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Al di là delle parole

Cosa c’ è al di là delle parole delle Riforme?

Non so se qualcuno possa capire cosa si celi nelle parole degli specialisti, intendo qualcuno che non sa di didattica, di metodologie, di pedagogia e via dicendo…

Per un insegnante è chiaro, ma per chi non lo è?

Allora dovremmo semplificare e dire : ci sarà un maestro “importante” e gli altri a far da contorno con un potere decisionale ridotto a zero nelle scelte.

Ci saranno materie importanti ed altre meno. Quelle meno, saranno nelle mani di chi è meno importante.

Ci saranno materie di serie A per le quali si dovranno dare risultati importanti e renderne conto.

Per tali materie A ci saranno meno ore per poterle insegnare a tutta la classe, perché dovranno nascere come i funghi i laboratori ( qualcuno gestito e organizzato dalla scuola, ma per poche ore, gli altri a richiesta delle famiglie) e i gruppi di compito, di livello (gruppi dei meno bravi e dei più bravi), elettivi (di quelli che capiscono al volo e in poco tempo)…

Le aule rimarranno tali e quali, le dotazioni idem, gli spazi esterni anche.

Le Indicazioni, per intenderci meglio chiamiamole “Programmi”, sono ancora una bozza, ma siccome non si è ancora visto che una bozza non diventi poi legge dello Stato in materia scolastica, consideriamole già cosa fatta e buona notte, sono veramente pretenziose, quindi aspettiamoci insegnanti tutor che insegneranno italiano e matematica correndo a tutto busso e che cercheranno il tutto e per tutto per ridurre all’osso lo spezzettamento imposto dalle attività laboratoriali gestite dagli altri insegnanti.

Il rapporto con le famiglie sarà principalmente del tutor, del maestro tuttofare, per intenderci, il quale oltre a tirarsi addosso le ire funeste dei genitori nel caso qualcosina andasse storto, si tirerà addosso le “simpatie” sperticate dei colleghi specialisti di laboratorio che correranno a loro volta per portare a termine progetti e progettuzzi su più classi e con orari ridotti al minimo su ogni gruppo di bambini…

Altro che “Essere e avere”, qui sarà imperante il motto “Si salvi chi può”!

Se il docente sarà prevalente, il bambino sarà soggiacente all’organizzazione marziale di tabelle orario e spezzettamento di ore in minuti e secondi per “personalizzare” (parola di riforma!) gli interventi su di lui/lei ben catalogato a seconda delle sue “predisposizioni” che verranno immantinente individuate: poveri noi e poveri loro!

Il bambino tergicristallo verrà prelevato da una classe, inserito per bene in qualche bel gruppetto di compagni simili a lui (simili con quale criterio? Non ci facciamo troppe domande, perché li deciderà il tutor, pardon, il maestro tuttofare e tuttovede).

Rudy andrà a casa a pranzo, Pierina no…Con chi resterà? Non si sa! Le sue maestre non siederanno con lei a mensa? Boh! Sembra di no…Vedremo…

Pierina si potrà iscrivere a qualche laboratorio come Rudy? Boh, dipende, magari a quelli non a pagamento. Perché, ce ne saranno a pagamento? Boh, sembra di sì…be’, non sempre, e poi dipenderà dalle scuole.

Ma Pierina potrà stare tranquilla, perché a lei si penserà con i piani personalizzati…cosa vuol dire?

C’è chi li confonde con l’individualizzazione dell’insegnamento, ma dicono che sia un’eresia, perché questi sono vere e proprie tabelle di marcia in cui Pierina rientra a causa delle sue attitudini, difficoltà, predilezioni, quelle che ha fin dalla nascita!!! Come si può non capire?!

E le unità d’apprendimento? Cosa sono? Sì, perché siamo molto ignoranti in materia: la relatrice di una scuola sperimentale ci ha detto che praticamente sono i sottoargomenti di un progetto tipo lo sfondo integratore…Boh!

Ma tu che pensavi di fare scrittura e conversazione in tempi lunghi, lasciando scaturire le ipotesi dai tuoi scolari e che pensavi di raccoglierle e sviscerarle con loro attimo dopo attimo e che da sempre conosci il valore della postprogrammazione e degli imprevisti come farai con questi bambini che vedrai a spizzichi e bocconi?

Boh!

