Capitolo II: Democrazia 2.0 - Abbattere la soglia tra piazza e palazzo
Verso
una cultura della virtualità reale
Dalla
comunità al network, Verso la società digitale
Il mondo dei media sta attraversando una fase di trasformazione: sta diventando glocale[1], cercando economie di scala e sinergie tra i differenti modi di espressione; si sta lavorando verso una ristrutturazione intorno al Web, lavorando nel trattamento delle notizie sul tempo continuo della rete. Le trasmissioni radiofoniche stanno conoscendo una fase di rinascita. Secondo una ricerca dell’anno 2000[2] la gente accettava TV e video come intrattenimento, teneva la radio come compagnia e utilizzava Internet per i contenuti. Tuttavia i consumatori non erano ancora pronti a pagare altro denaro per ampliare la loro scelta di video all’interno dello stesso genere, facevano eccezione sport e programmazione tematica che pero erano offerte ad un prezzo molto più basso dalla televisione pay-per-wiew. La distribuzione di musica su Internet è un’attività ampiamente diffusa nella forma di libera condivisione, e la potenza del network rende improbabile un effettivo controllo. L’ascolto radiofonico in Internet sta vivendo un momento positivo per la sua specificità di soddisfare l’interesse per eventi locali su scala globale al di fuori della portata dei network regionali. I giornali sono on-line e la gente spesso li legge on-line. Tuttavia non è pronta a pagare per farlo, escludendo il successo del Wall Street Journal che appartiene, però, ad una categoria specializzata. Il genere di comunicazione che prospera in rete è quello collegato alla libera espressione in tutte le sue forme.
Se l’aumento dei mezzi per acquisire informazioni rappresenta un modo per rafforzare la democrazia, allora la rivoluzione dei nuovi media dovrebbe produrre, quantomeno potenzialmente, un incremento della democrazia. Tuttavia il semplice accesso a maggiori informazioni non stimola il processo democratico, a meno che ne faccia uso la maggior parte dei cittadini. Ma la spesa per la tecnologia e, soprattutto, il costo in termini di tempo, rappresentano un ostacolo per l’accesso al mondo dell’informazione.
In America, ad esempio, esistono due narrative in competizione nella definizione del racconto del mondo: media mainstream, ovvero i corporate media, imprese private quali CNN, Fox News, NewYork Times, e media alternativi, pubblicazioni indipendenti che tentano di esporre quanto omesso dai più diffusi media tradizionali[3]. Internet ha permesso di ampliare, a basso prezzo, la distribuzione dei media alternativi, e la formazione di centri media indipendenti[4] mettono gli strumenti del giornalismo nelle mani di cittadini che lavorano al di fuori del sistema dei premi e punizioni del giornalismo tradizionale. Gran parte dei media mainstream è sotto il controllo di grandi gruppi gerarchici profit-oriented, che si affidano, molto di più di quanto gli stessi americani pensino, a fonti istituzionali e a incontri segreti “di sfondo” con fonti confidenziali che rimangono rigorosamente anonime. Tale dipendenza riproduce l’inquadratura, la tempistica, il linguaggio di chi fornisce le notizie.
Allora esiste una ragione al fatto che gli americani preferiscono seguire la narrazione dei media tradizionali? Forse perché è più piacevole; forse perché lascia spazio all’infotainment dei “processi scandalo” ai danni di personaggi famosi; forse perché richiedono un minor impegno psicologico, rispetto al rovesciamento dei valori offerto dalla narrativa alternativa, molto più deprimente degli slogan “consuma di più per migliorare la tua vita”, e “rilassati e divertiti”, veicolati dalla pubblicità che finanzia i corporate media.
Sulla scia di McLuhan, De Kerckhove, Levy e Abruzzese è bene ricordare il legame intimo che sussiste tra il sistema mediale ed una data forma di potere, da cui in qualche maniera viene determinato. Se è vero che “il mezzo è il messaggio”, allora è anche vero che il linguaggio è potere.
