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ARGOMENTI

GESUITI A COMO NEL 1561

L'EREZIONE DELLA CHIESA DI S. AMANZIO, NEL 1576

CARATTERI STILISTICI DELLA CHIESA DEL GESÙ

DESCRIZIONE DELLA CHIESA E DELLE PERTINENZE, DEL 1594

LA DECORAZIONE DELLA CHIESA DEL GESU', NEI SECOLI XVII E XVIII

LA SOPPRESSIONE DELLA COMPEGNIA DI GESU', NEL 1777

ALESSANDRO VOLTA E LA BIBLIOTECA DEI GESUITI

LA CHIESA DEL GESU' DICHIARATA FILIALE DI S. FEDELE, NEL 1808

L'EREZIONE DELLA FABBRICERIA DEL GESU', NEL 1829

L'INSEDIAMENTO DEI PADRI DELLA MISSIONE DI S. VINCENZO, NEL 1898

OPERE DI AMPLIAMENTO E TRASFORMAZIONI DAL 1898 AL 1968

1 GESUITI A COMO NEL 1561

A cinque anni dalla morte di S. Ignazio di Loyola, nel 1561, 1 gesuiti vennero a Como da Ponte di Valtellina, dove si erano stabiliti l'anno precedente, per invito di S. Carlo Borromeo. S. Carlo era infatti un ammiratore di S. Ignazio; anzi, nella Biblioteca Ambrosiana si è scoperto un suo autografo intitolato: "Modus quomodo tradenda sunt puncta et diversa exercitia spiritualia", che costituisce un'autentica anticipazione del "Directorium" edito dalla Compagnia di Gesù nel 1599.
Sono note le ragioni per le quali S. Carlo volle la presenza dei gesuiti in Valtellina; se ne possono intuire quelle del trasferimento a Como: uno dei pilastri dell'azione dei gesuiti era l'educazione dei giovani attraverso i Collegi della Compagnia; evidentemente le condizioni a Ponte di Valtellina non dovevano essere ideali; nel mentre la città di Corno poteva vantare allora una ricca borghesia e soprattutto una nobiltà aggiornata e consapevole (basti pensare alla dinastia dei Giovio, e al loro vasto impegno culturale).
Infatti alle prime necessità dei gesuiti comaschi, sovvennero due benefattori locali, Leone Carpani e la famiglia di Bernardo Odescalchi, con l'acquisto di un palazzo con cortili, porticati e un piccolo oratorio, situati nel centro della città murata, a poca distanza dalla Cattedrale. Precedeva, però, un'altra sede: il Rovelli (in: Storia di Como, Milano, 1803, p. 345), infatti asserisce: "I gesuiti, non avendo potuto, per l'opposizione dei Grigioni, stabilirsi in Ponte terra della Valtellina, dov'erano stati invitati da un pio lascito di Antonio Quadri, e per lo stabilimento dei quali erasi adoperato Bernardo Croce, ... trovarono infine facile, anzi, da' nostri maggiori desiderato, ingresso a Como.
Adunque il Padre terziario Rainaldo Romano, con alcuni suoi compagni qua venuto nel 1561, ebbe prima il domicilio in alcune stanze del pio luogo della Misericordia, presso la Chiesa di S. Paolo, indi in una casa datagli ad uso, poi in dono, dal sopraccennato Bernardo Odescalchi ... ; Rainaldo fu il primo rettore del nuovo Collegio il quale ricevette una stabile sussistenza coll'acquisto dei beni che Leone Carpano, sin dall'anno 1548, aveva lasciati a beneficio dei fanciulli poveri e derelitti, coll'Autorità Apostolica trasferiti al Gesuiti, per le scuole pubbliche a loro commesse nel 1562 ".
Il Ballarini (in: Croniche di Como, Como, 1619, P. II, p. 144) reca: "Bernardino della Croce di Rippa... procurò introdurre i Gesuiti nella Città di Como, principalmente per oppugnare le eresie, che allora introducevansi nella Valtellina & Contado di Chiavenna. Onde gli fu primieramente concessa la chiesa di S. Paolo della Misericordia, l'anno 1560, per essere quel luogo alquanto angusto, comprorno, dopo quattordici anni da Bonacorso della Porta, il Broletto vecchio, dove si teneva anticamente ragione, là dov'è ora fabbricata una bellissima Chiesa & Collegio ". (Cfr. anche Tatti: Dec. III, p. 642).

Si comprende quindi la posizione baricentrica dell'insediamento gesuitico, che ereditò la posizione, necessariamente centralissima, rispetto alla cerchia delle mura, del vecchio Broletto.
Dell'originaria sede (nell'attuale Via Rovelli come si deduce dalle cronache locali), non è rimasta alcuna traccia nota ai nostri giorni.
L'insediamento (lei gesuiti fu privilegiato fin dall'inizio, così come ci testimoniato dal Vescovo Ninguarda, nella sua celebre relazione sulla visita pastorale del 1594: gli edifici dei gesuiti "... non solo sono stati edificati entro le mura (permesso (lato dai comaschi a nessun'altra famiglia religiosa maschile prima di quest'anno 1594) ma proprio al centro della città, e in luogo adatto al disimpegno (11 tutti i loro ministeri ". Nel quale privilegio si riconosce l'autorevole volontà di S. Carlo, non meno della crescente potenza della Compagnia.
All'originaria dotazione di edifici e terreni, mancava una Chiesa, non bastando evidentemente l'oratorio. Di quest'ultimo non esistono più tracce riconoscibili; senza dubbio doveva essere situato nel corpo di fabbrica posto a nord della Chiesa poi edificata, là dove la memoria locale ha tramandato il ricordo di una chiesetta; anzi, si indica in un vasto ambiente coperto da una volta a botte, adiacente ad altro ambiente gemello, l'eventuale sede dell'oratorio. In effetti il partito costruttivo, le unghie triangolari che incidono la volta a botte in corrispondenza di aperture, sono attribuibili all'epoca in esame; altrettanto dicasi dello spessore veramente eccezionale dei muri perimetrali, ciò che farebbe supporre una copertura a capriate appoggiate appunto sul perimetro, senza appoggi intermedi; d'altra parte, i successivi piani ricavati all'interno del supposto vano originario, e le manomissioni interne ed esterne, impediscono una più provata identificazione.

L'EREZIONE DELLA CHIESA DI S. AMANZIO, O DEL GESU' NEL 1576

In ogni caso, una pratica fu avviata dai gesuiti di Corno, presso la sede romana della Compagnia, volta a ottenere l'autorizzazione a costruire una nuova Chiesa.
In risposta alla richiesta dei confratelli comaschi, il Generale della Compagnia, P. Mercuriano, con rescritto in data 5 settembre 1573, diede il consenso all'erezione della Chiesa; in seguito a ciò, il Rettore del Collegio di Como, P. Giovanni Battista Peruschi, inviò a Roma un progetto del nuovo edificio.
Il 25 giugno 1575, il Segretario della Compagnia romana, scriveva però al confratello di Corno: "... Il nostro Padre Generale ha fatto che da M.o Giovanni, nostro architetto, se ne rifaccia un altro più compito, il quale sua Paternità manda". Evidentemente il progetto comasco, di cui ignoriamo l'autore, non doveva avere soddisfatto il Generale della Compagnia.
In realtà, è nota la cura e l'attenzione che i gesuiti riservavano alle arti, tanto che si potè parlare di "arte gesuitica o della Controriforma", che è bene distinguere dal coevo e dominante barocco.
L'arte gesuitica, infatti, vuole contrapporsi alle tendenze edonistiche rinascimentali, di ascendenza paganeggiante; e d'altra parte si differenzia dal generale orientamento barocco, del quale non condivide la ricerca di fastosità e di movimento; l'arte ignaziana, invece, postula severità di linee, pur nella grandiosità della forma, e il ritorno della pittura e scultura a intenti morali e religiosi.
Per ritornare a Corno, è certo che l'invio del progetto di M.o Giovanni equivalesse all'ordine di attenersi ad esso; la Chiesa sorse indubbiamente secondo tale disegno.
Si deve individuare nel M.o Giovanni, l'architetto Giovanni Tristano, della Compagnia di Gesù.
I lavori di costruzione procedettero speditamente, data la limitata mole dell'edificio e grazie anche al cospicuo contributo di un gentiluomo comasco, trasferito a Roma, che si fece parte attiva presso gli altri facoltosi comaschi residenti a Roma, promuovendo una sottoscrizione che dette il frutto di ben 1.500 scudi.
Nel marzo 1578 il Rettore di Como, P. Peruschi, potè comunicare al Generale, che " ... si è alzato d'intorno più che non è la volta della cappella... et non solo si è fabbricata la Chiesa, ma ancora una buona parte della casa e il claustro con colonne ".
A queste notizie fece seguito, il 1° aprile 1580, l'annuncio dell'ultimazione della copertura: " ... si è coperta la Chiesa et fatta la volta a tale, che l'ultimo giorno dell'anno si fece l'entrata in essa con molta solennità e apparato"; e altri ragguagli sulle finiture: " ... si è finita la Chiesa di dentro con la sacrestia, ornandola di si belle pitture che par tutto un gioiello" Tali pitture corrispondono a quelle che vedrà e descriverà di li a pochi anni, il Ninguarda, come si espone più oltre; purtroppo nulla di tali pitture è rimasto; può essere che qualcosa sia ancora celato sotto l'attuale decorazione barocca, sotto la quale, peraltro, non si sono effettuati assaggi abbastanza estesi da essere probanti (una maggior estensione, d'altra parte, sarebbe distruttiva anche della stessa decorazione settecentesca).
Delle successive fasi della costruzione rimangono tre cartigli affrescati nell'interno della Chiesa: due sul rovescio della facciata in basso; uno, in alto, sopra l'ingresso principale:

