Note a margine
Che cos’è Internet? Prendo in prestito da Stefania Bolzan la sua definizione:
Un po' terra di nessuno e un po' “tuttologia pret-a-porter”, una specie di speaker corner globale nel quale un navigatore con occhio critico può riuscire a dare risposta a interrogativi che altrove non trovano spazio[1].
Un mare vastissimo composto di particelle chiamate bit. Esse si organizzano, si danno una struttura nei siti web, nei blog, nelle community on-line, seguendo le linee tracciate dalle esigenze degli sviluppatori del linguaggio: creare comunità, selezionare e concedere attenzione. Il navigatore che si trova in questo spazio sconfinato usa, come punti cardinali, i motori di ricerca per selezionare e dirigere il proprio interesse a seconda delle sue esigenze. La semplicità d’uso, la ricchezza e la varietà dei contenuti hanno fatto emergere l’importanza della Rete come mezzo di informazione, duttile ed adattabile alle infinite richieste dell’utenza. L’innovazione dell’on-line e la pervasività con cui essa è entrata nella realtà quotidiana dei milioni di utenti, hanno prodotto influenze significative in tutti gli universi dell’off-line. Anche il mondo del giornalismo è cambiato.
Ci apprestiamo a vivere un periodo di grandi mutamenti le cui linee evolutive sono già state tracciate. Come afferma Christian Caujolle, è stata ormai stravolta la “tradizione secolare [che] accordava ai giornalisti professionisti il privilegio di diffondere una verità testimoniale dei fatti[2]”. Il mondo del giornalismo dal basso cresce e si allarga giorno dopo giorno. Esso non è più solo controinformazione o informazione di movimento, ma giornalismo civico, partecipativo, citizen e grassroot journalism. È cioè realizzato da cittadini, non più destinatari passivi di notizie, ma che sono diventati protagonisti di una sempre più fitta rete di scambio di informazioni.
L’11 settembre ha segnato una svolta nel mondo dell’informazione, nella prima ora dopo gli attentati l’80% delle informazioni hanno un’origine amatoriale.
Così recita il lancio del programma “Reporter Diffuso” sulle frequenze satellitari di SkyTg24. È una rubrica, condotta da Marco Montemagno, che tratta proprio queste tematiche. L’affermazione del medium internet, di fatto, non è più visto come un fenomeno marginale dagli altri media, ma sui media tradizionali, si stanno creando spazi di approfondimento e di “contatto” con l’universo della Rete. Il mondo delle redazioni giornalistiche sta scoprendo, passo passo, la forza dell’utente, le sue capacità di co-produrre notizie, foto e video. E se lo spazio on-line è sempre disponibile, il reporter diffuso sta prendendo piede anche su quello preziosissimo della carta e delle trasmissioni TV.
Secondo una recente analisi del Media Center, nel 2021 i cittadini produrranno “il 50% delle notizie attraverso il Peer-To-Peer, entrando in chiara competizione con i tradizionali produttori di notizie”.
Il superamento qualitativo del format “Real TV” ha prodotto la nascita e lo sviluppo di nuove modalità del fare informazione. L’evoluzione dei cosiddetti giornalismi possibili va molto al di là del solo aspetto professionale o industriale.
La fine del Giornalismo e la sua articolazione in una miriade di giornalismi diversificati è ormai un dato di fatto. Nel mondo del giornalismo professionale e dell’industria editoriale ci si sta chiedendo quale contributo possano fornire le mille sfaccettature del giornalismo partecipativo al sistema dell’informazione tradizionale[3].
Si tratta di capire quale peso avranno sulla cultura di base della società e quali trasformazioni indurranno nella struttura del mondo contemporaneo.
L’influenza delle nuove tecniche digitali ha prodotto un rinnovamento radicale all’insegna della pluralità delle fonti e del pluralismo dell’emittenza. Le frequenze digitali hanno ampliato lo spettro dei possibili editori di canali radiofonici e televisivi, senza contare la promozione di Internet al rango di media di massa. Sarà la fine del dualismo tutto italiano tra Rai e Mediaset per il monopolio dell’informazione? Potranno i blogger diventare gli outsider della partita? In palio c’è un bene e un diritto sancito dalla costituzione, ma prima ancora dal buon senso. Una cittadinanza migliore necessità di una informazione quanto più slegata dai legami di potere e tanto più vicina al cittadino, tale da comprenderne le esigenze, i problemi.
Il nuovo mondo potrà essere popolato di cittadini e non di sudditi, ma ciò dipenderà da come verranno usate le potenzialità democratiche offerte dalle nuove tecnologie. La società digitale rappresenta un’occasione di sviluppo irrinunciabile: la realtà di una comunità connessa, in grado di autorganizzarsi, di comunicare in maniera aperta, senza la possibilità di apporvi censure. Utopia o realtà del prossimo decennio?
La libertà come bene irrinunciabile, ma che necessita di principi e regolamentazioni, ben più di una formalizzazione della netique che la comunità del web si è data come forma di autoregolazione. Per dirla con Stefano Rodotà:
un mondo senza centro non equivale a un mondo senza regole, che vanno invece costruite pazientemente per approdare ad una "Costituzione per Internet". Un traguardo difficile, ma una utopia necessaria in un mondo nel quale l'apparenza della distribuzione e della dispersione dei poteri non può farci ignorare le leggi ferree che grandi poteri politici ed economici continuano ad imporre a tutti.
Le resistenze non mancano, soprattutto nella comunità che
crede nell’assoluta libertà come realtà fondativa dello sviluppo del Web.
Se queste domande rimango senza una risposta, c’è un dato che deve far riflettere circa l’effettiva capacità della Rete di abbracciare il mondo intero: il digital divide. I cinque sesti della popolazione mondiale, circa 5,4 miliardi di persone, non hanno accesso alle tecnologie e, con esse, alla conoscenza. Ciò non fa che riproporre l’antico problema di distribuzione del potere e della ricchezza all’interno della Società Globale. La democrazia digitale sarà compiuta solo quando, realmente, la maggior parte della popolazione del globo potrà servirsi della Rete.
[1] BOLZAN, S. 2004. Il muro di Israele. Tesi di laurea in scienze della comunicazione, università di Padova.
[2] Caujolle, C.200. Mort et résurrection du photojournalisme in Le Monde Diplomatique.
[3] Presentazione al blog http://www.lisdi.it/blog/ curato da Pino Rea, consigliere nazionale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e coordinatore di un gruppo di ricerca e documentazione sui problemi del giornalismo che si chiama Libertà di Stampa e Diritto all’Informazione.