La bolla di internet non era ancora scoppiata, e nel pieno ottimismo del finire del secolo scorso Grossman e Rodotà prefiguravano, con i concetti di “repubblica elettronica[5]” e di “tecnopolitica[6]”, un quadro politico-istituzionale rinnovato e valorizzato dall’utilizzo dei media; essi avrebbero consentito all’opinione pubblica di contribuire in misura qualitativamente e quantitativamente maggiore alla gestione della cosa pubblica, avrebbero stimolato il dialogo, l’interazione, ed il controllo dei rappresentati sui rappresentanti.
Di tutto questo cosa si è realizzato?
Quello che progressivamente si va accentuando è un diffuso disagio nei confronti della politica e delle istituzioni. “È necessario cogliere il nesso forte tra l’irrisolvibile coppia tv/democrazia e newmedia/postdemocrazia[7]”.
Una comunicazione mondo incentrata sulle reti e sui linguaggi digitali riattiva e reinveste nel gioco politoco il neo-tribalismo e il nomadismo glocale. Il mondo che stiamo vivendo è frutto di un passaggio culturale che ha prodotto l’emersione di conflitti identitari che sembrano ormai avvolgere e incapsulare i conflitti di interesse. Le religioni sono diventati fattori di identificazione simbolica, mentre lo stato-nazione si imbatte in una crisi di legittimazione. L’utopia dell’e-government e dell’e-democracy non hanno trovato significative realizzazioni pratiche. Sempre più evidente è la scarsa propensione delle istituzioni del potere ad attivare meccanismi di feedback, mentre l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione rivela maggiore vitalità, muovendosi in un ottica di modernizzazione/efficientizzazione delle procedure burocratiche. L’unica esperienza di integrazione di progetti di e-government e di pratiche di e-democracy è quella delle reti civiche sviluppate dalle P.A. locali, ma appare deludente finché si confina la rete a “strumento”. Internet è un incubatore di forme di partecipazione dal basso alla politica come, ad esempio, le “comunità virtuali”: esse nascono dall’aggregazione fra individui che condividono interessi, passioni, valori; concorrono a configurare nicchie di mercato e partecipano a processi che le vedono produttrici e consumatrici di servizi e prodotti. Il catalogo di queste comunità è sconfinato, dalle comunità di open source e p2p, ai movimenti NoGlobal. Nella loro eterogeneità, tutte queste esperienze condividono la libertà di comunicare e di rovesciamento radicale del paradigma dei media broadcast. Più complesse le dinamiche “di sciame” descritte da Rheingold [8], che con il termine smart mobs indicizza quelle aggregazioni spontanee di molte migliaia di persone che si ritrovano, si danno appuntamento nelle piazze, tramite l’uso di tecnologie di connessione mobili.
L’impatto delle tecnologie dell’informazione sulla cultura e sulla politica nella network society crea una base materiale per un nuovo attivismo sociale.
Quando, con l’avvento della stampa, la chiesa ha perso il controllo sui testi, gli individui hanno cominciato a scegliere per proprio conto. Oggi i grandi media hanno perso il monopolio del flusso di informazioni. Ronald Regan nel 1989 ne era certo: “la tecnologia renderà sempre più difficile per lo Stato controllare l’informazione che il suo popolo riceve”.
Tv satellitari e Internet hanno portato milioni di persone che vivono in società chiuse, più vicine al resto del mondo. I blog e le nuove tecnologie hanno espresso tutta la loro potenzialità nei paesi dell’est europeo; le rivoluzioni in Ucraina e Georgia sono state guidate da giovani attivisti che hanno fatto di Internet il principale strumento informativo, organizzativo e aggregativo, aggirando i divieti dell’autorità. Mailing list e sms sono usati per convocare manifestazioni e per comunicare in modo istantaneo. Piattaforme come The Egyptian Blog Ring e l’aggregatore Manalla.net, i blog Big Pharaon e Arabist dimostrano la vivacità della blogosfera egiziana. Non mancano blog libanesi e degli studenti iraniani come Iran Va Jahan e Regime Change Iran. Ma lo stesso discorso vale per il Caucaso, Russia e Asia. I blog non solo permettono accesso ad una informazione esterna, ma anche ad una informazione condivisa e scambiata: idee che circolano all’interno dei regimi, comunicazioni orizzontali che trovano nei blog spazi di espressioni spesso negati. I mezzi moderni di comunicazione tendono a sfuggire il controllo delle autorità, e mettere in crisi il sistema, anche a causa dei costi sempre maggiori necessari al mantenimento del controllo informativo.
