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Milano, 29/05/2003
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Risposta alla lettera aperta di rete scuole distribuita durante il dibattito sulla Riforma tenuto dall’on.le Aprea presso l’Auditorio San Vincenzo di Via Boncompagni di Milano.

In riferimento al 1° punto sulla possibilità di discutere sulla Riforma, un proficuo dibattito sulla Riforma è stato aperto nel Paese sin dagli Stati Generali del 2001, dibattito che continua ancora oggi con innumerevoli occasioni di confronto a tutti i livelli istituzionali e non per approfondire temi e facilitare il cambiamento.
Auspico che queste opportunità di informazione “autentica” smentiscano gli slogan non veritieri e strumentalizzati da “certa parte” come “non ci sarà più il tempo pieno”, “non ci sarà più il sostegno”, “non ci sarà più l’educazione fisica” ecc. anche perché è stato più volte sottolineato che agli allievi verrà assicurato il tempo pieno su richiesta delle famiglie, il sostegno e l’educazione fisica.
Sicuramente risulta difficile, ma spero non sia una battaglia persa, aprire il dialogo con chi si lascia troppo facilmente e spesso acriticamente suggestionare da ideologie e schemi precostituiti, da logiche organizzative e di insegnamento che hanno trovato successo in contesti temporali lontani e differenti.
In riferimento al punto “tutto ciò che farete loro lo avrete fatto a me”
sono certa che sostenere il rispetto dei diritti dei disabili e dei diritti dei bambini che non lo sono e che non lo devono diventare per ottenere un insegnante di sostegno sia un’azione “cristiana”.
La finanziaria difatti distingue handicap da disagio, per affrontare con specificità d’interventi l’uno e l’altro, per “non negare ai bambini e alle bambine portatori di handicap il sostegno dovuto secondo la gravità della loro patologia” frase da voi citata “contro”, senza neanche valutare che rappresenta proprio il nostro obiettivo e la nostra “buona giustificazione”!
Come pure opportuna risulta la valutazione affidata alle Direzioni Scolastiche Regionali dei progetti che meritano risorse aggiuntive.
Proprio perché siamo convinti che la scuola non debba essere un corpo separato dalla società, mi riferisco alla vostra affermazione del penultimo capoverso, dobbiamo modificare la scuola di tutti che ha a buon ragione alfabetizzato le masse, in scuola di tutti e di ciascuno, che personalizza e orienta.
Di fatto i dati sulla dispersione nel nostro Paese sono allarmanti si raggiungono punte di abbandono di oltre il 50% che testimoniano che un mero accesso all’istruzione contrabbanda solo un’illusione di pari opportunità, un tradimento vero e proprio per quei ragazzi che provengono da famiglie svantaggiate economicamente e culturalmente, ragazzi ai quali non viene garantita l’uscita, né il successo. La scommessa è quella di favorire il successo formativo per tutti i giovani e consentire loro di conseguire una qualifica professionale entro i diciotto anni.
Come prima evidenziato, il nostro sistema non riesce a rispondere ai bisogni diffusi e differenziati di formazione e colloca il nostro Paese agli ultimi posti in Europa sui livelli di formazione secondaria superiore. In Italia, nella fascia d’età dei cosiddetti giovani adulti (25-34 anni) il 45% ha lasciato la scuola senza un diploma di istruzione secondaria superiore a fronte del 34% in Inghilterra, del 24% in Francia e del 15% in Germania.
Siamo infine all’ultimo posto in Europa per la percentuale di laureati nella fascia d’età 25-64 anni: solo il 9%.


Circa il 33% di giovani dai 15 ai 19 anni (240.000 giovani) non frequentano alcun percorso dell’obbligo formativo. Circa il 16,5% (dato 2000/2001) di giovani (80.000 all’anno) abbandona nel corso dell’ultimo anno di obbligo scolastico o al termine dell’obbligo non si iscrive in alcun percorso di istruzione o di formazione professionale.
I giovani in ritardo di scolarità – giovani che hanno ripetuto almeno un anno scolastico – raggiungono cifre inquietanti: il 12,6% nella terza media, dal 23% nei primi anni della secondaria superiore al 29% degli ultimi anni.
Il dato riferito ai respinti nella secondaria superiore e, in particolare, negli istituti professionali e tecnici, è allarmante. Nel primo anno degli istituti professionali circa il 27,5% (17,7% sul totale degli istituti) non è ammesso all’anno successivo.
Nel secondo anno degli stessi istituti i non ammessi al terzo anno raggiungono il 20% (12,3% sul totale degli istituti) e in quarta classe, nonostante un’area specifica di professionalizzazione, pari a circa 300 ore annue, i non ammessi al quinto anno sono quasi il 14%.
Infine, sempre nella scuola secondaria superiore, i promossi con debito formativo– studenti che presentano allo scrutinio finale carenze in almeno due materie- sono il 42,1% in prima e il 42,8% in seconda, con punte del 54,3% e del 45,7% al secondo anno degli istituti professionali e tecnici, rispettivamente.
E’ questa l’esclusione vera che oggi la scuola pubblica non riesce a fronteggiare perché come voi dite accoglie tutti, nessuno escluso, ma come voi non dite li accoglie con percorsi uguali e omologanti verso il basso, non garantendo nessuno dall’espulsione scolastica e sociale.
Generazioni di ragazzi illuse e deluse da una scuola dell’indifferenza dove molti ragazzi si perdono perché non viene offerta loro un’alternativa.
Sono questi i ragazzi veramente soli,per rispondere alla vostra domanda, cara “rete della resistenza”, lasciati al loro destino, i ragazzi che nella scuola di oggi non ce la fanno se non offriamo loro delle alternative di formazione di pari dignità e non demagogiche asserzioni che non trovano riscontro della realtà verso loro spesso perdente della scuola di ogni giorno.
Il nostro, come moltissimi governi di tutto il mondo, affronta oggi emergenze di sicurezza e di economia, noi, nonostante queste emergenze, non ci sottraiamo all’attenzione che l’educazione delle nuove generazioni merita. La Riforma che vuole modernizzare il sistema ne è una prova a partire dai servizi dell’infanzia, dai percorsi educativi flessibili che valorizzano le “epoche d’oro” dell’apprendimento. Si riconosce l’importanza primaria dell’educazione delle famiglie, come previsto dalla costituzione, si coinvolgono soggetti e contesti di apprendimento formali e informali per realizzare quel sistema di formazione integrato tanto auspicato negli ultimi venti anni.
Mi auguro che, anche a chi si è assegnato o gli è stato assegnato il compito di mettersi in “rete per resistere”, per opporsi tanto per opporsi, comprenda che difendere la scuola pubblica significa orientarsi secondo una deontologia professionale che punta alla qualità dell’apprendimento e dell’insegnamento e quindi alla modernizzazione, senza disconoscere e disprezzare il prezioso contributo dei soggetti esterni come voi fate in chiusura della lettera.
Mettersi in rete si, ma per dare l’ostracismo alla pedagogia della nostalgia , della retorica e dell’autoreferenzialità, che non mette al centro l’allievo ma rallenta il rinnovamento del sistema scolastico e della sua organizzazione, indebolendo soprattutto la scuola pubblica e rafforzando le differenze di classe, aumentando gli insuccessi e le delusioni contrariamente a quanto voi affermate.
Mettersi in rete allora per collaborare, perché quello che ci spaventa veramente è fare di ragazzi poveri, poveri ragazzi, quello che ci spaventa veramente è che ogni ritardo in questo senso viene a ricadere sul destino delle future generazioni e della società in cui vivranno.