27/03/2003 - Intervista a Paola Tonna, presidente pro tempore
Apef
(tratto da www.apef.it)
La posizione dell'Apef
Qual
è il vostro giudizio complessivo sulla riforma Moratti, cosi
come è stata delineata dalla Legge Delega?
Si
tratta di un giudizio complessivamente positivo, anche se bisognerà
verificare come verranno concretamente attuati i contenuti specifici
della riforma.
Quali
sono i punti di maggior criticità?
Noi
chiediamo che l’autonomia delle scuole venga mantenuta, come
del resto riconosciuto dalla Riforma del titolo V° della Costituzione,
e che la quota di scelta di curricula, attribuita alle scuole, resti.
Riteniamo che l’autonomia didattica, che è il cuore
dell’autonomia, non possa essere affidata ad un assessore regionale,
ma deve restare alla responsabilità e alla competenza delle
scuole; diversamente si stravolge il valore innovativo dell’autonomia
scolastica, che pone fine alla gestione centralistica della scuola,
sostituendo un vecchio centralismo con un nuovo. Del resto, l’articolo
8 del regolamento dell’Autonomia scolastica prevede già
che essa sia realizzata in collaborazione con gli Enti locali, tramite
il POF.
Quali
sono invece le novità più interessanti presenti nella
Delega?
Le
novità interessanti sono essenzialmente tre: l’istituzione
del doppio canale che ci avvicina all’Europa e che dovrebbe
contribuire a ridurre la dispersione scolastica, che nel nostro
Paese si attesta su livelli molto alti. La diversificazione dei
percorsi formativi è strategica per realizzare l’obiettivo
di tenere i ragazzi all’interno del sistema educativo, ma a
condizione che ci sia un adeguato stanziamento di fondi e che si
costruisca un canale di pari dignità. La formazione professionale
regionale va potenziata e migliorata: così com’è,
non va bene. In Europa il doppio canale è efficace dappertutto.
Il nostro è un sistema rigido, con scarsa diversificazione
interna, che crea dispersione a tutti i livelli.
Il
secondo elemento positivo è l’istituzione di un sistema
nazionale di valutazione, che era il tassello mancante per attuare
l’autonomia scolastica. Il monitoraggio dell’autonomia
e il confronto con gli standard nazionali costituisce uno strumento
essenziale a disposizione dell’istituzione scolastica per “correggere
il tiro” e realizzare al meglio gli obiettivi di apprendimento.
La valutazione va intesa come uno “strumento” per le scuole,
non in senso puramente “ispettivo”.
Il
terzo elemento è il fatto che finalmente in questa Riforma
ci sia posto anche per i docenti, si parli di una loro formazione
specifica sia iniziale che in itinere. Si ipotizzi, anche se ancora
solo sul piano della formazione, la necessità di costruire
percorsi professionali per i docenti necessari all’attuazione
dell’autonomia.
Cosa
pensate di questa ultima novità? Avete proposte al riguardo?
E’
un’innovazione che andava attuata già da tempo. Purtroppo
questi temi sono stati lasciati alla contrattazione sindacale, ma
non sono questioni che possano essere risolte all’interno di
un meccanismo di contrattazione tra le parti. Noi chiediamo che
venga individuato un percorso di sviluppo della carriera e l’istituzione
di figure professionali ad hoc per gestire l’autonomia, per
calibrare l’offerta formativa rispetto alle esigenze del territorio
e per costruire e monitorare il curricolo al fine di migliorare
gli obiettivi di apprendimento e le competenze.
Bisogna
superare il modello impiegatizio dell’insegnante esecutore
a cui i docenti sono stati relegati per anni. Il modello egualitario
ha appiattito e mortificato la professionalità dei docenti.
L’insegnante deve essere messo in condizione di lavorare ,
per gestire il cambiamento portato dall’autonomia, cioè
dalla scuola dei programmi rigidi a quella dei nuclei fondanti delle
discipline che è tutta ancora da costruire. Servono figure
intermedie e di supporto: la figura del docente è sempre
più complessa e al lavoro in classe si affiancano una serie
di nuove competenze richieste dall’autonomia.
Come
valutate l’ipotesi di istituire un albo professionale per i
docenti?
Siamo
d’accordo con questa proposta. Non siamo impiegati esecutori,
ma una categoria di professionisti: gli Organismi professionali
sono i soli che possono stabilire un codice deontologico; di fatto,
ogni categoria di professionisti determina da sé le proprie
regole di condotta. Ad ogni professionista si riconosce un’autonomia
professionale nello svolgimento della sua attività, autonomia
che comporta l’assunzione di precise responsabilità.