Figura 1: Il livello di censure/filtri alla navigazione nel mondo
Nel libro Open Network, Closed Regimes[9] si osserva la situazione in Cina, Cuba, Singapore, Vietnam, Arabia Saudita ed Egitto. La conclusione è spiazzante.
Internet non è necessariamente una minaccia per i regimi totalitari […] che hanno avuto un discreto successo nel limitarne l’accesso.
Verso una cultura della virtualità reale
“la libertà non è mai un dato di fatto […] è la capacità di ridefinire l’autonomia e applicare la democrazia in ogni contesto sociale e tecnologico. Internet offre un potenziale straordinario per esprimere i diritti dei cittadini e comunicare valori umani.[11]”
Utilizziamo Internet per assorbire l’espressione culturale del mondo multimediale. Grazie a Internet produciamo un ipertesto personalizzato, semplice o sofisticato che sia, fatto di espressioni culturali, multimodali, ricombinate in nuove forme e significati. In questo senso viviamo in quel genere di cultura che Castells ha chiamato “cultura della virtualità reale[12]”: virtuale perché costruita primariamente attraverso processi di comunicazione virtuali basati elettronicamente; reale perché è la nostra realtà fondamentale, la base materiale sulla quale viviamo. Quello che contraddistingue l’era dell’Informazione è che innanzitutto attraverso la virtualità elaboriamo la nostra creazione di significato.
Internet non è semplicemente una tecnologia, ma è un mezzo e un luogo di comunicazione, una infrastruttura di una forma organizzata: il network. Tramite esso le organizzazioni formali vengono sostituite da coalizione libere, spontanee, movimenti ad hoc, movimenti emotivi spesso stimolati da un evento mediatico o da una grave crisi.
I Network interattivi si inseriscono nei processi di
cambiamento e di conflitto sociale come forme di organizzazione e mobilitazione
“dal basso”.
Dalla comunità al network, Verso la società digitale
Internet è stata accusata di spingere gradualmente le persone a vivere le proprie fantasie on-line, fuggendo il mondo reale, in una cultura sempre più dominata dalla realtà virtuale. In realtà gli utilizzi di Internet sono in maniera schiacciante strumentali, strettamente connessi al lavoro, alla famiglia e alla vita quotidiana dei singoli utenti. Tuttavia esiste una soglia d’uso oltre la quale la socialità off-line dell’utente risente del tempo che viene dedicato alla rete.
La formazione di comunità virtuali, basate primariamente sulla comunicazione on-line, è stata interpretata come il culmine di un processo storico di separazione tra luogo e socialità: nuovi selettivi modelli di relazioni sociali sostituiscono le forme di legame territoriale dell’interazione umana.
Il concetto delle comunità virtuali rappresenta il superamento della socialità basata sul luogo come fonte primaria di interazione per le comunità agricole e preindustriali. Oggi, infatti, le persone selezionano i propri rapporti sulla base delle affinità e le reti sostituiscono i luoghi come supporto della socialità. Questo passaggio dalla comunità al network, come forma centrale d’interazione organizzativa, conduce ad una transizione da una predominanza delle relazioni primarie (famiglia e comunità) sulle secondarie (associazioni), verso un nuovo modello dominante di relazioni terziarie, nella creazione cioè, di quelle che Wellman chiama “comunità personalizzate”, incarnate su network io-centrati; in fin dei conti una privatizzazione della socialità. Queste tendenze equivalgono al trionfo dell’individuo, o meglio all’affermazione di una nuova forma di società, la società in rete.
