Fuoriregistro 24-05-2003
Dicono
le stelle
di
Elisabetta Malaman e Lorenzo Picunio
La
riforma della scuola del ministro Moratti era apparsa finora come
un insieme di intenzioni, volte soprattutto a ridurre i costi della
scuola pubblica ed a riproporre una divisione di tipo classista
fra formazione professionale e licei. Essa appariva iscriversi in
un disegno volto a ridurre la qualità dei servizi sociali
finalizzando questi ultimi ad una minoranza di cittadini "in
condizione di bisogno" e questo tanto nella scuola come nella
sanità ed in altri servizi.
Oggi invece vediamo la riforma "in fase esecutiva", anche
se questa esecutività non è segnata da alcun passaggio
parlamentare, ma solo da "indirizzi" che, però,
il Ministero vorrebbe da subito vedere applicati. Si aggiungono
a questo i tagli disposti nell'ambito delle due ultime leggi finanziarie
(con qualche anticipazione nelle precedenti): la riforma finisce
per essere nulla più che il sostegno a questo insieme di
tagli.
SCUOLA
SUPERIORE
Viene
stabilito in modo definitivo che - con qualunque mezzo - ogni insegnante
debba avere 18 ore di cattedra. Non solo niente progetti e niente
compresenze, peraltro cose già sparita da lunga pezza (anche
per responsabilità dei governi precedenti a questo); ma anche
un incredibile balletto di insegnanti per fare in modo che le 18
ore di lezione frontale vengano tutte utilizzate, anche a danno
della continuità didattica (ad esempio con due o tre insegnanti
della stessa materia in uno stesso corso).
La
formazione professionale passerà alle Regioni: non è
chiaro qui cosa la riforma intenda per formazione. Se - come sembra
- gli Istituti Professionali e i tecnici più professionalizzanti
o la totalità dei tecnici (compresi Ragionieri e Geometri).
Le regioni hanno già dato pessima prova delle loro capacità
gestendo, in modo clientelare e soprattutto inutile, i Centri di
Formazione Professionale. La regione del Veneto tempo fa ha lanciato
una campagna a favore della pratica medievale dell'apprendistato
(ovvero dell' "imparare un mestiere", nei fatti senza
scuola): cosa faranno di scuole che hanno mostrato di essere produttive
sul piano culturale prima che su quello dell'inserimento nel mercato
del lavoro ?
SCUOLA
ELEMENTARE
Qui
viene il "bello", se così vogliamo dire: l'attuale
pluralità di modelli (tre insegnanti su due classi, quattro
insegnanti su tre classi, tempo pieno) comporta un "costo"
per la collettività di circa 10 alunni per insegnante. Il
modulo "tre per due" mantiene una certa quota di ore di
contemporaneità oraria utilizzabili per laboratori ed attività
di piccolo gruppo. Di una quota minore dispongono le classi a tempo
pieno e le sezioni di scuola dell'infanzia, di una quantità
ancora minore dispongono i moduli "quattro su tre".
In
modo particolare le classi a tempo pieno coprono (25 % degli alunni)
una richiesta fortissima nelle grandi città e nelle periferie
urbane e, fra l'altro, essendo mediamente classi abbastanza numerose
hanno, con due insegnanti per classe, un costo per l'erario più
basso della media delle classi di scuola elementare.
Tutta
questa realtà sarà stravolta dalla riforma che imporrà
nei primi tre anni, dalla prima alla terza, un modello "stellare"
con un insegnante "tutor" della classe ed una serie di
insegnanti per specifiche attività, senza contemporaneità
orarie. Il tutor sarà insegnante di lingua italiana, matematica
e scienze, storia, geografia e studi sociali, se è specializzato
sarà anche insegnante di lingua straniera.
Agli "stellari" andranno le altre materie.
