ASSASSIN

un racconto di Andrea Valentini


1. premonizione

...a volte la mattina arriva così: come uno sputo in faccia. Sei mezzo addormentato, intorpidito, confondi la realtà con le immagini dei sogni. E improvvisamente la luce dell’alba inizia a colarti sulla fronte, fino alle guance. Così il cervello si sveglia e ricordi tutto. Ti accorgi che non è un sogno. Perché ci sei dentro, adesso. E magari stai guidando, in una città che non conosci, dall’altra parte dell’oceano. Detroit, Michigan: sotto al cielo slabbrato dell’alba, su una striscia d’asfalto che sembra azzurra, illuminata dai primi raggi di sole.

L’autoradio sfrigola: ogni tanto vomita qualche parola comprensibile, un paio di note, un jingle. Tenerla spenta non farebbe molta differenza, ma almeno fa compagnia. E Marko ne ha bisogno.

Quarantadue ore senza dormire: gli occhi mi bruciano. Ogni gesto mi sembra troppo rapido o lentissimo: è come vedermi attraverso una moviola impazzita.

Pacchetto di Bis. Accendino Bic. La fiamma azzurrognola e arancione si avvicina all’estremità della sigaretta.

Cazzo. L’ho accesa al contrario. Non è un bel segno.

Dovrei imparare a credere a questa roba: l’altra mattina me lo sentivo. C’era qualcosa di storto in quella telefonata, ma io non mi sono mai fidato delle premonizioni. Che cazzo: le cose non puoi sentirle finché non le hai davanti. Come non puoi sparare a qualcuno finché non ce l’hai lì, in mezzo alla croce del reticolo duplex.

E continua a guidare.

A Detroit.

Marko.

2. doppio agguato

Motore spento.

Auto parcheggiata col bagagliaio aperto: le istruzioni sono chiare.

Il cuore pulsa. Batte forte.

Marko si guarda intorno. I rumori della città che inizia a svegliarsi si spandono come caffè su una tovaglia di tela cerata. Scivolano, deviano, si dividono, si allargano.

Nessuno... non c’è nessuno. Non c’è nessuno. Non c’è nessuno. Cazzo. Calmo Marko. Il ferro è carico, niente sicura.

Si blocca.

...mi hai salutato il Coliseo, italiano?

Una frase in italiano pesantemente accentato. Da turista. E’ una voce scartavetrata, un suono che sembra sul punto di collassare da un secondo all’altro. Marko mette a fuoco una sagoma allampanata, seminascosta nella penombra.

Prete... americano del cazzo: si chiama Colosseo. E facciamo in fretta: voglio tornarmene a Milano col volo delle sei.

Il Prete è uno di quei tizi che non si possono capire. Né descrivere. L’unica cosa che devi sapere di lui è che è meglio non perderlo mai d’occhio. E averlo come amico.

La mano di Marko scivola sotto alla giacca. Il ferro è fresco, nella fondina ascellare. Non è il suo: questo glielo hanno dato ad Ann Arbor tre ore fa, in un parcheggio per roulotte. Ma andrà bene lo stesso.

Allora italiano, se hai fretta... dimmi: cosa posso fare per te?

Marko estrae la pistola. La punta dritta verso la testa del Prete, che resta immobile, con una faccia da Santo con l’ulcera.

Un colpo. Due. Cade a terra, su un fianco.

Cristo... che cazz...

Marko si butta dietro l’auto. Respira velocemente, ansima. Getta lo sguardo oltre il cofano: nessuno. Solo un cadavere. Si butta sul sedile di guida, mette in moto e parte sgommando, col bagagliaio ancora aperto.

Chi cazzo gli ha sparato... chi cazzo è stato! Io non avevo nemmeno il dito sul grilletto...

3. paranoia urbana

Le orecchie ronzano, attutendo i suoni come stracci appoggiati su una cornetta telefonica. Il sole si sta alzando: stropiccia il velo di nubi basse e smog appiccicoso, colorando lo skyline di un arancione Napalm.

Il lavoro è fatto, tecnicamente. C’è un solo piccolo problema: lo dovevo ammazzare io, il Prete. All’incrocio tra Ford Street e Guild Avenue c’è una cabina telefonica. Adesso l’importante è arrivare lì, senza pensare troppo al casino che è scoppiato. Ci vorrebbe uno schizzo di Dilaudid...

La cabina è di fronte a un edificio abbandonato: un ex albergo di lusso. Troietossicibarboni entrano ed escono, come una scia di lumaca imputridita. Marko si butta giù dall’auto e raggiunge il telefono pubblico. Nella cabina c’è quello che rimane di una ragazza: pelle nera, collant sbrindellati, un ascesso sul labbro.