Movimenti sociali e politici usano e useranno sempre più Internet come strumento per agire, informare, reclutare, organizzare, dominare ed opporsi, caratterizzando il cyberspazio come territorio conteso. Con il termine “nooplitik[13]” si indicano le questioni politiche che emergono dalla formazione di una “noosfera”, cioè di un ambiente informazionale globale. La realpolitik stato-centrica non scompare, ma in un era caratterizzata dall’interdipendenza globale, da informazione e comunicazione, la capacità di agire sui flussi di comunicazione e sui messaggi mediatici diviene essenziale. Anche la guerra è stata trasformata dai network, in primo luogo tecnologicamente, ma soprattutto strategicamente: lo swarming, piccole unità autonome con elevata potenza di fuoco, cluster in grado di concentrarsi su un obbiettivo per poi disperdersi in breve tempo, sembra essere la nuova frontiera della pratica militare “network-centrica” per fronteggiare le minacce rappresentate dalla capacità di swarming del terrorismo internazionale.
In questa prospettiva saranno le reti a giocare un ruolo chiave, rendendo possibile il superamento dei principi, dei luoghi, che avevano fondato e sostenuto la modernità: lo stato-nazione, l’identità collettiva, la rappresentanza. McLuhan scrisse nel 1997:
Man mano che la velocità elettrica aumenta, la politica tende ad allontanarsi dalla rappresentanza e dalla delegazione degli elettori per un coinvolgimento immediato dell’intera comunità nelle decisioni fondamentali. Una minore velocità dell’informazione rende indispensabili la delegazione e la rappresentanza […] introdotta la velocità elettrica, una organizzazione rappresentativa di questo tipo appare talmente antiquata che si può farla funzionare soltanto mediante una serie di sotterfugi e di espedienti[14].
Dal sapere e dalla divulgazione come strategie di dominio si scivola verso una conoscenza condivisa che si sviluppa in rete.
L’informazione è per natura neghentropica […] mentre le istituzioni, come ogni costruzione umana bisognosa di dispendi di energia, sono entropiche, cioè soggette a sparizione e a morte. È possibile allora che l’indefinita pletora di informazioni […] finisca per destabilizzare. Più una società è informata, più le istituzioni su cui si basa diventano fragili.[15]
La rete costituisce il paradigma di quella che Vincenzo Susca[16] chiama “comunicrazia[17]”, intendendo una realtà caratterizzata da dinamiche di comunicazione/potere dal basso, da una forza concreta della comunità. La rete è un sistema acentrico, senza un confine spaziale; essa si genera a partire dalle connessioni tra i propri nodi; è una piattaforma che consente una sinergia tra il ritorno del tribalismo e lo sviluppo tecnologico, tra la risorgenza del sensibile e dell’emozionalità (condivisa nei blog) e le nuove pratiche di intelligenza collettiva/connettiva. È uno strumento glocale che sintetizza il cortocircuito tra mondializzazione (chiamatela anche globalizzazione) e localismi, spostando l’attenzione dal momento della decisione a quello dalla discussione, raccogliendo l’invito ad innovare una realtà democratica ormai superata.
Tuttavia bisogna portare attenzione: la rete richiede un pedaggio in termini cognitivi. La costruzione di un punto di vista personale, basato su forti interessi, nella selezione della realtà richiede tempo. Ma l’offerta continua e prepotente di informazioni interrompe continuamente il processo di riflessione e porta alla costruzione di filtri cognitivi deboli ed inefficaci, lasciando l’individuo incapace di evitare le emozioni. Il tasso di innovazione delle tecnologie, inoltre, costringe a continui processi di apprendimento delle modalità di relazione con le tecnologie stesse. I frequenti cambiamenti radicali costringono spesso a considerare l’esperienza accumulata come obsoleta, un peso da cui liberarsi. Il quotidiano sovrasta il passato, ed il bisogno di dimenticare ci influenza in modo complessivo: Internet si manifesta come un medium per diffondere, condividere emozioni, ma si tratta di uno sistema reattivo, piuttosto che riflessivo; la rete registra tutto, ma non sedimenta, e neppure le comunità on-line riescono spesso a superare i tre anni di vita.