Come appare dalle tabelle che circolano ci saranno circa 1,2 insegnanti
per classe (contro i due del tempo pieno, gli 1,5 del modulo "3
su 2" e gli 1,33 del modulo "4 su 3"). Sparirà
ogni collegialità, ogni progettualità condivisa, il
"tutor" sarà il vero insegnante di classe per la
maggior parte delle 891 ore annue (pari a 30 ore settimanali per
33 settimane) più le 90 ore annue che le scuole potranno
decidere autonomamente ed i genitori, singolarmente, accettare o
meno. Forse che i moduli funzionavano male ? Se pure c'erano state
delle difficoltà iniziali, per chi veniva dall'esperienza
del maestro unico, nella maggior parte dei casi i team docenti erano
riusciti a raggiungere livelli accettabili di collaborazione. Forse
che il tempo pieno funziuonava male ? Anche qui, vi sono esperienze
consolidate da molti anni, di collaborazione non solo nella classe
ma anche con altre classi parallele o in verticale.
Ma
il tempo pieno non sparisce, risponde il Ministro . Certo, circolano
delle tabelle nelle quali le 30 ore settimanali di lezione previste
dalla riforma sono distribuite in 5 giorni, lasciando un "buco"
di due ore per la mensa. Ma chi coprirà questo spazio ? Dipendenti
comunali, cooperative, o si manderanno i bambini a mangiare a casa
eliminando così un altro essenziale momento educativo (e
creando alle famiglie un gravissimo problema sociale) ?
INFINE,
IL SOSTEGNO
Oggi
il sostegno tocca circa un insegnante ogni 150 alunni, e gli insegnanti
di sostegno sono impiegati per legge (517 del 1977 e 104 del 1992)
per 6 ore settimanali, salvo deroghe decise in accordo fra Autorità
Scolastica e A.S.L. Se la situazione di base nella scuola elementare
e dell'infanzia è di un insegnante di sostegno ogni 4 alunni
con handicap, con le deroghe si può arrivare ad 1 ogni 2.
Da notare che all'entrata in vigore delle leggi succitate il tempo
scuola era minore, su base settimanale, od anche annua, dell'attuale.
Bene ( o male): oggi arriva dal Ministero un messaggio secondo cui
le deroghe sono troppe, e quindi troppi gli insegnanti di sostegno,
D'ora in poi spetterà alla Direzione Regionale disporre le
eventuali (rare) deroghe, per evitare proliferazione di posti di
sostegno.
Il
tutto viene spesso così presentato in modo farisaico: non
scaricate il bambino all'insegnante di sostegno ma lasciate che
stia con la classe. "Se volete troppi insegnanti di sostegno
è perché volete scaricare i bambini con handicap"
Farisaico perché ? Perché è la classe senza
appoggi ad essere debole di fronte al problema, Già oggi
l'insegnante di sostegno nelle esperienze migliori è "della
classe" e non "del bambino con handicap in modo esclusivo":
questo vuol dire che l'insegnante di sostegno può, nei diversi
momenti: - stare con il bambino per svolgere con lui attività
individuali; - o formargli intorno un piccolo gruppo, - oppure -
ancora - tenere la classe mentre l'insegnante di classe sta con
il bambino.
Nessuno quindi scarica nulla ma, certo, se il numero degli insegnanti
di sostegno diminuisce diventa più difficile sostenere esperienze
positive di integrazione. E' da notare che i tagli decisi con le
leggi finanziarie, diminuendo le possibilità di spesa dei
Comuni, "tagliano" il personale che gli enti locali assegnano
come "accudienti" o "assistenti" ai bambini
con handicap non autosufficienti
"Dulcis
in fundo" (ma questo dipende dalla finanziaria, non dalla riforma,
pur "figlia" di scelte politiche analoghe), calano le
unità di personale ausiliario: personale ausiliario che ha
una funzione nella scuola, ad esempio nella scuola d'infanzia partecipa
in modo attivo ai processi educativi. E garantisce, anche negli
altri gradi di scuola, funzioni importanti (ad esempio, per dirne
una, l'apertura al pomeriggio negli istituti superiori per le attività
libere e l'utilizzo delle biblioteche da parte degli studenti).
Insomma,
un disastro. Al quale è bene porre rimedio da subito, respingendo
una riforma che - alla fine - è solo un insieme di tagli.
Ribadendo che l'istruzione è risorsa e non costo, costruzione
di una società solidale e libera che passa attraverso l'incontro
fra le culture e la diffusione massima delle conoscenze.
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