Ma non avrai tutte quelle ore… tutte tu, se sarai il tutor?

No…no, non hai capito, il tutor può farsi un orticello tutto per sé, perché si considera in grado di portare avanti tutte le attività, oppure potrà decidere di far lavorare i suoi colleghi, ma poi così sarà costretto a cedere le sue materie…

Ma se i genitori lo richiederanno dovrà per forza aprirsi al mondo esterno, no?

Non lo so, forse se riterrà che i suoi alunni non ne abbiano bisogno, non ne avrà il motivo!

Sai cosa ti dico io, non ci capisco nulla, ma mi pare che sarà una scuola più vicina al mondo del lavoro…

Sì, certo, il tutor si accorgerà subito di quali saranno i bambini portati per le attività manuali e chi per quelle teoriche…se ne accorgerà e appronterà dei bei piani personalizzati!

Va be’, tu dici così perché sei prevenuta!

No, guarda, io dico quel che mi viene in mente, perché non ci si capisce veramente niente! Qualcosa si intuisce, qualcosa forse tra le righe si intravede di un progetto complessivo, ma io non riesco proprio a entrare nella testa di chi ha deciso al posto nostro, proprio non ce la faccio, nonostante tutta la buona volontà…

Una delle cose a me più lontana è proprio quella del maestro quasi unico…visto come la manna per tutti i problemi del mondo…

Se penso poi che da quando nasce un bambino ha una moltitudine di figure di riferimento, fino ad arrivare al nido, alla scuola materna compresa e che tutte hanno pari responsabilità attorno a lui, il quale poi comunque se ne sceglie autonomamente, una importante, senza tuttavia odiare le altre, non capisco proprio perché le scuole elementari debbano servirsi di un maestro o di una maestra quasi unico/a per educare e istruire…le elementari sarebbero l’unico momento della storia di un bambino in cui gli si propina un’unica possibilità di modalità di apprendere relazionandosi per poi tornare a un tourbillon di docenti nella scuola media e superiore!

Qualche motivo ci sarà se si vuole fare in questo modo…

Ci sarà, ci sarà, ma io proprio ne vedo soltanto uno che non ti dico!

Altrimenti non capisco come il professore unico, circondato da qualche bel laboratorio, non venga proposto anche alla scuola media, visti i problemi esistenziali dei preadolescenti che sicuramente hanno bisogno di un punto di riferimento stabile…

Senti, c’è chi sostiene che le scuole sono autonome, quindi potranno esercitare in libertà gli aggiustamenti del caso, non pensi che ciò sia possibile?!

Per ora, a molti di noi pare che i Dirigenti siano “autonomi” di fronte a Collegi che spesso rimangono silenziosi e rassegnati …ti faccio un esempio per tutto: ho saputo che c’è chi si ritroverà a fare un’ora di inglese e una di tecnologia in prima elementare, forse perché fa tanto moda? Richiamo? perché così va il mondo?

Ti rendi conto?

Secondo te che senso hanno questi spezzoni di riforma non ancora vigente? Che senso ha un’ora qua e una là a interrompere le sacrosante attività fondamentali per la crescita verbale, emotiva, relazionale…?

Mi pare che chiunque con un minimo di buon senso possa intuire quante ore resteranno, considerati la mensa e i turni per accedere al refettorio, il dopomensa, le due ore di religione, o le due di attività alternative alla religione, considerata la difficoltà per accedere a un’unica palestra di interi plessi, considerati gli incastri orario fra un docente e l’altro, per apprendere la lingua italiana, per la matematica, la geografia, la storia (per le elementari essa sarà “abbreviata” all’anno mille dalle indicazioni ministeriali con l’illusione e la proposta che occorra spalmarla su otto anni di scuola in un ciclo unico senza ripetere i contenuti per assicurarne l’approfondimento, la comprensione dei rapporti e dei collegamenti fino alla caduta del Comunismo e all’integrazione europea, alla fine della terza media!).

Mi vien da sorridere. Anzi, da piangere di rabbia se guardo il quadro orario per le prossime future prime e conto quanto tempo mi resterà per mettere in pratica ciò in cui credo! Altro che libertà di insegnamento, altro che creatività nella conduzione delle classi! Con i lacci e i laccioli posti dalla quantità di materie e con i loro contenuti, forse potrò “in autonomia”(!) parlare con ognuno dei probabili 25 bambini 5 minuti la settimana, potrò accedere alla palestra in spezzoni orario di 50 minuti, forse riuscirò a farli lavorare con le mani 10 minuti la settimana, per leggere un libro o visionare un film e poi conversare delle loro esperienze, cosa mi resterà?