Attraverso le reti si supera il modello comunicazionale moderno fondato su una comunicazione generalista, unidirezionale, verticale e tendenzialmente passiva, per passare ad un modello che privilegia le dimensioni personali e micro-comunitarie, orizzontali e attive dell’interazione. De Kerckhove ha evidenziato quanto l’invenzione della democrazia sia connessa con quella dell’alfabeto; McLuhan ha sottolineato il rapporto intimo che lega l’invenzione della stampa alla costituzione degli stati nazione; Debray ha rilevato il modo in cui il passaggio dalla grafo-sfera alla video-sfera porta con se il tramonto dello “stato educatore” e il trionfo dello “stato seduttore”. L’azione modellante della cultura digitale delinea una società trasparente, in cui comunità e decisori sono reciprocamente visibili, difficilmente occultabili da filtri e barriere, sciolti nei flussi comunicativi, e porta all’emersione di una sensibilità politica diffusa in ogni persona. Paradossalmente, questa nuova sensibilità viene stimolata ed educata in terreni apparentemente impolitici, come nel caso del videogame SimCity che allena lo spettatore a trasfigurarsi in attore, divertendolo e abituandolo a dar forma al mondo.
Per dirla con Nietzche:
e ciò che chiamaste mondo deve essere creato da voi; la vostra ragione, la vostra immagine, la vostra volontà, il vostro amore deve diventare mondo[18].
L’emersione di questo attivismo a livello civico rappresenta un terreno fertile per un nuovo giornalismo, non più locato nelle alte stanze del potere, ma prodotto da una comunità connessa in rete. Questo è lo spirito che anima e forma la comunicrazia, ed è il suo fondante immaginario collettivo. Le reti spostano le dinamiche di potere dal corpo istituito ai corpi istituenti, sostenendo la potenzialità dionisiaca di una “distruzione creatrice”, di un nuovo ordine, di una rifondazione della sfera pubblica, alimentata dalla intelligenza connettiva della società, che esprime in rete la propria “volontà di potenza”.
In una società così ridefinita il potere dei flussi afferma la sua priorità sui flussi del potere[19]. La comunicrazia è quindi la forma di potere liquida della postmodernità, come la democrazia è il corrispettivo solido della modernità. Ma quali sono allora questi flussi?
Un ricercatore italiano del MIT, Federico Casalegno, insieme ad altri colleghi, sta portando avanti un progetto di ricerca[20] per capire quali risvolti potranno avere i media interattivi, con le dinamiche sociali e comunitarie che fanno emergere, sui processi di partecipazione attiva dei cittadini, sul rapporto fra la circolazione delle informazioni e le dinamiche di produzione e di diffusione delle informazioni stesse.
