Per
millenni vissero l'uno accanto all'altro senza accorgersi l'uno dell'esistenza
dell'altro; le loro strade non si incrociarono mai. Gli uni erano cacciatori
e predatori, vivevano alla giornata, dandosi da fare con pecore e capre,
e il pascolo era deserto, partivano con i loro compagni di caccia, i cani,
armati di giavellotto, arco e frecce all'inseguimento di nuove prede.
Gli altri erano piccoli animali predatori, per lo più notturni,
sempre impegnati nella scoperta di qualcosa di nuovo. Sembrava proprio
che uomini e gatti non avessero niente da spartire.
Finché gli uomini non iniziarono ad avere una dimora fissa. In
Africa occuparono le rive del Nilo: regolarmente il fiume, durante le
stagioni della pioggia, raggiungeva l'alta marea distribuendo così
la sua acqua ai campi limitrofi; terminata la stagione, la terra seccava
inaridendosi e, per coprire quei lunghi periodi di scarsità, gli
Egizi costruirono i granai: le prime grandi attrazioni dei seguaci delle
coltivazione dell'uomo, ratti e topi.
Nel frattempo, nel profondo Sud dell'Africa viveva ancora il piccolo specialista
dei pochi topi ormai rimasti, e riusciva comunque a scovarne i rari esemplari
delle coste africane. Forse trovò da solo la strada per il delta
del Nilo o forse i cacciatori o i guerrieri lo sospinsero fino a lì,
non lo sapremo mai; comunque circa 4.000 anni fa il gatto falbo africano
scoprì i giganteschi granai degli Egizi e cioè il gran Paese
della Cuccagna: vi rimase, trovò di che saziarsi e lì si
moltiplicò. All'inizio era tollerato dall'uomo, poi, scoperte le
sue doti di cacciatore di topi, venne così utilizzato ed infine
fu elevato a divinità protettrice degli alimenti.
Con ciò ebbe inizio la favolosa ascesa dell'unico essere vivente
che decise liberamente di divenire animale domestico.
Presso gli Egizi la vita tranquilla era cosa facile: quale componente
della famiglia si guadagnò un proprio posto a tavola, e cioè
una scodella sempre piena di latte; infine, quale dio del sole Bastet,
divinità con testa di gatto del dio del sole RA, aveva il suo tempio,
in cui una cerchia di sacerdoti si preoccupava del suo benessere. Il gatto
simboleggiava anche la divinità della luna: si diceva che di giorno
imprigionasse nei suoi occhi i raggi del sole, e che li irradiasse poi
durante la notte.
L'aspetto esteriore di una famiglia egizia era strettamente legato al
numero dei suoi compagni tigrati o maculati: veniva chiamato ricco o potente
colui che poteva dire "suoi" un numero rilevante di gatti o gatte; a ciò
corrispondeva la sontuosità della cerimonia funebre di un gatto:
il segnale esterno del lutto consisteva nel farsi radere le sopracciglia;
si poteva dire chiuso il lutto stretto solo quando le sopracciglia erano
ricresciute. Le divinità venivano seppellite in un adeguato cimitero,
il loro corpo imbalsamato e protetto dalle apposite pezze per mummie e
sulla maschera venivano evidenziati in segno di lutto i baffi, gli occhi
ed il naso. La piccola mummia veniva poi posata nella bara e si dava quindi
inizio all'estremo rituale attraverso i più prestigiosi doni: statuette,
oro o persino topi mummificati dovevano accompagnarli nel regno delle
notti. Le famiglie povere infine facevano delle collette presso i vicini
per garantire al morto una cerimonia "decorosa". La sepoltura nel cimitero
di Bubastis era un onore del tutto particolare. Bastet era la divinità
bastis: tutte le torri, le case ed i ponti servivano da abbellimento al
simbolo dal sottile capo, dalle orecchie drizzate e dagli occhi a mandorla,
Bastet. Centinaia di migliaia di uomini, anno dopo anno, compivano il
loro pellegrinaggio a Bubastis, per rendere omaggio all'animale e altrettanti
uomini vi giungevano per dare sepoltura al loro gatto preferito.
Nel periodo aureo del culto del gatto, intorno all'800 a.C., l'animale
aveva già mutato il suo aspetto: il colore del pelo si presentava
grigio e nero, la dentatura era più piccola e la figura era diventata
più snella. Dal timido e selvaggio gatto falbo si sviluppò
il primo gatto domestico: una razza rintracciabile solo nell'Impero Egizio,
furono i Faraoni a far sì che l'animale, divinità riconosciuta,
rimanesse nei confini del proprio dominio. Non solo era proibito far del
male al gatto, pena la morte, o addirittura ucciderlo, ma era anche vietato
portarlo fuori dal Paese: l'animale non era così fecondo come i
nostri gatti domestici di oggi, ma seguiva ancora i ritmi dei suoi antenati
selvatici. Infatti, pare che nell'arco di sette anni una gattina potesse
partorire 28 micetti, probabilmente ne venivano allevati 4 esemplari l'anno:
tutto ciò aumentò naturalmente il suo valore, e conseguentemente
arricchì l'impulso dei contrabbandieri di esportare alcuni esemplari
di questi geniali cacciatori di topi e ratti verso la Grecia o a Roma.
