Scuola,
decentramento da 20 mld
DI
NICOLA D'AMICO È anche una questione di risorse. Le Regioni,
con il passaggio delle competenze sull'istruzione, potrebbero avere
bisogno di una massa di denaro che va dai 4,8 a quasi 13 miliardi
di euro, cioè da 9 a quasi 27mila miliardi di vecchie lire
circa per la sola gestione dell'ex istruzione professionale e tecnica.
Se poi tutta l'«organizzazione e gestione degli istituti scolastici»
- che è ancora un "oggetto misterioso" - dovesse
passare alle Regioni, si può stimare un trasferimento di
risorse per una somma vicina ai 20 miliardi di euro, cioè
circa 40mila miliardi di lire. Nei colloqui bilaterali Stato-Regioni
sulla scuola il conto non è stato presentato ma gli amministratori
regionali, appunto come amministratori prima che politici, sono
molto preoccupati e stanno aspettando il momento opportuno per tirarlo
fuori.
Anche
perché non intendono accontentarsi dei conti sull'esistente:
chiederanno un sovrapprezzo calcolato sul numero di alunni (le stime
parlano di circa 37mila ragazzi) che potrebbero essere recuperati
alla dispersione - obiettivo chiave della riforma Moratti - grazie
alla nuova chance, offerta ai giovani, di adempiere l'obbligo scolastico
(che si adempie ora solo «con il conseguimento di una qualifica»)
anche nell'istruzione-formazione professionale regionale. Denaro
a parte, le Regioni (e anche lo Stato vi ha interesse) non possono
aspettare per prepararsi ad assorbire, in quantità maggiore
o minore, i poteri che sull'istruzione professionale il nuovo Titolo
V della Costituzione già loro assegna.
Anche
senza attendere l'approvazione della proposta di legge costituzionale
Berlusconi-La Loggia, che ha superato l'esame con i «ma»
e i «se» del Consiglio dei ministri dell'11 aprile scorso.
Due giorni alla settimana Regioni e ministro dell'istruzione (o,
per lei, il sottosegretario Valentina Aprea) siedono attorno a un
tavolo a Viale Trastevere per fare chiarezza da tradurre in accordi
nelle norme delegate. La materia più spinosa è quella
della sorte degli istituti tecnici, quelli per geometri, ragionieri
e periti di determinati settori non meglio identificati: la legge
Moratti esclude che i licei, riservati allo Stato - in che senso,
in che materie, non si sa ancora - preparino alle professioni. Ma
certamente tutti gli attuali istituti professionali passeranno alle
Regioni.
E
non c'è margine per dilazioni e "distinguo". Una
volta emanati i decreti con le norme generali, che sono riserva
assoluta dello Stato (anche sulla formazione professionale), gli
istituti professionali potrebbero subito essere trasferiti, armis
et impedimentis. Così come sono. Da qui l'urgenza, anche,
di parlare di soldi. I numeri. L'operazione è, in ogni caso,
di imponenti dimensioni. Il numero di studenti che potrebbero essere
trasferiti alle Regioni nelle varie ipotesi di passaggio di competenze
varia da 555.064 unità certe (pari a 39.581 classi) nel caso
dei soli istituti professionali (pari al 22,67% degli iscritti alle
superiori nel 2002/2003); a 1.488.319 ragazzi (74.764 classi) nel
caso si aggiungessero tutti gli istituti tecnici (il 60,68% degli
iscritti).
Le
percentuali potrebbero ridursi del 20-25% nel caso in cui lo Stato
si riservasse alcuni istituti tecnici "strategici" (per
ragionieri, per geometri geometri e per periti tecnici di particolari
categorie, per esempio chimici), mentre ci sarebbe un aumento di
altre 60mila unità in caso di regionalizzazione degli istituti
d'arte. In quanto ai docenti, il passaggio riguarderebbe una media
di 140mila unità e sarebbero interessati 3mila dei 10mila
dirigenti scolastici. Per il personale ausiliario e tecnico si stima
un esodo di 33mila persone: si tratterebbe di uno schizofrenico
(per le istituzioni) ritorno a casa, visto che questo personale
è appena improvvidamente transitato dalle Province e dai
Comuni allo Stato.
Martedí
15 Aprile 2003
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