D.O.M.
IACT
IS FUNDAMENTIS
AB JOANNE ANTONIO VULPIANO
MDLXXVI
FILIPPUS ARCHINTUS
EIUS SUCCESSOR
CONSECRABATMDCIV
A Dio Ottimo Massimo
gettate le fondazioni
da Giovanni Antonio Volpe
nel 1576
Filippo Archinto
suo successore
consacrava
nel 1604
D. 0. M.
ARAM MAIOREM
MDLXXXXIV
FELICIANUS NINGUARDA
MINORES
MDCXXXIII
LAZARUS CARAFFINUS
EPISCOPI COMENSES
CONSECRABANT
A Dio Ottimo Massimo
l'altare maggiore
nel
1594
Feliciano Ninguarda
gli altari minori
nel 1633
Lazzaro Caraffino
Vescovi di Como
D. 0. M.
PHILIPPUS ARCHINTUS EPISCOPUS COMENSIS TEMPLUM HOC IN
MEMORIAM SANCTORUM FELICIS ET AMANTII PRIMI VIDELICET A
TERTII EPISCOPORUM COMENSIUM RITU SOLEMNI CONSECRAVIT
DIE XXI NOVEMBRIS MDCIV ANNIVERSARIAM VERO DEDICATIONIS
CELEBRITATEM IN EAM DOMI NICAM QUAE SACRUM ADVENTUM
PROX1ME ANTECEDIT INCIDENTEM 4o DIERUM INDULGENTIA
DECORAVIT
A Dio Ottimo Massimo
Filippo Archinto vescovo di Corno questo tempio in memoria dei Santi Felice ed Amanzio
rispettivamente primo e terzo Vescovo di Corno consacrò con rito solenne il giorno 21
novembre 1604 la celebrazione anniversaria della dedicazione, che cade la domenica
precedente il sacro Avvento, arricchì con indulgenza di 40 giorni.

Non sono note le ragioni che condussero alla dedicazione a S. Amanzio: giocò evidentemente un ruolo essenziale la collocazione sotto l'altare maggiore delle reliquie di S. Amanzio (oggi collocate sotto la mensa dell'altare (di S. Ignazio), trasportatevi il 2 giugno 1590 (come asserito dal Ninguarda e come confermato dal cartiglio rinvenuto durante la ricognizione delle reliquie effettuata dal Vescovo Macchi nel 1931) dalla Basilica di S. Abbondio.
Si può supporre con ogni verosimiglianza, che i gesuiti avrebbero dedicato la Chiesa di Como come la Chiesa madre del Gesù di Roma; evidentemente, il fatto che fosse stato necessario un apposito privilegio, per di più privo di precedenti, per l'insediamento della Compagnia in Como murata (segno non dubbio di gelosa difesa dell'autonomia dei poteri della città, non meno che di chiara affermazione di autorità da parte del clero secolare, di fronte alla non sempre dominabile influenza delle congregazioni religiose) deve avere richiesto una contropartita; o, almeno, una manifestazione di ossequio alle tradizioni e alle glorie locali; tant'è vero che, col tempo, la Chiesa di S. Amanzio venne poi sempre chiamata del Gesù.



CARATTERI STILISTICI DELLA CHIESA DEL GESU'


Il richiamo alla Chiesa del Gesù di Roma è, d'altra parte, pertinente: già il partito architettonico, di estrema semplicità, si stacca dagli esempi locali più noti; non vi è infatti alcun richiamo alla pur persistente tradizione della basilica a tre o più navate, tipica delle precedenti chiese comasche: la Chiesa del Gesù è infatti costituita da un'aula rettangolare di m. 25 x 14, con due cappelle laterali, fiancheggiate da nicchie altrettanto profonde; deducendo l'area dell'abside, si ottiene un ambiente quasi quadrato, in ogni caso inconsuetamente largo rispetto agli esempi locali a sviluppo longitudinale molto accentuato.
Ciò si spiega agevolmente, se si pensa a quella che fu una caratteristica fondamentale della Compagnia di Gesù: essa, come d'altra parte molti Istituti religiosi contemporanei della seconda metà del '500, pone in grande onore la predicazione; perciò, nelle chiese da essa ispirate, è dato ampio spazio alla navata, perciò stesso unica.
La croce determinata dalla navata e dal transetto, è inscritta in un rettangolo, e le cappelle vengono ricavate negli spazi laterali residui, cosi conglobati nell'arca complessiva del tempio. E' questa la pianta che il Vignola, su indicazione della Compagnia, elaborò per la Chiesa madre di Roma, che fu poi il modello di quasi tutte le chiese dei gesuiti.

Peraltro il Vignola, com'è noto, mutuò palesemente lo schema dagli scritti teorici e dalle opere di Leon Battista Alberti: il Tempio Malatestiano, della metà del '400, prevedeva appunto, almeno nel progetto, la fusione fra la preesistente pianta longitudinale francescana, a cappelle laterali, con la pianta centrale derivata dal Pantheon.
La Chiesa del Gesù del Vignola, con la cupola innestata fra l'abside e la navata, realizza l'intendimento albertiano.
Per converso, tale schema si distacca da quelli del barocco, che preferirà piante più mosse, con tipica preferenza per le piante centrali e mistilinee.
In effetti, proprio questo voleva accentuare la Compagnia: una semplicità non scevra di solennità; la massima aderenza alla prevalente funzione della predicazione; una decorazione pittorica e scultorea concepita al servizio dell'architettura, ed esercitata su soggetti quasi esclusivamente religiosi: donde le monumentali volte a botte, destinate a coprirsi di stucchi, affreschi e tele; e le frequenti superfici trasversali delle cappelle, non meno adatte alla decorazione.
Ciò va di pari passo, e anzi, promuove, la mirabile fioritura dell'arte pittorica barocca della fine del '500 e del '600, e la affermazione di famose scuole, come quella bolognese (Carracci), romana (Domenichino), napoletana (Ribera); e, di tanto inferiore, ma non meno significativa, quella ticinese (Mola, Petrini, ecc.), alla quale, come si vedrà, si deve parte delle opere d'arte più preziose della Chiesa del Gesù di Como.
Il Gesù di Como, ricalca, del maggior modello, lo schema a navata unica, con cappelle laterali e abside; ma nel passaggio dal prototipo romano, alle possibilità esecutive della provincia, vengono a imporsi delle semplificazioni: manca infatti la cupola antistante il presbiterio; e l'abside non è semicircolare, bensì rettangolare.
La mancanza della cupola è dovuta alla taglia dell'edificio, che mal sopporterebbe una cupola in così ridotto sviluppo; l'abside rettilinea, d'altra parte, si spiega con la maggior facilità di esecuzione, e con la probabile preesistenza delle strutture murarle del primitivo Collegio.
Il capolavoro del Vignola venne realizzato tra il 1568 e il 1573; del 1575, come si è visto, è il disegno che Giovanni Tristano elaborò per Como; senza dubbio egli dovette seguire a Roma i lavori del Vignola, ed è appunto flagrante la derivazione della Chiesa comasca.
Non è stato possibile rintracciare i disegni originali; soprattutto quelli della facciata, che doveva indubbiamente corredare il progetto; probabilmente ragioni finanziarie ne impedirono il completamento (infatti la facciata rimase rustica fino al 1950; d'altra parte molte famose Chiese italiane rimasero altrettanto incompiute; a volersi soffermare solo su Firenze: S. Maria Al Fiore, e S. Lorenzo; e S. Maria Novella, che ebbe solo con l'Alberti una facciata definitiva).



