1. “ Valentina papà non sta bene, lascialo stare” “Cos’ha papà? Cos’hai papà?” chiese Valentina rivolta a quella poltrona enorme che sembrava inghiottire il suo papà. Lui stava seduto in silenzio, a guardare fuori dalla finestra, e ogni tanto si girava e le sorrideva, seduta sul tappeto colorato a giocare. “Papà è stanco, ha bisogno di riposare” “E come si fa a riposare, mamma?” non voleva che suo papà riposasse, voleva che giocasse con lei. “vuol dire stare a casa a dormire e a mangiare quello che gli preparo io, come quando tu sei ammalata” “ma allora papà è ammalato?” “no, è solo stanco” “glielo voglio preparare io il mangiare” disse Valentina ad alta voce, alzandosi in piedi e correndo verso la poltrona “te lo preparo io il mangiare, papà, vero?” “no nena, ci pensa la mamma” “e io cosa faccio?” disse Valentina abbassando gli occhi a terra “tu puoi raccontarmi una favola, come io faccio con te” disse il padre con voce debole “no. Non voglio. Io voglio cucinare per te, posso mamma?”. Continuava a dirle di no, sua madre, mentre iniziava a preparare la tavola, e suo padre aveva rincominciato a fissare fuori dalla finestra. Corse nella sua camera, Valentina, e si nascose di fianco al calorifero bianco e caldo, lei voleva solo giocare con il suo papà e vederlo ridere come, come quando d’estate tornava a casa con due cesti pieni di prugne rosse gialle e bianche, rideva sempre perché le prugne rotolavano da tutte le parti, poi si metteva a gattoni per terra a raccoglierle e lei lo aiutava. Voleva che il suo papà tornasse come prima e allora nella sua stanza, accovacciata accanto al muro, pensò di andare a trovare quelle prugne che lo facevano ridere rotolando via per tutta la casa. Mentre sua mamma stava in cucina a mescolare friggere e cuocere, mentre suo padre guardava solo e soltanto fuori dalla solita finestra sulla campagna, Valentina si infilò le scarpe e un maglione, corse giù per le scale: ed era strada. All’inizio non sapeva neanche dove andare, suo padre diceva sempre che il posto delle prugne era un segreto, che nessuno tranne lui poteva saperlo, allora prese la strada che portava in paese. 2. Camminò quasi corse in discesa e i prati, le mucche, anche le macchine e gli alberi enormi sembravano volare via, staccarsi da terra mentre Valentina correva e correva. In paese le case erano tutte in fila lungo la strada principale, e così i negozi dove la mamma si fermava a fare la spesa qualche volta, se dimenticava di prendere qualcosa in città. Non avevano i carrelli, questi negozi, erano piccoli e pieni di scatole, roba. Quello che le piaceva di più, quello dove la portava sua nonna, era il fioraio, allora decise di andargli a chiedere delle prugne. Un campanello suonava ogni volta che la porta si apriva, la stanza era piena di signore con cappotti neri e blu che chiacchieravano ad alta voce: erano grosse e ingombranti ma anche morbide a spingerle via piano per farsi spazio, avevano mille profumi e cappelli tutti uguali e sembrava non dovessero andare da nessuna parte “ciao Valentina” “ciao bellezza” “ciao signorina” la salutavano tutte sorridendo sdentate e la fissavano “ciao nena, sei da sola? Dov’è la nonna?” “sono venuta a prendere le prugne per il mio papà” “le prugne? Ma nena non le vendo io le prugne” disse il signor Altero, alto e con i capelli ricci e bianchi, e si mise a ridere e con lui tutte le signore, che la fissavano e la carezzavano e pensavano che stesse scherzando “non le ha le prugne? Le prugne rosse e quelle gialle e bianche?” “no nena i vendo i fiori, solo quelli” mentre le signore alzavano sempre la voce e come chiocce si avvicinavano per covare mille parole Valentina corse via. Campanellino che suona all’entrata, campanellino all’uscita. Ding-ding. Il secondo negozio era il più buio, quello che le faceva paura sempre perché gli scaffali erano altissimi e tutto sembrava cadere da un momento all’altro. “Chi è?” chiese una voce dal fondo della stanza. Valentina fece qualche passo per vedere meglio la persona, ma era tutto buio “allora? Chi è entrato?” vedeva solo degli occhi scuri e un viso pallido e rugoso, vedeva solo le sue mani appoggiate a un bancone di legno e le unghie ticchettare veloci. “allora!” gridò forte la donna, e Valentina per poco non corse via, per poco. “sto cercando le prugne per il mio papà, quelle rosse e gialle e bianche” “prugne? Cosa ci fai in giro a quest’ora da sola, bambina?” “cerco le prugne per mio papà, perché è triste e ogni volta che..” “io le prugne non le tengo, non vedi? Se non devi comperare niente: fuori di qui, subito! Sto chiudendo. Torna a casa.” Intanto Valentina si era avvicinata al bancone e aveva appoggiato il mento sul legno tiepido. “ma lei non sa dirmi dove hanno le prugne?” “..le prugne…bambina le prugne sono cose da