Alla base del lavoro vi è l’elaborazione di alcuni modelli degli scambi comunicativi attualmente resi possibili grazie alla wireless communication e all’utilizzo delle reti. Ognuno di noi è infatti immerso in flussi di comunicazione invisibili, intangibili e che rappresentano la nostra intelligenza collettiva. Ricorrendo agli schemi elaborati da Casalegno & C. possiamo identificare:
· Flussi di comunicazione strictu sensu;
o iconograficamente rappresentati dall’immagine della “salsiccia”, i flussi di questo modello ricalcano la comunicazione orale dove vi è un trasferimento dell’informazione one-to-one;
o il modello della “fiamma” rappresenta una complicazione del modello precendente; esso nasce dal presupposto che la comunicazione non sia lineare, ma assomigli ad una fiamma che si propaga creando uno spazio infinito dove ogni individuo è consapevole solo delle persone a lui immediatamente prossime;
o miti e leggende urbane nascono come arricchimento/sedimentazione di nuovi contenuti su un seme informativo che viene comunicato inizialmente. Il passaggio di bocca in bocca aggiunge un contenuto personale che, poi, si trasforma in senso comune. È il modello della “perla”;
· Flussi tra due persone;
o Il “ventre” rappresenta lo spazio intimo e condiviso, creato da un flusso comunicativo costante tra due persone, attraverso vari format che gli attanti mettono in atto. Ricco e stabile, questo luogo della memoria assume un’esistenza al tempo stesso virtuale e fisica;
o L’ubiquità dei mezzi di riproduzione digitale, tra gli ultimi la telefonia mobile di terza generazione, permette di vedere il mondo attraverso gli occhi del partner che vuol condividere la propria esperienza, come i tentacoli che permettono ad una “medusa” di afferrare e conoscere l’ambiente;
o Secondo lo schema della “farfalla”, lo spazio di condivisione-coabitazione diventa una sorta di luogo simmetrico dove ogni ricordo condiviso è sempre disponibile;
· Flussi tra più persone;
o Gli strumenti di comunicazione personale assumono il ruolo di diario digitale, custode delle memorie delle comunicazioni con gli amici, partner, colleghi (“margherita”);
o La telefonia cellulare e gli sms hanno portato alla nascita di piccole comunità, tribù urbane, costantemente connesse non solo per comunicare, ma anche per organizzarsi, coordinarsi (“anello”);
o Attivismo e competenza determinano l’emersione nel gruppo di una personalità catalizzatrice della comunicazione che diviene baricentro (modello del “petalo”) o “cresta” del gruppo;
o Qualora i wireless media vengano utilizzati in situazioni di prossimità fisica si vengono a creare strati segreti di comunicazione che rendono lo spazio fisico più ricco e profondo (“girasole”);
· Flussi tra gruppi di persone, dove cioè ogni tribù diviene centro di trasmissione, irraggiamento (da qui il nome “stella infinita”) verso ogni altra comunità, una sorta di micro-publishing quali ad esempio le comunità peer-to-peer.
[1] Globale e locale insieme. Sul tema BOCCIA ARTIERI, G. I Media Mondo.
[2] Dati di Forrester Research.
[3] La
distinzione è usata da MEYROWITZ J. in Media
Mainstream e Media Alternativi. Narrative Americane in contrasto,
in Immaginari
postdemocratici. p.180
[4] Alternet: http://www.alternet.org/;
Indipendent Media Center: http://www.indymedia.org/;
Global Exchange: http://globalexchange.org/;
The Nation: http://www.thenation.com/.
[5] GROSSMAN
L.K. 1995.
[6]
RODOTÀ S. 1997. Tecnopolitica, la
democrazia e le nuove tecniche di comunicazione. Laterza, Bari.
[7] ABRUZZESE A. 1995. Lo splendore della tv.
[8] RHEINGOLD H. 2003. Smart Mobs.
[9] KALATHIL, S. e BOAS, T. 2003. Open Network, Closed Regime , Carnegie Endowment for International Peace.
[10] Dal sito web del Ministero di Pubblica Sicurezza cinese.
[11] CASTELLS, Manuel. 2001,
Galassia Internet.
[12] CASTELLS, Manuel. 1996/2000, The rise of the Network Society.
[13] Per usare una terminologia di Arquilla e Ronfeldt.
[14] McLUHAN M. 1964, Gli strumenti del comunicare.
[15] DURAND G. 1994. L’immaginario, scienza e filosofia dell’immagine.
[16]
Dottorando di ricerca all’università Paris-V
[17] SUSCA V. in La politica nell’epoca della sua riproducibilità digitale. Verso la cumunicrazia. In Immaginari Postdemocratici. p 97.
[18] NIETZCHE F. 1883. Così parlò Zarathustra.
[19] CASTELLS, M. 2002. La nascita della società in rete, Bocconi, Milano.
[20] Sito web http://www.auraknowledge.net