DESCRIZIONE DELLA CHIESA E DELLE PERTINENZE, NELLA RELAZIONE DELLA VISITA PASTORALE DEL VESCOVO NINGUARDA, NEL 1594


Quattordici anni dopo l'erezione della Chiesa, nel 1594, il Vescovo Feliciano Ninguarda, descrisse minutamente la Chiesa, dando notizia di molti arredi, affreschi, Pitture, oggi scomparsi; ed elencando le varie parti della Chiesa e delle pertinenze, la maggior parte delle quali è ancora pervenuta a noi quasi intatta.
Non sorprende che il Ninguarda reputi piccoli sia l'alloggio (lei gesuiti, sia la Chiesa, stanti le ben maggiori dimensioni di consimili complessi religiosi comaschi (questi ultimi, però, suburbani, per la suaccennata proibizione; e quindi dotati di ben maggiore estensione di terreno): " ... nel territorio della Parrocchia (il S. Benedetto, c'è il collegio dei Rev. Padri della Compagnia di Gesù, con annessa la nuova Chiesa... Entrambi gli edifici sono ancora relativamente piccoli, soprattutto la casa, però non indegna di essere chiamata convento, sebbene non manchino persone che desiderano col tempo di poterla ampliare ed abbellire, per maggior bene della cittadinanza e anche dei paesi vicini".
Non sfuggirà l'accenno al raggio di influenza territoriale della Compagnia; probabilmente, appunto a tale funzione territoriale, (leve ascriversi il successivo insediamento dei Padri della Missione, dopo la soppressione della Compagnia, come si vedrà.
La relazione del Ninguarda, che non trascura le misure della Chiesa ("larga 24 cubiti e lunga 48 "), accenna già agli altari: " ... il maggiore, formato da una sola pietra larga oltre 4 piedi, e lunga circa 10, fissa sii quattro colonnette di marmo, di diversa qualità, e da noi solennemente consacrato in quest'anno, il 13 giugno (1594), ha un bel tabernacolo, bene indorato, con vari pannelli e statuette simboliche, e una grande pala con cornice indorata e intagliata, raffigurante un bellissimo Crocifisso, con ai lati S. Amanzio con mitra e abiti pontificali, e la Vergine S. Giuliana che tiene il demonio incatenato.
Contiene pure, chiuse in un'urna di marmo bianco, con aperta nel mezzo una finestrella a grata, le sacre ossa di S. Amanzio, qui con solenne pompa trasportate dalla Chiesa di S. Abbondio, il 2 giugno 1590, e anche altre reliquie di S. Giuliana, portate dalla Chiesa di S. Pietro di Corno, il 3 maggio 1594".
Come si rileva immediatamente, l'altare attuale non è quello originario (che è infatti posteriore, tra il XVII e il XVIII sec.); si è conservata, invece, la mensa in un sol pezzo di sarizzo (oggi nella sostra di pietre dei Padri della Missione).
Così pure le reliquie di S. Amanzio, sono state in seguito spostate sotto la mensa dell'altare di S. Ignazio, dove si trovano tuttora; cambiata è invece, due volte, l'urna che le conteneva: scomparsa quella in marmo bianco vista dal Ninguarda; oggi in S. Fedele, nell'absidiola settentrionale, la successiva urna con la seguente scritta:

CORPUS S. AMANTII - THEODOSII / IMP. NEPOTIS - 111 COM . EPISC.

L'attuale urna è in vetro e legno, di fattura dei primi del '900.
Scomparsa è la pala del Crocifisso; cosi pure l'originario tabernacolo (preso in consegna, come si vedrà, dal Commissario napoleonico). Sono altresì scomparsi gli affreschi absidali, che il Ninguarda cosi descrive: " ... nell'abside c'è un buon dipinto, di Dio Padre sfolgorante di luce, circondato da cori angelici, attorniato da altre pitture, sulle pareti di destra e di sinistra, in alto: Adamo da una parte, Eva dall'altra, che, scacciati dal Paradiso terrestre, vestiti di pelli, e prostrati a terra, piangono il loro peccato".
Probabilmente, lacerti di tali affreschi si trovano tuttora sotto la decorazione barocca. Il Ninguarda descrive inoltre l'altare della Madonna, ancor oggi esistente: "... il minore (altare), è posto nell'arco di mezzo a destra della Chiesa: in esso spicca un quadro, incorniciato, della B. M. Vergine, che viene assunta in cielo da una innumerevole moltitudine di cori angelici, mentre gli apostoli, pieni di stupore, se ne stanno inclinati sul sepolcro vuoto". Anche questo, dipinto è scomparso, sostituito oggi da una tela novecentesca, raffigurante la Madonna di Pompei.
"... Ad ogni altare corrisponde una porta esterna: la principale sta di fronte all'altare maggiore, e comunica con la stretta via pubblica, nella quale si fa un gran fracasso con i carri che vanno e vengono, per cui si disturbano i sacerdoti e i fedeli che pregano Dio; la secondaria conduce nella piazzetta, presso la quale sta il portone del Collegio, con il nome: Gesù, scritto a caratteri cubitali".
L'ingresso principale è rimasto fino ad oggi invariato; quello secondario, venne chiuso per allestirvi l'altare di S. Ignazio, nel XVII sec.; (e stata riaperta, durante i restauri del 1968, una porta laterale, a levante della cappella di S. Ignazio, appunto per la pericolosità dell'accesso dalla porta maggiore, già sentita al tempo del Ninguarda; ed è stata, nel medesimo tempo, riaperta la porta sulla testata dell'ex Convento, quella appunto sulla quale il Ninguarda aveva letto la scritta a caratteri cubitali).
"... Le pareti a destra e a sinistra dell'altare, per tutta la loro lunghezza, con le scale all'interno che portano ai piani superiori, sostengono tre gallerie per lato, ornate di colonnette prospicienti verso l'interno".
Il Ninguarda allude certamente al secondo ordine di tribune, sovrastanti le cappelle, ricavate nelle lunette della volta a botte (quelle del primo ordine, in legno, come la cantoria, sono assai più tarde, settecentesche). Non sono più individuabili le "colonnette", probabilmente ancora esistenti, ma inglobate nelle lesene piatte (a loro volta precedute da lesene scanalate, poi tamponate per successivi interventi, come si ebbe modo di accertare durante i restauri del 1968).
Altrettanto minuziosa è la descrizione che il Ninguarda dà del Collegio dei gesuiti; in particolare: "...a sinistra della porta d'ingresso, si vede una stanza a forma di cappella, con l'altare dedicato alla Beata Vergine; ... qui il ceto dei nobili, nei giorni di festa, suole radunarsi per compiere le pratiche religiose". Tenuto presente che il Ninguarda sta descrivendo i locali che si affacciano sul chiostro (per cui la stanza in questione si trova a sinistra dell'ingresso guardando dall'interno); si può individuare la cappella dei nobili nel locale che oggi è stato adibito a cappella interna, fondendo la preesistente cappellina interna con la sacrestia; la sacrestia originaria si trovava perciò a settentrione del presbiterio, mentre la cappella la fronteggiava a meridione. Successivamente si addivenne allo spostamento della sacrestia a meridione, e della cappella a tramontana: infatti ancor oggi è' visibile un grande vano (attualmente occupato dalle cucine), al quale si accedeva (la un corridoio retrostante il presbiterio, attraverso un elegante portale a timpano triangolare, ancora esistente, anche se tamponato, sul quale è ancora leggibile la dedicazione: SODAL . ANNUNT . IS . DEIP . VIRG . IS, corrispondente alla descrizione del Ninguarda.
"... all'estremità dei portici è scavato un pozzo, con vicino la cantina", pozzo perfettamente riconoscibile (interrato da poco, durante lavori effettuati nel 1950).
Prosegue il Ninguarda a descrivere il chiostro: " ... questi Portici sono quasi rettangolari, e con le loro 16 colonne sostengono un bel corridoio, chiuso da un lato, e che dall'altro riceve luce da altrettante 16 finestre; a questo corridoio sono addossate le camere dei Padri, con le sale per lo studio e la ricreazione". Si tratta del piano primo, nel quale, oltre ai dormitori, vi doveva essere anche la biblioteca, che come si vedrà, servirà da base dell'attuale Biblioteca comunale.
Il rimaneggiamento teresiano del Collegio, condurrà all'arretramento della facciata su via Lambertenghi, di tre metri, evidentemente per allargare la sede viaria davanti alla Gendarmeria (che si installerà nel Collegio dopo la soppressione della Compagnia di Gesù), per consentire la manovra delle truppe a cavallo; con ciò si venne a sopprimere il braccio del corridoio interno del chiostro, parallelo alla via, probabilmente inglobando nella muratura interna, le sei colonne corrispondenti; infatti oggi le colonne del portico interno sono 10 (delle quali 4 non sono autentiche, eseguite, come sono, in graniglia).
Le tribune absidali, che si affacciano sul presbiterio ancor oggi, forse erano già due originariamente; certamente vi era quella meridionale; infatti il Ninguarda, continuando la descrizione del piano primo, precisa: "... all'estremità opposta del corridoio, vi è una tribuna con grata, dalla quale si vede la Chiesa e l'altare".
Esisteva anche il campanile: " ... sopra la tribuna vi sono ripostigli per la legna e altro; qui si eleva (la 15 a 20 cubiti il campanile, di forma quadrata, ornato (11 cuspide e piramidette agli angoli, ricoperto di stagno, con tre campane ben intonate".
Il campanile attuale non è quello originario, ma una sua riedificazione (l'ultima è del 1937, ad opera dei Padri della Missione), eseguita senz'altro sulle fondazioni originarie, e con parte della muratura autentica ancora conservata; la maggiore delle campane venne trasportata sul campanile di S. Fedele nel 1809, dopo la soppressione della Compagnia del 1777, forse per sottrarla al Commissario napoleonico.
Si sono quindi individuati tutti gli elementi originari del primitivo complesso; ciò che è sembrato necessario non solo per ragioni di ricostruzione storica, ma anche per orientare sii basi il più possibile documentate, le linee del restauro, distinguendo nettamente le parti originarie dalle sovrapposizioni e manipolazioni successive.


