L'etimologia del nome tarogato (taragot, tàrogatò) è controversa come le sue origini. Attualmente questi termini indicano uno strumento aerofono ad ancia semplice della musica popolare ungherese. E' usato a volte nel III atto del Tristano di Wagner ed è previsto nella partitura dell'ouverture di Lo Zingaro barone di Strauss figlio. Gia' dal 16° secolo i cronisti ungheresi citano il tarogato, ma il suono dello strumento di allora non ha più nulla in comune con il timbro degli strumenti odierni. Gli ungheresi , per secoli, hanno chiamato tàrogatò un altro strumento: la zurna asiatica, uno strumento di tipo turco-iraniano che appare in Europa già dal 13° secolo, durante l'espansione dell' impero ottomano, utilizzato come oboe da guerra. |
Anche gli Ungheresi utilizzarono il tàrogatò come strumento da campo facendolo divenire simbolo del movimento nazionale di liberazione contro l' impero asburgico. L'aspirazione d'adattare lo strumento alle esigenze sonore ed estetiche moderne, spinse il costruttore Jòszef Schunda verso il 1894 ad una radicale modifica: il tàrogatò fu munito d'alcune chiavi, ridimensionato nel canneggio, munito di un piccolo bocchino ad ancia semplice, simile a quello del clarinetto ma con una camera a doppia conicità. |
È strano, del resto, pensare come a quel tempo i poveri fossero musicisti: gli operai agricoli itineranti che si spostavano attraverso tutta l'Europa centrale, dalla lontana Valacchia fino alle nostre regioni, quasi tutti tiravano fuori di sotto ai loro stracci dei minuscoli flauti, grandi come sigarette, delle chitarre nane a due corde, delle ocarine di terracotta, dei fischietti intagliati nella corteccia e persino delle penne di anitra selvatica da cui sapevano trarre un insieme di suoni Sono stati loro, quegli eterni viaggiatori, i miei maestri. Li ascoltavo, cercando dì accompagnarli. Uno di loro, un gran vecchio taciturno a cui mancavano tre dita della mano destra e che aveva i capelli bianchi lunghi fino alle spalle, suonava il tarayot, una specie di piffero turco grande come uno dei nostri moderni sassofoni e da cui ricavava delle sonorità da oboe che ci strappavano le lacrime. Tornava ogni anno verso i primi giorni di dicembre. Deve essere morto in una di quelle pianure della bassa Europa che non aveva mai smesso di percorrere. Resta, per me, uno dei più grandi virtuosi che abbia mai ascoltato. |
Siccome nel libro Joffo raccoglie, sia pure in forma di romanzo, quanto ha potuto ricostruire riguardo alla storia della sua famiglia, è affascinante pensare che il mio strumento possa essere quello del "grande vecchio taciturno". Ulteriori notizie e discografia si possono trovare qui: http://www.ucolick.org/~sutin/tarogato.htmlPagina creata martedì 9 novembre 1999 |