Mercoledì 9 Luglio 2003, pag.31
Più
di mille docenti rivendicano libertà di opzione per gli studenti
Facoltà di giurisprudenza alla guida della protesta
Dalla
cattedra contro il «3+2»
di
Chiara Conti
ROMA
- «Manifesto per una laurea unitaria opzionale» è
lo slogan. Segue un incipit stringato, con due punti programmatici
in tutto, in cui si concentra la volontà di cambiamento.
Vogliono riformare la riforma universitaria, il «3+2»
introdotto dal decreto ministeriale n. 509 del 1999. A protestare,
con due pagine di pubblicità riportate sui quotidiani, sono
1060 docenti provenienti dalle facoltà umanistiche di tutta
Italia.
A suscitare
perplessità è la previsione di un «modello di
studi uniforme per tutti i campi dell'istruzione superiore e per
tutti gli sbocchi professionali».
Di
qui, la loro duplice proposta al ministro dell'Istruzione Letizia
Moratti e alle autorità legislative. Innanzitutto, come corollario
dell'autonomia degli atenei, il riconoscimento della «facoltà
di opzione per i corsi e per gli studenti fra un sistema di lauree
spezzate nel percorso breve (tre) più quello specialistico
(due), e un sistema di lauree unitarie di durata almeno quadriennale,
con materie curricolari di base, stabilite a livello nazionale».
Il
secondo punto del manifesto, sottoscritto da 605 dei firmatari,
fa riferimento, invece, al sistema di reclutamento degli stessi
professori universitari. Si sollecita una sorta di ritorno al passato,
ossia la previsione di «un sistema di accesso alla docenza
universitaria, nei diversi livelli, su base nazionale e concorsuale,
per organici predeterminati numericamente».
A cominciare
questa singolare "crociata" contro l'appiattimento dell'assetto
accademico è stata, circa un anno fa, l'università
Tor Vergata di Roma, guidata dal preside Filippo Chiomenti e dal
Prorettore Gian Piero Milano, preoccupati, soprattutto, per ciò
che attiene àll'ordinamento della facoltà di Giurisprudenza,
che nel nuovo contesto delineato dalla riforma ha assunto il nome
di laurea in Scienze giuridiche. Le facoltà di Medicina,
Farmacia, Architettura, di stampo scientifico, sono risparmiate
dalla mano che ha rimodulato i percorsi di laurea. Colpa di quell'allineamento
con gli altri Paesi dell'Unione europea, invocato come ratio del
riordino dal ministro Moratti, ma che per gli autori del manifesto
non risponderebbe, affatto, a un'esigenza di uniformità:
«La soluzione adottata non è identica nel resto dell'Europa,
se non limitatamente alla questione dei crediti formativi»,
spiega Gian Piero Milano, docente a Tor Vergata di diritto di famiglia
e canonico. In particolare, ciò che è fonte di timori
è «un impoverimento fin dall'inizio,una degenerazione
attuata anche con un alleggerimento dei programmi di studio che,
conferendo basi poco salde allo studente, può pregiudicarlo
nella formazione professionale specialistica del biennio, condizione
necessaria per l'esercizio delle cosiddette professioni forensi
(avvocato, giudice, notaio)», afferma ancora Milano. «Un
abbassamento della qualità, quindi, per facilitare e accelerare
l'accesso al mondo del lavoro, abbreviando l'iter universitario.
Convinzione condivisa dai 1280 studenti del primo anno, che hanno
accolto con favore la nostra decisione di mantenere l'articolazione
di segno tradizionale della laurea in giurisprudenza».
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