Se si ritiene che lo strumento degli Ordini professionali non sia
quello più idoneo, creiamo dei consigli della docenza, come
suggerito anche dalla Commissione Ministeriale sul Codice Deontologico:
l’importante è che i docenti vengano riconosciuti e
si organizzino come categoria professionale.
Qual
è la vostra posizione rispetto alle novità riguardanti
la formazione e il reclutamento dei docenti?
Abbiamo
visto con favore e sostenuto l’esperienza delle SSIS, che per
la prima volta individuano un serio percorso per la formazione iniziale
dei docenti. Contemporaneamente, però, va comunque risolta,
ma una volta per tutte la questione dei precari. Inoltre bisogna
vedere come verrà realizzata la laurea specialistica, che
costituisce una tappa fondamentale di questo percorso. Tuttavia
la questione della formazione dei docenti non deve essere delegata
in toto all’università. Si tratta di una responsabilità
che va condivisa anche con gli insegnanti esperti, chiamati a svolgere
la funzione di tutor nei confronti dei tirocinanti. Insomma una
necessaria sinergia tra scuola e università.
In
Italia, il fenomeno del precariato è prevalentemente dovuto
ad una responsabilità dello Stato, a cui ha fatto comodo
risparmiare sui costi del personale. Paradossalmente, i privati
devono sottostare a norme più rigide riguardanti le assunzioni,
rispetto a quelle dello Stato. Ciò detto, il mondo del precariato
è anche un serbatoio iscrizioni al sindacato, che poi, nella
realtà non ha mai premuto per risolvere il problema in modo
definitivo e onorevole per la categoria e per la scuola. Sempre
soluzioni tampone e ope legis .Noi diciamo che chi ha lavorato e
ha i titoli deve entrare nella scuola,. Per risolvere il problema
del precariato, però, serve una programmazione a numero chiuso,
così come è scritto nella Legge di Riforma, basato
sulla previsione dei posti effettivamente disponibili. In questo
modo, nel giro di dieci anni sarà possibile costruire finalmente
un serio canale di reclutamento per i professionisti della scuola.
Noi siamo favorevoli all’esperienza delle scuole di formazione
e riteniamo che per risolvere la questione dei precari si debbano
trovare nuove soluzioni rispetto al passato.
Tornando
alla questione del doppio canale, molti criticano il fatto di dover
scegliere a 13 anni tra liceo e istruzione professionale …
Questo
costituisce un falso problema. La riforma Moratti, al pari di quella
di Berlinguer, presenta una certa flessibilità e prevede
le cosiddette passerelle da un istituto all’altro. Inoltre,
lo schema del 4+1, che prevede la possibilità di frequentare
un quinto anno che consente l’accesso all’università,
dimostra, almeno nelle intenzioni, che si vuole costruire un canale
con pari dignità rispetto ai licei. L’istruzione professionale
ha una valenza fortemente formativa. In Europa l’orientamento
viene anticipato ovunque, e a nostro avviso questo è corretto:
per la formazione le scelte tardive di indirizzo non sono positive.
Bisogna offrire opportunità ai ragazzi, altrimenti si tratta
di un obbligo solo sulla carta, come avveniva con la riforma Berlinguer.
Come
pensate di portare avanti le iniziative di Sandro Gigliotti, il
vostro presidente recentemente scomparso, per promuovere il cambiamento
della scuola italiana?
Cerchiamo
di muoverci nel solco da lui tracciato, sensibilizzando i colleghi,
il mondo politico e istituzionale sulla portata delle sue proposte.
Cerchiamo anche di far recuperare una dimensione professionale,
che tra i docenti si è persa, in quanto sono abituati ad
un meccanismo di delega in toto nei confronti dei sindacati, che
dovrebbero invece avere una funzione precisa. Molte altre categorie
hanno un ordine professionale, una rappresentanza di natura associativa,
molto partecipata dagli aderenti, che svolge attività di
lobby in Parlamento sulle questioni che la riguardano. Sandro Gigliotti
non aveva paura di pronunciare questo termine.
Ci
lascia un’enorme eredità, ma in tanti hanno capito la
portata innovativa delle sue idee, che comunque sono già
riuscite, nel corso dell’ultimo decennio, a modificare persino
il linguaggio sindacale. Per maggiori informazioni vi rimandiamo
al sito dell' APEF.
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