da Avvenire
"Qualche soldo, ma restiamo depressi"
di
Giuseppe Savagnone
La
conclusione delle trattative per il nuovo contratto della scuola
arriva a distanza di tre giorni dalla pubblicazione dei risultati
del rapporto Eurispes, in cui si segnalava che lo stipendio dei
professori nel nostro Paese è tornato ultimamente
al livello di dieci anni fa. Benvenuto, dunque, il doveroso aggiornamento
delle retribuzioni che, pur senza largheggiare il nuovo contratto
stabilisce.
E tuttavia
questo contratto segna, al tempo stesso, una sconfitta per chi pensava
che con esso avrebbe finalmente trovato spazio un serio discorso
sulla figura professionale degli insegnanti. Lo aveva lasciato sperare,
allapertura delle trattative, una dichiarazione del ministro
Moratti, dove si annunciava lintenzione di far rientrare la
posizione contrattuale dei docenti in unarea autonoma, distinta
da quella degli altri dipendenti della scuola. Sarebbe stata una
svolta fondamentale.
Per
comprenderlo, bisogna rendersi conto che il disagio dei professori
non è soltanto una questione di soldi. Essi hanno sempre
guadagnato poco. Ma la loro situazione è decisamente peggiorata
da quando, dopo essere vissuti a lungo nella logica della "missione",
e aver goduto di una considerazione sociale corrispondente, si sono
trovati ridotti, negli ultimi trentanni, a semplici impiegati.
La specificità dellimpegno culturale e della funzione
educativa, che dovrebbe caratterizzare il ruolo del docente, è
stata sostanzialmente annullata in nome di una logica sindacale
sospettosa delle differenze e portata a puntare sui grandi numeri
più che sulle distinzioni qualitative. Non è un caso
che, allindomani della presa di posizione della Moratti, il
segretario della Cgil scuola avesse rilasciato unintervista
in cui la definiva "una mera distrazione rispetto al problema
vero del prossimo rinnovo contrattuale", che sarebbe stato,
invece, "lequiparazione rispetto alle retribuzioni europee".
Non
ci sembra che questultimo obiettivo, con il contratto appena
siglato, sia stato raggiunto. In compenso, però, si è
mantenuta una situazione che è, in larga misura, alla base
della crisi didentità del corpo docente. Questa crisi,
certamente è determinata, in parte, da una marginalizzazione
economica. Ma non è solo questo. Ridotto a ripetitore, ad
accompagnatore, a scrivano, cui giuridicamente non viene riconosciuta
neppure la diversità di ruolo rispetto al personale ausiliario
e amministrativo, linsegnante si chiede se è ancora
un educatore. Da qui una profonda demotivazione, che non si elimina
solo con degli aumenti di stipendio. Per non parlare della scarsa
attrattiva che esercita sui giovani più qualificati una "carriera"
priva di una seria progressione.
Ora,
la scuola la fanno innanzi tutto i professori. Lillusione
che riformarne le strutture possa determinare, come un colpo di
bacchetta magica, leliminazione dei mali che laffliggono,
può essere coltivata solo da chi non ne conosce il reale
funzionamento. Il fattore umano è decisivo. Ciò è
vero di qualunque istituzione, ma vale in modo singolare per una
comunità fondata sul rapporto educativo, che esige in primo
luogo il coinvolgimento delle persone. Per questo non possiamo esultare
alla notizia delle nuove retribuzioni. La scuola ha bisogno anche
di questo, ma finché non ci si deciderà a valorizzarne
la specificità, dovremo rassegnarci a constatare, con tristezza,
il suo inesorabile degrado.
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