Per registrare le loro opinioni, quelle di ognuno, non so se avrò tempo a meno che non li interrompa e non riprenda un giorno successivo…

Consideriamo poi i progetti decisi da altri colleghi per tutta la scuola a cui ci si sente in dovere di partecipare perché altrimenti si rischia di essere considerati “diversi”, consideriamo i vari concorsi che ti permettono di gareggiare per quattro soldi, i giochi della gioventù e non so che altro…fai un po’ il conto di ciò che rimane…mettiamoci il caldo di fine anno che stanca anche un cavallo, figuriamoci i bambini!

Con le mie colleghe del tempo pieno avevamo pensato di interagire nella contemporaneità, ma ci pare che, se sarà contemporaneità, escludendo le probabili supplenze, sarà in frazioni di ora…

Io credo che nessuno sappia cosa sia il tempo e quali siano le priorità in prima elementare. Anzi, sono certa che non ci si rifletta mai abbastanza, confondendo ciò che pare utile a noi adulti per la società con ciò che fa bene, piace ai bambini e li fa crescere! Hai mai provato a leggere in prima?

Stanno lì incantati, poi alzano le mani per domandare e per interagire con te che raccogli le loro osservazioni, nessuna esclusa…non si vorrebbe mai essere interrotti dai ritmi esterni perché interrompono i flussi di pensiero…stessa cosa per i giochi matematici, per lasciar tempo alle riflessioni, alle scoperte, intuizioni…Ma perché dovremmo appesantire il tutto con un eccesso di attività che potrebbero avere più spazio gli anni successivi? Perché indurre i docenti alla nevrosi d’ansia del “non ho finito”, del “quel bambino non è potuto intervenire”, del perdere minuti preziosi che invece servirebbero per seguire eventuali dislessie, disgrafie, discalculie… e via dicendo?!

Cosa ce ne importa di anticipazioni che non hanno veramente un senso al mondo, anzi creano tutta una serie di inutili interruzioni e problemi a scapito dell’integrazione e dell’accoglienza nel senso più ampio del termine?

Mah!

Ho avuto modo di leggere e di essere presente alla presentazione di una splendida tesina scritta da una sconosciuta bravissima maestra di scuola dell’infanzia sulle routine in quell’ordine di scuola e sono rimasta affascinata dai contenuti supportati dall’esperienza diretta della giovanissima insegnante, così ho ancor più consolidata l’idea di quanto siano estranei al mondo delle bambine e dei bambini i progetti di riforma ministeriali che non tengono alcun conto delle voci della scuola reale e delle eventuali sue proposte di miglioramento sia per ciò che riguarda l’organizzazione, sia per eventuali modifiche ai Programmi, sia per valorizzare e sostenere quelle metodologie, rispettose dei ritmi, dei tempi d’apprendimento, della relazione, che sono già diffuse nel Paese . Ecco alcuni passi dell’importante lavoro di Camilla Fattorini:

“LE ROUTINE: l’eccezionale della quotidianità
(…) Il tempo è ormai un signore avaro anche nella scuola dell’infanzia: non c’è tempo…manca il tempo!…

Si riordina celermente, si usano i servizi igienici in fretta, si mangia velocemente per lasciare il massimo spazio alle attività programmate come se “le altre” non fossero importanti per lo sviluppo del bambino/a; solo ciò che fornisce un prodotto diviene importante.

Nella scuola dell’infanzia vi è il rischio di vivere un tempo e uno spazio di serie A, quello delle attività programmate, dei laboratori, degli esperti e un tempo e uno spazio di serie B: la quotidianità delle routine. Su questo incide in primis “l’ansia del dimostrare” il proprio lavoro, ma ci sono situazioni, attimi, gesti, sguardi che non possono essere documentati e che spesso accadono proprio in quei momenti in cui il bambino/a è più rilassato, per esempio durante il pranzo oppure in bagno. Per essere sinceri l’insegnante è più tranquillo se sa cosa deve fare in ogni momento e sa come controllare i risultati, così tempo e spazio sono predeterminati senza possibilità di via di uscita.