Levati dalle palle.

La tizia lo guarda. Occhio acquoso. Si alza e fa per andarsene. Poi si volta e gli ride in faccia scatarrando una frase:

Non è che aspettavi una telefonata, testa di cazzo?

E tu come fai a saperlo?

La tua telefonata sono io, ciccio. Cambio di programma.

Un cambio di programma che si chiama Keisa, ha un paio di gambe da omicidio, capelli neri come la morte, pelle di ebano e un finto ascesso di lattice sulla bocca carnosa.

4. telefoto

Un auto in mezzo al traffico: alla guida Marko. Al suo fianco Keisa. Un cercapersone le trilla nella borsetta. Non muove un muscolo.

Chi è?

Nessuno.

Risposta errata. Soprattutto quando si sta rischiando di finire con un buco in testa, schiacciati sotto alla pressa di qualche discarica industriale.

Chi ha fatto fuori il Prete?

Tu, Marko.

Risposta errata.

Fermo immagine: Keisa sorride guardando dal finestrino. Lei sa. Marko no.

5. narcotraffico

Non ci puoi fare un cazzo. Quando sei in un meccanismo troppo più grande di te o, semplicemente, troppo nascosto per comprenderne il funzionamento, ecco, allora ti conviene stare al gioco. E tenere la mano in tasca, pronta a tirare fuori il ferro.

Keisa conduce il gioco.

Destra... arriva fino al supermercato. Dove c’è quell’auto mezza bruciata gira a sinistra.

Marko sta scacciando il nervosismo. Guida e le guarda la pelle delle cosce, che sembra di ebano levigato. Roba da piantarci i denti e mollare solo sentendo il sapore dolciastro del sangue. Paroleimmaginisapore: un blocco unico di onde cerebrali. E in effetti queste cose gli fanno anche dimenticare che ha volato oltre l’Oceano, la persona che doveva far fuori è stata falciata sotto ai suoi occhi e adesso, cazzo, qualcuno gli chiederà conto di ciò che è successo. E lui non ne sa proprio niente.

No, una cosa la sa: che questo pezzo di carne di prima scelta a fianco a lui sta iniziando a tremare. Suda. Ha la voce rotta. Le rimangono solo le energie per indicare un portone con l’indice.

L’auto entra. Buio. Il motore si spegne.

Italiano... sei scappato di tanta fretta, come coniglio frocio...

Il Prete.

6. innesco

Di solito chi ti muore davanti, con una cinquantina di grammi di piombo in corpo, non lo rincontri dopo qualche ora, sbarbato di fresco, con un bicchiere di scotch in mano e un cubano in bocca. Marko piega le labbra per un istante: il massimo di stupore che si vuole concedere.

Ok. Cos’è questo teatrino, Prete? Io so che dovevo ammazzarti, ma qualcuno mi ha preceduto. E che cazzo ci fai qui, adesso? Era già abbastanza un casino se non ti avevo ammazzato io...

Il Prete si avvicina a Keisa, che ormai rantola appoggiata a una cassa.

Un tiro di cubano.

Una carezza a quella fronte d’ebano sudata.

Mano in tasca: ne esce un cilindretto che termina come una penna a sfera.

Calmo, italiano. Adesso sistemiamo questa bélezza. Rilassati, che ti viene infarto...

Ride come un cane asmatico. E punge l’avambraccio di Keisa con la punta del cilindretto. Lei trema ancora un istante, poi si rilassa come dopo un orgasmo. Palpebre abbassate, labbra increspate. Respiro rapido.

E tu, italiano, come ti senti?

Ancora il cane asmatico.

Nero.

7. beretta2000

Marko si risveglia. Sulla testa un po’ di sangue, ma non fa male, nonostante la botta. La sensazione è di benessere generalizzato, come un quarto di litro di endorfine bevute direttamente a canna, dalla bottiglia.

Keisa lo guarda, sorride sorniona. Cosce scoperte, minigonna e tacchi da ergastolo.

Inizia a parlare. Voce calda, che sgorga dalle labbra come un fiotto di miele bollente.

Missione compiuta, Marko. Il prete mi ha detto di informarti di tutto... solo che non sapeva quanto ti avrebbe fatto piacere, perciò mi ha lasciato questa, in ogni evenienza. Fai in modo che non la debba usare. Se fai il bravo poi te la posso mollare, che serve di più a te.

Una Beretta argentata, qualcuno direbbe custom. Un giochino per viziosi, che ben si addice alla situazione.

E Keisa continua a parlare. Marko si abbandona a quello strano benessere. Ha capito tutto, più o meno. E’ bastato uno sguardo al buchino rosso che gli è spuntato sulla pelle dell’avambraccio. Poi con un ghigno quasi soddisfatto lascia uscire il respiro dalla bocca. Pensiero su pensiero.