LA DECORAZIONE DELLA CHIESA DEL GESU', NEI SECOLI XVII E XVIII


Come si è sottolineato, nulla rimane della decorazione pittorica cinquecentesca descritta dal Ninguarda; quanto oggi rimane, risale al due secoli successivi.


AFFRESCHI:

Presbiterio: la volta a botte del presbiterio è decorata con un affresco raffigurante S. Amanzio in gloria; la figura del Santo campeggia isolata in un grande medaglione riccamente inquadrato da motivi architettonici.
L'affresco è concordemente attribuito a Giuseppe Petrini; anzi, a un primo momento morazzoniano del pittore, (che d'altra parte precede le influenze del Mola).
Il Petrini non aveva ancora qui raggiunto la sua personale autonomia stilistica, che sarà conquistata solo verso la metà del '700, allorquando "si va precisando in sommo grado quel suo carattere di nitida sfaccettatura dei piani, individuati da una luce radente".
L'affresco di S. Amanzio, pur non essendo un capolavoro, tuttavia si impone per lo scorcio della figura, gli effetti di luce del cielo (oscurato dietro la figura del Santo per darle maggior risalto), e l'ariosa trasparenza dei colori.

 

Cappella di S. Ignazio: due medaglioni, contornati (la una ricca decorazione in stucco, rialzata d'oro, sono affrescati stilla volta della cappella; raffigurano S. Ignazio penitente, e S. Francesco Saverio che si flagella per convertire un nobile; altri piccoli medaglioni sono inseriti nel complesso disegno degli stucchi, e affrescati con figure di angeli quasi monocrome.
Un confronto fra questi affreschi e quello già esaminato, del Petrini, ne evidenzia le differenze tecniche: quello del Petrini è eseguito ad impasto, cioè sull'intonaco fresco; quelli alla Cappella ignaziana, sono a velature; tanto basta per datarli a un'epoca posteriore; di essi quello che raffigura S. Ignazio è indubbiamente il più interessante, a tenui colori trasparenti dal marrone al verde; l'altro è di assai più banale fattura, tanto da essere sospettabile come dovuto ad altro pennello. Ambedue, in ogni caso, sembrerebbero della metà del '700. Gli stucchi, come si vedrà, sono di ispirazione barberiniana.

DECORAZIONE PITTORICA:

Una decorazione a motivi architettonici, ravvivati da tralci di frutta e fiori, è estesa dall'imposta delle volte, fino a terra; interessante soprattutto il motivo che sovrasta l'altare: un portale a timpano spezzato, sorretto da due colonne in finto marmo nero, con capitelli dorati e pennacchi bianchi, racchiude una nicchia, ricavata nello spessore del muro, nella quale è inserito un grande Crocifisso ligneo; tale decorazione, ad affresco a impasto, con sinopie graffite sull'intonaco fresco, sostituì quella cinquecentesca, (forse ancora esistente sotto uno strato di intonaco). Essa è estesa a tutte le pareti della Chiesa, e appare di non comune valore; potrebbe essere attribuita a qualche collaboratore della scuola dei Recchi, forse al Coduri, che con essi collaborò, oltre che con i Carloni; in ogni caso è di epoca pienamente settecentesca. Fa eccezione la decorazione della prima tribuna a sinistra dell'ingresso principale, che appare mutila: essa raffigurava un portale sorretto da colonne bianche, che da terra salivano fino al primo ordine di tribune; il timpano, a rilievo in malta, è riccamente avvolto da tralci di fiori; questi ultimi, forse posteriori, sono eseguiti con un gusto che sembra del secondo '800. La volta della navata, affrescata trent'anni fa dal vivente pittore Torildo Conconi, nel 1968, cancellati i colori, venne conservata per quanto riguarda il disegno, ma ridipinta dal medesimo autore a grisaglia, onde staccarla dalla decorazione settecentesca.

DECORAZIONE IN STUCCO:

Come già accennato, la volta della Cappella di S. Ignazio è arricchita da una elegante decorazione in stucco, con medaglioni, cartigli affrescati, angeli musicanti, rialzati da dorature. L'opera ha fatto pensare alla scuola del Barberini, che operò in altre Chiese di Corno; in effetti gli angeli che fiancheggiano, i medaglioni, sono modellati con finezza, che può meritare il richiamo alla nota scuola di modellatori.

TELE

Cappella di S. Ignazio: tre tele di grandi dimensioni, e di taglia pressoché uguale, ornano la Cappella: quella centrale rappresenta S. Ignazio e S. Francesco Saverio; le due laterali scene della vita di S. Ignazio e di S. Francesco Saverio.
Queste ultime sembrerebbero del medesimo pennello: non solo i particolari architettonici dello sfondo sono corrispondenti; ma anche l'angolazione della scena, con il personaggio principale situato su un lato della tela, cui fanno da contrappeso altri personaggi sull'altro lato; il centro del dipinto appare quindi alleggerito da prospettive digradanti; in ambedue i quadri, in posizione marginale, fa spicco un panneggio rosso intenso; nel quadro che rappresenta la visione di S. Ignazio al Santuario della Storta, esso è indossato dal, Salvatore; nell'altro, che rappresenta la predicazione di S. Francesco Saverio, da un popolano. Essi vennero attribuiti ai fratelli Recchi , o al Carpano. Di mano diversa, appare il quadro centrale, raffigurante S. Ignazio e S. Francesco Saverio: il fondo completamente annerito, salvo uno squarcio di cielo dorato, ne impedisce una miglior lettura; d'altra parte è intenzionale l'abolizione dello sfondo, e l'attenzione concentrata sui volti e sulle mani dei personaggi; in un primo momento, la tela richiama una infinità di quadri di maniera, nel quali la semplificazione delle figure, in realtà nasconde un meccanico adattamento di volti diversi a figura sempre uguali; ma nel quadro in esame, la severa sobrietà degli effetti luminosi che rischiarano i volti e le mani, e la valentia nel trattamento di queste ultime, distanziano la composizione da esempi più corrivi, e la assegnano a un pennello di maestro.
Esaminate a confronto le tre tele, quella della visione di S. Ignazio appare la più legata a modi cinquecenteschi; quella dei due Santi, dianzi esaminata, la più secentesca; la terza, con caratteri intermedi; data per accettata l'attribuzione ai Recchi, sembrerebbe eseguita da Giovan Battista, il più valente, quella con i due Santi; delle altre due, attribuibili ai fratelli, quella della visione di S. Ignazio può altrettanto, e forse con maggior fondamento, essere attribuita al Carpano, per le più evidenti reminiscenze cinquecentesche; le tre opere sono peraltro il più prezioso ornamento della Chiesa.


