da
L'Unità
15 marzo 2003
La
felicità di insegnare
Gli
ultimi dati sulla scuola parlano di "valanga rosa", orribile
espressione che però rende bene l'idea. E' vero per tutta
Europa, ancor più vero in Italia, soprattutto nelle materne
e nelle elementari. Ad alcuni questo fa problema, io propongo di
leggerlo in modo libero, senza insistere nel confronto tra i due
sessi. Siamo in un vero e proprio cambio di civiltà che interessa
le strutture profonde della società: la famiglia, l'educazione,
il lavoro, il senso della convivenza umana. La femminilizzazione
non riguarda solo la scuola: le donne sono diventate la stragrande
maggioranza di tutto il terziario.
C'è un vecchio modo di guardare, che vede sempre e solo donne
a rincorrere uomini. Un esempio piuttosto impressionante è
il commento della prof.ssa Tilde Giani Gallino ai dati di Tuttoscuola.
Per lei, sono parole sue, dove c'è preponderanza femminile,
c'è un posto di serie b, lo scarto del genere maschile. (Repubblica
18-2-2003) Ma in questo modo si legano le sorti dei due sessi in
una connessione che è fonte di disprezzo e di disvalore per
ogni differenza. Da anni (dicono sempre le statistiche) le donne
comprano libri e leggono più degli uomini. Cosa devo dedurne?
Anche la letteratura è diventata lo "scarto del genere
maschile"?
Voltare
pagina rispetto a queste interpretazioni, che si pretendono generali,
riapre a dare corpo e storia alla possibilità di decifrare
il presente, per guardarlo con il senso della differenza, perché
le ragioni che muovono una donna non sono le ragioni che muovono
un uomo, per cercare di capire i comportamenti, i desideri, le scelte
e i problemi dei due sessi per se stessi.
La storia delle donne ci dice che la propensione per i mestieri
educativi è di vecchia data, si può dire che nasca
con le prime scuole dell'Italia unita. Già nell'anno scolastico
1895-96 le maestre erano 32.544 e i maestri 22.000. Anonime maestre
- una moltitudine - hanno compiuto l'opera civilizzatrice di alfabetizzare
l'Italia, sperdute in paesini minuscoli, a prezzo di fatiche inaudite.
La letteratura italiana non le ha ignorate. Matilde Serao, che è
stata maestra, ha dedicato un racconto, "Scuola Normale femminile"
a queste vite di giovani donne. Ad un certo punto racconta la storia
strappalacrime di Lidia Santaniello - probabilmente una storia vera
- diventata maestra d'asilo in un quartiere di Napoli. Nella sua
classe le allieve e gli allievi erano centotrentaquattro. Aveva
chiesto invano un aiuto. Indebolita nella salute continuava ad andare
a scuola "non avendo il coraggio di abbandonare le creaturine,
che amava moltissimo, contentandosi d'insegnar loro a voce fiochissima..
e spesso i piccini e le piccine sono stati quieti tutta la giornata,
solo perché la loro maestra li aveva pregati di stare tranquilli,
sentendosi molto male, poiché quelle creaturine l'amavano
moltissimo". Anche Ada Negri è stata maestra e non se
n'è mai vergognata. Ai nostri giorni Laura Pariani ha dedicato
un bellissimo romanzo breve, "Il paese delle vocali",
a una delle tante maestre degli inizi del 900, e forse conoscerle
indurrà la riconoscenza che meritano.
Il tempo dei racconti strappalacrime è finito, ma una miriade
di maestre continua a dedicarsi con passione a insegnare i primi
ed essenziali passi del sapere. Solo momenti eccezionali, come il
terremoto di San Giuliano, gettano per un giorno luce su cosa sente
e fa normalmente una maestra. Al cuore della questione c'è
la capacità, il gusto, la voglia dello stare con le persone
più piccole che non sono i propri figli. Stare con l'infanzia
per una donna non è disdicevole, anzi. Grace Paley, scrittrice
ebreo-russa di New York, nota perché da sempre impegnata
nel movimento della pace, autrice di fulminanti racconti brevi da
poco ripubblicati da Einaudi, di questo gusto di stare con le creature
piccole fa uno degli elementi costitutivi della felicità
(Apologo sulla felicità). L'esperienza maschile è
molto diversa. Bisogna dire a questo punto che gli uomini che si
dedicano con passione alla scuola sono una minoranza. Guido Armellini,
appassionato di scuola e di letteratura, mi racconta che all'università
il suo professore ha cercato subito di scoraggiarlo venendo a sapere
che uno "intelligente come lui" voleva fare l'insegnante.
Ne ha capito più tardi la ragione, quando si è imbattuto
in una una lettera del Petrarca scritta a un amico per dissuaderlo
dall'insegnare, perché indegno di un uomo abbassarsi a un'occupazione
da donne come occuparsi di minori. Il pregiudizio per cui non è
cosa da uomini, è molto resistente e forse c'entra con un
male della nostra scuola, l'insegnamento come ripiego, di cui soffre
una certa docenza specialmente maschile. La "sindrome dello
sprecato", la definisce il mio amico.
E'
un guaio, perché soprattutto gli studenti (maschi) trarrebbero
giovamento dalla presenza di uomini adulti con cui parlare, a cui
riferirsi. Per favorire la presenza maschile, la leghista Giovanna
Bianchi Clerici, durante la discussione della riforma Moratti, ha
chiesto al governo di "studiare forme di incentivi costituzionalmente
compatibili". Non è chiaro, ma immagino si tratti di
soldi. E i soldi possono essere utili in molte circostanze, ma non
fanno trovare il piacere di stare con i bambini.
Da
anni siamo tante maestre e maestri, professoresse e professori,
docenti di varie università, a lavorare all'autoriforma della
scuola, perché sia veramente di donne e uomini, di ragazzi
e ragazze. Che ci siano uomini che insegnano con soddisfazione è
un desiderio anche nostro. Il problema al fondo riguarda l'immaginario
maschile: cambierà qualcosa solo se gli uomini smettono di
considerare sminuenti per sé i tratti che attribuiscono alle
donne. Un uomo -e i pochi ma bravi lo dimostrano - decide di fare
il maestro se considera stare con l'infanzia un tratto arricchente
della propria umanità. Di questo si tratta. E la convivenza
umana è perduta se la metà di una società non
ha più interesse per i piccoli e le piccole. La figura del
maestro protagonista di "Essere e avere", film-documentario
francese che attualmente gira in Italia nei cinema d'essai, piace
e convince perché è un uomo, un vero uomo, non più
prigioniero dell'immaginario patriarcale.
di
VITA COSENTINO
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