ADRIANO SOFRI

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Ecco un evento politico interessante

 12 dicembre 1969 una bomba esplode a Milano, a piazza Fontana, all’interno della Banca dell’Agricoltura. Muoiono sedici persone: è l’inizio della cosiddetta "strategia della tensione". Le indagini si dirigono subito verso gli ambienti anarchici. Il ferroviere Pino Pinelli viene fermato dalla Polizia, tenuto illegalmente in commissariato per tre giorni, ripetutamente interrogato dal funzionario di Polizia Luigi Calabresi. Il 15 dicembre Pinelli muore cadendo dalla finestra della stanza del commissario Calabresi. Lotta Continua, di cui Adriano Sofri è il leader, lancia una dura campagna di stampa contro il poliziotto, accusandolo d’avere provocato la morte di un anarchico innocente (nel ’75 il procedimento penale contro Calabresi ed altri funzionari sarà archiviato dal giudice D’Ambrosio con la celebre tesi del "malore attivo", che non escludeva però pesanti responsabilità morali della Polizia sulla morte di Pinelli).

Il 17 maggio del 1972 Calabresi viene assassinato a Milano. Le indagini puntano su Lotta Continua, poi su esponenti dell’estrema destra (Nardi, Stefano, Kiess), che verranno scagionati.

Dopo 16 anni, il 28 luglio 1988, Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani vengono arrestati: l’accusa per Sofri e Pietrostefani è di avere ordinato l’omicidio Calabresi, per Bompressi d’averlo eseguito. Li accusa un ex militante di Lotta Continua, Leonardo Marino, che riferisce d’avere guidato l’auto con a bordo Bompressi la mattina del 17 maggio.

Comincia qui una lunga vicenda processuale: otto processi, molti colpi di scena, e un filo che li unisce: le contraddizioni, le rettifiche, i ricordi confusi di Marino e l’impermeabilità di inquirenti e giudicanti di fronte alle argomentazioni fragili del pentito.

Il primo processo, aperto nel gennaio del 1990, è in questo senso emblematico: emergono gli inquietanti colloqui notturni non verbalizzati fra i carabinieri e Marino, iniziati ben prima della data ufficiale del "pentimento". E le contraddizioni di Marino, che non ricorda, per esempio, che il giorno in cui ricevette l’ordine da Sofri di uccidere Calabresi, a Pisa, era in corso un memorabile temporale (immortalato, fra l’altro, in foto dell’epoca che ritraggono Sofri durante il comizio).

Malgrado tutto questo, il 2 maggio 1990 Sofri, Bompressi e Pietrostefani vengono condannati a 22 anni ciascuno. Marino ne prende 11.

Nel 1993 i tre vengono assolti dalla Corte d’Assise d’appello, ma il giudice estensore delle motivazioni, in disaccordo con la corte, scrive la più classica delle sentenze "suicide", che infatti verrà annullata in Cassazione. Nel 1996 sono provate le gravi pressioni subite dal presidente della corte per giungere alla condanna. Pressioni provate dalla Procura di Brescia, sulla base anche di testimonianze di giudici popolari. L’indagine è stata archiviata.

Nel gennaio del 1997 la Cassazione rigetta il ricorso degli imputati, la sentenza di condanna diventa definitiva: Sofri, Bompressi e Pietrostefani entrano nel carcere di Pisa. Pietrostefani era a Parigi e torna in Italia per costituirsi. Per Marino il reato è prescritto e non andrà in carcere.

Nell’agosto del 1999 è accolta la richiesta dei difensori di revisione del processo, grazie a nuove prove raccolte dai legali. Il processo si tiene a Venezia, fra la fine del 1999 e l’inizio del 2000. Emergono tutte le incongruenze dell’istruttoria, il percorso tortuoso del pentimento di Marino, l’estraneità di Bompressi. Niente da fare: la sentenza di condanna è confermata fra lo stupore della comunità internazionale. Sofri e Bompressi tornano in carcere, Pietrostefani questa volta non si costituisce.

A febbraio Ovidio Bompressi viene scarcerato, le sue condizioni di salute sono molto critiche.

Adriano Sofri continua a fornire il suo contributo di intellettuale scrivendo su "La Repubblica" e sul "Foglio"; si occupa, inoltre, delle condizioni, spesso terribili, dei carcerati. La grazia resta, più per noi che per lui che non l’ha mai sollecitata, l’ultima speranza di recuperarlo alla vita civile.