Siamo infatti impregnati da una mentalità scolasticistica in cui è difficile tenere insieme apprendimento e vita. Per il bambino/a invece è un tutt’uno, la routine quotidiana non è la noiosa ripetizione di gesti, è l’incontro con un tempo conosciuto e sicuro che lo fa star bene, e un tempo atteso e previsto che dando sicurezza, invita all’esplorazione e alla ricerca.

Per l’insegnante è lo stupore che il “ripetere” è comunque trovare ogni giorno, nel rapporto col bambino, qualcosa di nuovo e non previsto, l’eccezionale della quotidianità. (…)

Nella quotidianità una routine attesa e prevista costituisce sicuramente una cornice rassicurante che sollecita alla scoperta. Questi eventi significativi ripetuti costituiscono per il bambino/a i primi quadri concettuali di riferimento. Sono come dei copioni, sulla base dei quali i bambini/e progressivamente costruiscono il loro mondo e inseriscono le loro scoperte. C’è quindi una valenza specificatamente cognitiva. Infatti l’apprendimento non avviene per piccoli frammenti di conoscenze ma come esperienza globale, di ripetizione di copioni detti anche scripts. Gli scripts sono sequenze di attività ed eventi complessi dai quali i bambini/e riescono a cogliere, attraverso il ripetersi degli stessi, le variabili interne che li regolano. Dal ripetersi di questi copioni (prima mi sveglio, poi mi alzo, poi faccio colazione) i bambini/e riescono a cogliere il senso del prima e del dopo e un po’ alla volta, imparando ad anticipare gli eventi, riescono a “disegnare” in un’ottica di tempo la propria vita.

Non è casuale che nella scuola materna si dia ampio spazio all’imparare, proprio a partire dall’esperienza ricorrente nel quotidiano.

Il cognitivo, la logica, sono dentro le regole di vita quotidiana, quindi una routine non deve mai essere considerata come un momento finito in sé, un rituale autosufficiente; accade spesso che si attribuisca a questi momenti solo un generico valore educativo (apprendere buone abitudini) senza vederne le implicazioni su altri piani. Infatti come dice Carla Grazzini Hoffman, saper mettere il cappotto al posto giusto non significa solo aver acquistato una buona abitudine, ma anche avere la capacità di orientarsi, di trovare punti di riferimento, aver memorizzato e saper riconoscere il proprio simbolo, saper ricercare il modo giusto perché il cappotto rimanga appeso e non cada dal sostegno…; tutto ciò vuol dire risolvere problemi relativi allo spazio, alla percezione di forme e colori…

L’insegnante deve essere consapevole di quante possibilità di apprendimento offrono questi momenti di vita, solo così potrà assumere un atteggiamento conseguente e avrà cura di sfruttare queste possibilità; se invece le considererà semplici atti da compiere ovviamente dedicherà a loro il minor tempo possibile, sostituendosi anche al bambino/a per fare più velocemente.

In molte attività di routine il bambino/a è aiutato a rafforzare la sua autonomia, finalità della scuola dell’infanzia; si pensi semplicemente al momento del bagno o a quello del pranzo.

Anche il senso di responsabilità entra in gioco nelle attività di vita quotidiana, ad esempio nel momento del riordino della sezione.

Oltre all’aspetto cognitivo anche quello affettivo è di massima rilevanza nelle routine.

Si tratta infatti di momenti di convivenza che aiutano a creare quel clima sociale positivo, sono momenti in cui si creano legami particolari tra adulto e bambino/a ma anche tra bambino/a e bambino/a, in cui si coltiva la fiducia e il riconoscimento reciproco.

Se vissute con consapevolezza, attenzione e curiosità, le routine concorrono pienamente al raggiungimento delle finalità della scuola dell’infanzia come indicano gli Orientamenti: maturazione dell’identità, conquista dell’autonomia, sviluppo della competenza. (…)

CONCLUSIONI: il piccolo principe di Antoine de Saint-Excupery

L’incontro con la volpe

(prima parte)

“Buon giorno” disse la volpe

“Buon giorno” rispose gentilmente il piccolo Principe voltandosi, ma non vide nessuno

“Sono qui” disse la voce “sotto il melo”

“Chi sei?” domandò il piccolo Principe “sei molto carino”

“Sono una volpe” disse la volpe

“Vieni a giocare con me –disse il piccolo Principe- sono così triste”

“Non posso giocare con te -disse la volpe- non sono addomesticata”

“Ah, scusa” fece il piccolo Principe

Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:

“Che cosa vuol dire addomesticare?”

