <a href= “http://***/” target=_balck>
testo del link </a>.
[21] L’adattamento al sistema giuridico italiano è posto sotto la guida del prof. Marco Ricolfi del Dipartimento di Scienze Giuridiche Università di Torino.
[22] ALIPRANDI, Simone. 2006 Teoria e Pratica del Copyleft. Edizioni NDA Press. Scaricabile in http://www.copyleft-italia.it/libro2 .
[23] In http://www.gnu.org/licenses/fdl.html, versione italiana in http://www.softwarelibero.it/gnudoc/fdl.it.html .
[24] http://www.wikipedia.org
[25] http://en.wikibooks.org
[26] http://artlibre.org/licence/lal/ .
[27] http://www.gnu.org/licenses/ .
[28] http://www.costozero.org/wai/licenza.html .
[29] Ad esempio questa tesi è pubblicata in http://digilander.libero.it/l.albatros/ con licenza Creative Commons “attribuzione, non opere derivate, non commerciale” che si può leggere in http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/