E così sono dei vostri per davvero, adesso. Me lo aspettavo.

Un sospiro. L’importante è non perdere la calma. Gliel’hanno insegnato presto. Perché in questo mestiere non conta niente se respiri o meno, se ti scoppia il cuore o il cervello ti sta friggendo come un’ala di pollo. Sei un vuoto a perdere.

E adesso?

Adesso niente. Arruolato al cento per cento. Congratulazioni... possiamo andare.

Possiamo?

Certo. Io vengo con te. Sempre, d’ora in poi. Questa è una squadra, Marko. Noi ammazziamo.

8. aeroporto

Il terminal di Detroit è imponente come una sinfonia per orchestra di fiati. Ti manca il respiro al primo passo e la nausea ti assale man mano che ti avvicini al bancone del checkin.

Le pistole passano come noccioline, basta una parola giusta. Il Prete non perdona e controlla: tutto. Anche le cosette minuscole, diciamo i dettagli.

Del resto uno che si è inventato una faccenda così...

Dna. Cazzo. Sintetizzi idromorfone, due dna umani e chissà che altra merda... dipendenza assicurata. Totale. Interdipendenza. Come legare due persone per la vita. E la morte. Il Prete... un cazzo di genio... mi viene da ridere: lui sì che può sposare due persone per davvero. Parto solo e incazzato, ritorno inchiodato per sempre a una figa spettacolare, che a mala pena so come si chiama. Sembra un film con matrimonio a Tijuana, o a Las Vegas, da ubriachi.

Facile. Tu prendi due esseri umani e li rendi indispensabili uno dall’altro intrecciando i loro dna con una sostanza ad alto potenzialità di creazione di dipendenza. Loro diventano schiavi della sostanza, ma solo nella varietà che contiene il dna giusto.

Due persone, A e B.

Dove c’è A, deve esserci anche B. Perché ogni ventiquattro ore dovranno fare una punturina scambiandosi i rispettivi dna modificati. Se ne muore uno, muore anche l’altro. Se si allontanano troppo, è un casino.

Il matrimonio del Prete. Contratto inscindibile, nessun reclamo ammesso.

Per sempre. Appunto.

E se decidiamo di non lavorare per lui? Cambia qualcosa?

Cambia. Gli stiletti per le iniezioni vanno rigenerati ogni quattro settimane. E solo il Prete ha quelli giusti...

Ecco.

9. resa dei conti

Non si sa perché, ma i corridoi che portano ai cancelli d’imbarco fanno sempre uno strano effetto a Marko. Come le viscere di una camera mortuaria a labirinto.

Neon fiochi, piastrelle lucide perlate, cartelli scritti troppo piccoli perché qualcuno ci faccia caso.

Keisa cammina al suo fianco, con l’aria da gatta nervosa. Se avesse la coda scodinzolerebbe, scudisciando l’aria. Invece si limita a mettere i piedi uno di fronte all’altro, facendo ticchettare i tacchi sul pavimento lindo. Un rumore ritmico, scandito.

Inizia a far freddo. Un’ombra scivola in fondo al budello asettico. Marko si schiarisce la gola. Keisa porta la mano alla borsetta, con casuale noncuranza.

Neon spenti. Le ultime particelle di luce si riflettono per un istante ancora sulle piastrelle, poi è penombra.

Il rumore del terminal sembra lontano, come un’interferenza telefonica.

Cazzo...

Certo. Non è un bel segnale. Riflesso condizionato: Keisa e Marko, schiena contro schiena, braccia tese e pistola impugnata: protezione mutua, per quanto forzata. I neon si riaccendono e la luce li fotografa in questa posa a T, plastici e tesi. Spacciati, forse, ma pronti a vuotare i caricatori.

Niente male, italiano... sapevo che avresti capito al volo.

Il Prete. In piedi, solo, in fondo al corridoio. La pistola di Marko lo punta dritta e ferma. Lui non si scompone.

Per un istante il dito di Marko freme impercettibilmente: un microgrammo di pressione in più e potrebbe togliersi una soddisfazione non da poco. Eppure nulla. E non è istinto di sopravvivenza: quello è stato accantonato da anni. C’è un certo compiacimento, in fondo ai suoi pensieri... come dire: la situazione non è poi così male, dopo tutto. Conferisce alla sua esistenza una sorta di inedita stabilità.

Le pistole si abbassano, i visi si fanno meno tesi.

Operativi fra sei giorni; buon viaggio piccioncini... e salutatemi il Coliseo.

Colosseo, coglione...