CAPPELLA DELLA VERGINE DI POMPEI

Scomparso il dipinto con l'Assunta, descritto dal Ninguarda, oggi la Cappella è affrescata con cornici architettoniche e tralci di fiori, che inquadrano una tela della Madonna, del Ferrari, cui si deve verosimilmente anche parte della decorazione affrescata, che risale al 1928.
Ad epoca anteriore, precisamente del 1898, come si vedrà, sono i 15 tondi a olio, raffiguranti i misteri del rosario.
L'insieme è di dubbio gusto (che si è cercato di alleggerire nei restauri del 1968, eliminando una serie di nastrini svolazzanti disposti tutt'attorno ai 15 tondi); parte della decorazione potrebbe attribuirsi all'Usuelli, pittore locale, cui si deve la decorazione dei parapetti lignei delle tribune, a medaglioni a tinta su tinta, (che risalgono al primo dopoguerra), di indubbia eleganza (salvo le figurette, tracciate con malferma mano).
Parlando di pittura su legno, di passaggio, si annota che nella parte interna del parapetto della cantoria, si trovano, reimpiegati come fodrine, due pezzi di una medesima porta, elegantemente dipinti col monogramma eucaristico, di epoca settecentesca (essi richiamano da vicino un'identica porta della villa Rosati di Mezzegra).
Sempre nella Cappella della Madonna, nelle due pareti laterali, trovano posto due cornici ovali di marmo nero di Varenna, racchiudenti due ritratti, di S. Ignazio e di S. Francesco Saverio; due opere secentesche di maniera, molto annerite, di qualche pregio

TELE DELLA NAVATA:

Ovali delle tribune: il motivo di medaglioni ovali, inseriti nella decorazione degli sfondi delle tribune del primo ordine, deve essere stato dettato dall'esistenza di quattro tele ovali corrispondenti; esse sono di vario soggetto e di diversi autori: l'Arcangelo Michele; i Martiri gesuiti, e i due ritratti di S. Carlo e di S. Francesco di Sales; sono di epoca settecentesca.
La qualità dei dipinti è discontinua: spiccano sulle altre le due tele di S. Michele, ritratto in atteggiamento di vorticoso movimento, sottolineato da un panneggio attorto a spirale; e di S. Francesco di Sales (inconsueto in una chiesa gesuitica; forse introdottovi dopo la soppressione); quest'ultima opera colpisce per la gelida resa del volto del Santo, trattato quasi a cammeo, e singolarmente grande rispetto al breve giro della cornice; la fredda luminosità citrina che lambisce il volto bene esempla gli esperimenti luministici dell'epoca, e richiama taluni ritratti del Monrealese.

Ovali delle lesene: sei ovali sono appesi alle lesene, probabilmente aggiustate, anche in questo caso appunto per l'inserimento delle tele.
Ciascuna tela rappresenta un busto di Santo o di Evangelista e soprattutto i componenti la sacra Famiglia; anche qui la taglia delle figure è singolarmente dilatata; i volti, sia pur manieristicamente somiglianti, presentano scorci di grande bravura; soprattutto il tondo di S. Giuseppe colpisce per l'energico trattamento dell'avambraccio, e per la prospettiva aerea del volto; i colori sono preva1entemente bruno rossicci, forse per intenzionale partito di unificazione, essendo le tele state concepite come integrative della decorazione; si è avanzata, l'ipotesi che esse possano attríbuirsi al Petrini; la qualità dei dipinti è tale, effettivamente, da suggerire la mano di un maestro; in esse però, se del Petrini si tratta, non appare ancora lo stile personale dell'autore; gli effetti luministici che ne saranno tipici, qui sono appena rappresentati da una incerta luminescenza, sempre proveniente dalla parte sinistra della tela; sono invece già ben presenti, la padronanza anatomica e il vigore degli scorci; il complesso, anche se minore, si raccomanda appunto perché concepito unitariamente, e perché consente di esplorare la gamma di variazioni applicate a un tema comune; verosimilmente, quindi, si tratta di opere del primissimo settecento.


TELE E DECORAZIONI SPARSE

Nella nuova sala, ricavata fondendo la cappellina e il coretto della tribuna meridionale absidale, al piano primo dell'ex Collegio (che certamente è quella originaria, descritta dal Ninguarda), si sono rimessi in luce alcuni frammenti di affreschi: un medaglione rettangolare, raffigurante un paesaggio lacustre a vivi colori, è inserito in un fregio a grotteschi.
Il quadretto è di deliziosa e fresca fattura, certamente cinquecentesca; per certi aspetti esso richiamerebbe la mano, e soprattutto i colori del Quaglio; ma si tratterebbe di datazione troppo avanzata. Senza dubbio si è dinanzi a un lacerto della originaria decorazione cinquecentesca, poi interamente cancellata dagli interventi settecenteschi, come si è visto.
Nella medesima sala è stata collocata, tenuto conto della precedente attribuzione, una tela raffigurante una Visitazione, opera di uno squisito manierista, tardocinquecentesco, non immemore delle atmosfere fiamminghe, e delle geometrie ellittiche dei Bronzino: il paesaggio vespertino, lo slancio delle figure molto allungate, il raffinato equilibrio cromatico, ne fanno un'opera di grande eleganza decorativa, e di fascino non comune.
Nella sala stessa, è stato restaurato il soffitto ligneo a cassettoni dipinti a vivi colori (giallo, rosso, bianco e blu), che faceva parte del coretto aggettante sul presbiterio; i colori non sono più gli originari; Ma il rifacimento permette comunque di immaginare l'originario ambiente; che si è cercato di suggerire con una decorazione a grisaglia che ne ripete i motivi.

SCULTURE

Non vi sono particolari opere di pregio, salvo una bella statua lignea dell'Immacolata, di altezza metà del naturale, con manto riccamente dorato a foglia: il volto dal naso classico, la positura e l'addobbo, fanno pensare a un'opera neoclassica, di buon livello; essa è stata collocata nella nuova cappella interna, su un basamento in legno scolpito di fattura ottocentesca.

ALTARI IN MARMO:

Secenteschi sono i due altari, maggiore e della Madonna; sono di un gusto alquanto pesante, per la prevalenza del marmo nero, interrotto da losanghe e medaglioni di marmi rossi e gialli.
L'altare di S. Ignazio, invece, appare di tutt'altra ispirazione; il motivo semplificato del portale e del timpano spezzato; l'uso del marmo macchiavecchia, associato a una sobria decorazione in marmo bianco di Musso, farebbero persino pensare a opera del tardo '700; d'altra parte., il suo inserimento nella decorazione secentesca (si ricordino le tre tele di ugual misura, una delle quali inserita nel portale), ne spostano indietro la datazione; esso segna pertanto una svolta nel gusto, singolarmente evidenziata dalla differenza di intendimenti palesi negli altri due altari; completa la Cappella un pavimento a mosaico di marmo, di elegante disegno secentesco, che si è accuratamente restaurato (un pavimento pure a mosaico di marmo è impiegato anche nella antistante cappella della Madonna, di più tarda fattura, certamente ottocentesca).
Completavano gli altari una serie di balaustre in macchiavecchia, a fitti balaustrini quadrati; come si vedrà, esse sono state spostate sotto le tribune del presbiterio, per adempiere alle nuove disposizioni.


LA SOPPRESSIONE DELLA COMPAGNIA DI GESU' NEL 1777

Le maggiori trasformazioni nel complesso edilizio si ebbero durante il periodo teresiano, allorché il Collegio venne adibito ad acquartieramento militare.
Il 17 agosto 1777, infatti, venne a cessare ogni attività dei gesuiti in Como, quattro anni dopo i due Brevi pontifici del 21 luglio e del 13 agosto 1773; secondo tali Brevi, come riferì il Cardinale Pozzobonelli, Arcivescovo di Milano, al Vescovo Mugiasca di Corno, con lettera 4 settembre 1773: "...il Papa lasciava alla religione di Sua Maestà, a disposizione delle opere pie a lei benevise, i beni della soppressa Compagnia".
Le ragioni del ritardo nell'applicazione dei Brevi pontifici, a Corno, si dovette ai ricorsi che i gesuiti locali intrapresero per farne sospendere l'esecuzione, attraverso il Vescovo di Corno; che ne scrisse infatti sia al Governatore della Lombardia Conte di Firmian; sia all'Arcivescovo medesimo; sia al Cardinale Corsini di Roma.
Ma l'ingiunzione pontificia, trasmessa attraverso il Cardinale Pozzobonelli, impose al gesuiti di deporre l'abito di religiosi, per vestire quello di sacerdoti secolari: "... per le spese da farsi, ciascuno darà alle mani del delegato di Sua Eminenza, la nota di quello che crede possa abbisognargli, che sarà puntualmente somministrato; ... stabilisce pure il termine di dieci mesi a quelli che non sono costituiti negli ordini sacri, per trovarsi un onesto appoggio; e frattanto accorda che possano trattenersi nelle suddetta o in altra casa… Anzi, Sua Eminenza insinua di continuare per ora in questa stessa Chiesa, a celebrare come prima nel loro rito, riservandosi in seguito di dare ordini opportuni in rapporto a quello che dovrà osservarsi a tenore della costituzione di questa Chiesa. Comanda però che si astengano fino a nuovo ordine dal confessare i fedeli, dal predicare e dalle altre funzioni, cose che faranno alcuni sacerdoti secolari a ciò deputati…".
Dopo 216 anni, la Compagnia di Gesù cessò così ogni attività in Como.