“E’ una cosa da molto dimenticata –rispose la volpe- vuol dire creare dei legami”

“Creare dei legami?”

“Certo” disse la volpe “Tu finora per me non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini”.E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io per te non sono che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro: tu sarai per me unico al mondo e io sarò per te unica al mondo”.

“Comincio a capire” disse il piccolo Principe.

(seconda parte)

La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo Principe: ”Per favore…addomesticami” disse

“Volentieri” rispose il piccolo Principe “ma non ho molto tempo però. Ho da scoprire degli amici e da conoscere molte cose”.

“Non si conoscono che le cose che si addomesticano” disse la volpe.

“Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico, addomesticami”.

“Che cosa bisogna fare?” domandò il piccolo Principe.

“Bisogna essere molto pazienti” rispose la volpe. “In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino ”.

Il piccolo Principe ritornò l’indomani “Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora” disse la volpe. “Se tu vieni per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice…Ma se tu vieni, non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore…”

Così il piccolo Principe addomesticò la volpe…

Quando l’ora della partenza fu vicina la volpe aggiunse: ”Va a rivedere le rose. Adesso capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio ti regalerò un segreto”.

(terza parte)

I piccolo Principe se ne andò a rivedere le rose

“Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente” disse “Nessuno vi ha addomesticato e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo”.

E le rose erano a disagio.

“Voi siete belle ma siete vuote” disse ancora “Certamente un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata.

Perché è lei che ho riparata con il paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo due o tre per le farfalle).

Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi o anche qualche volta tacere perché è la mia rosa”.

E ritornò dalla volpe “Addio” disse

“Addio”, disse la volpe “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.

“L’essenziale è invisibile agli occhi” ripeté il piccolo Principe per ricordarselo.

“E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.

“E’ il tempo che ho perduto per la mia rosa…” sussurrò il piccolo Principe per ricordarselo.

“Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa”.

“Io sono responsabile della mia rosa…” ripeté il piccolo Principe per ricordarselo…

“L’essenziale è invisibile agli occhi”.

La parola addomesticare viene dal latino ad-domus cioè avvicinare alla casa, rendere famigliare. Tale parola calata in ambito scolastico acquista un significato profondo.

Molti genitori quando entrano in una scuola materna per iscrivere proprio figlio sono disorientati, lo stesso disagio è vissuto dal bambino/a quando lascia il suo ambiente famigliare per entrare in un ambito nuovo, dove trova adulti e compagni estranei e dove il tempo e lo spazio seguono regole diverse da quelle quotidiane e famigliari.

“Avvicinarsi alla casa” è compito di chi accoglie, quindi “addomesticarsi” tocca alla scuola. In questa direzione vanno, infatti, tutti gli sforzi per rendere più accessibili le informazioni per le famiglie, gli incontri, i colloqui ecc…

I legami rendono poi ognuno di noi per l’altro unico al mondo e questo accade in un tempo e in uno spazio preciso e il nostro primo legame e con l’io-genitore. Anche l’essere paziente non è facoltativo, non si tratta di una dote del temperamento ma significa considerare tempi, esperienze, contesti che sono diversi per ogni bambino/a.

Quando poi si parla di tempo e spazio, è imprescindibile cercare il significato, ciò che dà senso a tutto “l’essenziale, invisibile agli occhi”.

Il “clima” è ciò che accomuna tempo e spazio, è dato infatti dall’organizzazione del tempo, dalla predisposizione degli spazi, ma nello stesso tempo non li esaurisce e non è la semplice somma di questi due fattori.

Il significato è un “elemento invisibile agli occhi” che armonizza tutta la vita a scuola e non, ed è la coscienza del perché tutto questo è fatto.

E’ il tempo perduto per la propria rosa…

Ci vuole tempo per il bambino per interiorizzare, per assaporare ciò che si è conquistato.

Ci vuole tempo perché un bambino qualsiasi diventi “l’amico più amico” e solo così il docente saprà se chiedere o aspettare, se insistere o attendere.”

3 luglio 2003

Claudia Fanti (maestra elementare)