grandi, non puoi mica arrampicarti su un albero e raccoglierle, troppo alto” disse “troppo alto” ripeté “e dove sono gli alberi delle prugne?” chiese Valentina speranzosa “ dove sono dove sono, tu sei troppo piccola. Ecco” Valentina non disse niente ma rimase ferma comunque, mentre la signora impacchettava oggetti strani e contava viti e bulloni da infilare in cassetti minuscoli. “senti…” Valentina si sporse “le prugne devi andarle a cercare in collina. Non qui. Vai su in alto fino alla fine della strada, fino in cima, lì ci sono le prugne, se sei fortunata” “grazie” sussurrò, e le sorrise, e anche la donna sorrise per due secondi. Corse fuori, faceva caldissimo su per la collina, arrivata davanti casa si accorse che non era mai andata più avanti di lì, che la strada per lei finiva lì, da sempre, per sempre. Prese coraggio e incominciò l’ultimo pezzo verso la cima della collina: sembrava di camminare sopra la gobba di un cammello, l’asfalto a un certo punto finì e al suo posto c’era soltanto erba e sassolini. Tutto intorno però Valentina non vedeva case, solo verdi tantissimi verdi e qualche pezzo di marrone, alberi in file perfette, tutti sull’attenti, e qualche volta delle farfalle. Era triste perché il suo papà era triste e perché non trovava le prugne, quando però arrivò in cima alla gobba della collina vide una casa quasi uguale alla sua, marrone chiaro e bordò, con il tetto più vecchio e un gatto sui gradini. Tutt’intorno alla casa crescevano piante e verdure e erbe e fiori, tutt’intorno c’era troppo silenzio. Valentina si mise di fianco al gatto che non scappò, stettero lì per qualche minuto quando arrivò da dietro la casa una donna con una pancia enorme e i capelli bianchissimi, un grembiule pieno di qualcosa. “e tu chi saresti?” chiese la donna “sono Valentina e cerco le prugne per il mio papà che è triste, le avete voi le prugne?” la donna aveva nel grembiule un sacco di albicocche arancioni, brillanti e profumatissime “come mai il tuo papà è triste?” “non lo so, però sta sulla poltrona e non gioca più con me, io voglio che torni a giocare con me e mi servono le prugne, quelle rosse gialle e bianche” “ma perché ti servirebbero le prugne? Come fai a sapere che sarà felice poi?” “perché era sempre felice quando tornava a casa con le prugne e quelle rotolavano a terra” “capisco. Allora vieni con me” la prese per mano e la portò dietro casa, Valentina pensò che la mamma non avrebbe voluto che parlasse con una sconosciuta, ma che importava?, aveva la mano grande e vecchia ma ancora morbida, e la stringeva come sua nonna, dal basso la pancia sembrava ancora più grossa e i capelli lunghi e bianchissimi. “questo è il mio albero magico” e le indicò un albero enorme, dal tronco sottile ma forte, pieno di foglie verdi e gialle, di rami e soprattutto di prugne gialle e rosse e bianche, come quelle che cercava. “le prugne” gridò Valentina contenta. “tante prugne, tante come quelle del tuo papà che veniva a prendere per portartele da mangiare d’estate, colorate come le storie su di te che mi racconta in cima alla scala di legno mentre cerca le prugne più belle per la sua nena” Valentina non aveva parole per la signora e per quell’albero che al vento della cima della collina ballava. Quante prugne. Quanti colori. “allora se il tuo papà è triste tu dici che bisogna portargli le prugne?” “secondo me sì. Così torna a giocare con me” “se sei sicura allora forza sali, prendine quante ne vuoi e stai attenta a non cadere, io non posso salire perché sono troppo vecchia..ma non aver paura perché l’albero è forte e gentile, ti terrà su lui” Valentina si arrampicò per la prima volta in vita sua sull’albero, ramo dopo ramo arrivò in alto a vedere insieme ai verdi e ai gialli e ai rossi anche il colore del cielo, soffiava ancora il vento e l’albero piegandosi la aiutò a raccogliere le prugne più belle. Passò qualche ora lassù, senza mai aver paura, e le sembrò di essere su uno di quegli alberi che volavano via quando lei correva giù per la collina. Scese. “hai preso le più belle, nena?” disse la donna Valentina le mostrò le prugne colorate e diverse e in mezzo a loro ce n’era una più bella delle altre, perché era sia gialla che bianca che rossa, e a guardarla bene anche arancione e tutti i colori del mondo. Valentina era felice, ringraziò la donna e corse fino a casa con le prugne in mano, nelle tasche e in un cesto. Sulla porta stava sua madre, preoccupata, suo padre era affacciato alla finestra e quando la vide gli si illuminarono gli occhi, uscì ad abbracciarla “no papà non abbracciarmi, le prugne si rovinano!” “che prugne nena? Stai bene?” “io sto bene, ma se mi stringi facciamo la marmellata” lasciò cadere a terra tutti i suoi tesori, che rotolarono via veloci nell’aia, suo padre la guardò. E rise. |