ALESSANDRO VOLTA E LA BIBLIOTECA DEI GESUITI, NEL 1776

Se, come si vedrà, è possibile seguire, dopo la soppressione dei gesuiti, la sorte degli immobili già di loro proprietà (di alcuni mobili, specie tavole, tele, tabernacoli, urne, ecc. compresi nella descrizione del Ninguarda non si ha più notizia; essi probabilmente vennero dispersi in tale occasione), è possibile, ed estremamente interessante per riguardo alla storia della città, seguire le sorti della ricca biblioteca della Compagnia.
1 gesuiti, infatti, fin dal loro primo attestarsi a Como, avevano iniziato l'insegnamento pubblico di grammatica, umanità e retorica, filosofia e teologia morale, secondo quanto già riferisce il Ninguarda.
Il catalogo dei volumi della biblioteca giace oggi all'Archivio di Stato di Milano, mentre i volumi sono custoditi nella biblioteca di Como che, come si vedrà, ereditò il fondo gesuitico. Al momento della soppressione, il Collegio dei Giureconsulti di Corno, (più noto secondo l'accezione popolare di Collegio dei Dottori, da cui l'omonima via adiacente appunto alla Chiesa del Gesù), intravide la possibilità di accrescere la propria biblioteca, con tale fondo.
Ad appena tre mesi dalla Bolla papale, il 1° settembre 1773, il Collegio delegò il pro-priore, marchese Giuseppe Rovelli, insigne storico comasco, ad avviare trattative con i gesuiti, per la cessione del fondo; trattative non facili, se nel 1774 il Collegio doveva ancora incaricare Giovan Battista Caimi: "... di usare le più opportune prattiche per conseguire a favore del Collegio tutti i libri lasciati dagli estinti gesuiti, da unirsi alla libreria aperta a pubblico beneficio". L'operazione doveva andare in porto per effetto sia dei mutati tempi (cioè l'esecuzione effettiva della soppressione), si dell'energico e autorevole interessamento del nuovo Reggente delle pubbliche scuole comasche, Alessandro Volta.
Egli, d'altra parte, aveva studiato presso i gesuiti, che sembra mirassero addirittura a farlo entrare nella loro Compagnia; in ogni caso egli ben ne conosceva la consistenza della biblioteca. Il 21 agosto 1776, egli indirizzò al Governatore della Lombardia, Conte di Firmian, la seguente lettera: "Un altro oggetto dietro cui sospiro, è quello della biblioteca: giacché, stante il progetto già avanzato dal R. Delegato, Don Ludovico Peregrini, indi da me con molta istanza promosso in questo e nell'anno addietro, di riunire i libri lasciati dal gesuiti a quelli del Collegio dei Dottori, e formarne così una pubblica biblioteca, questi libri gesuitici, non meno che quelli spediti da cotesto Governo al principio di quest'anno, ad uso degli Studi pubblici, stati a me indirizzati, riconosciuti, e fino ad or custoditi sotto chiave nel Gesù, rimangono inutilmente chiusi e sepolti fintantoché gli ordini e disposizioni supreme non vengano abbassate. Ardisco dunque a nome delle Scuole, del Collegio dei Dottori e del Pubblico, supplicare V. E. di differire più a lungo l'opportuna provvidenza".
Di lì a poco, il 16 novembre 1776, la nascita della Biblioteca pubblica era un fatto compiuto; poco dopo tale data si effettuò il deposito dei volumi dei gesuiti al nuovo ente.



LA CHIESA DEL GESU' DICHIARATA FILIALE DELLA BASILICA DI S. FEDELE NEL 1808

E' verosimile che qualche gesuita sia rimasto a Como anche dopo il 1777, forse fino al tempo della proclamazione della Repubblica Cisalpina.
Le notizie sulla Chiesa del Gesù, riprendono, infatti, dopo tale data il 7 settembre 1802: "l'Economo della Repubblica incaricava il Cittadino Proposto di S. Fedele, Antonio Luraschi di Corno, di assumere provvisoriamente la custodia dei mobili ed effetti preziosi che servivano per la Chiesa del Gesù".
Il Prevosto Luraschi, infatti, poté trovare nel Sac. Antonio Merini, chi si incaricasse di Celebrare la Messa nel giorni festivi, e talvolta anche nel feriali, per ben 25 anni (dal 1819 al 1845); disponendo peraltro, che tale opera fosse integrata dai Canonici di S. Fedele.
Iniziano quindi da allora quei legami fra la Chiesa del Gesù e la Basilica di S. Fedele, che dovevano condurre, il 30 giugno 1808, sotto il Vescovato di Mons. Carlo Romanò, col l'autorizzazione del Ministero per il Culto, a dichiarare la Chiesa del Gesù, sussidiaria di S. Sisto e di S. Fedele.
Tale concessione consentiva di tutelare meglio gli effetti della Chiesa medesima: infatti, il 21 agosto 1804, il Direttore del Demanio, Franchi, a nome di Napoleone, che aveva incamerato i beni dei gesuiti, aveva già rilevato, come si ricava dalla ricevuta, tutti gli oggetti preziosi della Chiesa "... una porticina d'argento del tabernacolo, tre croci d'argento, un baldacchino, un turibolo, due calici, due reliquiari, una cassetta d'argento con reliquie di S. Ignazio, una custodia... ". Si comprende quindi perché, nel 1809, la campana maggiore del Gesù sia stata trasportata sul campanile di S. Fedele.
Se il regime giuridico della Chiesa del Gesù era quindi riaffidato al Clero, rimaneva sempre precario il regime patrimoniale, non bastando, evidentemente, alle spese di manutenzione, la presenza minimale di un officiante nel giorni festivi. A ciò si provvide con l'erezione della Compagnia del S.S. Sacramento, sorta sotto la protezione di S. Luigi Gonzaga, nel 1816; appunto per tale circostanza, l'altare della Madonna fu per quel periodo dedicato a S. Luigi.
La nuova Compagnia si procurò subito l'inventarlo di tutti gli effetti che ancora si trovavano nella Chiesa, assumendosene la custodia e la manutenzione. Nel 1820, infatti, furono eseguite le opere di riparazione più urgenti, fra le quali il rifacimento della copertura del presbiterio, rimanendo la Chiesa per parecchio tempo chiusa al culto.


L'EREZIONE DELLA FABBRICERIA DELLA CHIESA DEL GESU', NEL 1829

Una emanazione della Compagnia, fu, ben presto, la Fabbriceria, che fu eretta il 24 ottobre 1829, distinta e indipendente da quella di S. Fedele. Ciò consenti una maggior regolarità amministrativa e di ufficiatura, confermate dalle disposizioni prese dal Prevosto di S. Fedele, Don Federico Angelini, in data 15 maggio 1842, secondo le quali si definivano le date di alcune solenni ufficiature.
Della Compagnia del S.S. Sacramento abbiamo ulteriori notizie, in particolare l'elezione del Priore, nella persona di Luigi Spinelli; (per il vero, la Compagnia, in quell'occasione, viene chiamata di S. Omobono, protettore degli artisti sartori, per evidenti ragioni di collegamento con un ramo dell'artigianato locale del tempo).
Interessano soprattutto le date relative agli immobili: nel 1858 si chiudono le due porte della Chiesa che mettevano in comunicazione con la Gendarmeria (ex Collegio dei Gesuiti; infatti dopo la soppressione, questa era stata l'utilizzazione del chiostro). Della Gendarmeria abbiamo una planimetria, datata 30 luglio 1863, nella quale è riportata la destinazione delle diverse parti dell'edificio: vediamo così che il piano terreno era occupato dal corpo di guardia e dalle scuderie (la cappella dei nobili serviva da "scuderia per n. 7 cavalli"); il piano primo era occupato dagli uffici del Comando Divisione e dall'alloggio del Capitano.
La Chiesa rimase ancora chiusa al culto, una parte del 1859, allorché il Vicario Generale, Mons. Calcaterra, dispose dei restauri statici resisi necessari per la rottura di una chiave di muro, di vari legnami, e per una serie di lavori per sarcire le lesioni della facciata. Per l'occasione, nel medesimo anno, la Fabbriceria approntò un inventario degli effetti della Chiesa, e regolò talune pendenze di confine, ottenendo che il proprietario della casa di Via Tatti n. 8, chiudesse tutte le finestre che comunicavano con la Chiesa.
Il 23 dicembre 1870, il Sindaco di Corno scrisse alla Fabbriceria, avvertendo che per necessità impellenti e per scarsità di locali era costretto a destinare la Chiesa ad acquartieramento di soldati; non si ha peraltro notizia che ciò sia effettivamente avvenuto.
Ricostituitasi poi, com'è noto, la Compagnia di Gesù, nel 1896 sia il Vescovo di Corno, Mons. Valfrè di Bonzo, sia il Cardinale Ferrari, Arcivescovo di Milano, fecero passi per riavere i Gesuiti a Corno, ricevendone però risposta negativa, per scarsità di uomini, così come chiarito in due lettere, una del generale Ludovico Martin, del 17 aprile 1897, l'latra del Provinciale Riccardo Friedl, in data 12 giugno 1897.


