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No alla scuola dei bastoncini

Il professor Lucio Russo da anni si batte contro la scuola delle istruzioni per l’uso

Il professor Lucio Russo, docente di fisica teorica all’Università di Roma 2, autore del best-seller Segmenti e bastoncini (Feltrinelli), direttore del quadrimestrale Punti critici, da anni si batte contro la riduzione del sistema di istruzione a quella che definisce una scuola delle istruzioni per l’uso: una scuola che fornisce agli studenti alcuni strumenti per inserirsi nel sistema di produzione e di consumo, ma non trasmette più gli strumenti razionali per una comprensione critica della realtà.
Professor Russo, lei ha polemizzato anche duramente contro la riforma Berlinguer, accusandola di accentuare la tendenza in atto in tutti i sistemi di istruzione occidentali verso una “scuola dei consumatori”. Da questo punto di vista, vede elementi di novità nella riforma Moratti?
Ogni giudizio deve tener conto del fatto che ci troviamo davanti a un abbozzo, che in gran parte deve ancora essere completato. Detto questo, nel disegno di legge si trovano alcune buone intenzioni, ma temo che complessivamente non ci sia un cambiamento di direzione significativo. Faccio alcuni esempi.
Sono molto d’accordo con la soppressione delle Ssis, che sono il trionfo della prevalenza del didatticismo sulla preparazione disciplinare. E sono contento che per insegnare sia prevista la laurea quinquennale. Ma se il biennio di specializzazione sarà specifico per la preparazione all’insegnamento, il didatticismo che era uscito dalla porta rischia di rientrare dalla finestra. Io sono convinto che il biennio di specializzazione non debba essere specificamente differenziato per chi mira all’insegnamento. Rimane, inoltre, il problema di una carriera poco appetibile dal punto di vista economico e del riconoscimento sociale, che difficilmente attirerà le menti migliori. Un punto che mi preoccupa molto è la regionalizzazione dei contenuti. In mano a certi assessori, specie della Lega, può degenerare in un localismo grottesco.
Altro problema delicato: la questione degli otto licei. Che fisionomia avranno? Cosa sarà il liceo tecnologico? Assorbirà gli attuali Itis? Molti Istituti tecnici in Italia vantano una grande tradizione di preparazione rigorosa. La trasformazione in licei non snaturerà la loro fisionomia? O sarà solo un aggiornamento terminologico? Lo stesso discorso vale per la trasformazione della ragioneria in liceo economico. La moltiplicazione dei licei, poi, mette in questione la natura stessa del liceo classico. Finora è stato una scuola di formazione generale, che veicola la tradizione culturale europea. Ora cosa diventerà? Se tutti i licei sono scuole di formazione generale, il classico sarà semplicemente quello con specializzazione in antichistica? Sarebbe la morte dell’idea europea di liceo. La questione si complica poi ulteriormente in connessione con la riforma dell’Università (io sono fermamente contrario al 3+2): oggi si iscrivono a lettere classiche diplomati dell’Istituto tecnico che non sanno il greco, e si laureano senza saperlo. Saranno questi a insegnare domani greco al classico? Solo letteratura in traduzione?
Certo, leggo anche spunti degni di attenzione, come là dove si parla di pluralismo di opzioni a proposito dell’informatica. È una possibilità interessante, se significa dire no al monopolio di Microsoft e all’idea di informatizzazione come addestramento all’uso dei suoi programmi, e apre invece la strada alla possibilità che i ragazzi imparino a realizzare autonomamente piattaforme informatiche, usando anche altri sistemi. Ma i condizionamenti in direzione opposta saranno pesanti. In conclusione, ripeto, vedo nel disegno di riforma alcune buone intenzioni, ma temo che ci siano pesanti condizionamenti che renderanno ben difficile realizzarle.


di Persico Roberto