E' ancora oscuro, se il traffico segreto ed illecito ebbe esito positivo,
o se fu lo stesso gatto a varcare misteriosamente i confini dell'Egitto.
Per duemila anni fu comunque il dio di un popolo, poi l'impero egizio
naufragò e la divinità Bastet conobbe la sua fine.
Ma
non il gatto ed i suoi successori: essi conobbero nuovi onori e nell'antico
impero romano e greco ebbero nuove cariche. In Cina "Mao" (il gatto) è
protagonista di preziosi scritti; in Arabia conquistò lo stesso
valore di un cavallo; l'induismo impose ed impone di rilevare ogni gatto
randagio e dì nutrirlo; il buddismo lo fece salire di nuovo sul
trono della divinità, come dio Sastht, del beniamino di Maometto,
Muezza, si dice che il profeta si sia tagliato la manica dell'abito per
non svegliare il gatto quando lui si alzò dal giaciglio che condivideva
con lui, ed anche i primi Monaci precristiani riservavano amore e calore
per il gatto. Fu proprio il gatto il primo essere vivente che fece instaurare
la legge sulla protezione degli animali: il Principe Howel del Galles
punì severamente l'uccisione dei gatti. E fu ancora il gatto ad
essere usato come pregiata merce di scambio dei Cinesi e Giapponesi, contro
la seta, valorizzando le sue doti di predatore di topi. Nel giro di circa
1.500 anni il gatto aveva conquistato il mondo antico. Di sua volontà
seguì l'uomo in ogni città adattandosi ad ogni nuovo ambiente,
subendo solo piccole trasformazioni esteriori: in Giappone si preferirono
i bianco e bianco-rossi; in Cina i musi "schiacciati", in Scandinavua
i compatti; in Francia i gatti a pelo lungo. Interiormente rimase però
sempre lo stesso: un animale predatore che poteva sbrigarsela da solo,
un essere autonomo pur senza negare una certa sottomissione.
Poi
il declino: all'apice del periodo delle superstizioni, intorno al 1200,
il persecutore divenne perseguitato, il dio diventò diavolo. Coloro
che fino a quel momento lo avevano venerato e consacrato con devozione
lo misero ben presto al rogo.
Nei successivi 450 anni neri, i nostri gatti domestici espiarono l'amicizia
umana con la pena di morte e con loro centinaia di migliaia di padroni
di gatti furono bruciati come streghe e maghi, torturati e lapidati. La
spietata lotta aveva scambiato i ruoli: i ratti che viaggiavano sulle
flotte si moltiplicarono velocemente e portarono malattie ed epidemie;
la peste procurò una strage: intere città furono distrutte.
3/4 degli Europei morirono, dalla metà del XIII secolo fino alla
metà del XVI l'epidemia colpì senza pietà, 25 milioni
di uomini ne subirono le conseguenze.
Forse per caso, all'apice del periodo della peste il gatto riacquistò
il suo potere; forse fu ancora per caso che, pochi anni dopo, la "morte
nera" cominciò a diradare le sue vittime. Non fu sicuramente per
caso che gli uomini ritornarono ad utilizzare il predatore di topi e ratti,
l'animale cacciava i roditori e li scovava con estrema facilità
anche nelle abitazioni dell'uomo.
Furono i Francesi i primi a rivalutare il prezioso predatore, primi in
assoluto i contadini, seguirono poi i cittadini; ma infine "Le chat",
"El gato" e "The cat" riacquistò il suo posto anche presso la nobiltà
spagnola ed inglese.
Quando le prime navi europee sbarcarono in America, anche i gatti erano
a bordo: insieme ai pionieri occuparono il selvaggio West ed insieme ai
Mormoni si distribuirono nelle pianure. Fino a che non si moltiplicarono
rapidamente, furono ottima merce di scambio, al Sud un gatto costava un
pezzo d'oro.
La
seconda ascesa favolosa del gatto ebbe inizio ai primi del XVIII secolo:
gli antichi tratti egiziani di gatto tigrato marrone-grigio-nero si trasformarono
in molteplici varianti, il muso divenne così a punta, rotondo con
naso più o meno schiacciato; da dio fu eretto a simbolo artistico,
nella poesia e nella pittura. Nel frattempo il suo servizio di predatori
di topi si è quasi esaurito. E' rimasto un pizzico di indipendenza
in un universo di leggi, regolamenti come pure un pizzico di naturalezza
nell'artificiosità, nel nostro mondo pieno di cemento una deliziosa
fiaba contro una realtà, una fiaba moderna contro il cemento opprimente.
Questo testo
è stato liberamente tratto da "Un cuore per gli animali" n° 1 -
Supplemento a FLORA n° 1/90