L'INSEDIAMENTO DEI PADRI DELLA MISSIONE DI S. VINCENZO, NEL 1898

Il Vescovo di Corno si rivolse allora al Provinciale dei Padri della Missione della Lombardia. Evidentemente la scelta del Vescovo rispondeva a un preciso fine: continuare, dopo l'interruzione seguita alla soppressione, l'opera di predicazione dei Gesuiti. A ciò si prestava, singolarmente, la Congregazione dei Padri della Missione, istituzionalmente votata alla predicazione e alla confessione. Inoltre l'altro ramo di attività della Congregazione, quello missionario, richiamava molto da vicino la corrispondente attività missionaria dei Gesuiti, che aveva avuto il suo massimo esponente in S. Francesco Saverio.
A voler definire con parole d'oggi, situazioni antiche, si potrebbe dire che fra gesuiti e vincenziani vi fosse una sorta di coesistenza competitiva. In Cina, infatti, dopo la soppressione dei gesuiti, erano rimasti i vincenziani; rapporti competitivi vi erano stati in Polonia, e in altri paesi, è però da sottolineare che le attività delle due Congregazioni si svolgevano su due diversi livelli; quello dei gesuiti rispecchiava una strategia a raggio internazionale, di portata e influenza così vaste, da configurare quasi una sorta di sovrastato, ciò che è ben riflesso dalla soppressione della Compagnia, che molti governi nazionali effettuarono anche prima di ottenere l'intervento papale.
Quella dei vincenziani, invece, era quasi una eco delle iniziative francescane, un riprendere e perfezionare il ministero assistenziale svolto dagli xenodochi medievali, trasformati in organizzazioni più specializzate e distinte, come ospedali, mense per i poveri, ecc. secondo le mutate esigenze (lei tempi; un servizio assistenziale, cioè, più rivolto agli strati poveri della popolazione, che a quelli colti e agiati.
Anche se la Regola dei vincenziani ricalcò quella dei gesuiti, a somiglianza di quasi tutte le congregazioni, dopo il successo dell'innovazione metodologica introdotta da S. Ignazio, pure rimase fondamentale la flessibilità della Congregazione vincenziana, com'è provato dalla gamma di attività diverse, da quella missionaria a quella parrocchiale; da quella ospedaliera, a quella della formazione seminariale; così come rimane caratteristica e distintiva, la cura nell'espandere il ramo femminile della Congregazione, quello delle Figlie della Carità, con la sua vastissima ramificazione internazionale nel campo ospedaliero e dell'assistenza (non a caso la sede delle Figlie della Carità, a Como, è antistante la Chiesa del Gesù).
Ritornando alle vicende del secolo scorso, avvenne che i contatti avviati dal Vescovo di Como con i vincenziani, si stringessero al punto da approdare a una Convenzione fra il Vescovo Teodoro Valfrè (lei Conti di Bonzo, e Gaspare Ramella, Provinciale (lei Preti della Missione della Provincia Lombarda, in data 10 dicembre 1897. In essa il Vescovo concedeva ai Padri della Missione, l'uso dell'edificio adiacente al fianco nord della Chiesa, appositamente acquistato (in parte col legato specifico di Don Gaeta, ammontante a L. 43.678,50; in parte con sottoscrizioni, ammontanti a L. 16.451,91; in parte ancora, con cartelle, affitti, liquidi, fino alla concorrenza di L. 63.003,00); e si impegnava ad assicurare l'appannaggio di L. 1.800 annue (poi aumentato, dal 1929 al 1943, a L. 4.000 annue). Contemporaneamente, alla stessa data, venne stipulata pure una Convenzione col Prevosto di S. Fedele, circa l'uso e l'ufficiatura della Chiesa; ad essa segui una successiva Convenzione, in data 21 dicembre 1927, con la quale si ribadivano e precisavano meglio alcuni punti relativi all'ufficiatura. Con l'occasione, nel febbraio 1898, si stese un inventario degli oggetti di culto della Chiesa del Gesù, che costituisce un utile riferimento per confrontare la consistenza attuale con quella della fine del secolo.
L'insediamento, vero e proprio (lei Padri della Missione, avvenne il 10 gennaio 1898; i Padri erano cinque, retti dal Sac. Francesco Baravalle; sedici furono i Rettori da allora ad oggi; oltre una cinquantina i Padri succedutisi a Como fino al nostri giorni.



OPERE DI AMPLIAMENTO E TRASFORMAZIONE PROMOSSE DAI PADRI DELLA MISSIONE DAL 1898 AL 1968, NEL COMPLESSO DEL GESU'

