30 agosto 2003
Lorgoglio perduto degli insegnanti
di
GASPARE BARBIELLINI AMIDEI
Abbiamo
parlato tanto di scuola, quasi sempre per dire di sistema, di strutture,
di ideologie e di divisioni politiche. Adesso parliamo di professori.
La riforma diventata legge vive attraverso una rete di 750 mila
intellettuali inseriti nei ruoli dello Stato ai quali vanno aggiunti
150 mila precari. La maggior parte di questi docenti non è
soddisfatta della propria condizione sociale e retributiva e dell'insieme
degli strumenti didattici che ha a disposizione.
Una
parte cospicua delle famiglie e degli studenti è pure insoddisfatta
dei servizi conoscitivi e formativi forniti dagli insegnanti. Il
prodotto della scuola resta parzialmente invenduto sul mercato.
Il 25,5% dei laureati dopo tre anni dal conseguimento del titolo
non trova lavoro, nelle discipline umanistiche la percentuale arriva
a 45. Trentatre laureati su cento operano in settori nei quali non
è necessaria luniversità. I docenti nel loro
insieme dovrebbero essere di meno, e mai più precari dopo
la pr ossima indispensabile sistemazione, dovrebbero essere meglio
pagati, più onorati e dovrebbero vedersi garantito un percorso
post universitario sburocratizzato e capace di immettere i giovani
professori nelle scuole con un bagaglio pratico e scientifico.
Oggi
un docente arriva a 40 anni a traguardi che in futuro saranno accessibili
a un 24enne. La riforma comunque nasce come legge del sistema per
listruzione e non come sistemazione del personale. Dal 1996
al 2001, in fase di decremento demografico, le varie leggi Finanziarie
introducevano una percentuale annua di riduzione del personale scolastico.
Al termine del ciclo vi sarebbero dovuti essere 36 mila posti in
meno, ce ne sono stati oltre 70 mila in più.
Abbiamo
il rapporto più basso del mondo industriale fra professori
e studenti, uno a 9 contro uno a 18 della Germania e uno a 14 della
Francia. In sè e per sè tanto affollamento di adulti
intorno a ragazzi trascurati spesso dalle famiglie non sar ebbe
un male, ma la quantità dei docenti, sottraendo soldi ai
già avari bilanci dello Stato, finisce per penalizzare le
spese dirette a far crescere la qualità. In ogni caso lerrore
più serio non è nelloccupazione crescente nonostante
un calo delle nascite. Questa politica è connessa allobbligo
eticamente radicale di eliminare lumiliazione inflitta ai
precari.
La
loro attesa è assurda, mettono i capelli bianchi sognando
una cattedra. Ci vorrebbero 60 anni nella rotazione fisiologica
degli attuali catte dratici, per rendere professori «pieni»
tutti i 22 mila 506 precari di storia e filosofia. Lo sbaglio maggiore
è nello svuotamento della carriera e nella connessa debolezza
dei livelli retributivi.
Un
insegnante secondario in Italia comincia con una somma oraria pari
a 37 dollari, dopo 15 anni ne prende 46 e dopo 37 anni 57. Nei Paesi
dellEuropa dell'Ocse si comincia invece a 37 ma dopo 15 si
è a 53 e dopo 37 a 66. Queste cifre dicono molto della rassegnazione
del nostro sistema, che non corre verso il meglio e 25 anni fa rinunciò
ai concorsi per merito distinto che acceleravano la carriera.
Si
fa fatica a recuperare un orgoglio non soltanto sindacale della
preparazione e della competenza. Si scontano anche nelle frantumate
volontà i disomogenei approdi alla professione. Infatti i
750 mila docenti di ruolo arrivano in 284 mila dalla formula ope
legis , cioè con un timbro del legislatore, in 132 mila da
un solo esame per titoli come concorso, gli altri hanno fatto concorsi
normali o riservati.
Alle
spalle ci sono diverse storie, diverse ambizioni, diversi contenuti.
Ora lo Stato deve trovare maggiore rispetto per il loro lavoro.
La prima mossa indispensabile è la chiusura giusta della
questione dei precari. La seconda è una leale definizione
degli orari effettivi e delle conseguenti retribuzioni. Sullo sfondo
la fine di una guerra postideologica.
Gaspare
Barbiellini Amidei
|