Già fin dal 1898 si iniziarono lavori di adattamento e modifica dell'immobile adiacente al lato nord della Chiesa. Per quanto riguarda quest'ultima, stante l'impegno sancito nelle Convenzioni, di promuovere il culto della Madonna di Pompei, peraltro stabilito fin dal 1893, la Presidenza della Pia Associazione della Madonna del Rosario di Pompei, stabilì, l'11 novembre 1898, di provvedere i 15 medaglioni rappresentanti i 15 misteri del rosario, che trovano ancora posto oggi, nella cappella di destra. Nel 1900, forse in seguito a tali adempimenti, si ottenne l'aggregazione al Santuario di Pompei.
Nel 1904 fu abbellita la piccola Sacrestia, adattata poi a cappella interna; e fu restaurato l'altare a S. Ignazio, che aveva subito molte lesioni, probabilmente per il cedimento della pavimentazione, che ne avevano messo in pericolo gli stucchi e le dorature.
L'antico organo, che nell'inventario del 1859 era descritto: "...organo con tastiera in ebano, a quattro ottave, 26 registri, ad una sola facciata, due griglie a fianco della cantoria, un vestibolo davanti alla Chiesa..."; venne sostituito con altro nuovo, fabbricato a Bergamo nel 1905; ma anche quest'altro fu sostituito, nel 1930, da quello attuale, che venne tolto dalli cantoria addossata alla facciata della Chiesa, e collocato nella tribuna compresa fra l'altare di S. Ignazio e il presbiterio.
Il 16 luglio 1909 venne posta in opera sopra il Crocifisso dell'altare maggiore, una vetrata dipinta con la Deposizione; essa però nel 1937 venne sostituita da un'altra rappresentante la Famiglia vincenziana (tale vetrata, durante i restauri del 1968, venne tolta dall'altare maggiore per rimettere in luce la decorazione originaria, e collocata nel nuovo accesso dalla piazzetta, aperto là dove si trovava l'ingresso al Collegio dei Gesuiti).
Nel 1914 venne completato il tabernacolo, la cui porta originale, come si è visto, era stata presa in consegna dal Commissario napoleonico.
Nei 1923 venne eseguita una generale ricorsa alle coperture, alla cui spesa sovvenne anche la Fabbriceria con una cospicua cifra.
Nel 1927 venne fondata la Conferenza Maschile di S. Vincenzo ed è probabilmente la crescente diffusione delle Conferenze ad aver suggerito, nel 1937, la sostituzione della vetrata istoriata, come già visto.
Il 7 ottobre 1928, completata la cappella della Madonna di Pompei, con una tela del pittore Ferrari, e con un tabernacolo (di assai meschina fattura, rimosso nel 1968 per liberare l'altare dalle sovrapposizioni recenti); venne inaugurata la cappella medesima dal Vescovo Pagani; che per l'occasione dispose che si abolissero gli altari e le balaustre situati di fianco all'ingresso principale.
Nel medesimo anno venne completato l'impianto di riscaldamento (il primo in Como in edificio religioso); e aperta la parte centrale del finestrone posto sopra l'ingresso, che era rimasta accecata dal vecchio organo.
Il 12 novembre 1931, il Vescovo Macchi addivenne alla ricognizione delle reliquie di S. Amanzio, rinvenendo nell'occasione, frammezzo ad esse, un cartiglio con la conferma della traslazione di esse da S. Abbondio, nel 1590.
Non minori furono gli interventi successivi: il 22 agosto 1936, l'Ing. Antonio Giussani, chiamato a pronunciarsi su alcune lesioni Alla volta della Chiesa, ne dichiarava la pericolosità, tanto che nel medesimo anno, il 24 ottobre, si iniziarono opere di consolidamento statico.
Nel 1933, si diede grande impulso alla devozione della Vergine della medaglia miracolosa, e venne acquistata la statuetta della "Madonna dei raggi", che gode ancor oggi il maggior fervore popolare (durante i restauri del 1968, la statuetta, peraltro di nessun pregio rispetto a quella neoclassica già citata, venne collocata sotto la tela della Madonna di Pompei).
L'anno successivo, 1936, venne cambiato il pavimento della Chiesa, rinnovandolo con piastrelle di cemento (esso venne sostituito con altro di marmo nel 1968).
Nel 1937 si consolidò, e praticamente si rifece, il campanile che già più non aveva "...cuspide e piramidette agli angoli..." secondo la descrizione cinquecentesca del Ninguarda; l'attuale forma risale quindi a quegli anni.
Altrettanto numerose le opere di miglioramento realizzate dal 1942 al '48.
Nel 1945 venne un'altra volta rifatto il tetto della Chiesa e della casa su Via Tatti; e vennero completate le pitture della galleria e del coro dal pittore Conconi.
Durante la guerra, il regime giuridico della Chiesa del Gesù acquista definizione; con provvedimento pubblicato sul n. 38 della Gazzetta ufficiale, febbraio 1943, essa viene infatti riconosciuta dallo Stato, Ente giuridico.
Nel dopoguerra venne posto mano al problema della facciata della Chiesa, rimasta incompiuta dalla fondazione; vi provvidero i due pittori comaschi Eugenio e Giovanni Rossi, che nel 1950 realizzarono una decorazione a graffiti, lasciando inalterata la struttura originaria. Poco dopo, il Comune di Corno, proprietario della Caserma dei Carabinieri, installata nell'ex Collegio dei gesuiti, per lo spostamento del contingente militare, stipulava l'atto di alienazione dell'immobile al Padri della Missione: si ricostituiva con ciò l'originaria consistenza della proprietà gesuitica (già nel 1945 si era ampliato il giardino interno della casa di Via Tatti, acquistando dalla signora Casletti Campari l'appezzamento di terreno al confine sud della proprietà).
Nel 1967 si iniziò una generale opera di riordino e di restauro di tutto il complesso.
La pericolosità dell'ingresso principale (battuto da un traffico intenso fin dal tempo del Ninguarda), consigliava l'apertura di una porta laterale sulla piazzetta, sulla quale già originariamente si apriva, prima dell'erezione della cappella di S. Ignazio. Con l'apertura dell'ingresso secondario, secondo un progetto approvato dal Comune e dalla Sovrintendenza al Monumenti, si è provveduto a sistemare anche il fianco meridionale della Chiesa, ricavandovi un'antistante aiola di rispetto, avvio alla sistemazione futura della piazzetta.
Si è inoltre, come già accennato, riaperto l'antico ingresso sulla testata dell'ex Collegio dei Gesuiti; da tale ingresso si entra, attraverso un vestibolo, a una cappella interna, ottenuta ampliando la preesistente cappellina, e spostando la sacrestia sull'opposto lato settentrionale del presbiterio. Ciò ha consentito di eliminare il vecchio ingresso che avveniva attraverso il campanile; e di utilizzare quest'ultimo (visto il precedente del campanile di S. Marco di Venezia), come vano di corsa di un ascensore di collegamento dei tre piani dell'ex Collegio.
E' stato poi affrontato il restauro del vano interno della Chiesa. Secondo le nuove disposizioni liturgiche, la mensa è stata collocata al centro del presbiterio, utilizzando le mensole che già sorreggevano la mensa addossata al sopraltare, e lasciando il tabernacolo nella posizione originaria; con ciò si è perseguito e ottenuto lo scopo di non alterare sensibilmente l'aspetto storico del presbiterio, che, visto dalla navata, appare quasi immutato, non fosse per la mensa più avanzata.
La balaustra, in balaustrini quadrati di macchiavecchia, è stata eliminata; non si è però rinunciato a riutilizzarla nel presbiterio stesso, ricollocandola davanti alle tribune che vi aggettano, per separare il presbiterio dalla cappella interna a meridione e dalla sacrestia a settentrione.
Con l'occasione si è provveduto a sistemare la ex cappellina dei Padri, situata al piano primo, che si affaccia sul presbiterio con la tribuna meridionale, (già citata dal Ninguarda); essa venne ampliata e destinata a sala riunione. In tale occasione si è provveduto a rimettere in luce e a restaurare la parte allora ancora esistente dell'elegante soffittatura in legno a cassettoni decorati a stampino e colorati; e i lacerti di affresco a grotteschi e a medaglioni con paesaggi, uno dei quali, come già visto, interamente conservato, di epoca cinquecentesca. Tale soffittatura dovette però essere sostituita (poiché ormai pericolante) durante gli anni '90.
Tutto il pavimento della Chiesa è stato rifatto, asportando le piastrelle di cemento e sostituendole con lastre di marmo: macchiavecchia per la passatoia centrale e i corridoi laterali; serpeggiante viola per i campi occupati dai banchi.
1 colori del materiale marmoreo e la loro qualità sono stati scelti fra quelli già esistenti nella decorazione della Chiesa, e in accordo con i colori dominanti di essa.
Gli altari laterali, di S. Ignazio e della Madonna, sono stati accuratamente restaurati; completata in marmo la mensa già in muratura incompiuta, dall'altare di S. Ignazio; consolidato e restaurato il pavimento in mosaico di marmo, di elegante disegno secentesco.
Altrettanto restaurato l'altare della Madonna, dal quale è stato tolto il tabernacolo novecentesco, che aveva incongruamente interrotto il preesistente sopraltare barocco; del quale si è provveduto a completare la parte inferiore, rimasta incompiuta, completando il disegno già iniziato; altrettanto restaurato il pavimento in mosaico di marmo, di fattura ottocentesca, con monogramma mariano al centro.
Come già accennato, si è tolta dal presbiterio la vetrata colorata, per restaurare la sottostante decorazione ad affresco: soprattutto il portale che racchiude la nicchia del Crocifisso, è stato restaurato secondo l'originale graffito settecentesco, a colonne di finto marmo nero con capitelli dorati a foglia d'oro. L'affresco del Petrini sulla volta dell'arco trionfale, è stato ripulito così come tutta la decorazione delle pareti dalla navata, tribune e cantoria, la cui traccia graffita, ha consentito la perfetta adesione all'originale.
La volta della navata, affrescata dal pittore Conconi trent'anni fa, è stata modificata, come già accennato, dallo stesso autore, nel senso di cancellarne tutti i colori, abbassandoli a effetti di tinta su tinta, in modo da dare risalto alla decorazione barocca ancora esistente. L'effetto di rischiaramento di tutto l'ambiente interno, è poi stato potenziato da una serie di concomitanti lavori: sostituzione della bussola d'ingresso, di legno di abete di poverissima esecuzione, con un , impennata interamente vetrata, nella quale è stata inserita un'antica porta in noce, a fodrine secentesche, che si è ricuperata dalla vecchia sacrestia (anche le due porte sulla piazzetta sono parimenti ricavate da due ante secentesche quasi esattamente di misura).
Da ultimo, l'eliminazione dei confessionali (due dei quali cinquecenteschi), spostati nella penitenzeria maschile, ha ampliato l'effetto ottico della navata, cui ha aggiunto spaziosità l'eliminazione delle pericolanti balaustre delle cappelle minori.
Un completo impianto di illuminazione artistica, con proiettori a mascherina, ha provveduto a rendere godibili le tele secentesche di eccellente fattura, e la ricca decorazione affrescata, visibile fin nei minuti particolari; l'aggiunta di sei lampadari in cristallo, due dei quali autentici della prima metà dell'800, ricuperati dagli ambienti preesistenti, ha completato gli effetti di illuminazione.
Quattro confessionali nuovi, nei quali si sono reimpiegati fregi scolpiti in noce, ricuperati dalla vecchia sacrestia, sono stati ricavati nello spessore della bussola d'ingresso, onde non sottrarre spazio alla navata. Tali confessionali furono poi sostituiti negli anni '90 da tre nuovi confessionali, più confortevoli e adatti alla celebrazione del sacramento della Penitenza, ministero principe dei Padri della Missione in servizio nella Chiesa del Gesù.
La somma di tutti questi interventi ha condotto a restituire all'interno dell'edificio (l'esterno non è stato praticamente mutato) quella spaziosità e quella immediatezza di percezione visiva, che dovevano essere nell'intendimento originario.

(Testo critico e notizie storiche raccolte a cura di Giuseppe Rocchi in occasione dei lavori di restauro del 1968 e aggiornate da P. Giuseppe Turati, attuale Rettore della Chiesa del Gesù).

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